I misteri di nascita e morte: La visione buddista della vita
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Anteprima del libro
I misteri di nascita e morte - Daisaku Ikeda
Prefazione
Come autore, sono felicissimo che venga pubblicata questa edizione riveduta dei Misteri di nascita e morte. La morte, uno dei temi principali del libro, è un’inevitabile realtà della vita, e le due fasi di vita e morte costituiscono una legge ineludibile per tutti gli esseri viventi. Comprendere l’essenza fondamentale della morte è un compito spirituale irrinunciabile che rende più profonda e più significativa la nostra vita.
Come suggerisce l’ammonimento latino memento mori (ricordati che devi morire), possiamo afferrare il vero significato della vita solo quando ci confrontiamo onestamente con la realtà della morte. Duemilacinquecento anni fa il desiderio di superare le fondamentali sofferenze umane di nascita, invecchiamento, malattia e morte spinse il Budda storico, Shakyamuni, ad abbandonare il suo rango principesco per intraprendere la ricerca della verità. Il Buddismo ha origine dalla sua illuminazione, che rivelò la legge fondamentale della vita che regge sia l’universo sia il cosmo interiore dell’essere umano. La dottrina buddista si sviluppò dal Buddismo primitivo attraverso il Buddismo Mahayana, e fu esposta in numerose scritture, ma l’essenza di tutti gli insegnamenti buddisti è il Sutra del Loto, che illustra la natura buddica, cioè la Buddità potenziale innata in ognuno di noi.
Nel corso dei secoli, il Buddismo dall’India si diffuse verso sud nello Sri Lanka, in Birmania, in Tailandia e in Cambogia, e verso nord, attraverso l’Asia centrale, in Cina e nella penisola coreana fino a raggiungere il Giappone dove, nel XIII secolo, nacque Nichiren. Nichiren insegnò l’espressione suprema dell’illuminazione di Shakyamuni nella forma della Legge universale, Nam myoho renge kyo. Sviluppò inoltre la sua particolare dottrina, che include gli insegnamenti e le filosofie di maestri come gli indiani Nagarjuna (II o III secolo) e Vasubandhu (IV o V secolo) e il cinese T’ien-t’ai (538-597). Il Buddismo di Nichiren mette in pratica concretamente gli insegnamenti del Sutra del Loto per il bene delle persone comuni. In effetti, Nichiren definiva se stesso «un praticante del Sutra del Loto».
Gli sbalorditivi sviluppi della scienza e della tecnologia hanno reso il mondo in cui viviamo oggi completamente differente da quello che conosceva Nichiren. Per colmare tale divario, questo libro tenta di gettare un ponte tra la nostra epoca e quella in cui Nichiren fondò il suo Buddismo. Il contenuto del libro fornisce una parziale esposizione dei contributi che gli insegnamenti di Nichiren possono dare al futuro dell’umanità, in quanto offrono una chiara prospettiva sul mondo attuale e ci aiutano a capire come interpretare la filosofia contemporanea, la scienza e l’universo stesso.
Benché risalente a oltre settecento anni fa, il Buddismo di Nichiren propone una validissima ricetta per il senso d’impotenza e la disperazione che oggi pervadono la società. Il destino, ovviamente, non sempre si rivela in accordo con i nostri desideri, ma il Buddismo, e specialmente il Buddismo di Nichiren, ci consente di sviluppare il potere necessario per trasformarlo. Il Buddismo di Nichiren proietta la sua luce su tutti gli aspetti della vita umana penetrandone il nucleo. Universalmente applicabile a tutta l’umanità e in ogni circostanza, è degno di essere studiato e praticato per tutta la vita.
Le condizioni degli individui, della società e del mondo nel suo complesso sono cambiate drasticamente durante i quindici anni trascorsi dalla prima edizione in lingua inglese di questo libro. Come molti pensatori hanno sottolineato, nel passato ci sono stati pochi sviluppi nel modo in cui l’umanità ha considerato la vita e la morte. I sorprendenti progressi della scienza, tuttavia, hanno stimolato l’esigenza di nuove prospettive su questi temi.
Queste nuove prospettive, in collegamento con le recenti scoperte scientifiche, vengono prese in considerazione in questa edizione riveduta, che include varie aggiunte, correzioni e miglioramenti. Gli insegnamenti di Nichiren enfatizzano la dignità della vita umana sulla base della natura buddica – cioè la vita fondamentale dell’universo – inerente a tutti gli esseri umani. Ho cercato con la massima accuratezza di rendere possibile la comprensione di questa filosofia in termini contemporanei.
Sin dalla mia giovinezza ho amato Walt Whitman, il poeta americano del XIX secolo le cui opere sono un inno di lode alla vita stessa e interpretano il cosmo e la natura in sintonia con la visione buddista. Per esempio, il suo Canto dell’universale contiene questi versi:
Vieni, disse la Musa
cantami un canto che nessun poeta ha mai cantato,
cantami l’universale.
Nella nostra vasta terra,
in mezzo alla volgarità smisurata e alla feccia,
racchiuso e sicuro nel suo cuore più intimo,
si nasconde il seme della perfezione.
Sono certo che i lettori di questo libro scopriranno nella filosofia buddista un nuovo approccio a ciò che Whitman chiama «l’universale». Nulla potrebbe rendermi più felice che riuscire a offrire con questo libro lo stimolo a intraprendere una propria significativa autoriforma.
In conclusione, vorrei esprimere la mia più profonda gratitudine alla casa editrice Middleway Press, allo staff del Dipartimento di studio della Soka Gakkai e alle tante altre persone che con i loro instancabili sforzi hanno reso possibile questa nuova edizione.
Daisaku Ikeda
18 novembre 2003
Introduzione
Tutti desideriamo la felicità, eppure essa sembra sempre al di là della nostra portata.
Numerosi filosofi hanno affrontato il problema della felicità, ma sono convinto che le loro conclusioni siano tutte incomplete, senza alcuna eccezione. Infatti, sebbene i libri che pretendono di spiegare «come diventare felici» siano numerosi, nel complesso gli esseri umani sono ancora tormentati dagli stessi problemi che assillavano i loro antenati. Il povero cerca la ricchezza, il malato desidera ardentemente la salute, coloro che sono afflitti dalle discordie familiari vorrebbero vivere in armonia, e via dicendo. Per di più, anche se avessimo la ricchezza, la salute e una famiglia armoniosa, dovremmo inevitabilmente affrontare tanti altri problemi nei vari campi della nostra vita. Ma se in qualche modo riuscissimo a creare delle circostanze tali da soddisfare tutte le condizioni necessarie per la felicità, quanto a lungo potrebbero durare? Ovviamente non per sempre: infatti nessuno può evitare le malattie e il graduale indebolimento fisico che accompagnano l’invecchiamento, né tanto meno può sfuggire alla morte.
I problemi, comunque, non sono in se stessi la causa fondamentale dell’infelicità: secondo il Buddismo, la causa reale dell’infelicità non è l’esistenza dei problemi ma il fatto che manchiamo del potere e della saggezza per risolverli. Il Buddismo afferma che il potere e la saggezza innati in ogni individuo sono illimitati, e insegna il modo di svilupparli. Nell’affrontare la questione della felicità, il Buddismo non mira a eliminare la sofferenza e le difficoltà, che sono considerate intrinseche alla vita stessa, ma si concentra invece sul modo per coltivare il potenziale che esiste dentro la vita di ogni individuo. Potere e saggezza, spiega il Buddismo, derivano dalla forza vitale, perciò se noi generiamo una forza vitale sufficiente, non soltanto saremo in grado di resistere alle avversità della vita, ma riusciremo addirittura a trasformarle in cause di felicità utilizzandole per sviluppare il nostro potenziale.
Essendo questo lo scopo che dobbiamo prefiggerci, è importante prima di tutto identificare le principali sofferenze inerenti alla vita. Il Buddismo afferma che esistono quattro sofferenze universali: la nascita, l’invecchiamento, la malattia e la morte. Non importa quanto forte sia il nostro desiderio di rimanere giovani, col passare del tempo non possiamo fare a meno di invecchiare; analogamente, per quanti sforzi facciamo per restare in buona salute, prima o poi ci capiterà lo stesso di ammalarci; e, cosa ancor più sicura, anche se detestiamo l’idea di dover morire, ogni momento della nostra vita potrebbe essere l’ultimo (benché, ovviamente, sia al di là del nostro potere sapere quando quel momento arriverà).
All’origine delle sofferenze della malattia, dell’invecchiamento e della morte possono essere individuate varie cause, biologiche, fisiologiche e psicologiche, ma in ultima analisi la causa di tutte le sofferenze terrene è la vita stessa, l’essere nati in questo mondo.
In sanscrito la sofferenza è chiamata duhkha, una parola che si riferisce a una condizione costellata di difficoltà in cui le persone e le cose non si accordano con i nostri desideri. Questa condizione deriva dal fatto che tutti i fenomeni sono transitori: la gioventù, la salute e persino la nostra stessa vita non possono continuare in eterno. In ciò, secondo il Buddismo, sta la causa fondamentale della sofferenza umana.
Il motivo per cui Shakyamuni, il Budda storico, rinunciò al mondo secolare è spiegato simbolicamente dalla storia dei quattro incontri, che è riportata in molte scritture buddiste. Il giovane Shakyamuni, conosciuto come il principe Siddharta, per la maggior parte del suo tempo viveva relegato nel palazzo reale per volere di suo padre, il re Shuddhodana, che sperava così di tenerlo al riparo dalle sofferenze del mondo. Ma un giorno, uscendo dalla porta orientale del palazzo, egli incontrò un vecchio, rinsecchito dall’età, che camminava vacillando con l’aiuto di un bastone. Vedendo quell’uomo, Shakyamuni comprese che la vita comporta inevitabilmente la sofferenza della vecchiaia. In un’altra occasione, lasciando il palazzo dalla porta meridionale, vide una persona malata e comprese che anche la malattia fa parte della vita. Una terza volta uscì dalla porta occidentale e vide un cadavere; questo «incontro» lo portò ad afferrare la verità che tutto ciò che vive deve alla fine morire. Per ultimo, un giorno che si allontanò dalla porta settentrionale, vide un asceta, e il suo aspetto sereno e dignitoso fece maturare in lui la decisione di intraprendere la via della ricerca spirituale.
Dopo essersi dedicato per molti anni a varie pratiche religiose e ascetiche, Shakyamuni raggiunse infine l’illuminazione, liberandosi dalle sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Deciso a condurre le altre persone all’illuminazione, cominciò a predicare e divenne noto come il «Budda», un termine sanscrito che significa «risvegliato» o «illuminato», cioè un individuo la cui saggezza comprende la verità fondamentale della vita e dell’universo.
Si ritiene comunemente che subito dopo avere raggiunto l’illuminazione, Shakyamuni predicò le dottrine delle quattro nobili verità e dell’ottuplice sentiero. Le quattro nobili verità sono:
la verità della sofferenza
la verità dell’origine della sofferenza
la verità della cessazione della sofferenza
la verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza
La verità della sofferenza afferma che l’esistenza in questo mondo è sofferenza, come dimostrano le quattro sofferenze intrinseche alla vita stessa che abbiamo già esaminato. La verità dell’origine della sofferenza afferma che la sofferenza è causata dal desiderio egoistico per gli effimeri piaceri mondani. La verità della cessazione della sofferenza insegna che l’estinzione di questo desiderio egoistico fa cessare la sofferenza. La verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza indica la via che porta all’estinzione del desiderio; questa via è tradizionalmente chiamata l’ottuplice sentiero e si articola in:
retta visione (basata sulle quattro nobili verità e su una corretta comprensione del Buddismo)
retto pensiero (mantenere il controllo della propria mente)
retta parola
retta azione
retta vita (basata sulla purificazione dei pensieri, delle parole e delle azioni)
retto sforzo (cercare la vera Legge)
retta coscienza (nutrire sempre opinioni corrette)
retta meditazione
Le quattro nobili verità e l’ottuplice sentiero si rivolgevano principalmente a quei discepoli che avevano abbandonato la vita secolare per dedicarsi interamente alla pratica buddista. Queste due dottrine riflettono la prospettiva di fondo dei primi insegnamenti di Shakyamuni, basati su una visione della vita e del mondo prevalentemente negativa che aveva lo scopo di risvegliare le persone alla dura realtà dell’esistenza per indirizzarle verso l’ineffabile esperienza spirituale del nirvana. Se praticati alla lettera, questi insegnamenti che incoraggiavano la negazione di tutti i desideri avrebbero portato inevitabilmente alla negazione dello stesso desiderio di vivere. Essi affermavano che la fondamentale soluzione alle sofferenze umane in questo mondo è l’estinzione delle illusioni e dei desideri, ovvero di qualunque desiderio, impulso o passione che sorge dal profondo della nostra vita. Seguendo le dottrine buddiste, spiegavano, è possibile recidere i legami col ciclo di nascita e morte e raggiungere lo stato in cui la rinascita in questo mondo non è più necessaria, quello stato chiamato appunto nirvana.
Simili insegnamenti potevano essere validi e benefici per i monaci e le monache, ma erano invece estremamente difficili da seguire per i laici. Tuttavia la decisione originaria di Shakyamuni era la salvezza di ogni essere umano sulla terra, e a questo scopo egli aveva viaggiato in lungo e in largo nelle regioni del medio Gange esponendo la sua filosofia. Ma i laici, per quanto potessero desiderare di raggiungere il nirvana, devono avere trovato difficilmente praticabile, se non addirittura impossibile, l’estinzione di tutte le illusioni e dei desideri. Essi avevano infatti famiglie da mantenere, lavori da compiere, e le faccende della vita di tutti i giorni che reclamavano la loro attenzione. Se il nirvana poteva costituire un ideale anche per loro, non c’era tuttavia alcuna possibilità che diventasse una meta raggiungibile. Ma in qualche modo la saggezza e la compassione di Shakyamuni riuscirono sempre a conquistare la gente comune. Se così non fosse stato, se il Buddismo cioè fosse stato incapace di salvare la gente comune, allora non si sarebbe mai elevato al di sopra di una mera ricerca intellettuale. Shakyamuni invece consigliava le persone ispirando in esse fiducia e coraggio affinché potessero superare le loro numerose sofferenze e coltivare la speranza di un brillante futuro. Per esempio, parlò di una terra pura molto lontana da questo mondo dove, seguendo i suoi insegnamenti, gli esseri umani sarebbero potuti rinascere, liberi da tutti i desideri e immuni dalla sofferenza e dalla paura.
Così come incoraggiava i monaci e le monache a osservare i precetti e a seguire l’ottuplice sentiero allo scopo di raggiungere il nirvana, Shakyamuni spinse i credenti laici ad aver fede negli insegnamenti da lui esposti, così da poter rinascere nella terra pura. In realtà, né l’estinzione dei desideri né la rinascita nella terra pura sono obiettivi effettivamente raggiungibili. È impossibile spegnere i fuochi del desiderio e interrompere il ciclo di nascita e morte, perché il desiderio è inerente alla vita, la vita è eterna e la nascita e la morte sono le alterne fasi della vita alle quali è impossibile sottrarsi. Egualmente impossibile è raggiungere una terra pura che non ha alcuna esistenza reale. Sia il nirvana sia la terra pura sono allegorie che Shakyamuni usò come espedienti per sviluppare la comprensione dei suoi seguaci.
Considerando le cose da un’altra angolazione, potremmo dire che l’insegnamento concernente il nirvana era diretto all’emancipazione del singolo individuo tramite la comprensione della verità fondamentale, mentre quello che parlava della terra pura mirava alla salvezza di tutte le persone prese nel loro insieme. I due differenti approcci sono rappresentativi, rispettivamente, del Buddismo Theravada e del Buddismo Mahayana, che sono le due maggiori correnti del Buddismo, ma vennero in seguito integrati nel Sutra del Loto, che esamineremo più estesamente nel corso del volume. Il Sutra del Loto rende assolutamente chiaro che la pratica buddista si compone di due aspetti, entrambi indispensabili per raggiungere l’illuminazione. Il primo è il perfezionamento di se stessi, finalizzato alla comprensione della verità fondamentale e al pieno sviluppo del potenziale innato nella propria vita; il secondo è lo sforzo di guidare gli altri verso la stessa meta.
Il Sutra del Loto rivela anche il vero significato del nirvana e della terra pura. Secondo il sutra, non dobbiamo porre termine al ciclo di nascita e morte allo scopo di entrare nel nirvana; piuttosto, il nirvana è lo stato di illuminazione nel quale, pur continuando a ripetere il ciclo di nascita e morte, la nascita e la morte non sono più causa di sofferenza. Analogamente, non è necessario estinguere tutti i desideri per raggiungere il nirvana, dal momento che le illusioni e i desideri possono essere trasformati in una fonte di felicità e di saggezza illuminata. Anche la terra pura non è necessariamente situata oltre la morte: noi dimoriamo nella terra pura qui e ora se crediamo nel Sutra del Loto, che rivela che è possibile trasformare questo mondo, colmo di sofferenza e di dolore, in una terra pura traboccante di gioia e di speranza.
ALCUNE DOTTRINE FONDAMENTALI
In che modo esattamente il Buddismo fornisce la soluzione alle questioni fondamentali della vita e della morte? Esaminando accuratamente ognuna delle quattro sofferenze – nascita, invecchiamento, malattia e morte – questo libro vuole far luce sulla verità e sulla saggezza che ci rendono capaci di navigare con tranquillità nel mare burrascoso delle sofferenze terrene.
In nessun’altra epoca del passato la scienza è progredita così rapidamente come oggi. Di conseguenza, l’umanità ha sviluppato una fiducia cieca nei poteri della scienza e della tecnologia e ha dimenticato di considerare i problemi inerenti alla vita anche dal punto di vista della filosofia e della religione. Osservando l’attuale stato delle cose, non posso fare a meno di pensare che le persone non si sforzano abbastanza di comprendere la reale natura di questi problemi fondamentali.
Dalla prospettiva della verità fondamentale, le illusioni e i desideri e le sofferenze della vita non vengono visti alla stregua di ostacoli che debbano essere eliminati. Al contrario, le illusioni e i desideri possiedono il potenziale per trasformarsi in saggezza illuminata e le sofferenze di nascita e morte sono il mezzo tramite il quale è possibile raggiungere il nirvana. Il Sutra del Loto fa un ulteriore passo avanti, esponendo il principio che le illusioni e i desideri sono illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono nirvana. In altre parole, non esiste alcuna illuminazione separata dalla realtà delle illusioni e dei desideri e non può esserci il nirvana al di fuori delle sofferenze di nascita e morte. Queste coppie di fattori contrastanti sono connaturate nella nostra vita.
Il Gran maestro T’ien-t’ai, uno dei principali studiosi buddisti cinesi, vissuto nel VI secolo, usò un’analogia per spiegare i suddetti principi. Supponiamo di avere un cachi aspro: immergendolo in un infuso di tiglio o esponendolo alla luce del sole, possiamo farlo diventare dolce. Non ci sono due cachi, il primo aspro e il secondo dolce. Il cachi è uno solo, e non è diventato dolce perché abbiamo aggiunto dello zucchero, bensì perché l’aspro del frutto è scomparso ed è emersa la sua potenziale dolcezza. Il catalizzatore, l’intermediario che ha permesso la trasformazione, è stato l’infuso in cui è stato immerso il cachi o la luce del sole alla quale è stato esposto. T’ien-t’ai paragona le illusioni e