Una Morte in Toscana
Di Dick Rosano
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Info su questo ebook
Filippo Trantino nasce e cresce in Toscana, ma in seguito si trasferisce in America con i genitori, benché il suo cuore rimanga tra i vigneti dell‘azienda vinicola che la sua famiglia possiede da generazioni.
Durante un ritorno a casa in occasione di un funerale, i suoi cugini lo convincono che la morte di suo nonno non sia stata accidentale. Per investigare su questo crimine, Filippo si ritrova a viaggiare tra i paesaggi rurali della Toscana, assaporando i più prelibati cibi ed i deliziosi vini della zona, scoprendo così la vita che avrebbe da sempre voluto vivere.
Una Morte in Toscana è in parte un racconto giallo, in parte una descrizione del processo di produzione del vino ed un affascinante viaggio attraverso la bellissima campagna toscana. Il lettore potrà gustare la descrizione di cibi, vini, ma anche di aspetti tipici del comportamento degli italiani, visti attraverso gli occhi americani dello scrittore Dick Rosano.
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Anteprima del libro
Una Morte in Toscana - Dick Rosano
UNA MORTE IN TOSCANA
DICK ROSANO
Traduzione di
VITTORIO ROSSI
Copyright (C) 2017 Dick Rosano
Layout design e Copyright (C) 2023 by Next Chapter
Pubblicato 2023 da Next Chapter
Copertina di Evit Art
Questo libro è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi e incidenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza ad eventi attuali, locali, o persone, vive o morte, è puramente casuale.
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, incluse fotocopie, registrazioni, o da qualsiasi archiviazione delle informazioni e sistemi di recupero senza il permesso dell’autore.
INDICE
Prologo
Ricordi Di Un Tempo Passato
La Caduta
Di Nuovo A Casa
A Cena Con I Cugini
Altre Giornate
Nell’azienda Vinicola
Sulla Strada Verso Salina
L’ora Del Pranzo
Più Enoteche Che Chiese
La Cena A Montevarchi
Ritorno All’azienda Vinicola
Il Lavoro Di Un Pomeriggio
Il Negozio Di Alimentari
Una Vecchia Amicizia Ritrovata
Una Tranquilla Serata
La Mattina Con Anita
L’azienda Cosco
Il Bar Prato
La casa Della Francia
Raffaella
Mettendo Insieme I Pezzi
Il Cinghiale
Antonina Frascati
Una Giornata Ventosa A Siena
Ancora da Cosco
Un Risveglio Con La Polizia Alla Porta
La Vendemmia
Le Lunghe Giornate Nel Vigneto
Ritorno a Radda
Una Lunga Mattinata
I Registri
La Comprensione Di Tutto
A Chi Spetta L’eredità Ora
Ripensando A Tutto
Come Aggiustare Le Cose
La Pigiatura
Il Buon Profumo Del Vino Novello
Il Dolce Far Niente
Il Castello dei Trantini
Caro lettore
Ringraziamenti
A Nonno Domenico, seguendo le cui orme imparai l’arte di produrre vino
PROLOGO
Era stato necessario molto tempo per prendere questa decisione. Ora lui stava in piedi, con le mai appoggiate sul muretto in pietra che correva intorno a questa loggia, "la sua loggia, osservando i vigneti che suo nonno aveva curato per tanti anni.
Come andrà la vendemmia? chiese al vento che gli solleticava il naso e faceva frusciare le foglie delle viti, cariche di uva.
Riusciranno ancora a prosperare queste viti, ora che Nonno Filippo non può più parlare con loro?"
La brezza gli portò alle narici il profumo di fiori della sera, di salvia e carne arrosto. Poteva trattarsi di profumi provenienti da luoghi distanti come Siena, illuminata ora dalle luci tremolanti del tramonto, o molto più vicini, come la griglia nel cortile esterno dove i vendemmiatori si ritrovavano per pranzo in questo periodo dell’anno? Oppure quel profumo poteva essere solo un frutto dei suoi ricordi, un ritorno alla sua gioventù, un modo per pensare a come era la sua vita prima di lasciare questa storica terra?
La decisione. Sarebbe diventato il momento più importante della sua vita, ma ci erano voluti tutti i momenti di un’intera vita per raggiungerlo. Dopo aver trascorso l’adolescenza in Italia, il paese del vino, era poi cresciuto in America, della quale aveva adottato la cultura ed accettato le passioni, senza però mai dimenticare il Vecchio Mondo. Non aveva mai dimenticato le lezioni che aveva appreso da suo nonno, la cui padronanza in campo enologico era allo stesso tempo una conoscenza della vita.
La decisione. Non coinvolgeva solo lui, Phil Trantino, l’erede dell’azienda vinicola di famiglia, ma anche tutti coloro in qualche modo collegati, per ragioni di parentela o di lavoro, alla terra che ne recava i frutti.
La decisione. Sapeva fin dall’inizio quale sarebbe stata. Scuotendo la testa in quel momento, con lo sguardo fisso sui vigneti, accettò il proprio destino. Poi sorrise, perché questo era proprio ciò per cui era venuto al mondo.
RICORDI DI UN TEMPO PASSATO
U n altro?
Quelle due parole furono tutto ciò che io udii, ma il loro suono fu sufficiente per risvegliarmi dal mio sogno ad occhi aperti. Accanto al tavolo c’era un cameriere, impassibile ma pronto a prendere il mio ordine per un altro drink. Il primo Campari soda era andato giù bene ed i miei pensieri al momento sembravano tali da richiedere proprio un altro bicchiere di quel confortante elisir.
Sì,
dissi soltanto. Non ero in vena di fare conversazione, ma nemmeno il cameriere sembrava esserlo. Si allontanò lasciandomi ritornare ai miei ricordi nostalgici.
Rivolsi la mia attenzione verso l’oscurità, oltre la finestra del bar dell’aeroporto. Appariva tutto un po’ surreale ora, mentre ripensavo agli anni che avevo trascorso lavorando nelle vigne per la produzione dei vini al Castello dei Trantini, insieme a mio nonno. Adesso lui era morto, vittima di uno stupido incidente accaduto nell’azienda vinicola della nostra famiglia in Toscana, e stavo ora attendendo l’aereo che mi avrebbe riportato a casa, in Italia, per presenziare al suo funerale, e rivedere le stanze, ora vuote, che un tempo erano state riempite dalle sue risate.
Pur non essendo più vissuto al Castello dei Trantini da quando ero ragazzo, i miei ricordi erano nitidi. Potevo facilmente evocare la foschia che al mattino si stendeva sopra le vigne, le forti brezze che attraversavano le colline dei nostri terreni, persino il profumo del rosmarino e della salvia lungo le strade che risalivano verso il Castello. E se, come sostiene qualcuno, gli aromi della gioventù restano sempre con noi, io sarò sempre in grado di immaginare i profumi del vigneto e della cantina che riempirono i miei primi anni di vita.
Era sempre stato tutto così tranquillo nella nostra azienda vinicola, quel genere di pace che ci fa ricordare quanto la vita possa essere pura in questo mondo. Alla mia nascita, i miei genitori vivevano in un’ala del Castello e, dopo aver completato le faccende domestiche nella nostra casa lì accanto, i miei giorni erano pieni di attività insieme a Nonno Filippo. Al Castello, la vita era resa più piacevole da pasti che duravano a lungo, degustazioni settimanali, chiacchierate nel vigneto e discorsi animati in merito al cibo e al vino; tutto questo avveniva sotto i quadri e gli arazzi medievali, riproducenti scene di pigiatura dell’uva e produzione del vino, appesi ai muri in pietra accanto al camino acceso.
Alla luce tremolante delle candele, Nonno Filippo diventava poetico, parlando di questa o quella annata. Mio padre discuteva poi le sue preferenze di vini, mentre altre persone si schieravano da una parte o dall’altra, e altri ancora si accontentavano di gustare i fantastici pasti che venivano serviti ogni sera. Molti gesticolavano, ogni discussione veniva risolta con un brindisi e, al termine della cena, ciascuno era sicuro di aver dimostrato la correttezza della sua tesi. Tutti andavano infine a dormire, semplicemente felici per la vicinanza della famiglia, il piacere derivante dall’aver mangiato e bevuto bene, e le imperscrutabili gioie che la vita offre in Toscana.
Per noi, il vino era la vita. Costituiva l’essenza della nostra esistenza, e io avevo previsto di prendere sempre più parte in questa attività, per assumere la responsabilità della gestione del Castello dei Trantini, una volta raggiunta la giusta età.
Allontanai tutti questi ricordi, ritornai al presente e mi resi conto che una persona era apparsa, riflessa nel vetro della finestra. Mi voltai e vidi che il cameriere si era avvicinato. Avrebbe potuto semplicemente lasciare il drink sul tavolino, ma questa volta sembrava volesse dire qualcosa. Forse aveva notato il mio umore malinconico. Ma io non volevo fare conversazione con un perfetto sconosciuto, per cui mi limitai a prendere in mano il bicchiere per poi voltarmi nuovamente verso la finestra.
Sorseggiando lentamente, aspettai che il sapore dolce amaro del Campari mi bagnasse la gola. Era il drink caratteristico dell’Italia, ed in quel momento compresi bene perché alcuni lavoratori italiani bevevano spesso questo aperitivo per rafforzare il loro stato d’animo quando si ritrovavano tristi, arrabbiati o confusi.
Ritornato ai miei sogni ad occhi aperti, i miei pensieri si concentrarono sulle giornate trascorse nel vigneto. Vissi al Castello dei Trantini fino all’età di dodici anni e ricordo ancora bene i viaggi che poi feci con i miei genitori per ritornare lì, dopo che eravamo emigrati in America; ricordo che non vedevo l’ora di poter correre tra i lunghi filari di viti e giocare a nascondino nell’azienda vinicola. Persino gli aromi che si diffondono dal collo di una bottiglia di vino appena aperta mi fanno tornare alla mente i piaceri di un’infanzia trascorsa in un ambiente così idilliaco. Ora sono più maturo, ma la serenità di quei tempi rende difficile immaginare mio nonno che viene spinto giù da una finestra, aperta proprio verso quel terreno.
Ma… un momento, ho detto che si è trattato di un incidente, no? Forse è meglio che io inizi a raccontare tutto dal principio.
I vigneti e l’azienda vinicola al Castello dei Trantini sono da generazioni proprietà della mia famiglia. Mio nonno, Filippo Trantino, li ereditò da suo nonno quarantacinque anni fa, e continuò a produrre vini di qualità secondo la pura tradizione dei suoi antenati. La terra rappresentava tutto il mondo per lui e la sua famiglia estesa, ma io avevo sempre percepito una forte connessione personale con le viti e i vini, il che aveva creato un legame ancora più stretto tra me e Nonno Filippo.
In effetti, l’avevo sempre considerato il mio migliore amico. Quando ero piccolo, lo seguivo in giro per l’azienda vinicola tutto il giorno, imitando le sue azioni, e così avevo creato una particolare immagine di me stesso. Quando rimproverava un dipendente per un certo errore commesso durante il processo di vinificazione, il nonno aveva l’abitudine di stare in piedi con le mani strette dietro la schiena. E così anche io assumevo la stessa postura, in piedi al suo fianco, suscitando sempre sorrisi o aperte risate da parte del lavoratore che stava subendo il rimprovero. Questo inevitabilmente attirava l’attenzione di Nonno Filippo, ed il suo stesso divertimento di fronte a questa mia imitazione poneva termine alla sessione di rimprovero, quando addirittura non la faceva degenerare in una grande risata, suscitando battute su chi fosse davvero il capo.
Durante quelle passeggiate tra i vigneti, imparai da Nonno Filippo le tecniche di coltivazione dell’uva e del processo di vinificazione, ed appresi così anche la storia della famiglia Trantino. Mi raccontò come suo nonno, Vito Trantino, avesse avviato l’attività del Castello dei Trantini molti anni prima, e come questa fosse poi passata ai nipoti, piuttosto che ai figli. In Italia, al figlio maggiore viene spesso dato lo stesso nome del nonno paterno, per cui i nipoti sono omonimi dei nonni. Vito Trantino apprezzava il significato di questo modo di tramandare i nomi, e decise che l’azienda vinicola sarebbe passata ai nipoti. Accadde poi che il suo nipote omonimo rimanesse ucciso in un incidente automobilistico e così fu Filippo, mio nonno, ad ereditare il terreno.
Da bambino, ogni giorno mi svegliavo presto per correre fuori nei campi e aiutare nei lavori quotidiani. Il sole della Toscana splendeva luminoso quasi sempre e il clima estivo era caldo e piacevole. Lavorare in un vigneto è un’attività che comporta sudore e fatica, come ogni lavoro agricolo ma, per un ragazzo, stare all’aperto in mezzo a persone impegnate in queste attività era fonte di grande gioia. E sapere che il risultato sarebbe stato così divino era sufficiente per placare il dolore ai muscoli.
Lavorare in un vigneto offriva molti piaceri ad un ragazzo, che non aveva bisogno di alcuno stimolo da parte dei genitori per guadagnarsi da vivere. Così io divenni una presenza fissa nel ciclo annuale delle viti, imparando a potare in inverno, allineare i filari in primavera, curare le piante durante tutta la stagione della crescita e infine raccogliere i grappoli d’uva matura durante l’autunno. Fare il vino era la mia massima passione, perché mi consentiva di camminare tra i grossi serbatoi e i dispositivi di vinificazione, respirando i fumi inebrianti nella fresca aria umida dell’azienda vinicola. E non mi veniva impedito di provare il prodotto finito, in quanto nella cultura italiana il vino rappresenta la vita, e quindi molti ritengono che persino i bambini debbano essere educati a rispettarlo e apprezzarlo.
Arroccato sulla sommità di una collina, con i suoi lunghi filari di viti che si distendono ordinatamente giù per il pendio, affiancati da ulivi grigio-verdi, il Castello dei Trantini è un luogo di estrema bellezza, di quelli che vi aspettereste di vedere riprodotto nei colori sgargianti di una brochure che inviti i ricchi turisti a viaggiare in Italia. Alla luce del giorno, il colore arancione bruciato dei muri di pietra risalta in contrasto con il verde dei campi che si distendono sotto il castello ed il blu del cielo che lo sovrasta.
Al tramonto, la luce del sole si affievolisce come se fosse stata coperta da una tenda, mentre le luci della vicina città di Siena brillano in lontananza. Fin da bambino, questo era per me il momento in cui scendevo dalla montagna per osservare il sole che scompariva tra i bastioni del lato occidentale del castello. Quando gli ultimi raggi di sole si spegnevano all’orizzonte, e la fresca aria della sera faceva la sua comparsa, udivo la piacevole musica, proveniente dalle case dei lavoratori lungo le pendici della collina inferiore, che veniva trasportata dal vento. Questo divenne per me un ricordo indelebile, il fondamento della mia vita in Toscana, ed ogni volta che ci ripensavo mi sentivo più vicino alla mia terra e al Castello dei Trantini.
I miei genitori, Paolo e Lina Trantino, decisero di emigrare negli Stati Uniti molti anni fa. Mio padre era cresciuto al Castello, secondo figlio di Nonno Filippo, e da giovane incontrò mia madre all’università di Firenze. Dopo il matrimonio rimasero in Toscana, e all’inizio vissero in un’ala del castello della famiglia. Col crescere dei figli, tuttavia, mia madre insistette che dovessero vivere ad una certa distanza dal Castello, in modo da avere una vita propria, e così ci trasferimmo in un appartamento nella vicina località di Castelnuovo Berardenga.
Dopo quasi quindici anni di matrimonio, decisero che era giunto il momento di esplorare le opportunità che l’America poteva offrire. La partenza avvenne quando mio padre ottenne un buon posto di lavoro come ingegnere nel Maryland, grazie ad alcuni contatti familiari. E così, ad un’età in cui non ero più un bambino ma ancora non ero un uomo, fui costretto a lasciare la mia terra natale per diventare un americano.
Ricordo ancora perfettamente il momento in cui ero accanto al taxi che ci avrebbe condotti lontano dal Castello dei Trantini. I miei genitori stavano salutando tutta la famiglia che si era radunata lì per l’addio finale. Il mio fratellino si era già accomodato nell’auto.
Io attesi fino a che tutti furono saliti sul taxi per dare il mio addio a Nonno Filippo. Ero già alto quanto lui. Lo guardai negli occhi, proprio mentre le lacrime iniziavano a formarsi sulle sue ciglia. Fu un addio silenzioso ma straziante; nessuno dei due sapeva come ci saremmo sentiti a distanza di migliaia di chilometri, ma Nonno Filippo non volle ostacolare la nostra partenza. Dopo un veloce abbraccio e un’ultima carezza sui miei capelli, mi sospinse verso l’auto e verso la mia nuova vita in America.
Imparai presto ad amare il mio nuovo paese, ma allo stesso tempo iniziai ad odiarlo fortemente. L’America era ciò che mi teneva lontano dall’Italia, dal fascino rurale delle terre della Toscana, dall’eredità culturale del vino che avevo già accolto in me. Sapevo che, negli anni successivi, le mie corse tra i filari di viti sarebbero state limitate a quei pochi viaggi di ritorno a casa
che i miei genitori avrebbero potuto permettersi.
Ad ogni ritorno, avrei ricominciato ad imitare Nonno Filippo, ma con un crescente interesse nell’apprendere quell’attività, invece che essere solo un adorabile, piccolo ostacolo al processo.
Mio padre aveva continuato a produrre vino anche dopo il trasferimento negli Stati Uniti, ma la produzione commerciale era fuori discussione nella nostra nuova casa. Comunque, preferiva il vino che poteva produrre a quello che poteva acquistare. Come amava ripetere: Se produci del buon vino, avrai sempre tanti amici.
Diventando più grande, presi spesso in considerazione l’idea di ritornare al Castello e lavorare per mio nonno. Lui mi fece chiaramente capire che ne sarebbe stato lieto, ma quando finalmente fui abbastanza grande da poter prendere una tale decisione, mi ero nel frattempo creato tante amicizie tra i compagni della scuola superiore e del college nel Maryland, e mi sentivo ormai troppo radicato - e troppo americano - per andare via. Il ricordo della Toscana e del Castello era scolpito nella mia mente, ma lo shock del trasloco mi appariva troppo difficile da superare. In ogni caso ero certo che, se l’avessi lasciato nella parte della mia mente riservata al passato
, avrei potuto superare la sua perdita.
Poi, un giorno, ricevetti una chiamata da mio cugino, Santo, che mi comunicava la triste notizia che nostro nonno era morto in un singolare incidente al Castello. Il suo corpo era stato trovato la mattina presto, ma sembrava fosse caduto da una finestra la sera precedente. Santo parlava in modo tranquillo al telefono, ma mostrava ancora i segni di un nervosismo che io non riuscii a collocare nel giusto contesto, e così riattaccai sentendomi solo e sperduto.
La notizia mi raggiunse in modo talmente improvviso che non potei trattenere il mio dispiacere. Nonno Filippo aveva settantaquattro anni, ma il suo lavoro lo manteneva in forma al punto da sembrare un cinquantenne. Ovviamente la buona salute non può proteggere dagli incidenti, ma la sua morte era una possibilità così remota, che mi risultava impossibile accettare la sua improvvisa scomparsa.
LA CADUTA
Quella sera, durante una riunione di famiglia, parlammo di Nonno Filippo e della sua vita al Castello.
Era il fondamento di quel terreno,
disse mio padre con orgoglio.
Mia madre aveva grande amore e rispetto per Nonno Filippo, ma aveva trascorso un numero relativamente limitato di anni a stretto contatto con lui. Non aveva lavorato nel vigneto come avevo fatto io e, nonostante anche lei ne