CANTO VI E CONFRONTO - Odt
CANTO VI E CONFRONTO - Odt
CANTO VI E CONFRONTO - Odt
Virgilio indica a Dante un'anima che se ne sta in disparte e guarda verso di loro, che potr indicare
la via pi rapida per salire. Raggiungono quell'anima che, come si sapr, lombarda, e sta con
atteggiamento altero e muove gli occhi in modo assai dignitoso. Lo spirito non dice nulla e lascia
che i due poeti si avvicinino, guardandoli come un leone in attesa. Virgilio si avvicina a lui e lo
prega di indicargli il cammino migliore, ma quello non risponde alla domanda e gli chiede a sua
volta chi essi siano e da dove vengano. Virgilio non fa in tempo a dire Mantova... che subito
l'anima va ad abbracciarlo e si presenta come Sordello, originario della sua stessa terra.
Dante a questo punto prorompe in una violenta invettiva contro l'Italia, definita sede del dolore e
nave senza timoniere in una tempesta, non pi signora delle province dell'Impero romano ma
bordello: l'anima di Sordello stata prontissima a salutare Virgilio solo perch ha saputo che della
sua stessa terra, mentre i cittadini italiani in vita si fanno guerra, anche quelli che abitano nello
stesso Comune. L'Italia dovrebbe guardare bene entro i suoi confini e vedrebbe che non c' parte di
essa che gode la pace. A che servito che Giustiniano ordinasse le leggi se poi non c' nessuno a
metterle in pratica? Gli Italiani dovrebbero permettere all'imperatore di governarli, invece di
lasciare che il paese vada in rovina, affidato a gente incapace. Dante accusa l'imperatore Alberto I
d'Asburgo di abbandonare l'Italia, diventata una bestia sfrenata, mentre dovrebbe essere lui a
cavalcarla: si augura che il giudizio divino colpisca duramente lui e i discendenti, perch il
successore ne abbia timore. Infatti Alberto e il padre (Rodolfo d'Asburgo) hanno lasciato che il
giardino dell'Impero sia abbandonato: Alberto dovrebbe venire a vedere le lotte tra famiglie rivali,
gli abusi subti dai suoi feudatari, la rovina della contea di Santa Fiora. Dovrebbe vedere Roma che
piange e si lamenta di essere abbandonata dal suo sovrano, la gente che si odia, e se non gli sta a
cuore la sorte del paese dovrebbe almeno vergognarsi della sua reputazione. Dante si rivolge poi a
Giove (Cristo), crocifisso in Terra per noi, e gli chiede se rivolge altrove lo sguardo oppure se
prepara per l'Italia un destino migliore di cui non si sa ancora nulla. Le citt d'Italia, infatti, sono
piene di tiranni e ogni contadino che sostenga una parte politica viene esaltato come un Marcello.
Dante osserva ironicamente che Firenze pu essere lieta del fatto di non essere toccata da questa
digressione, visto che i suoi cittadini contribuiscono alla sua pace. Molti sono giusti e tuttavia sono
restii a emettere giudizi, mentre i fiorentini non hanno alcun timore e si riempiono la bocca di
giustizia; molti rifiutano gli uffici pubblici, mentre i fiorentini sono fin troppo solleciti ad assumersi
le cariche politiche. Firenze dev'essere lieta, perch ricca, pacifica e assennata: Atene e Sparta,
citt ricordate per le prime leggi scritte, diedero un piccolo contributo al vivere civile rispetto a
Firenze, che emette deliberazioni cos sottili (cio esili) che quelle di ottobre non arrivano a met
novembre. Quante volte la citt, a memoria d'uomo, ha mutato le sue usanze! E se Firenze bada
bene e ha ancora capacit di giudizio, ammetter di essere simile a un'ammalata che non trova
riposo nel letto e cerca di lenire le sue sofferenze rigirandosi di continuo.