Il Cinema Italiano - 1977-2000

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Il cinema italiano dalla seconda

met degli anni Settanta alla fine


del secolo (1977-2000)


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Indice

1. Il quadro generale: dalla crisi alla rinascita (e viceversa)
1.1 - Il cinema italiano 1977-1988
1.2 - Un decennio di transizione
1.3 - Una nuova generazione
1.4 - Il contesto storico
1.5 - Una crisi irreversibile?

2. Il rapporto cinema-televisione
2.1 - La televisione e il cinema: killer o salvatrice?
2.2 - Gli autori e la televisione
2.3 - Dalla televisione al video

3. La generazione dei vecchi e nuovi "maestri"
3.1 - Vecchie e nuove generazioni
3.2 - Fellini, Antonioni
3.3 - Rosi, Zeffirelli
3.4 - Risi, Monicelli, Comencini, Scola
3.5 - Olmi, Bellocchio
3.6 - Taviani, Bertolucci, Liliana Cavani
3.7 - Citti, Ferreri, Leone

4. Il ricambio generazionale
4.1 - Moretti
4.2 - Piscicelli
4.3 - Giuseppe Bertolucci, Del Monte, Benvenuti
4.4 - Amelio, Avati

5. La commedia e gli altri generi
5.1 - Benigni
5.2 - Verdone, Pieraccioni
5.3 - Virz
5.4 - Gli epigoni della commedia allitaliana
5.5 - Gli altri generi
5.6 - Tra generi e autorialit alla fine del secolo

6. Il "giovane cinema"
6.1 - "Giovane" e "nuovo" cinema
6.2 - Il cinema degli anni Novanta
6.3 - Nuove mappe geografiche
6.4 - Napoletani e siciliani

7. Una nuova mappa di autori
7.1 - D'Alatri, Martone
7.2 - Calopresti, Soldini
7.3 - Cipr e Maresco, Tornatore
7.4 - Mazzacurati, Luchetti e gli altri
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1 - Il quadro generale: dalla crisi alla rinascita (e viceversa)

1.1 - Il cinema italiano 1977-1988
La storia del cinema italiano nel periodo in questione ricostruibile come composta di due
grandi blocchi epocali: quello degli anni 1977-1988 e quello che va dal 1988 alla fine degli
anni Novanta. Sono due fasi molto diverse tra loro, seppur collegate, ovviamente, da un
unico processo storico: nella prima prevale lidea della "crisi", nella seconda lidea della
"rinascita". In realt, per, il primo periodo nasconde sorprese inaspettate, che rendono
possibile rileggerlo anche come un momento di grandi espansioni e mutazioni; e viceversa il
secondo periodo alterna illusioni a delusioni, momenti di entusiasmo a momenti di
pessimismo estremo. Cos la convivenza tra "crisi" e "rinnovamento" diventa il leitmotiv, cio
tema dominante, di questo ultimo spaccato del secolo. Vediamo come e perch.
Quando si pensa per grandi linee al cinema italiano di questa delicata transizione, viene in
mente linizio di una grande crisi, e insieme lidea di una mutazione epocale. Si tratta,
almeno apparentemente, di un momento di buio profondo per il cinema di un paese
conflittuale: come abbiamo visto in un altro modulo, muoiono uno dopo laltro i grandi "padri
fondatori" del cinema postbellico (De Sica, Visconti, Rossellini, Pasolini); cambia
radicalmente lo scenario produttivo con la sentenza della Corte costituzionale sul monopolio
radiotelevisivo (dopo il 1976 la domanda generica di cinema va riducendosi sino a diventare
meno di un quinto di quella dellinizio dei Sessanta, vedi 1.5); si annunciano gli anni degli
"schermi opachi" (cos ha definito gli anni Ottanta un volume edito in occasione di una
retrospettiva a Pesaro: Miccich 1998). Il cinema italiano comincia ad alternare segnali di
catastrofi (si comincia a parlare di "morte del cinema") a promesse di resurrezione (dal
"nuovo cinema" della generazione di Salvatore Piscicelli e Marco Tullio Giordana - e anche di
Nanni Moretti - al "nuovo nuovo cinema" che si profila con lesordio di Carlo Mazzacurati,
Daniele Luchetti, Silvio Soldini).
Il contesto storico-politico quello del dopo-"compromesso storico", dellesplosione del
movimento di "Autonomia", delle Brigate rosse, del delitto Moro, e poi di unItalia anemica di
valori, incapace di costruire nuovi ideali sul terreno della societ e della cultura, e persino
incapace di rappresentare i suoi conflitti (come il terrorismo) nelle sue espressioni artistiche,
il cinema su tutte.
1.2 - Un decennio di transizione
Insomma, si tratta a prima vista di un panorama desolante e deterrente. Eppure, a ben
vedere, il periodo che va dalla seconda met degli anni Settanta alla met degli anni Ottanta
estremamente interessante, proprio nella sua contraddittoriet. Da un lato si avvia a
conclusione quello che Lino Miccich definisce un "decennio di transizione", dunque un
periodo non definibile sulla base di una tendenza netta (Miccich 1997); dallaltro si profilano
anni grigi, nei quali non avviene un ricambio generazionale adeguato al vuoto lasciato dai
grandi maestri scomparsi o dal confronto con quelli ancora in attivit. Bisogner aspettare la
fine degli anni Ottanta per poter cominciare a identificare e rivendicare una nuova
generazione di cineasti e un nuovo modello produttivo ed estetico.
Ma in questa faticosa transizione, operano in realt e convivono pi leve di autori, e si
possono rilevare indizi importanti di una mutazione consistente dellintero universo iconico e
mediologico. Accanto a Fellini e ad Antonioni, infatti, producono Francesco Rosi e Franco
Zeffirelli e lavora attivamente la generazione di Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio,
Liliana Cavani, i fratelli Taviani; ci sono Ermanno Olmi e Marco Ferreri, c Pupi Avati, c la
migliore produzione di Ettore Scola; muta registro, ma prosegue la tradizione della
commedia italiana di Mario Monicelli e Dino Risi, mentre inizia il fenomeno dei fratelli
Vanzina; appare la stella di Nanni Moretti ed esordiscono Piscicelli, Giordana, Peter Del
Monte, Giuseppe Bertolucci; esplode il fenomeno dei cosiddetti "malincomici" (Roberto
Benigni, Francesco Nuti, Massimo Troisi, Maurizio Nichetti); un veterano come Vittorio
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Cottafavi realizza linteressante Maria Zef; cresce la vena autoriale di Gianni Amelio (Il
piccolo Archimede del 1979; vedi 4.4); e poi ci sono Lina Wertmller, Sergio Citti, Fabio
Carpi, Luigi Faccini, e molti altri, esordienti e non.
Se la televisione causa la fine di un certo modo di andare al cinema, gli autori si misurano
con essa: ed ecco Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani, Lalbero degli zoccoli di Ermanno
Olmi, Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni (vedi 3.2), i film per la televisione di
Franco Rossi e Liliana Cavani, i cosiddetti "sperimentali televisivi" (vedi 2.1). E Gianni Toti,
reduce dalla poesia, dal cinema e dalla militanza politica, comincia a usare in modo poetico il
mezzo elettronico (vedi 2.3).
1.3 - Una nuova generazione
Una nuova generazione si affaccia timidamente allorizzonte: esordisce Silvio Soldini con i
suoi mediometraggi prodotti nellambito di "Filmaker" (Paesaggio con figure del 1983; vedi
7.2), appare come una cometa Gabriella Rosaleva, si fa notare il giovane Paolo Benvenuti,
producono la loro opera prima giovani interessanti e dal futuro contraddittorio come Paolo
Bologna. Finisce il "cinema di profondit" degli anni Sessanta poich si chiudono le sale di
terza visione che lo rendevano possibile; finisce il "cinema medio" e con esso ogni residuo di
unindustria italiana. Muta la maniera di produrre e fruire la comicit: dalla grande commedia
di Gassman e Tognazzi si passa ad Adriano Celentano e a Renato Pozzetto, ad Alvaro Vitali e
a Edwige Fenech. Ma in mezzo a questo magma indefinibile (e peraltro interessante da
analizzare sociologicamente e antropologicamente), appaiono film che segnano unepoca e
segnalano la presenza di autori importanti: per fare un esempio, nel periodo 1977-78 escono
film come Una giornata particolare di Scola, Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci,
Ecce bombo di Moretti, Prova dorchestra di Fellini (vedi 3.2); film di registi e di generazioni
diverse, che bastano a indicare come il periodo storico sia vivo e degno di analisi.
Dal 1988 cominciano a crearsi le premesse per quello che si chiamato "nuovo cinema", o,
come si detto per alcuni anni, "giovane cinema" italiano. Aggettivi, "nuovo" e "giovane",
che hanno percorso la cultura italiana del dopoguerra, ma che sono stati presenti anche
prima, sino a diventare una costante di tutto il Novecento. Pensiamo all'ossessione di nuovo
e di moderno dei futuristi, pensiamo all'ansia di "rinascita" del cinema italiano del Blasetti
fine anni Venti. Col "neorealismo" (cinematografico, letterario, pittorico) il prefisso
aggettivante assume significati ben pi profondi, impone una riflessione sull'ideologia, sulla
societ, sulla storia. "Nuovo" e "giovane" esplodono negli anni Sessanta, quando l'intera
societ italiana subisce una radicale trasformazione, dagli esiti del boom economico alla
contestazione giovanile, dall'emigrazione interna alle mutazioni comportamentali.
L'idea di un "nuovo cinema" italiano torna sistematicamente, per ondate generazionali, dopo
quella dei maestri del neorealismo: torna con la generazione di Bertolucci, Bellocchio, i
fratelli Taviani, Liliana Cavani; ritorna, pi timidamente, quando appaiono all'orizzonte autori
come Salvatore Piscicelli o Peter Del Monte; riemerge, infine, con la met degli anni Ottanta,
con tutta una generazione di cui precursore e mentore Nanni Moretti. Nasce un cinema che
non si piange pi addosso, dopo lunghi anni di crisi produttiva e morale. Nasce e si sviluppa
da quel momento alla fine del secolo il cinema di Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores,
Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini, Alessandro D'Alatri, Francesca Archibugi, Daniele Luchetti,
Daniele Cipr e Franco Maresco, insieme a molti altri giovani cineasti. Si assiste allo sviluppo
di una leva di nuovi autori che prendono nettamente il posto dei vecchi "maestri".
Scegliamo il 1988 come data di partenza della nuova fase, perch in quellanno si verifica
una sorta di "censimento" del cinema italiano pi giovane. A Pesaro, nel corso di una
rassegna denominata "Una generazione in cinema", tutta una serie di giovani "talenti" del
cinema italiano anagraficamente e culturalmente "nuovo" - registi, sceneggiatori, critici,
attori, tecnici - sottoscrivono, per la prima volta dopo molti anni, una volont comune di
rivendicare, rivalutare, rianalizzare, rifondare una "generazione" cinematografica. Arcipelago
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il titolo del documento che viene sottoscritto, il cosiddetto Manifesto di Pesaro, del giugno
1988 (a questo proposito vedi Zagarrio 1998: 38 e seguenti).
Da quella data, dunque, si pu partire per vedere il nuovo corso del cinema italiano, che
potrebbe sembrare trionfale, se si pensa al punto darrivo: i molteplici Oscar a La vita bella
di Roberto Benigni (vedi 5.1). Il grande successo internazionale di quel film forse il modo
migliore per chiudere la cronaca del secolo cinematografico italiano e cominciare a farne la
storia.
1.4 - Il contesto storico
E nel parlare della Storia, non si pu non inquadrare il cinema italiano in pi generale
contesto ideologico e politico, che certo condiziona e influenza le sorti del film nazionale.
Sono, giova ricordarlo, gli anni che vanno dallAutonomia e dal delitto Moro - nel pieno,
dunque, dei cosiddetti "anni di piombo" - all"era Berlusconi", passando per lapogeo di Craxi,
Tangentopoli, la crisi dei partiti tradizionali.
La seconda met degli anni Settanta caratterizzata dal cosiddetto "riflusso del 68", cio
dalla crisi degli ideali della contestazione giovanile e operaia della fine anni Sessanta e inizio
dei Settanta; con una conseguente diffusa sensazione di spiazzamento, e anche con un
vuoto istituzionale in cui si possono inserire le scelte estreme della lotta armata o della
violenza studentesca (la cosiddetta "ideologia della P38") [Figg. 1-3].

Fig.1 - Romanzo popolare di Mario Monicelli, 1974.
Vengono poi, allopposto, anni di ottimismo un po pompato dalle esigenze del mercato e
della politica; domina la leadership di Bettino Craxi, e lItalia si illude che tutto il paese sia
simile alla "Milano da bere" propagandata dai media. Si capir pi tardi che l"Italia del
benessere" in realt un"Italietta", che si illude di una ricchezza che non ha. Non ci vorr
molto a svegliarsi dal "sogno italiano", anche grazie o per colpa dei grandi rivolgimenti
internazionali.
Tra la fine degli anni Ottanta e la met degli anni Novanta, infatti, cambia il mondo, e in
questo colossale cambiamento si trasforma anche il panorama politico e istituzionale italiano.
Muore il comunismo, crolla il Muro di Berlino, cominciano le guerre etniche e le migrazioni di
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massa da Est a Ovest. In Italia viene portato allo scoperto il sistema della corruzione e il
meccanismo clientelare democristiano-socialista, esplode Tangentopoli, scompaiono i vecchi
partiti e le vecchie sigle. Muore l'ideologia e nasce il mito dell'Europa, si modificano gli
equilibri mondiali. Scoppia la guerra del Golfo, che resta nell'immaginario collettivo con i suoi
traccianti all'infrarosso e con le sue memorie elettroniche. Deflagrano le bombe dei Georgofili
e di via Palestro, deflagrano l'autostrada di Capaci e via D'Amelio, deflagrano i conflitti reali
e simbolici di un pianeta che, uscito dalla guerra fredda, si interroga sul suo destino.
Dalla met degli anni Novanta, poi, comincia la nuova era di Silvio Berlusconi, si
contrappongono i due schieramenti politici, quello di centro-destra del "Polo delle libert" e
quello di centro-sinistra dell"Ulivo". Ed nel segno di Berlusconi che si apre il nuovo secolo,
che molti intellettuali (anche del cinema: si veda la discesa in campo di Nanni Moretti [4.1],
a guidare il "popolo dei girotondi", cio i cittadini in lotta per la democrazia, non pi
rappresentati direttamente dai partiti) guardano con preoccupazione.
In questo grande scenario millenaristico, in questo macrocosmo forte e terribile, il cinema
italiano si muove sfiduciato, immutabile, impotente, microcosmo isolato e desolato.
1.5 - Una crisi irreversibile?
Sino alla stagione 1975-76 il consumo medio di cinema era di 535 milioni di biglietti annui.
Questo significa che ogni italiano andava al cinema nove, dieci volte l'anno, che la
percentuale del cinema italiano era tra il 59 e il 60 %: di quei 535 milioni di biglietti, 330
andavano al cinema italiano. Alla fine degli anni Ottanta gli spettatori cinematografici sono
invece meno di 100 milioni; questo vuol dire che ogni italiano va al cinema 1,8 volte
all'anno. La domanda di cinema italiano diminuita 1/5 dell'inizio degli anni Settanta.
Che cosa accaduto? Nell'estate del 1976, dopo la sentenza della Corte costituzionale, sono
nate le televisioni e le radio private, il clima di de-regulation, anzi di a-regulation, creano
una sorta di giungla mediologica; le emittenti private oscillano tra le 500 e le 1500, senza
che per questo nasca una civilt televisiva. Un intero paese, in termini di biglietti, che se ne
va, centinaia di chilometri quadrati senza una sala cinematografica, crollo delle piccole
industrie cinematografiche, difficolt dell'esordio: questo lo scenario che gli anni Novanta
ereditano.
A questo male strutturale si accompagna qualcos'altro, alla crisi del cinema si accompagna
una crisi molto pi profonda. I registi italiani erano abituati a una "trasparenza delle cose", a
una realt dove "enunciare" significava "denunciare": il reale aveva la forza di parlare da
solo, e quel reale aveva una carica talmente esplosiva che la sua rappresentazione poteva
sembrare automaticamente la soluzione del problema. Negli anni Settanta, invece, si
complicano i nodi del reale, non basta pi far vedere perch si veda davvero. Da qui i
"balbettii" degli anni Ottanta-Novanta, da qui la formula dei cineasti "eredi del nulla". Il
problema ce lo trasciniamo tuttora. "I necrofori del cinema a tutti i costi - pare daltra parte
rispondere Gianni Massaro, presidente dell'Unione produttori - autori in un passato anche
recente di necrologi del cinema, da essi ampiamente diffusi, sono i campioni dei distinguo
e sostengono che la ripresa (che non possono negare!) occasionale e dovuta al successo di
pochi film, dimenticando che i film di grande successo sono sempre stati pochi".
Per questo, secondo Massaro, Il cinema italiano ricomincia da 10... (e pi): i film italiani in
produzione nel 1997 sono 110 (73 nel '96), gli spettatori paganti 100.372.000, gli incassi
924.979.097, gli schermi nuovi 518 di cui 456 multisale, i finanziamenti alla produzione pari
a 165 miliardi e quelli alla distribuzione 54 miliardi, 18 le coproduzioni approvate. "La
evidenza di tali dati - conclude trionfalisticamente Massaro - non pu essere discussa e
giustifica la affermazione che il cinema vive un momento di positiva transizione" ("Cinema
d'oggi", 28/2/1998).
Del resto, se il mercato italiano accusato di essere lacunoso e arretrato rispetto ad altre
realt europee, i dati pubblicati nell'annuario statistico di Media Salles in riferimento al 1996
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dicono che, quanto a numero di schermi, l'Italia non sta peggio di Spagna o Gran Bretagna
(2326 i nostri schermi contro i 2354 spagnoli o i 2095 britannici) e che il numero di abitanti
per schermo, pur superiore a quello spagnolo (24.000 contro 16.000) e doppio a quello
francese (12.000), inferiore a quello inglese e pari a quello tedesco. Questo secondo
Lionello Cerri - vicepresidente dell'Anec (l'associazione degli esercenti) e gestore dello
storico "Anteo" di Milano -, che sottolinea i cento milioni di biglietti staccati in Italia.
Secondo i dati forniti dal governo a Cannes, nel periodo 1 agosto 1997/10 maggio 1998 il
box office ha visto un incasso di 690,2 miliardi contro 599 miliardi nel periodo
corrispondente del 1997, e una presenza di spettatori di 66.018.320 rispetto ai 58.190.384,
con un incremento del 13,45 %. Effettuando poi un confronto tra i due periodi - sottolinea
una nota della Presidenza del Consiglio - il numero degli spettatori risulta aumentato
complessivamente del 18 % circa, e cresce sia il pubblico dei film americani (+ 21,4%) sia
quello dei film italiani: + 17,1 %, pari al 26,45 del mercato rispetto al 58,7 % dei film
americani (17.813.828 spettatori contro 39.913.389).
Come si vede, i pareri sono discordi, e dipendono anche dal successo di un film, dal
(casuale) boom di una stagione. Il cinema italiano dalla seconda met degli anni Settanta
alla fine del secolo oscilla fortemente tra gridi di allarme e annunci trionfalistici, tra crisi,
appunto, e rinascite. Per raccapezzarci meglio, dovremo raccontarne la storia cercando di
rintracciarne i principali motivi conduttori.


2 - Il rapporto cinema-televisione

2.1 - La televisione e il cinema: killer o salvatrice?
Uno dei principali motivi conduttori di questo scorcio della storia cinematografica nazionale
senzaltro il rapporto tra cinema e televisione.
soprattutto per leffetto della fine del monopolio radio-televisivo che avviene quel
sommovimento del panorama audiovisivo gi descritto.
Da un lato, per il cinema un disastro: le mille televisioni private, libere o "pirata", cio non
autorizzate, trasmettono film senza tetto n legge; e questa improvvisa proliferazione di
prodotti filmici messi in onda causa un inevitabile minor afflusso di pubblico nelle sale
cinematografiche.
linizio di una profonda trasformazione della geografia delle sale: scompaiono le sale di
terza visione, quelle periferiche e di quartiere, finisce lidea del moviegoing tipico degli anni
Cinquanta e Sessanta, cio landare al cinema senza badare al titolo, per stare in compagnia
e in famiglia, nel cinema sotto casa. La televisione ha sostituito il cinematografo in quella
funzione.
Ma, dallaltro lato, avviene un positivo mescolamento di mezzi, tra il film e la tv, che provoca
anche fasi di grande sperimentazione e di creativit autoriale. Un processo cominciato, in
questo senso, gi negli anni Sessanta.
Al di l del percorso isolato del grande sperimentatore Rossellini, che lavora e pensa a livello
europeo e internazionale, e al di l dei cosiddetti "sperimentali televisivi" (una serie di film
prodotti dalla RAI tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, un'isola produttiva
colta e impegnata che nasce nel momento in cui il grande cinema snobba la tv, la fucina di
un'intera generazione di filmakers che far valere il suo nome e il suo prestigio negli anni
successivi: basti pensare a Gianni Amelio, Peter Del Monte, Giuseppe Bertolucci; vedi 4.3 e
4.4), c un momento in cui la RAI (siamo ancora negli anni Sessanta, e l'unico soggetto
televisivo la RAI) comincia a produrre fiction cinematografica, vuoi lo sceneggiato
tradizionale che cambia supporto (e quindi anche modo di produzione), vuoi il film televisivo
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vero e proprio, o le sue forme pi ridotte (come gli "sperimentali televisivi"), o serializzate.
Questo processo comincia a essere apprezzabile verso la met degli anni Sessanta, un
decennio dopo, dunque, la grande stagione di conflitti, ma anche di intrecci, vissuta negli
Stati Uniti, da cui erano nate pratiche produttive e convenzioni narrative destinate a durare
sino a oggi.
2.2 - Gli autori e la televisione
In Italia solo a partire da questo momento che si comincia ad abbandonare l'ideale
vagamente aristocratico e isolante dello "specifico televisivo" e si fanno i conti con l'industria
cinematografica. L'impatto era avvenuto con l'Odissea di Franco Rossi (1968), uno
sceneggiato classico girato in 35 mm e affidato, con qualche terrore, al top manager
dell'industria del cinema: Dino De Laurentiis. Ma gi prima si erano registrati casi indicativi,
come il Mastro Don Gesualdo di Giacomo Vaccari, primo sceneggiato filmato, Francesco
d'Assisi della Cavani (vedi 3.6) e Diario di una schizofrenica di Nelo Risi, primi esempi di
lungometraggi d'autore.
Ma la vera svolta si deve registrare alla fine degli anni Settanta: adesso che l'universo
iconico cambia (la televisione di Stato che subisce il trauma della fine del monopolio, il
proliferare delle reti private, l'irresistibile ascesa dei networks, la crisi del cinema italiano, la
postulata morte del Cinema nel suo complesso, i modelli della nuova Hollywood
cinetelevisiva), ed il momento in cui la televisione comincia direttamente a produrre
lungometraggi destinati al normale circuito di mercato. Un momento che ha per le sue
origini gi in una fase precedente.
"Prende oggi risalto la produzione cinematografica tv, senza dubbio aiutata e moltiplicata dai
due premi di Cannes e dalla crisi oltraggiosa in cui versa la produzione cinematografica. Il
vero moltiplicatore non la produzione, bens l'impatto, l'incidenza sui livelli culturali" - dice
Paolo Valmarana, uno degli artefici della convergenza cinema-tv, oltre che uno dei pi consci
interpreti dei nuovi fenomeni mediologici, a un convegno di Conegliano Veneto.
Queste parole risalgono all'inizio degli anni Ottanta e sono piene di indicazioni interessanti.
Prendiamo soprattutto la "scoperta" tardiva della produzione cinematografica RAI, diventata
oggetto di interesse e trend alla moda dopo i "trionfi" a Cannes di Padre padrone (1977) e
L'albero degli zoccoli (1978). vero che il "cinema della televisione" prende forza quando
riceve una legittimazione critica ai grandi festival; vero, anche, che la produzione filmica in
tv ha la sua chiave, il suo momento catalizzatore nella riforma RAI (1975). Ma anche vero,
come fa capire Valmarana, che i successi internazionali e le nuove politiche culturali hanno
radici pi lontane, meno trionfalistiche ma ugualmente dignitose. da questo primo
tentativo produttivo che parte la linea di tendenza che porter, nella seconda met degli
anni Settanta, a film come quelli che trionfano a Cannes nel 1977 e nel 1978: Padre padrone
dei Taviani (vedi ancora 3.6) e L'albero degli zoccoli di Olmi (vedi 3.5). Da l poi la pratica
costante che ha reso indispensabile, a tutt'oggi, l'apporto finanziario delle televisioni,
pubbliche o private, alla produzione del cinema italiano.
2.3 - Dalla televisione al video
Si registra daltronde un pi ampio desiderio di commistioni e di convergenze: lelettronica
irrompe prepotentemente, e si propone come pericolosa concorrente della pellicola. Vanno
visti in questo senso le sperimentazioni di Antonioni, che realizza con Il mistero di Oberwald
(uno dei primissimi film girati coi mezzi elettronici) [Fig. 2], e pi tardi gli esperimenti italiani
della cosiddetta "alta definizione" (cio unimmagine televisiva costituita da molte pi linee
leggibili dal pennello elettronico), che tentano Peter Del Monte (Giulia e Giulia; vedi 4.3),
Giuliano Montaldo (Arlecchino) e altri cineasti negli anni Ottanta.
Un uso del videotape, cio del nastro elettronico, in senso "rivoluzionario" (nella doppia
accezione della politica e della trasformazione tecnologica) teorizzato in quegli anni da
Roberto Faenza o da Pio Baldelli, coi loro pamphlets Senza chiedere permesso e
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Informazione e controinformazione. Una concezione che viene messa in pratica da Alberto
Grifi, cineasta "anarchico" e geniale, che aveva gi realizzato precedentemente un piccolo
"cult", Anna (firmato a quattro mani con Massimo Sarchielli e girato interamente in video, a
bassissimo costo). Parco Lambro, il documentario realizzato da Grifi vari anni dopo (girato
nel 1977 e montato negli anni successivi), con rudimentali videotapes, qualcosa di molto
vicino a un'operazione che aveva gi fatto Ferreri qualche anno prima, con Perch pagare
per essere felici?. C' la percezione dall'interno di una rivolta in atto, c' l'adesione alle cose,
il far parte del grande "viaggio" ideologico-culturale che si sta descrivendo, c' un "occhio"
curioso e partecipe, un motore sempre acceso. Ormai la telecamera pu riprendere,
appunto, "senza chiedere permesso" (famoso, in Parco Lambro, lepisodio dell"esproprio
proletario" del camion che trasporta dei polli).

Fig. 2 - Monica Vitti ne Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni, 1980.
Laltro geniale sperimentatore di "transiti" mediologici Gianni Toti, poeta, romanziere,
regista di un antico lungometraggio (E di Shaul e dei sicari sulla via da Damasco), poeta,
scrittore, inventore poi della "poetronica". Toti tra i massimi esponenti di un'arte
elettronica che lavora su tutte le possibili manipolazioni della tecnologia, funzionalizzate a un
discorso autoriale privo di compromessi e supersperimentale. Vanno citate alcune delle sue
opere elettroniche pi famose: Planetopolis, Squeezangezaum e Tupacamauta, che fa intuire
quanto aperti siano i confini dell'universo iconico contemporaneo. Un "giovane-vecchio", un
capitano fantascientifico che "naviga" alla ricerca dei confini possibili della visione, di
un'ultima frontiera della creazione.
Sono le avvisaglie di un pi ampio processo di commistione tra cinema, elettronica e, pi
tardi, digitale, che avverr tra fine anni Ottanta e fine anni Novanta. Lelettronica (cio
unimmagine video su base analogica) dominer e influenzer gli anni Ottanta. Il digitale (su
base numerica) esploder nei Novanta, insieme alla potenza del computer, causando un
enorme rivolgimento nel modo di produrre e di fruire anche il cinema. un processo di
bruciante attualit, che stiamo tuttoggi vivendo.
9
3 - La generazione dei vecchi e nuovi "maestri"

3.1 - Vecchie e nuove generazioni
In questa fase di "transizione" (cos si potrebbe chiamare anche il cinema degli anni
Novanta: vedi 1.2), avviene un profondo ricambio generazionale. Tentando una geografia di
questo incontro-scontro di generazioni, viene da pensare a un triangolo: da un lato resistono
i "vecchi" maestri provenienti dal neorealismo (Fellini, Antonioni, ma anche i grandi vecchi
della commedia allitaliana: Risi, Monicelli [Fig. 3], Comencini); dallaltro toccano la maturit
i "nuovi" maestri, che hanno segnato la trasformazione degli anni Sessanta (Bellocchio,
Bertolucci, Olmi, Ferreri, Scola, i fratelli Taviani, Liliana Cavani); nel terzo lato del triangolo
ecco per gli "esordi eccellenti" di un "nuovo cinema" che si affaccia alla ribalta (Moretti,
Giordana, Piscicelli, Giuseppe Bertolucci, accanto a cui si pu porre Gianni Amelio, anche se
questultimo ha esordito nel decennio precedente, proprio grazie ai sopra citati (in 2.1)
"sperimentali tv". Pi tardi, nella seconda met degli anni Ottanta, si dovr inserire un nuovo
lato (e diventer un quadrilatero), con quello che si potrebbe chiamare il "nuovo nuovo"
cinema italiano (la generazione di Soldini, Mazzacurati, DAlatri, Archibugi, Cristina
Comencini ecc.).

Fig. 3 - Ornella Muti e Michele Placido in Romanzo popolare di Mario Monicelli, 1974.
Nel giugno del 1977 muore lultimo dei grandi maestri neorealisti, Rossellini. Poco prima di
lui sono scomparsi De Sica e Visconti (e Pasolini). Il 77 pu dunque essere un anno di svolta
anche da questo punto di vista, un turning point oltre il quale la storia del cinema italiano
non pu pi essere la stessa. Rotti gli ultimi retaggi del neorealismo, nuove generazioni si
possono affrancare dallannoso rapporto con i "padri fondatori" e tentare un loro personale
discorso dautore.
3.2 - Fellini, Antonioni
Alcuni di questi "padri", per, sono vivi e vegeti: Fellini firma non a caso il suo film pi
ideologico e provocatore, Prova dorchestra [Fig. 4], prodotto di punta di un biennio, il 1977-
78, che passer alla storia. Coprodotto dalla RAI, il film di Fellini un apologo sul potere, un
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pamphlet satirico sulla way of life italiana e "occidentale", che prefigura in modo grottesco
ma anche angosciante la crisi del Bel Paese, che esploder allinizio degli anni Novanta.

Fig. 4 - Federico Fellini sul set di Prova d'orchestra, 1978.
Paradossalmente, uno dei pi lucidi, e al tempo stesso pi visionari, messaggi sulla societ
contemporanea, quello di un "vecchio": da Federico Fellini, infatti, che vorrei partire, per
questo panorama di tipologie della rappresentazione sociale da parte del cinema degli anni
Ottanta-Novanta.
Nel periodo in questione Fellini realizza La citt delle donne (1979), in cui lalter ego
Mastroianni alle prese coi classici fantasmi del femminile felliniano, ma anche con gli
spettri del femminismo duro; E la nave va (1983), ironico ma anche commosso addio a
unepoca e a una societ; Ginger e Fred (1985), riflessione autoironica e autoriflessiva sul
cinema e sul suo cinema, protagonisti Mastroianni e la Masina, ossia i personaggi per
eccellenza dellimmaginario felliniano; Intervista (1987), altro diario autobiografico e
beffardo.
Lultimo film di Fellini, che apre il decennio Novanta, La voce della luna (1990), un altro
apologo sarcastico sul mondo dei mass media, ma anche una tenera favola sullinanit del
reale, protagonisti due inediti Roberto Benigni e Paolo Villaggio, un film "giovane"
nellispirazione e nella forma, per la capacit intuitiva e una certa sensibilit naf, pur
essendo il testamento "in libert" di un "grande vecchio". In La voce della luna, Fellini
presagisce alla sua maniera, viscerale e onirica, la fine della "fantasia al potere" e l'apoteosi
dell'irreggimentazione, della castrazione, della repressione nella societ dello spettacolo,
nell'epoca della telecrazia. In un finale surreal-apocalittico, una massa amorfa di "gente"
accorre per un evento paradossale: stata, nientemeno, "catturata" la luna che, legata con
delle enormi funi, vergognosamente esposta al voyeurismo dei curiosi. Attorno all'"evento"
in diretta si raccolgono politici e preti, assessori e giornalisti, si precipitano come avvoltoi
radio e televisioni, si accendono i riflettori di un mondo che postula aggressivit e
apparenza, demenzialit e corsa al potere. E contemporaneamente si spengono le fantasie di
chi con quella luna fantasticava. Se Fellini aveva gi scritto i suoi pamphlet satirico-politici
con Prova d'orchestra e La nave va, e aveva gi prefigurato la televisione-totale di oggi con
Ginger e Fred, ora costruisce uno scenario d'Italia tanto delirante quanto reale, fotografia
all'insegna dell'iperrealismo ma forse per questo "radiografia" attendibile dell'Italia
contemporanea.
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Da parte sua, Antonioni, dopo il succitato Mistero di Oberwald (1980), realizza un - pur
controverso - capolavoro come Identificazione di una donna (1982): la storia di una ricerca
(quella di un regista che tenta di "identificare" il volto giusto per il personaggio di un suo
film) impossibile. In maniera significativa, il film finisce con il protagonista che immagina di
osservare, dalla finestra, la sagoma di unastronave. Anche Fellini, in 8 e , ambientava il
suo celebre finale sul set di un"astronave". una simbolica coincidenza.
Dopo dodici anni di assenza, poi, con Al di l delle nuvole (1995) Antonioni ritorna al cinema.
un film realizzato con l'amichevole collaborazione del regista tedesco Wim Wenders,
strutturato in episodi, in cui l'autore torna ai temi a lui cari della solitudine e della non
comunicazione.
3.3 - Rosi, Zeffirelli
ancora attivo anche Francesco Rosi [Fig. 5], ex grande maestro del cinema "politico", con
Cristo si fermato a Eboli (1979), film per la tv e per il cinema tratto dal romanzo di Carlo
Levi e interpretato magistralmente da Gian Maria Volont, I tre fratelli (1980), Carmen
(1984), Dimenticare Palermo (1989), e pi tardi La tregua, colossal degli anni Novanta tratto
dal romanzo dellaltro Levi (Primo).

Fig. 5 - Francesco Rosi sul set di Uomini contro, 1970.
Interpretato da un cast internazionale che accosta la star John Turturro, nel ruolo principale,
ai pi nazional-popolari Massimo Ghini e Claudio Bisio e ad altre facce riconoscibili del
cinema italiano pi giovane (Citran, Dionisi), il film forse il massimo approdo, nel bene e
nel male, di una intera generazione di cineasti. Si tratta di una produzione ambiziosa che,
non a caso, sbanca il David di Donatello 1997, con i premi come migliore regia e miglior film.
Ma il film, purtroppo, "vecchio" - senza nulla togliere alla professionalit e alla "mano" di
Rosi, che certo non deve dimostrare di essere bravo -, suona di gi visto, compromette
l'epos tragico dell'Olocausto attraverso una commistione con la "commedia all'italiana",
giocata appunto dai caratteristi sopra citati.
E gli altri "grandi vecchi" (pi o meno anziani) che fanno? Hanno alcuni splendidi sussulti
negli anni Ottanta, si ingrigiscono e perdono grinta nei Novanta. Come avviene nel caso di
Franco Zeffirelli, vecchio compagno di Rosi (non certo in senso politico, ma in quanto allievi
comuni di Visconti), che tenta di percorrere un progetto internazionale, con Amleto (1991),
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Un t con Mussolini (1999), sino all'omaggio a Maria Callas (Callas Forever, 2002), oppure
esercizi raffinati sul terreno del rapporto cinema-letteratura (Diario di una capinera, 1994,
dallomonima novella verghiana). Certo, il ricambio generazionale fisiologico,
inevitabilmente biologico; ma probabilmente i "grandi" hanno anche meno strumenti per
interpretare gli spiazzamenti della nuova societ della fine anni Novanta.
3.4 - Risi, Monicelli, Comencini, Scola
Veniamo ad altri vecchi maestri, che per non sono stati considerati, sinora, come "autori", e
che in questo periodo vengono riletti e rivalutati. Sono i bravissimi "artigiani" della
commedia allitaliana, che si colora di tinte sempre pi fosche. Dino Risi con La stanza del
vescovo (1977) e Primo amore (1978); poi con Caro pap (1979), Sono fotogenico (1980),
Fantasma damore (1981), Sesso e volentieri (1982), Dagobert (1984), Scemo di guerra
(1985), prosegue il suo coerente discorso sulla "commedia italiana" finendo, allalba del
Duemila, con remakes di vecchi successi o incursioni televisive sulle dive nostrane (vedi Le
ragazze di Miss Italia, film tv, 2002).
Monicelli afferma la sua immarcescibile presenza con uno dei capolavori degli anni Ottanta,
Speriamo che sia femmina (1985), ma anche con Camera dalbergo (1980), Il marchese del
Grillo (1981), Le due vite di Mattia Pascal (1985), Il male oscuro (1990), Rossini! Rossini!
(1991), e gli amarissimi film dei pieni anni Novanta, Parenti serpenti (1992), Cari,
fottutissimi amici (1994) [Fig. 6]. Risi e Monicelli insieme, poi - coadiuvati anche da Scola -
firmano gli episodi del gustoso I nuovi mostri (1977). In Speriamo che sia femmina, in
particolare, il regista, grazie anche a un formidabile cast di attori internazionali (da Liv
Ullmann a Bernard Blier), sonda i conflitti della famiglia italiana con unangolazione
sorprendentemente "femminista".

Fig. 6 - Mario Monicelli sul set di Cari, fottutissimi amici, 1994.
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Anche Comencini con Il gatto (1977) e il notevole Lingorgo (1978-79), film metaforico sulla
caotica societ contemporanea, mette insieme un cast deccezione. Voltati Eugenio (1981),
Cercasi Ges (1982), Il matrimonio di Caterina (1982), il televisivo Cuore (1984), La Storia
(1985, tratto dal romanzo di Elsa Morante), Un ragazzo di Calabria (1987), Marcellino pane e
vino (1992) confermano il talento di questo grande "artigiano", senza per apportare nuovi
elementi di interesse.
Pi giovane di questa generazione, ma proveniente in pieno dalla cultura della commedia
allitaliana, Ettore Scola, che firma in questo periodo La terrazza (1980), impietoso ritratto
della borghesia italiana allalba degli anni Ottanta e lucida prefigurazione dell"Italietta"
craxiana. questa la fase della maturit per il cineasta di Trevico, che gira Un mondo nuovo
(1982), riflessione metalinguistica sulla rivoluzione francese, lo splendido Ballando ballando
(1983), che ripercorre la storia europea con le note di un musical (si tratta in realt di uno
spettacolo teatrale francese). Ha poi modo di mostrare il suo progetto di cinema con
Maccheroni (1985, con due splendidi Marcello Mastroianni e Jack Lemmon), La famiglia
(1987, saga familiare e sociale forse irripetibile), Splendor (1989, riflessione metalinguistica
su una sala cinematografica, con Mastroianni e il compianto Troisi), Che ora (1989; ancora
con Mastroianni e Troisi), Il viaggio di Capitan Fracassa (1990), e infine La cena e
Concorrenza sleale: il primo un film corale su una certa condizione italiana, centrato su
una tipica serata al ristorante; il secondo una seria riflessione sullOlocausto, dalla
particolare angolazione di due commercianti - un ebreo e un "ariano" - nella Roma del tardo
fascismo.
Scola rappresenta una sorta di "cerniera" tra la tradizione della commedia italiana e quella
del cinema dautore, che questo regista sposa con piena consapevolezza proprio negli anni
Settanta. Ma tra gli "autori", va messa in campo la generazione emersa dalla prima met
degli anni Sessanta, quella cosiddetta dei "pugni in tasca" e dei "sovversivi".
3.5 - Olmi, Bellocchio
Per i cineasti che si sono affacciati prepotentemente alla ribalta tra linizio e la met dei
Sessanta, inizia il periodo della definitiva maturit.

Fig. 7 - Lalbero degli zoccoli di Ermanno Olmi, 1978.
Olmi gira proprio ora il gi citato (1.2) Lalbero degli zoccoli (1978, premiato al festival di
Cannes, atipico film sulla societ contadina, girato in puro dialetto bergamasco) [Figg. 7-8],
14
Cammina cammina (1983), Lunga vita alla signora (1987, Leone dargento a Venezia), La
leggenda del santo bevitore (1988, Leone doro, dal romanzo di Roth con Rutger Hauer), Il
segreto del bosco vecchio (1993) da Dino Buzzati con Paolo Villaggio, Genesi. La creazione e
il diluvio (1994), dopo un documentario sul Po (Stagioni sul fiume, 1991). Allalba del nuovo
millennio, Olmi girer lo splendido Il mestiere delle armi (2001), centrato sulla storia del
condottiero cinquecentesco Giovanni dalle Bande nere, ma anche profonda riflessione sulla
guerra, sulla storia e sullanimo umano.

Fig. 8 - Lou Castel e Angela Molina ne Gli occhi, la bocca di Marco Bellocchio, 1982.
Bellocchio vive pi di una fortunata stagione: si va dal televisivo Il gabbiano (1977), al
visionario Salto nel vuoto (1980), da Gli occhi, la bocca (1982) [Fig. 3] a Il diavolo in corpo
(1986) e La visione del sabba (1987). Gli anni Novanta si aprono con La condanna (1991) e
Il sogno della farfalla (1994), dominati ancora dal discorso psicanalitico che tanto sta a cuore
a questo regista, e si chiudono poi con Il principe di Homburg (1997) e La balia (1999). Il
nuovo secolo invece comincia con Lora di religione, forse uno dei pi bei film di Bellocchio in
assoluto: la storia di un artista laico che si trova inaspettatamente coinvolto nel processo
di beatificazione della madre; un film plumbeo e visionario, miscredente ma insieme pieno di
pietas, delirante e provocatoriamente poetico.
3.6 - Taviani, Bertolucci, Liliana Cavani
Come per altri della loro generazione, per Paolo e Vittorio Taviani si deve registrare un
fervido successo creativo alla fine degli anni Settanta, poi un momento di appannamento, e,
infine, un colpo dala tra fine degli anni Novanta e nuovo secolo. Cos Padre padrone (1977,
premiato a Cannes) uno dei loro film pi calibrati e insieme pi provocatori; tratto dal
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best seller di Gavino Ledda sulla ribellione di un giovane pastore al proprio padre, appunto,
"padrone". Intensi sono La notte di San Lorenzo (1982, lavventurosa fuga di un gruppo di
persone dalla propria cittadina minacciata dai fascisti) Kaos (1984, tratto da alcuni racconti
di Pirandello); un po pi di maniera risultano Good Morning Babilonia (1987), Il sole anche
di notte (1990), Fiorile (1993), Tu ridi (che ha per dei bei momenti di invenzione, e anche
di autocitazione) e il recente, televisivo, Resurrezione.

Fig. 9 - Ugo Tognazzi ne La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci, 1981.
Bernardo Bertolucci, dopo lepica lavorazione di Novecento (film del 1976 dall'immenso
sforzo produttivo, che impegna molti luoghi della Val Padana), si rifugia nel film pi piccolo e
pi privato La luna (1979), insiste con le tematiche italiane, tra privato e pubblico, con La
tragedia di un uomo ridicolo (1981) [Fig. 9]; poi vira nettamente verso il kolossal, verso
limpresa internazionale: Lultimo imperatore (1988) sbanca gli Oscar, ma non si pu pi
considerare un film "italiano". Da questo momento il cinema di Bertolucci un cinema
internazionale, fatto con star e capitali internazionali: Il t nel deserto (1990, con John
Malkovich), Piccolo Buddha (1993, con Keanu Reeves), Io ballo da sola (che scopre la bella
Liv Tyler), e infine Lassedio (1998).

Fig. 10 - Burt Lancaster e Liliana Cavani ne La pelle, 1981.
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Anche Liliana Cavani ambisce a un progetto di cinema internazionale: Al di l del bene e del
male (1977) ha un cast di stelle internazionali e un piano forse presuntuoso, Francesco
(1989) una sorta di remake di un suo precedente noto film televisivo su San Francesco. Ma
stavolta, il suo fraticello il mitico Mickey Rourke. In questi anni, la regista realizza ancora
La pelle (1981, dal romanzo di Curzio Malaparte) [Fig. 10], Oltre la porta (1982), Interno
berlinese (1985), Dove siete? Io sono qui (1993). Poi, un lungo silenzio che dura dieci anni,
sino al festival di Venezia 2002. Un silenzio che pu essere letto come la difficolt di una
generazione cinematografica di interpretare la nuova societ italiana.
3.7 - Citti, Ferreri, Leone
I disagi dellepoca vengono colti, ad esempio, da Sergio Citti, allievo di Pasolini e fratello di
Franco (il protagonista di Accattone), che, con Casotto (1977), disegna bene uno spaccato di
Italia nei tardi anni Settanta, che irride in modo graffiante e grottesco. Il "casotto" una
cabina balneare da cui passa - e viene voyeuristicamente spiata - tutta una fauna di
stralunati italiani, ma anche una chiara metafora del "casino" di un'Italia postindustriale,
sospesa tra benessere e crisi. Su una simile direzione si incamminer il suo cinema
successivo, ad esempio con Il minestrone (1981), Mortacci (1989), sino allo strambo Cartoni
animati (1999), con cui aiuta in un improbabile esordio alla regia il fratello Franco.

Fig. 11 - Claudia Cardinale e Enzo Jannacci ne Ludienza di Marco Ferreri, 1971.
Un risalto particolare va dato a Marco Ferreri [Fig. 11], che muore in questo periodo, ma
dona, con Nitrato d'argento, un bellissimo testamento spirituale. Ferreri si addentra nelle
origini del cinema: Nitrato d'argento (1996) vuole essere un omaggio alla materia, allaura
stessa del cinema, alla sua composizione chimica, cui non a caso il regista rende omaggio.
Ferreri si nutre di cinema, dunque, come nel suo precedente la Grande abbuffata. Anzi, il
regista, in Nitrato d'argento, cita il film permettendosi anche di prenderlo, e prendersi, in
giro: uno spettatore dice "Che schifo...", di fronte a una delle tante scene scatologiche del
film (esplode uno sciacquone). Ferreri si autocita, con compiacimento, anche nel caso di una
sequenza che rimanda direttamente a quello che probabilmente il suo capolavoro, Dillinger
morto (1969). Bella, anche se non originalissima, ma forse coscientemente citazionista e
parodica, la scena in cui i ragazzi del cineclub proiettano il volto della Bergman di Stromboli
sulla parete di un edificio (come ha fatto Tornatore nella toccante sequenza di Nuovo cinema
paradiso, quando Alfredo volta il fascio del proiettore verso la piazza e proietta il film sul
muro di una casa; vedi 7.3).
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Bella nella sua stranezza anche l'irruzione della televisione. Con poche immagini distorte da
effetti, con una "estetica della bruttezza", Ferreri fa la sua dichiarazione teorica sulla tv,
esplicitandone il lato osceno, il mercimonio, la latente pornografia.
Ma un ultimo omaggio va fatto a Sergio Leone, ex re del western italiano, che in questo
periodo si cimenta con un'unica grande impresa, prima di morire: il kolossal C'era una volta
in America (1984), saga familiare e amicale che parte dall'America proibizionistica per
arrivare all'oggi, affresco di un'epoca affidato a interpretazioni memorabili come quelle di
Robert De Niro e James Woods.

4 - Il ricambio generazionale
4.1 - Moretti
La fase in questione caratterizzata, dicevamo, da un profondo ricambio generazionale. Il
primo segnale lemergere dell"autarchico" Nanni Moretti (il gioco di parole con il suo film
d'esordio, Io sono un autarchico), coscienza critica non solo di una generazione, ma anche
del cinema italiano nel suo complesso [Fig. 12]. Personaggio scomodo, il moralista
ossessivo, lo zio forse antipatico ma giusto di tanti giovani cineasti (eppure pi giovane di
molti di loro), ombroso antidivo che costringe alle corde il cinema dei compromessi, del
mercato, del cinismo yuppie. Moretti un caso a s, un isolato, che solo di recente ha deciso
di "apparire" e di partecipare in prima persona, anche nella battaglia politica.

Fig. 12 - Nanni Moretti sul set di Sogni doro, 1981.
Ma di solito Moretti preferisce rispondere con il Cinema invece che con le parole; con un suo
"fare" sempre non casuale: prima i super8 "selvaggi", poi uno stile personalissimo di
comicit a denti stretti, poi l'evoluzione a cineasta "politico", quello di Bianca (1983), di La
messa finita (1985); infine la produzione (con il lancio della Sacher) e l'esercizio (con la
festosa re-invenzione del Nuovo Sacher a Roma). Attorno a lui si sono formati giovani come
Daniele Luchetti (Domani accadr, 1988, e il Portaborse, 1991), Carlo Mazzacurati (Notte
italiana, 1987: vedi 7.4); a lui hanno fatto riferimento gruppi di nuovi attori (penso a Silvio
Orlando, Marco Messeri, Antonio Petrocelli, per fare qualche nome atipico), di registi, di
sceneggiatori, di critici.
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Il suo Caro diario (1993) un film che, come capita spesso davanti alle "cose" di Nanni (La
cosa un documentario di Moretti sul dibattito all'interno del PCI tra fronte del "no" e fronte
del "s" a proposito della trasformazione del partito in PDS), mette con le spalle al muro,
impedisce di avere alibi, fa pensare. Moretti l'unico cineasta a precedere, e non a seguire a
rimorchio, l'evoluzione del quadro politico. Il PCI che cambia nome, anticipando la caduta del
PCUS: Moretti filma La cosa, documento freddo e caldo allo stesso tempo sulla mutazione in
atto. Le prime avvisaglie di Tangentopoli: Moretti le intuisce con Il portaborse dell'"allievo"
Luchetti (che poi torner sull'argomento, ma senza la stessa carica, con Arriva la bufera;
vedi ancora 7.4). La crisi della sinistra, lo spiazzamento quasi da delirio dopo la fine
dell'ideologia: Moretti arriva prima con lo stralunato ma profondissimo Palombella rossa
(1990). Con Aprile (1998) disegna uno scenario, pur tutto centrato sul suo baricentro
emotivo ed esistenziale, dell'Italia incerta tra Polo e Ulivo, percorsa da tensioni secessioniste
e da cataclismi planetari come l'esodo dall'Est. E infine, con lascesa del secondo governo
Berlusconi, prima d voce ai malumori della sinistra (fa scalpore il suo attacco da Cannes a
Fausto Bertinotti, leader dei neocomunisti, che il regista accusa di aver favorito, dividendo la
sinistra, la vittoria della destra capitanata da Berlusconi), e poi si mette a capo dello
spontaneo movimento di protesta popolare, il cosiddetto "popolo dei girotondi" (nel
settembre 2002 pu addirittura porsi a leader del movimento spontaneo della sinistra).
Intensissimo il suo ultimo film, La stanza del figlio (2001), in cui si misura con il dramma
puro: la storia di un padre che deve affrontare la morte del figlio, tragedia che sconvolge
gli equilibri di una famiglia felice.
4.2 - Piscicelli
Il fenomeno del "nuovo" o "giovane cinema" italiano emerge a partire dalla fine degli anni
Ottanta. Aggettivi, "nuovo" e "giovane", che hanno percorso la cultura italiana del
dopoguerra, ma che sono stati presenti anche nel periodo precedente, sino a diventare una
costante di tutto il Novecento. L'idea di un "nuovo cinema" italiano torna sistematicamente,
per ondate generazionali, dopo quella dei maestri del neorealismo: torna con la generazione,
appena descritta, di Bertolucci, Bellocchio, i Taviani, la Cavani; ritorna, pi timidamente,
quando appaiono all'orizzonte autori come Giuseppe Bertolucci o Peter Del Monte, o lo stesso
Moretti. Riemerge, infine, di fronte al faticoso emergere dei "novissimi" (Tornatore,
Salvatores, Mazzacurati, Soldini, ecc.).
Salvatore Piscicelli si propone come figura ponte tra queste varie nozioni del "nuovo". Egli
proviene infatti dalla critica e dall'organizzazione culturale, lavora per lunga parte degli anni
Settanta - e non casualmente - alla Mostra del "Nuovo" cinema di Pesaro, ed in particolare
tra le "teste pensanti" dei seminari e dei convegni che consentono in quegli anni un
ripensamento del Neorealismo e degli anni Trenta. Poi abbandona di colpo il lavoro
organizzativo e si butta a corpo morto nell'avventurosa produzione e direzione di un film:
sar Immacolata e Concetta (1980). Chiari dunque i punti di partenza di Piscicelli, che pu
farsi forte dell'esperienza terzomondista della Mostra di Pesaro, delle frequentazioni
neorealiste e delle esperienze televisive in una fase tra le pi formative della RAI post-
riforma. Piscicelli metabolizza per questo background "colto" andando a ritroso nelle radici
lontane della sua cultura in senso antropologico; e rilegge cos il neorealismo zavattiniano
attraverso le "pratiche basse" del melodramma popolare e persino della sceneggiata
napoletana. Ecco dunque che Piscicelli pu essere visto come anticipatore e autore
archetipico di quello che in anni pi recenti stato chiamato - impropriamente - il "neo-
neorealismo", quello di Marco Risi e di Ricky Tognazzi (Meri per sempre, Ragazzi fuori,
Ultr), oppure l'estetica post-pasoliniana dei suburbi palermitani o romani, napoletani o
torinesi ripercorsa dai registi degli anni Novanta (ad esempio Antonio Capuano, Pappi
Corsicato, Guido Chiesa, Gianni Zanasi).
Immacolata e Concetta, insomma, prodotto a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta,
pu essere preso come esempio emblematico della chiusura di una fase del cinema italiano
"moderno" e come apertura di una nuova fase, nella proposta di un'estetica - e di un'etica, o
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antietica - del "post-moderno". Verranno poi Le occasioni di Rosa (1981) [Fig. 13], con una
solare Marina Suma, Blues metropolitano (1985), Regina (1987), Baby gang (1992), Il corpo
dellanima, Quartetto (2001), questultimo interessante esperimento di cinema low budget
(= a basso costo), completamente girato con le telecamere digitali.

Fig. 13 - Salvatore Piscicelli sul set di Le occasioni di Rosa, 1981.
4.3 - Giuseppe Bertolucci, Del Monte, Benvenuti
Altro "zio" o fratello maggiore del "giovane cinema", e al contempo suo compagno di strada
e coprotagonista, Giuseppe Bertolucci, che esordisce nel 1977 con Berlinguer ti voglio
bene; poi Oggetti smarriti (1979) [Fig. 14], Panni sporchi (1983), Segreti Segreti (1985),
Tuttobenigni (1986), Strana la vita (1988), I cammelli (1988), Amori in corso (1989),
episodio de La domenica specialmente (1991), Troppo sole (1994), Il dolce rumore della vita
(1999), Lamore probabilmente (2001).
Giuseppe Bertolucci un cineasta poliedrico, anche autore di opere video molto interessanti,
come Il pratone del Casilino (ispirato al romanzo postumo di Pasolini Petrolio); ma la sua
"cosa" pi intrigante la rilettura-rimontaggio del Pasticciaccio di Gadda messo in scena da
Ronconi, dove Bertolucci riesce a creare un meccanismo di scatole cinesi tra letteratura,
teatro, cinema e video, sintetizzando corpo del palcoscenico, linguaggio filmico e
applicazione delle pi sofisticate tecniche elettroniche.
Dopo aver esordito negli anni Sessanta e Settanta con i gi citati "sperimentali televisivi" (Le
parole a venire; vedi 2.1) e con il lungometraggio Irene Irene, in questo periodo Peter Del
Monte firma Laltra donna (1980), Piso pisello (1981), Invito al viaggio (1983), Piccoli fuochi
(1985). Poi Giulia e Giulia, citato in 2.3 a proposito dellalta definizione, Etoile (1989), Tracce
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di vita amorosa (1990), Compagna di viaggio (1996), La ballata del lavavetri (1998).
Interessanti specialmente questi ultimi due: il primo una sorta di road movie e una atipica
storia sentimentale tra un vecchio (Michel Piccoli) e una ragazza (una ispirata Asia Argento);
il secondo un visionario spaccato della Roma cattolica vista con gli occhi di un emigrato
polacco (Kim Rossi Stuart).

Fig. 14 - Mariangela Melato in Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci, 1979.
Benvenuti (Paolo, da distinguersi dallomonimo comico Alessandro), esordiente negli anni
Settanta (Frammenti di cronaca volgare del 1977), torna a un periodo di intensa
produzione intellettuale con Il bacio di Giuda (1988), Confortorio (1992), Tiburzi (1996) e
Gostanza da Libbiano (2001). un cinema, il suo, fatto con pochi mezzi ma sempre
allinsegna del rigore. Ogni inquadratura, per lui, un fatto morale; anche i temi sono
piuttosto inconsueti per i lidi italiani: la guerra medievale tra Pisa e Firenze, la storia di
Cristo, il tentativo di conversione di due condannati ebrei, la storia di un brigante
ottocentesco, il processo controriformistico a una supposta "strega"; infine con Segreti di
stato (2003) affronta la vicenda di Portella della Ginestra.
4.4 - Amelio, Avati
Anche Gianni Amelio ha iniziato nel decennio precedente con gli sperimentali televisivi (La
fine del gioco, 1970) e poi con La citt del sole (1973).
Ma nel periodo da noi analizzato che "cresce" definitivamente e si pone come uno dei pi
rappresentativi autori italiani: Il piccolo Archimede (1979), Colpire al cuore (1982), I ragazzi
di via Panisperna (1988), Porte aperte (1990), Il ladro di bambini (1991), Lamerica (1994)
[Fig. 15], Cos ridevano (1998, Leone doro al festival di Venezia) disegnano una filmografia
intensa, con temi che vanno da un certo Sud sofferente e disperato allemigrazione interna
ed esterna, alle ambiguit dei rapporti familiari. In particolare, Il ladro di bambini uno dei
film pi belli degli interi anni Novanta.
Un altro regista che in questi anni costruisce una sua precisa identit autoriale Pupi Avati,
mettendo insieme una serie di produzioni di tutto rispetto: Tutti defunti tranne i morti
(1977), Le strelle nel fosso (1978), Aiutami a sognare (1981), Zeder (1983), Una gita
scolastica (1983), Noi tre (1984), Festa di laurea (1985), Regalo di Natale (1986), Impiegati
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(1985), Ultimo minuto (1987), Storia di ragazzi e di ragazze (1989), Bix: unipotesi
leggendaria (1990), Fratelli e sorelle (1992), Magnificat (1993).

Fig. 15 - Enrico Loverso ne Lamerica di Gianni Amelio, 1991.
Avati gioca coi generi (Aiutami a sognare una parodia del musical) oppure, al contrario,
con la memoria e con i miti (Una gita scolastica, Festa di laurea, Bix) con piccole storie
private (Impiegati) o con la grande epica della Storia (Magnificat, I cavalieri che fecero
limpresa). Con Festival, inoltre, Avati racconta un amaro backstage del cinema attraverso la
storia di un attore comico (Massimo Boldi) che raggiunge il successo con un ruolo
drammatico. Un film metalinguistico e speculare nella sua "messa in abisso", interessante
anche se non completamente riuscito.
Da notare, infine, il modello produttivo che Avati ha costituito: insieme al fratello Antonio, ha
fondato la "Due A", societ di produzione specializzata nelloculata gestione del budget, e
dunque nella produzione indipendente.


5 - La commedia e gli altri generi
5.1 - Benigni
La vita bella" [Fig. 16], recita - tra ironia macabra e omaggio alla favola di Frank Capra - il
film svolta di Roberto Benigni. Benigni il trionfatore ai premi europei del 1998 (Gran
Premio della giuria al Festival di Cannes, cinque nastri d'argento, nove David di Donatello), e
poi lasso pigliatutto agli Oscar lanno successivo. La vita bella un film che spiazza, per il
finale non happy che sorprende lo spettatore, per la comicit amara che rimanda alla
migliore tradizione del cinema "comico-poetico", per le continue trovate di sceneggiatura che
disorientano il pubblico. Viene in mente Charlie Chaplin, cui Benigni si era certo ispirato nel
finale de Il mostro (la solita coppia Benigni - Nicoletta Braschi che, fingendosi handicappati,
si incamminano verso l'orizzonte); qui emerge invece dalla memoria Il grande dittatore, con
l'appassionato comizio del piccolo ebreo contro il grande despota, con la ricostruzione ironica
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ma agghiacciante del ghetto ebreo, con l'eroismo "per caso" del protagonista. Benigni
affronta, cosa inconsueta per la tradizione italiana, il tema dell'Olocausto, con un'opera
leggera che diventa man mano sempre pi pesante e importante, con una commedia che si
colora sempre pi di toni plumbei. Il protagonista un piccolo mercante ebreo, in un paesino
della provincia italiana nel tardo fascismo, innamorato di una maestrina che lo ricambier
sino agli estremi sacrifici, alle prese con la gerarchia e l'ottusit del regime nella sua fase di
alleanza col nazismo. Non un caso, infatti, che il mondo venga osservato attraverso gli
occhi di un bambino: lultimo film del regista, infatti, Pinocchio.

Fig. 16 - Roberto Benigni ne La vita bella, 1997
Ma la maturazione di Benigni viene da lontano: comincia con la collaborazione con il citato
Giuseppe Bertolucci (il play teatrale Cioni Mario, verso la met degli anni Settanta,
Berlinguer ti voglio bene, 1977, Tuttobenigni, vedi 4.3), con Ferreri (Chiedo asilo, 1980), con
lamericano Jim Jarmush (Down by Law, 1986), prosegue con le prime regie (Tu mi turbi,
1982), e poi con una serie incredibile di successi (Il piccolo diavolo, 1988 e Il mostro, 1994)
prima della consacrazione degli Academy Awards.
5.2 - Verdone, Pieraccioni
Nella carrellata sulla commedia e sulla comicit cinematografica tra anni Ottanta e Novanta,
prendiamo due rappresentanti di generazioni diverse del cinema pi recente: il cinquantenne
Carlo Verdone e il trentenne Leonardo Pieraccioni, baciati dalla sorte ai botteghini natalizi
(insieme campioni di incassi, ad esempio, nel 1996, rispettivamente con Viaggi di nozze e
con I Laureati). Si tratta di due registi che non ambiscono a interpretare il ruolo di "autore"
nell'accezione pi noiosa, ma che sono dotati di un naturale talento, e che sposano sin
dall'inizio il genere per eccellenza del nostro cinema: quella commedia che dagli anni Trenta
in poi la maschera internazionalmente riconoscibile della nostra industria filmica. Essi
aggiungono a questa tradizione della commedia all'italiana un certo garbo personale e
qualche nota agrodolce sulla condizione umana nella nostra societ anni Novanta.
Viaggi di nozze uno dei prodotti del miglior Verdone, nonostante il facile impianto a episodi
e macchiette: il film strutturato, infatti, sull'incrocio tra tre storie parallele di sposi in luna
di miele. La comicit di Verdone funziona, come sempre, cogliendo i lati pi ridicoli del
nostro vivere sociale: l'esempio pi lampante il telefonino, il tremendo cellulare diventato
status symbol, maniacale oggetto di moda o strumento nevrotico di comunicazione [Fig. 17].
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Fig. 17 - Carlo Verdone e Cinzia Mascolo in Viaggi di nozze, 1996.
Anche I laureati ha un suo sapore amarognolo, che lo distingue dai tanti prodotti natalizi o
paranatalizi consimili (penso a Vacanze di Natale 95 e Selvaggi, le ennesime, deleterie
riproduzioni seriali di Neri Parenti e dei fratelli Vanzina). invece il film d'esordio di un altro
"toscano", dopo Benigni, Nuti, Benvenuti e gli altri, proveniente anch'egli dal cabaret, dotato
di una certa leggerezza nel tocco recitativo e registico, di un piacevole physique du rle, e di
una certa saggezza narrativa, come fosse un navigato artigiano del nostro mestiere comico.
I laureati non pretende di essere un capolavoro, si pone invece umilmente a seguire i
migliori dettami del codice del "genere", parte in sordina e poi aggancia gli spettatori: uscito
nel Natale 1996 solo a Firenze e in Toscana, per tastare il polso del pubblico, viene poi
lanciato in tutta Italia da Cecchi Gori con un ottimo esito.
Ma Pieraccioni sbanca poco pi tardi, nel 1997, il botteghino natalizio con il fortunato Il
ciclone, operina semplice ma ben costruita (larrivo di una serie di ballerine spagnole provoca
un "ciclone" in un paesino toscano un po naf). Il successo di Pieraccioni fa pensare: come
mai un film come questo, carino ma non certo memorabile, ottiene questo inusitato
successo? C evidentemente voglia, da parte della gente, di un "evento italiano",
ovviamente evasivo e leggero, diverso dalla vecchia commedia. Per qualche anno Pieraccioni
pu invadere tutte le sale, come col successivo Fuochi d'artificio, del 1998 (caler invece il
successo dal seguente Il pesce innamorato, 1999).
5.3 - Virz
Dal successo di Venezia 1997, invece, dove ha conquistato il premio della giuria, viene
Ovosodo di Paolo Virz, film che divide la critica [Fig. 18]. Accade spesso, con Virz, che si
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pone dichiaratamente come erede della commedia all'italiana pi alta, quella di Age e
Scarpelli, di Benvenuti e De Bernardi, di Scola e Maccari (Furio Scarpelli, infatti, cofirma la
sceneggiatura del film insieme allo stesso Virz e a Francesco Bruni). Proprio per questa sua
continuit, Virz guardato con sospetto da certa nuova critica, che infatti lo attacca - come
avvenuto al dibattito di Pesaro nel 1996 -, contrapponendolo a Cipr e Maresco o
comunque a una linea pi sperimentale e meno all'insegna della continuit con la tradizione
dei maestri.

Fig. 18 - I protagonisti di Ovosodo di Paolo Virz, 1997.
In questo caso, poi, non a tutti piace certo "determinismo" ottimista del film, la tendenza al
lieto fine con morale piccolo borghese (il ragazzo alla fine sposa la ragazza che, vicina di
casa non corrisposta, lo ha aspettato per tutta la vita). Ovosodo invece un film che, dietro
l'impianto della commedia classica, nasconde anche un retrogusto amaro, e propone
comunque il panorama di un ambiente operaio che, tutto sommato, non lascia tanto spazio
al sorriso. La storia quella di un ragazzo nato in un tipico quartiere di Livorno, che viene
seguito dall'infanzia alla giovinezza, dagli apprendistati alla vita sino all'educazione
sentimentale. Il protagonista (un attore preso dalla strada, o comunque non di fama)
attraversa lo spaccato sociale della Livorno medio-bassa, incontrando personaggini
attendibili e sintomatici: la professoressa che lo spinge a studiare e che finisce suicida,
l'amico che fa il ribelle e poi figlio di pap, la ragazza che lo corteggia invano, e invece
l'altra, libera e borghese, che lo attira. Ma quel che resta una sorta di sottile angoscia, che
il film segnala molto bene con la metafora del titolo: l'"ovosodo" quella sensazione che si
ha in gola, quella specie di nodo che ti prende, come un uovo sodo, che non va n su n gi,
e ti resta l. Non poco se una commedia riesce a darti questo magone, a non conciliarti
completamente nei tanti "cicloni" di risate, ma a farti anche, un poco, pensare.
In questo senso, Paolo Virz ormai il vero erede della grande commedia all'italiana - che
cercava appunto la sintesi tra ironia graffiante sui malesseri sociali e sorriso sulle relazioni
umane.
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Il regista livornese, dopo aver esordito brillantemente nel 1994 con La bella vita - film che
aveva segnalato la bella Sabrina Ferilli -, aggiusta il suo registro con Ferie d'agosto (1996)
che, a dispetto del titolo, non un ennesimo prodotto di serie alla Vanzina. Sceneggiato da
Virz con il gi citato Bruni, il film invece un tentativo pi serio di fornire un'istantanea
degli "italiani" di oggi. In una tipica situazione di vacanza al mare, infatti, si incontrano e
scontrano due gruppi opposti di famiglie e di ideologie: quelli di destra e quelli di sinistra,
quelli del telefonino e quelli della chitarra, le canzoni cubane contro la stornellata romana, il
virilismo mediterraneo contro la disponibilit "femminista", il culto delle armi contro la
liberazione lesbica ecc. Gli stereotipi sono prevedibili, ma la sensazione finale non
rassicurante, e lo spettatore finisce con l'identificarsi col peggio di s; gli elettori di destra o
di sinistra possono riconoscersi con tutte le loro debolezze, e uscire dal cinema con una
punta d'angoscia.
5.4 - Gli epigoni della commedia allitaliana
Nella seconda met degli anni Settanta si assiste a una commedia allitaliana ormai corrotta
e degenerata: proliferano i cosiddetti "Pierini", interpretati da un volgarissimo - anche se
oggi in odore di rivalutazione cinefila - Alvaro Vitali. La commedia diventa commediaccia e si
sposa sempre pi col genere sexy. Meglio, molto meglio, la "nuova commedia italiana" di
alcuni consapevoli epigoni come il citato Virz (allievo non a caso di Furio Scarpelli), o di
alcuni registi non necessariamente "specialisti" del comico.
Su questa linea si pu inserire, a mo di esempio, un film come Camerieri (1995) di Leone
Pompucci, altro regista dotato di grandi mezzi naturali: formatosi con la pubblicit, esordisce
al festival di Venezia 1993 con un film gustoso che si chiama Le mille bolle blu, un ritratto
d'ambiente, un puzzle di storie collettive in un condominio anni Sessanta; un prodotto che
segnala Pompucci come un regista capace di reggere bravi caratteristi e di manovrare con
sicurezza la macchina-cinema. E infatti l'operazione affidatagli con il secondo film di ampio
rischio: gli si mettono a disposizione, tutti insieme, come in un film di Natale, Diego
Abatantuono, Paolo Villaggio, Marco Messeri, Antonio Catania, ma il regista se la cava
abilmente, e si cimenta in una commedia allitaliana pi grottesca e vagamente surreale. La
commedia, del resto, sembra lunico sbocco stilistico possibile per la nuova generazione.
Anche per un problema produttivo: questo immortale genere sembra essere lunica forma di
cinema che si salva dai flop di incassi in una industria malata (o inesistente) come quella
italiana; e dunque produttori e committenze, pubbliche e private, premono in quella
direzione. "Contro il cinema dautore" diventa lo slogan dei dirigenti RAI, che contribuiscono
a creare un cinema "carino", sorridente ma esile, che finisce col condizionare tutto il
mercato.
Ho parlato di prodotti, di confezioni, di operazioni, volutamente, anche se emergono, negli
anni e in generazioni diverse, veri talenti. Tra questi, Gabriele Muccino alla fine degli anni
Novanta (Ecco fatto, 1998, Come te nessuno mai, 1999, e in particolare il fortunato Lultimo
bacio, 2000), o il gruppo dei cosiddetti "malincomici": alludo a Maurizio Nichetti, Alessandro
Benvenuti, Francesco Nuti, Massimo Troisi (lo stesso Verdone e in parte il primissimo Moretti
ne fanno parte), autori "comici" che per propongono un sorriso dolceamaro, uno sguardo
disincantato sullItalia a loro contemporanea.
Altri ritratti importanti della realt e dell'immaginario contemporanei - dal punto di vista
delle ideologie, dei comportamenti sentimentali e sessuali, dei tic quotidiani - vengono dai
primi film di Giuseppe Piccioni (Il grande Blek, 1988, Chiedi la luna, 1991, Cuori al verde,
1996), che insistono sulle memorie generazionali, o sulla commedia con componenti da road
movie, o sulla schermaglia amorosa a lieto fine. Oppure le variazioni sul tema di Felice
Farina, che coniuga un cinema "carino" con un piccolo graffio al sociale: ad esempio Bidoni
(presente alla Mostra di Venezia 1995) affronta sorridendo i temi paralleli delle dinamiche
sentimentali e dei gialli politico-ecologici nell'Italia del dopo-tangentopoli; o le tante altre
esercitazioni sulla commedia nel cinema degli anni Ottanta-Novanta che impossibile
mappare completamente in questa sede.
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5.5 - Gli altri generi
Tra i "generi" del cinema italiano non c solo commedia, anche se questa resta la fonte di
ispirazione e il modello di riferimento principale. Ci sono lhorror, il giallo, il poliziesco; c il
film "napoletano" con le sue varianti (il film-canzone, la sceneggiata, ecc.). Certo, non siamo
pi negli anni Cinquanta-Sessanta, quando nel cinema italiano proliferavano tanti generi
diversi, grazie anche a unindustria fiorente, grazie a un cinema "di profondit" e alla
fruizione di massa da parte del pubblico in sala. Il panorama ora diverso, ma anche in
questo caso bisogna distinguere tra la fase della fine degli anni Settanta e quella degli anni
Ottanta-Novanta.
Nella seconda met degli anni Settanta dominano abili mestieranti (che diventeranno a volte
registi cult per le generazioni a venire) come Enzo G. Castellari, Aristide Massaccesi, Marino
Girolami, Umberto Lenzi, Antonio Margheriti, Mariano Laurenti, Sergio Martino, che passano
da un genere allaltro, anche se la stessa articolazione dei generi va in questo periodo
spegnendosi. Non vale la pena fare una lista di titoli di film che non passano alla storia.
Va certamente citato, invece, Dario Argento, gi esploso allinizio degli anni Settanta, che nel
nostro periodo firma film come Suspiria (1977), Inferno (1980), Tenebre (1982),
Phenomena (1985), Opera (1987), Trauma (1992), e pi tardi La sindrome di Stendhal
(1996). Opere in cui lhorror "dautore" di Argento diventa sempre pi barocco e involuto.
Nellultima fase del secolo, la frequentazione dei generi sempre pi rarefatta, anche perch
di essi si impadronita ormai la televisione (specie per quanto riguarda le serie poliziesche
di lunga durata). Rimanendo nellambito del cinema horror, va citato Michele Soavi (La
chiesa, 1989; Dellamorte Dellamore, 1994, ispirato ai fumetti di Dylan Dog); c' poi il thriller
sociale, come Vite strozzate (1996) di Ricky Tognazzi, il gangster e il poliziesco, come
Poliziotti (1995) di Giulio Base.
5.6 - Tra generi e autorialit alla fine del secolo
Un autore con una sua identit gi pi precisa (e una rivendicazione della stessa nozione di
"autore") invece Guido Chiesa, filmaker torinese, che gioca coi "generi" nel suo Babylon,
ambientato appunto a Torino. Chiesa legato al paesaggio piemontese: lo nel suo film
desordio (Il caso Martello, 1991) e nel suo film pi maturo, Il partigiano Johnny (2000),
tratto dal romanzo di Fenoglio.
Un simile gioco sui "generi" - seppur estremamente cerebrale - il film di Salvatores Nirvana
(1997) [Fig. 19], altro prodotto su cui discutere per la novit che rappresenta. Abbandonata
la pista ormai sfruttata della commedia generazionale che gli ha dato notoriet (Kamikazen,
1988, Marrakesh Express, 1989, Turn, 1990, Mediterraneo, che vince lOscar come miglior
film straniero nel 1991), con Nirvana Salvatores si avventura in un'opera di tipo
internazionale: coniuga un cast europeo (Christopher Lambert) con la sua squadra di comici,
Diego Abatantuono, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Silvio Orlando, Gigio Alberti, pi Sergio
Rubini; mescola in un pastiche postmoderno Blade Runner e Strange Days, Thron e Johnny
Mnemonic, insomma tanti esempi del cinema cyber punk visionario, per condirli poi con un
humour tutto italiano e con un finale agrodolce. La trama un vecchio tema della
fantascienza (dove sono i limiti della realt, e cosa reale e cosa immaginario?), che per
Salvatores svolge con una maestria di chi ormai ha conquistato una tecnica raffinata.
Alla fine del secolo, dunque, il cinema italiano si interroga su come conciliare cinema
d'autore con cinema di genere, o si affanna - a volte inutilmente - per affondare
decisamente nelle radici dei generi, nell'illusione che si possa tornare agli anni Sessanta. Ma
i generi nascono da un'industria capace di diversificare il prodotto, in un mercato che
richiede il prodotto cinematografico. In Italia, quel prodotto e quel pubblico sembrano
scomparsi. Resta il grande flusso televisivo.
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Fig. 19 - Stefania Rocca e Gabriele Salvatores sul set di Nirvana, 1997.



6 - Il "giovane cinema"
6.1 - "Giovane" e "nuovo" cinema
In un incontro del 1994 in un cineclub fiorentino, Alessandro D'Alatri, uno dei registi pi
interessanti di questa next generation, invita a non usare pi l'espressione "giovane
cinema". C' un cinema di gente che ormai ha quarant'anni, un cinema che ha vinto gli
Oscar (Tornatore, Salvatores), i premi internazionali (Moretti, Tognazzi, lo stesso D'Alatri). E
soprattutto c' il cinema italiano nel senso pi vasto, al di l delle generazioni e delle schede
biografiche, che sta uscendo dalla sua crisi d'identit e di cultura.
Il "giovane" cinema, dunque, va cancellato come formula, ha ragione D'Alatri. Ma si pu
trovare un'altra maniera per identificare un "modo" di far cinema: "nuovo cinema", "nuova
onda", o semplicemente "film degli anni Novanta", cio un cinema che non pi un "cinema
di pap", dei pap Scola e Maselli, Comencini e Monicelli, Montaldo e Vancini, Lizzani e Olmi;
o degli "zii grandi", Bertolucci, Bellocchio, Avati.
Il dato storicamente pi eclatante il progressivo quanto inesorabile rarefarsi della presenza
dei vecchi nomi (vedi l'UD 3): a esclusione di Bernardo Bertolucci (con levidente forzatura
insita nel considerare "italiani" i suoi film), di Pupi Avati, forse, pi affine alla nuova
generazione (vedi 4.4), o di Tinto Brass - che continua a sfruttare il filone soft-core -,
spariscono via via (almeno dagli incassi) i nomi di Damiani, Montaldo, Olmi, Cavani, Dino
Risi, Bolognini. Soltanto Scola, Monicelli, Rosi e i Taviani riescono ancora a realizzare opere i
cui incassi (non sempre) superano il miliardo. Ad esclusione di Fellini, di Antonioni (vedi in
particolare 3.2), e rarissime altre eccezioni, negli anni Novanta nessuno di loro riesce pi a
piazzare i propri film tra i primi cinquanta titoli della stagione. Si liberano nuovi spazi di
visibilit per i giovani autori: andando a verificare lincidenza del cosiddetto "nuovo cinema"
sulla produzione nazionale dellultimo decennio, appare evidente una sua presenza sempre
pi marcata, parallelamente alla progressiva scomparsa delle vecchie leve. Fino a tutti gli
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anni Ottanta, i titoli che si possono far rientrare nella definizione di "nuovo" costituiscono
circa un terzo della produzione (e co-produzione) italiana. Se si tiene conto che dal 1986
all89 si vedono nelle sale rispettivamente 97, 109, 152 e 94 film italiani, la produzione pi
"giovane" in grado di proporre una trentina di opere allanno, una quantit non eccessiva
ma comunque gi in certa misura rilevante, considerato lo stato di salute generale del nostro
cinema di quegli anni. La musica varia verso tonalit pi gradevoli con gli anni Novanta. Nel
1990 e 91, a fronte di 130 e 111 film italiani usciti nelle sale, le opere degli autori pi
giovani sono almeno la met. Nel breve lasso di un paio danni il "nuovo cinema" si attesta
oltre il 50% e sembra finalmente giunto il momento del cambio della guardia e della tanto
agognata affermazione in termini di mercato.
Per tutti gli anni seguenti la presenza si fa sempre pi importante e cospicua, con una
crescita regolare e costante, e se si eccettua una piccola flessione nellannata critica del
1994, oggi il cosiddetto "nuovo cinema" rappresenta in media circa tre quarti della
produzione nazionale, in maniera inversamente proporzionale alla tendenza generale a
ribasso.
Quel cinema che negli anni Ottanta sembra quasi arrancare alla ricerca di un suo spazio e di
una sua identit - mediamente - pi visibile. E una maggiore visibilit significa anche un
maggiore potere e una maggiore libert.
6.2 - Il cinema degli anni Novanta
Il giudizio sullo stato di salute del cinema di questo periodo, specialmente dopo la seconda
met dei Novanta, cambia a ogni bollettino del box office, e le stesse cifre sono di non facile
interpretazione. Si pu notare un curioso paradosso: da un lato i dati segnalano un maggior
numero di film prodotti, un aumento degli spettatori cinematografici, l'apertura di molte sale
e multisale, una maggiore percentuale di incassi nel mercato interno; ma dall'altro, la
condizione del cinema italiano rimane molto arretrata, sia dal punto di vista economico-
industriale che da quello socio-culturale.
Secondo i dati del gennaio 1998, l'andamento del mercato lascia intravedere una tendenza
alla crescita: aumentano gli spettatori di 2.500.000 unit (+ 25,74% rispetto al gennaio
1997), aumentano gli incassi di 29 miliardi (+ 29,79 % rispetto all'anno precedente).
Secondo la Siae, che raccoglie i dati complessivi dell'annata 1996-97, cresce
complessivamente il numero dei biglietti staccati: da 86,8 milioni a 92,1 milioni (ovvero 5,3
milioni in pi, con un aumento percentuale di quasi il 6%); l'incremento degli incassi
ancora maggiore e passa dai 790 miliardi del 1995-96 a 859 miliardi del 1996-97, con una
crescita percentuale di quasi l'8%. Questi sono i dati che forniva Claudio Zanchi (uno dei
nostri maggiori esperti del settore, scomparso nel giugno 2002), che notava come fosse
proprio il cinema italiano, in questo quadro positivo, a essere premiato: i biglietti staccati per
la produzione nazionale nella stagione 1996-97 sono 44,7 milioni contro i 21,2 dell'anno
precedente, con un incremento di presenze di 3,4 milioni ("Il giornale dello spettacolo", n. 4,
6/2/1998).
Accanto alle luci, per, le ombre: cresce il numero dei film di successo (23 che guadagnano
pi di dieci miliardi), ma aumenta il numero dei flop, e, dato gravissimo, 66 film dei 986
distribuiti nelle sale non arrivano a incassare cento milioni, mentre altri 112 titoli non
arrivano al miliardo. Dunque, accanto a 70 miliardi guadagnati dal Ciclone (vedi 5.2), molti
film non incassano affatto, e basta che alcune pellicole vengano tenute in serbo per il festival
di Venezia che il mercato crolla; si registra un "andamento a forbice" dovuto anche a una
stagionalit esasperata e ristretta, che fa concentrare l'uscita in sala dei film e che ne
aumenta dunque il rischio di insuccesso. Difficile orientarsi, dunque, tra grida di allarme e
sorrisi di rassicurazione, ma sicuramente si deve registrare una profonda "mutazione" in
corso.

29
6.3 - Nuove mappe geografiche
Tra i motivi pi importanti bisogna registrare una nuova mappa geografica e produttiva del
cinema italiano, che non pi romanocentrico, ma viene ideato, girato e finanziato nelle
varie regioni, specie quelle che valorizzano il proprio dialetto e la propria tradizione come
fattori culturali fondamentali.
La nuova dislocazione della mappa produttiva italiana, sia per gruppi di lavoro e di
consanguineit artigianale, sia per aree territoriali e produttive, forse la novit pi
importante di un cinema italiano che era prima concentrato solo nella Roma di Cinecitt e
dintorni (RAI, Cinecitt, Gruppo pubblico, vale a dire l'Ente di gestione del cinema a
partecipazione statale ecc.). Oggi non si comprende il cinema contemporaneo se non si
identificano almeno un'area milanese, una napoletana, una siciliana, una toscana, e molte
altre zone geografiche ugualmente ricche di talenti, ma meno dotate di energie produttive
convogliate su opere omogenee.
Di queste zone, la napoletana quella che mostra un maggior collante anagrafico e creativo,
grazie alla presenza e al radicamento nel territorio di piccole societ e di grandi organizzatori
e direttori di produzione che hanno saputo creare un sistema e una rete produttivi
alternativo alla catena romana. Uno dei gruppi che diventato un modello estetico e
produttivo del tutto nuovo quello che gravita intorno a Napoli e alla Campania: oltre a
Mario Martone (vedi in particolare 7.1), che si pone ormai tra gli autori emergenti, troviamo
Pappi Corsicato, Antonio Capuano, Antonietta De Lillo, Stefano Incerti e, in maniera pi
defilata, Giuseppe Gaudino (dei quali si parler pi diffusamente in 6.4).
Corsicato appare alle cronache con Libera (1993), un filmetto fresco e ironico nato da un
cortometraggio, e prosegue con I buchi neri (1995), film non all'altezza dellesordio, che
segnala nel giovane napoletano un sicuro talento nel panorama italiano. Lopera seconda,
invece, sembra pi che altro un divertissement stilistico, una variazione sull'estetica del
postmoderno: in una Napoli popolata di prostitute e di travestiti, di handicappate e di
miracolate, Corsicato si diverte a fare una parodia di Pedro Almodovar, citandone i colori
elettrici, le provocazioni linguistiche, i comportamenti sessuali. La sua filmografia registra
ancora Chimera (2000), che gioca ironicamente con le strutture della narrazione e con le
dinamiche del melodramma.
6.4 - Napoletani e siciliani
L'opera collettiva I vesuviani (1997), "manifesto" produttivo del gruppo napoletano, un
film troppo presto stroncato dalla critica, mentre c' anche una riconoscibile linea estetica,
nei paesaggi, nei colori, nei costumi, nel tentativo di coniugare il gusto postmoderno e la
tradizione napoletana, il trash e Posillipo, nel desiderio di mettere insieme i generi pi
commerciali e una linea poetico-politica pi sotterranea. Pappi Corsicato gioca con le arti
marziali, innesta il kung fu e il road movie nel film di camorra, in un episodio pieno di
sarcasmo (bella l'idea del cactus all'americana, onnipresente e fintissimo). Stefano Incerti e
Antonio Capuano tentano la carta della favola (la storia di una polpessa che si trasforma in
principessa, e di un'ampolla che realizza i desideri); Antonietta De Lillo fa vibrare corde pi
tenere, ma sempre in una storia d'amore iperrealistica e colorata, protagonista una vedette
en travesti. E Mario Martone si avventura in un'ascesa metaforica sul vulcano, alla ricerca di
sotterranei bollori lavici, di sotterranee contraddizioni private e pubbliche; protagonista un
sindaco (tutti vi hanno riconosciuto lallora sindaco di Napoli Antonio Bassolino), onesto ma
alla fine impotente tra terremotati veri e macerie dei propri sentimenti e delle proprie
memorie, proteso alla sua ascensione verso gironi purgatoriali o infernali sempre pi tragici.
Tra i napoletani (pur non facendo parte del gruppo di Martone & C.), va citato anche
Giuseppe Gaudino, che realizza il duro Giro di lune tra terra e mare (1997) [Fig. 20], storia
di una famiglia di pescatori di Pozzuoli in mezzo a terremoti e drammi personali, girato con
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uno stile originale e visionario che conferma gli esordi sperimentali e anticonvenzionali
dell'autore.

Fig. 20 - Giro di lune tra terra e mare di Giuseppe M. Gaudino, 1997
Importante, in questa nuova geografia del cinema italiano, larea siciliana, in cui troviamo
registi che lavorano pi in sordina e in modo indipendente: Francesco Calogero, di cui vanno
segnalati il film desordio La gentilezza del tocco (1987) e il delicato Cinque giorni di
tempesta (1997), avventuroso viaggio attraverso l'Italia di un giovane chiamato alla leva e
travolto invece da mille strani personaggi che si passano un ideale testimone narrativo;
Pasquale Scimeca, di cui sono da vedere Il giorno di San Sebastiano (1993), I briganti di
Zabut (1997), Placido Rizzotto (2000), esempi di un cinema realistico (o super-realistico),
storico e ideologico che fa del cineasta siculo-fiorentino una "mosca bianca" nel panorama
italiano.
Il cinema anni Novanta, dunque, rivendica una propria, nuova mappa che geografica,
produttiva e stilistica insieme. In questo senso, affonda a piene mani nell'immaginario
cinematografico e nella tradizione del Sud, ma con uno stile tipico, Edoardo Winspeare in
Pizzicata (1996). Si tratta di un film prodotto dal Kuratorium Junger Deutscher in Germania,
dove Winspeare ha studiato, e diventato un piccolo caso (ha vinto al NICE di New York e il
premio Citt di Firenze 1998); ambientato nel Salento, Pizzicata mette insieme in un
universo citazionista il Visconti de La terra trema e il Rossellini di Viaggio in Italia, De Santis
e Pupi Avati, i Taviani e Bertolucci, in un progetto, per, unitario e genuino di Cinema.



7 - Una nuova mappa di autori
7.1 - D'Alatri, Martone
Proviamo ora a disegnare una nuova mappa di autori di un cinema italiano che, negli anni
Novanta, appare radicalmente mutata. Una mappa che naturalmente provvisoria, perch
molti di questi cineasti devono ancora maturare definitivamente, perch su alcuni di loro
impossibile dare un giudizio definitivo, come peraltro nei confronti di un periodo ancora
troppo vicino per essere storicizzato.
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Fig. 21 - Kim Rossi Stuart in Senza pelle di Alessandro DAlatri, 1994.
Il cinema di Alessandro D'Alatri certo di alta qualit: Senza pelle (1994) scopre la "pelle" -
appunto - non solo del cinema, ma anche della societ in cui viviamo [Fig. 21]. Anzi, D'Alatri
scortica quella pelle superficiale, scava in profondit, verso i tendini, i gangli aggrovigliati del
nostro vivere. Chi senza pelle, qui, il protagonista Saverio (Kim Rossi Stuart), il giovane
psicotico la cui "anormalit" appunto quella di essere indifeso, senza una corteccia
protettiva nei confronti della realt. Ma, cavalcando la metafora espressa dal film, senza
pelle anche l'immagine di societ che ne emerge, la Roma delle periferie, l'interno piccolo
borghese, la citt popolata di autobus di linea e di code postali; e, pi in generale, la realt
degli anni Novanta al di l della burletta o della maniera, un "reale" di ansie profonde e di
spiazzamenti generalizzati, trasversali alle classi e ai quartieri. Per questo Senza pelle un
film "politico", che radiografa l'Italia di oggi molto pi di un film di "denuncia", perch lo fa
attraverso una forma alta e una concentrazione dello sguardo. Eppure il film la storia
semplice di unimpiegata alle poste, convivente con un autista di autobus, che viene
improvvisamente seguita e resa oggetto di un impossibile desiderio da un giovane psicotico.
Altri film della carriera di DAlatri sono Americano rosso (1991, suo film desordio), I giardini
dellEden (1998) e, ormai nel 2002, la commedia agra Casomai; ma da segnalare anche
che DAlatri, insieme a Daniele Luchetti (vedi 7.4), uno dei registi pi gettonati di spot
pubblicitari.
Un altro territorio immaginario, un altro ritratto di citt e di follia quotidiana (ma guardata
con un occhio davvero intenso), la Napoli fotografata in L'amore molesto del citato Mario
Martone, il maggiore evento del cinema italiano del 1995 (presentato con grande clamore al
festival di Cannes). un labirinto di luoghi e rumori metropolitani; un coacervo di memorie e
di stati d'animo, un percorso psicanalitico dentro l'infanzia e dentro l'inconscio pi profondo,
a rivelare segreti a lungo rimossi. La storia, infatti, quella di una donna, napoletana ma
trapiantata a Bologna, che torna a Napoli in seguito alla morte della madre. L'atmosfera un
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misto di realismo fotografico (la Napoli contemporanea, piena di rumori puntualmente
registrati dalla presa diretta, universo agorafobico popolato di maschere inquietanti) e di
antirealismo di tipo teatrale. Martone, infatti, proviene dal teatro; esordisce al cinema con
lintenso Morte di un matematico napoletano (1992) [Fig. 22], e prosegue poi con - il titolo
emblematico - Teatro di guerra (1998), un film di una intensit straordinaria: storia di un
gruppo teatrale "povero" napoletano che decide di portare la tragedia greca che sta
preparando a Sarajevo, durante la guerra. Storia autobiografica dello stesso Martone, ma
anche saggio di cinema e teatro, esperimento di macchina da presa in libert, che segue gli
attori quasi invisibile, al servizio dell'azione scenica. Ma il film teatrale diventa, nelle mani di
Martone, anche melodramma e sceneggiata napoletana (il guappo camorrista ammazzato a
pistolettate dalla moto) riletta in modo drammaticamente moderno. Una fotografia un po'
mossa dei sentimenti, delle passioni, delle ideologie, delle culture, in un'Italia che si allarga
all'Europa e al mondo.

Fig. 22 - Mario Martone sul set di Morte di un matematico napoletano, 1992.
7.2 - Calopresti, Soldini
Altro giovane autore da segnalare Mimmo Calopresti. Il suo La seconda volta va in
concorso a Cannes nel 1996, con protagonista Nanni Moretti (che anche produttore del
film). Nel film (sceneggiato da Francesco Bruni, uno degli emergenti della nuova
generazione; vedi 5.3), viene messo in scena l'incontro tra due generazioni e due ideologie:
infatti la storia di una "seconda volta" in cui il destino fa incontrare un ex dirigente della
Fiat, ora diventato un meditabondo professore universitario, e la brigatista rossa che a suo
tempo ha tentato di ucciderlo. Il professore (Nanni Moretti) ha ancora in testa la pallottola
sparatagli dalla donna (Valeria Bruni Tedeschi), e si sempre rifiutato di operarsi [Fig. 23].
Si tratta di un film che non concede nulla al puro spettacolo, un film omogeneo e non
compromissorio, difficile ma rigoroso nella sua scelta di non cadere nella banalizzazione che
il tema avrebbe pericolosamente permesso. Il successivo film di Calopresti, La parola amore
esiste (1998), un apologo sulla vita, sull'amore come prospettiva del mondo, come
metafora dell'esistere, del ricercare la felicit. la storia di una giovane donna, nevrotica e
quasi paranoide, ossessionata dai dettagli della psicopatologia quotidiana (le strisce per
terra, le mattonelle da saltare, i numeri, i colori), che si innamora di un pi maturo
insegnante di violoncello. Nella ricerca dell'amore, vengono fuori per anche i conflitti
interiori della donna e di tutti i personaggi che le ruotano intorno, dallo psicanalista all'amica
con problemi mentali. un mondo senza felicit e senza identit, ma c' uno spiraglio di
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luce, un pizzico di speranza. Come nel finale del successivo film di questo regista, Preferisco
il rumore del mare (2000), storia di un giovane calabrese che emigra a Torino.

Fig. 23 - Nanni Moretti e Valeria Bruni Tedeschi ne
La seconda volta di Mimmo Calopresti, 1997.
Su un versante simile possiamo porre Silvio Soldini, uno degli autori pi rappresentativi della
nuova generazione, dotato di una cifra stilistica riconoscibile. Spesso accusato di essere
eccessivamente "algido", Soldini riesce invece a sorprendere alternando a fosche atmosfere
di dramma (come nel suo film del 2002, Brucio nel vento) sprazzi di commedia intelligente
( il caso di un film fortunato, Pane e tulipani, 2000).
Soldini uno dei pochi autori degli anni Novanta che abbiano seguito un percorso di
coerente crescita stilistica, con un suo universo identificabile e la capacit di raccontarlo.
Paesaggio con figure, suo primo mediometraggio, realizzato al termine di un corso alla New
York University, evidenzia con chiarezza i due poli dialettici attorno a cui si strutturer tutto
il cinema di Soldini: da un lato un paesaggio frantumato e desertificato, dall'altro delle figure
abbozzate, non ancora personaggi, schizzi, ombre. Giulia in ottobre, girato all'inizio degli
anni Ottanta, la storia di quotidiana sopravvivenza di una donna incerta sulle sue scelte,
chiusa nei suoi umori autunnali; ci sono gi l delle arie riconoscibili, una rappresentazione
del mondo in linea con le opere successive. I due lungometraggi successivi ne provano il
sicuro talento: L'aria serena dell'Ovest (1990) e Un'anima divisa in due (1993). Il primo un
ritratto collettivo di una Milano completamente diversa da quella falsamente ottimista degli
anni Ottanta, radiografata nei suoi paesaggi urbani e nei suoi paesaggi umani, tra cui
soprattutto i ritratti femminili; il secondo la storia di un uomo qualunque (vigilante in un
grande magazzino) che si innamora di una giovane zingara e fugge da Milano per
intraprendere un ennesimo "viaggio in Italia". Molte, come si vede, le costanti: il paesaggio
metropolitano (fotografato sapientemente da Luca Bigazzi, cui Soldini deve molto della sua
poetica), il road movie anche come omaggio a certo genere americano, la ricerca di tracce e
indizi di una realt sempre meno decifrabile. E poi la cifra autoriale riconoscibile nelle
inquadrature sempre rigorose, al limite del formalismo, il fotogramma ricco di sfumature,
spesso ottenute con un teleobiettivo e la sfocatura dell'ambiente attorno al personaggio,
soprattutto negli esterni notte.
Una poetica che viene confermata da Le acrobate (1997). Le "acrobate" sono tre statuine
conservate al museo di Taranto, attorno a cui si incontrano le due protagoniste del film, Licia
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Maglietta e Valeria Golino. Tre figurine che volteggiano leggere ed eteree, ma anche in
equilibrio precario, come le vite delle due donne raffigurate nel film: da un lato una
ricercatrice di Treviso, che conduce una vita normale e borghese di professionista seria, di
donna separata, senza figli, con un nuovo compagno affettuoso; dall'altro una ragazza di
Taranto, sposata con un uomo frustrato e volgare, con una bambina stralunata. Due donne
diversissime, che hanno per inconsapevoli caratteristiche comuni, segreti legami che le
uniscono e che vengono fuori grazie al fortuito incontro della donna del nord con una
barbona di origine slava: alla morte della vecchia, la donna si trova "erede" di tutta una
serie di oggetti e di memorie (tra cui una cartolina relativa alle "acrobate") che la portano a
ricercare l'identit dell'altra. Un cinema, insomma, sempre al confine tra normalit e follia.
Soldini si dimostra, come i suoi personaggi, un acrobata dolceamaro, in miracoloso equilibrio
sul precipizio, un po come il cinema italiano.
7.3 - Cipr e Maresco, Tornatore
Accomuniamo qui volutamente tre cineasti siciliani molto diversi, e che non si amano.
Daniele Cipr e Franco Maresco sono notissimi gi prima dellesordio al cinema: firmano
infatti delle "strisce" televisive, la serie grottesca di Cinico Tv, con i suoi personaggi deformi,
con le sue visioni surreali di una Sicilia degradata. Il film con cui Cipr e Maresco approdano
alla pellicola e al lungometraggio porta alle estreme conseguenze quello stile e quelle
ambizioni, con un film controverso che causa varie polemiche e che fa gridare al miracolo
qualche critico: Lo zio di Brooklyn (1995) [Fig. 24]. Dietro alla apparente goliardia
demenziale del duo palermitano c' la tradizione del surrealismo (citano dichiaratamente
Man Ray e il Buuel surrealista), ci sono un po di Pasolini (nella scelta di certe facce di
borgata), e un po di Fellini (nel finale alla 8 e , dove i personaggi escono pian piano di
scena come i clowns felliniani); e c' persino una parodia di Ladri di biciclette, quando a un
anziano ciclista (altro eroe di Cinico TV), viene rubata la bicicletta da corsa, e il vecchio gira
per la citt stralunata del film alla ricerca del suo bene. Cipr e Maresco vogliono pater la
bourgeoisie (= scandalizzare la borghesia); quando per non ci riescono, resta la goliardia
immotivata, il peto fine a se stesso.

Fig. 24 - Lo zio di Brooklyn, di Daniele Cipr e Franco Maresco, 1995.
Tutto questo universo spasmodicamente machista (non esistono donne e anche le parti
femminili sono interpretate da uomini), dichiaratamente stereotipo (la mafia ritratta coi modi
del fumetto), parossisticamente negativo e pessimista (la citt dominata da cani rabbiosi) a
volte "puzza" (il termine di Cipr e Maresco) di operazione razionale, pensata a tavolino
piuttosto che sentita con lo stomaco. il caso di Tot che visse due volte (1998), un film
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stilizzato anche nelle sue "puzze", formalista anche quando esibisce rutti e peti, in una
Palermo metonimica di un'Italia degradata eppure disposta a irridersi sino all'esalare
dell'ultimo respiro, come un personaggio boccaccesco.
Un altro "grande" siciliano Giuseppe Tornatore che, con Nuovo Cinema Paradiso, film dalle
inusitate vicissitudini, dal flop all'Oscar, costruisce un manifesto della nostalgia cinefla dal
punto di vista della nuova generazione di cineasti. infatti la storia, dall'intreccio semplice
anche se dall'impianto complesso, di un regista ormai affermato, percorso da turbe
esistenziali tipiche della mezza et, che ritorna alle origini, alla sua terra - la Sicilia del
dopoguerra - e ripercorre la sua infanzia e adolescenza attraverso una doppia storia
d'amore: l'amore per una donna e l'amore per il Cinema. Si tratta di un viaggio, dunque,
anche alle radici del cinema italiano, che Tornatore cita ampiamente.
Altra riflessione metalinguistica di Tornatore, sempre sul terreno della Storia - come
complesso intreccio di storia sociale, memoria privata, immaginario collettivo - e della storia
del cinema, quella del film presentato al festival di Venezia 1995, L'uomo delle stelle
(1995). Anche questo un film che divide critica e pubblico, come sempre accade d'altronde
coi film di Tornatore; anche L'uomo delle stelle non pu convincere tutti e del tutto, perch
volutamente provocatorio, sopra le righe, innamorato del rischio filmico. la storia di un
simpatico imbroglione che negli anni Cinquanta attraversa la Sicilia a bordo di un camioncino
attrezzato con macchina da presa e vari marchingegni cinematografici, per fare dei "provini"
alla gente, per scoprire volti nuovi; propone, cio, dei test filmati a pagamento, con la
promessa di introdurre poi i nuovi "clienti" nel mondo dello spettacolo.
Tornatore rischia spesso il clich, la maschera facile segnata dal grottesco, il bozzetto, lo
stereotipo. In tutti i casi, per, capace di esibire, a volte un po narcisisticamente, un
grande talento nella messa in scena; come accade ne La leggenda del pianista dellOceano
(1998), film colossale tratto da un testo teatrale dello scrittore Alessandro Baricco [Fig. 25].
Meno interessante, invece, il suo ultimo Malna (2000), improbabile storia d'amore tra un
adolescente e una donna chiacchierata nella Sicilia del '43.

Fig. 25 - Tim Roth ne La leggenda del pianista sulloceano di Giuseppe Tornatore, 1998.
7.4 - Mazzacurati, Luchetti e gli altri
Tra i registi che hanno maturato pi di altri, tra gli anni Ottanta e la fine del secolo, una
professionalit indiscutibile, vanno sottolineati Carlo Mazzacurati e Daniele Luchetti.
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Laccostamento viene naturale, perch entrambi hanno esordito grazie a Moretti (vedi 4.1),
che, alla fine degli Ottanta, attraverso la sua appena costituita Sacher Film produce Notte
italiana (Mazzacurati) e Domani accadr (Luchetti). Dopo questo fortunato lancio, i due
cineasti raffineranno sempre di pi il loro talento.

Fig. 26 - Vesna va veloce di Carlo Mazzacurati, 1996.
Mazzacurati, padovano, viene dallo stesso gruppo cui appartiene lo sceneggiatore - e poi
regista - Enzo Monteleone (che firma La vera vita di Antonio H., 1994, e Ormai fatta,
1999). Dopo lincontro con Moretti, Mazzacurati prosegue la sua carriera con Il prete bello
(1989), Il toro (1994), Unaltra vita (1992), Vesna va veloce (1996) [Fig. 26], La lingua del
santo (2000), film che dimostrano una solida capacit di dirigere gli attori e un buon
controllo della struttura narrativa. Unaltra vita, in particolare, e Vesna va veloce restano i
suoi migliori: in entrambi c la storia di una donna slava che entra in contatto con un
"piccolo uomo" italiano, provocando disastri. Nel primo, Silvio Orlando a essere coinvolto in
una fosca trama grazie alla ragazza russa che gli piomba in casa; nel secondo, Antonio
Albanese (noto comico qui in un ruolo drammatico) a invaghirsi di una prostituta dellEst,
che rivendica la sua libert e la sua impossibilit a essere irreggimentata.
Luchetti, ex aiuto di Moretti, ha proprio il suo mentore come produttore e protagonista de Il
portaborse, film che coglie il clima politico in corso poco prima di "Tangentopoli" (la fase
politica italiana in cui si scoprono le varie corruzioni e camarille dellItalia tra politica e
finanza). Dirige poi vari altri film, tra cui Piccoli maestri (1998), dal romanzo di Luigi
Meneghello, una storia damore e di passione partigiana durante la Resistenza.
Ma la lista dei bravi cineasti non si esaurisce con loro. In questa - provvisoria - mappatura
degli autori degli anni Novanta [Fig. 27], ci sono ovviamente molti altri nomi, che sarebbe
impossibile citare qui. Si pu dire che esiste una linea sperimentale: quella di Non ho parole
di Pasquale Misuraca, Dal Polo allEquatore di Yervant Giannikian e Angela Ricci Lucchi, dei
film indipendenti di Silvano Agosti, di Piccoli orrori di Tonino De Bernardi, di Figli di Annibale
di Davide Ferrario, Garage Olimpo e Hijos di Marco Bechis, degli atipici documentari di
Piavoli - Il pianeta azzurro (1982) e Nostos, il ritorno (1989) -, dell'arte elettronica di Gianni
Toti, ecc. A questa linea sperimentale si contrappone una linea "perbenista", erede della
commedia all'italiana pi che del neorealismo, attenta ad andare incontro al pubblico (Marco
Risi, Ricky Tognazzi, Roberto Faenza, Francesca Archibugi ecc.). Altri autori, diversi tra di
loro, si situano a mezza strada tra sperimentalismo e realismo: il citato (4.3) Paolo
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Benvenuti, Alessandro Benvenuti almeno in due film (Zitti e Mosca, 1991, e Ritorno a casa
Gori, 1996), Daniele Segre con Manila Paloma Blanca (1993) e unintensa attivit di
documentarista e videomaker.

Fig. 27 - Alullo Drom di Tonino Zangardi, 1993.
C insomma un pullulare di autori e di opere che fa pensare che il cinema italiano sia uscito,
allinizio del nuovo millennio, dalla sua pluridecennale crisi. Ma ancora presto per dare un
giudizio storico definitivo. "Ai posteri lardua sentenza", o magari al prossimo modulo sul
ventunesimo secolo.
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Bibliografia
Lino Miccich (1997), Il cinema del riflusso. Film e cineasti italiani degli anni '70, Venezia,
Marsilio.
Lino Miccich (1998), Schermi opachi. Il cinema italiano degli anni '80, Venezia, Marsilio.
La televisione presentaLa produzione cinematografica della Rai 1965-1975 (1988), a cura
di F. Pinto, G. Barlozzetti, C. Salizzato, Venezia, Marsilio.
Vito Zagarrio (1998), Cinema italiano anni novanta, Venezia, Marsilio.
Vito Zagarrio (2001), Cinema italiano anni novanta, Venezia, Marsilio.

Letture consigliate
Mino Argentieri (1998), Storia del cinema italiano, Roma, Editori Riuniti.
Gian Piero Brunetta (1993), Storia del cinema italiano, vol. 4, Dal miracolo economico agli
anni novanta, Roma, Editori Riuniti.
Il cinema della transizione. Scenari italiani degli anni Novanta (2000), a cura di Vito
Zagarrio, Venezia, Marsilio.
Il cinema italiano del terzo millennio. I protagonisti della rinascita (2002), a cura di F.
Montini, Torino, Lindau.
Fernaldo Di Giammatteo (1994), Lo sguardo inquieto. Storia del cinema italiano (1940-
1990), Firenze, La Nuova Italia.
Una generazione in cinema. Esordi ed esordienti italiani 1975-1988 (1988), a cura di F.
Montini, Venezia, Marsilio.
Millicent Marcus (2002), After Fellini, National Cinema in the Postmodern Age, London-
Baltimore, John Hopkins University.
Lino Miccich (1995), Cinema italiano: gli anni '60 e oltre, Venezia, Marsilio.
La "scuola" italiana. Storia, strutture e immaginario di un altro cinema (1988-1996) (1998),
a cura di Mario Sesti, Venezia, Marsilio.
Mario Sesti (1994), Nuovo cinema italiano. Gli autori, i film, le idee, Roma-Napoli, Theoria.

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