Area Igienico Sanitaria

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CORSO O.S.S.

FAD

AREA IGIENICO-SANITARIA

N.1 (MODULO DI BASE) ELEMENTI DI ECONOMIA DOMESTICA n.10

Svolgendo competenze di tipo misto, che abbracciano sia l’ambito sociale che quello
squisitamente sanitario (soprattutto nel caso dell’operatore socio-sanitario con formazione
complementare in assistenza sanitaria), l’O.S.S. può prestare la sua attività in diversi
contesti tipo.
In particolare, in servizi residenziali quali, ad esempio:
- Case protette (Vedi 2 sezione Seconda di questo Capitolo);
- Case albergo (altrimenti dette “mini alloggi”), che sono gruppi di mini appartamenti
destinati a persona anziane autosufficienti, dotati di tutti gli accessori per consentire una
vita autonoma;
- Comunità alloggio o gruppo appartamento, piccole strutture o appartamenti strutturati
come vere e proprie comunità familiari destinate ad accogliere persone anziane con un
adeguato grado di autonomia o persone in stato di difficoltà sociale, in cui sono presenti
camere autonome e spazi ad uso comune. Si caratterizzano per la presenza programmata
di operatori socio-sanitari, anche di notte, ed educatori;
- Residenze sanitarie assistenziali ( vedi 3 sezione Seconda di questo Capitolo).
Altri luoghi di lavoro sono i servizi semiresidenziali, intendendo con tale espressione:
- Centri diurni integrati (cd.CDI) destinati all’accoglienza di anziani e disabili (vedi 5
sezione Seconda di questo capitolo);
- Centri socio-riabilitativi (vedi sezione Seconda di questo Capitolo);
Infine, vanno prese in considerazione le strutture del Servizio sanitario nazionale
attraverso le quali esso esplica le sue finalità assistenziali e sanitarie nei confronti degli
assistiti:
- Servizi di assistenza domiciliare, anche integrata (vedi 7 di questo Capitolo);
- Centri di accoglienza quali consultori (vedi sezione Seconda di questo Capitolo) o
SERT (vedi Sezione Seconda di questo Capitolo);
- Dipartimenti di salute mentale ( vedi 4 Sezione Prima, Capitolo III, Parte VI);
- Distretti sanitari di base (vedi 7 Capitolo I, Parte II).
1. LA CASA PROTETTA
A) Gli ospiti
In questa struttura vengono accolti anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti
(per stati degenerativi tipici della vecchiaia o per motivi legati a specifiche patologie
pregresse e stabilizzate), privi di validi supporti familiari e parentali e, quindi, nella
impossibilità di permettere una adeguata assistenza domiciliare. Tale struttura
assistenziale si ispira ai seguenti principi:
- Rispetto dell’anziano;
- Programmazione sistematica degli obiettivi da conseguire;
- Divisione delle responsabilità, stabilite e individuabili;
- Interdisciplinarietà e multidisciplinarietà del piano di lavoro;
- Integrazione globale con le risorse sul territorio;
- Lavoro d’èquipe e di gruppi.
Nella casa protetta per anziani non autosufficienti il numero degli ospiti sarà necessariamente di
misura ridotta e, anche grazie a ciò, l’avvio del piano assistenziale avviene con la raccolta dei dati, a
cui segue la registrazione sulla scheda VAOR (Valutazione anziano ospite in residenza) che
preferibilmente si svolge dal 14° al 21° giorno.
La scheda VAOR è la versione italiana del Sistema RAI (Resident Assessment Intrument).
La traduzione, la validazione e la diffusione dello strumento VAOR sono merito della cattedra di
Gerontologia e Geriatria dell’Università Cattolica di Roma.
Lo strumento originale venne commissionato dal Governo degli U.S.A., dopo la legge OBRA 1987,
a un gruppo di esperti a cui fu chiesto di redigere una scheda di valutazione multidimensionale che
potesse essere utilizzata in tutte le nursing homes degli Stati Uniti. Il fine era di fornire a tutto il
personale infermieristico uno strumento di lavoro similiare e tale da rendere possibile un modello di
qualità, e di creare una banca dati di tutte le nursing homes degli Stati Uniti.
La scheda di valutazione elementare del residente permette l’elaborazione di un piano di assistenza
infermieristica individuale, che favorisca il massimo livello di recupero fisico, mentale e
psicosociale dell’anziano in residenza.
B) L’equipe di lavoro
L’équipe di lavoro nella casa protetta è composta: dall’infermiere professionale, dagli
operatori di base (tra cui l’O.S.S. e l’O.S.S. con formazione complementare in assistenza
sanitaria), dal fisioterapista, dal medico, da un assistente di base-tutor, dal responsabile delle
attività assistenziali e dal coordinatore dell’intero team. Quest’ultimo ha il delicato compito
di creare e mantenere un clima di fiducia e di comprensione reciproca nella struttura e
durante le riunioni, di curare il corretto funzionamento del flusso informativo e di sostenere
la creatività e la produttività del gruppo, garantendo la divisione del lavoro e degli impegni
organizzativi e metodologici. Nella casa protetta gli infermieri professionali hanno l’intera
responsabilità dell’assistenza degli anziani. Gli operatori di base, tra cui l’O.S.S. e
l’O.S.S. con formazione complementare in assistenza sanitaria, identificano i bisogni
del paziente e analizzano i dati che poi trasmettono all’équipe. Il responsabile delle attività
assistenziali e l’assistente di base-tutor hanno il compito, tra l’altro, di preparare la relazione
della visita domiciliare all’anziano, che precede il suo ingresso nella casa protetta. Questa
strategia ha lo scopo di fornire a tutti gli operatori un quadro il più possibile preciso delle
esigenze dell’utente, e di dare all’anziano la possibilità di essere informato sulla quotidianità
e sui servizi della struttura.
C) La metodologia di intervento
L’analisi di tutti i dati raccolti è finalizzata alla coordinazione e definizione del PAI (Piano
di Assistenza Individualizzato): analizzando i problemi reali o potenziali dell’anziano,
definendo obiettivi, priorità, decisioni operative, tempi e verifica di figure coinvolte, si
giunge alla individuazione delle aspettative assistenziali dell’utente. In questa fase vengono
formalizzati o modificati gli interventi già attuati prima della stesura del PAI, secondo una
logica di priorità riportando su schede inserite nella cartella infermieristica le decisioni per
ogni problema.
Il ruolo che svolge il PAI è fondamentale per:
- Mettere al centro dell’attività assistenziale il paziente nella sua globalità e non la
specifica patologia;
- Definire in modo chiaro tutte le fasi dell’intervento assistenziale di gruppo;
- Consentire una specificazione chiara e succinta dei problemi evidenziati;
- Avere un valido strumento ricco di informazioni utilizzabile ai fini della ricerca;
- Avere a disposizione dati omogenei.

Altrettanto importante è l’esposizione al collettivo di nucleo del risultato del team: il


gruppo così viene a conoscenza di tutte le decisioni operative e spetta all’assistente di base-
tutor la compilazione di una scheda riassuntiva con informazioni estrapolate dal PAI che, di
regola, è contenuta anch’essa nella cartella infermieristica.
La scheda VAOR viene verificata a scadenze fisse (di solito trimestralmente), pur lasciando
al team la facoltà di fissare tempi diversi per specifici problemi. A ogni scadenza il PAI
viene verificato, modificando o confermando la decisione che il gruppo di lavoro ha
adottato. Da questa attività scaturisce, a sua volta, la relazione di collettivo. L’incontro di
nucleo (collettivo plenario mensile verbale o collettivo di nucleo settimanale verbale)
coinvolge un ristretto numero di operatori ed è organizzato in base all’ordine del giorno, per
accrescere lo spazio di discussione sull’anziano e facilitare l’aggiornamento e la valutazione
del PAI.
L’impegno degli operatori si traduce principalmente nel seguire con la massima attenzione
questi strumenti e soprattutto nel trascrivere accuratamente l’evoluzione del piano di
assistenza individualizzato e le testimonianze dei bisogni dell’anziano. Occorre anche,
quando la situazione lo richieda, saper modificare lo strumento stesso o elaborare uno
strumento nuovo per un diverso contesto e, quindi, un diverso bisogno.
Con questi strumenti si intende attenuare al massimo gli effetti negativi della
istituzionalizzazione, che sono rilevanti nel caso della non autosufficienza (specie
quando questa è correlata alla povertà e alla riduzione del nucleo familiare).
L’esistenza all’interno del piano operativo di un largo spazio dedicato al servizio di
animazione, alleggerisce e spesso ricrea anche la dimensione del tempo libero. Infatti vi
sono anziani che pur potendo soddisfare totalmente o parzialmente i bisogni primari,
sono esclusi da: cinema, ferie, divertimenti. Il piano assistenziale della casa protetta,
prevedendo alcune di queste attività, riesce a migliorare la qualità della vita e a dare
quegli stimoli utili per mantenere in attività corpo e mente.

N. 2 (MODULO DI BASE) ELEMENTI DI IGIENE PERSONALE n. ore 25

ELEMENTI DI IGIENE
2. DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELL’IGIENE

L’igiene è quella branca della medicina che ha come scopo lo studio e la messa in atto di
tutti gli interventi finalizzati al mantenimento dello stato di salute dell’individuo e della
comunità. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità): “la salute è uno stato di
completo benessere fisico, psichico e sociale e non meramente l’assenza di malattia o
infermità. Tale complessità d’intenti implica, necessariamente, una varietà di campi e livelli
d’azione, che il crescente sviluppo tecnologico, e le sue conseguenze non sempre positive,
hanno contribuito ad ampliare. In passato, infatti, l’igiene veniva suddivisa soltando in due
settori: igiene personale – riguardante le condizioni atte al mantenimento dello stato di
salute individuale – e igiene pubblica, relativa al mantenimento dello stato di salute della
collettività. Negli ultimi decenni a questi due settori se ne sono agigunti altri, quali l’igiene
ambientale, l’igiene sociale o della comunità, l’igiene alimentare, l’igiene del lavoro etc.

Sezione Prima
Igiene Personale
- L’IGIENE PERSONALE DELL’ASSISTITO

D) Generalità
Questa branca dell’igiene non può essere ignorata da chi ha il compito di fornire
assistenza a persone bisognose, siano esse ammalate o sane. Inoltre, dato lo stretto
legame tra igiene personale e igiene collettiva, la conoscenza di tali norme dovrebbe fare
parte del bagaglio culturale di ogni cittadino, a prescindere dall’attività svolta e dal
grado di istruzione posseduto.
L’igiene personale riguarda le norme igieniche atte a mantenere lo stato di salute
dell’individuo e, in particolare quelle riguardanti la pulizia del corpo. Le pratiche di
pulizia personale, che consistono nel lavaggio completo di tutto il corpo, hanno lo scopo
di eliminare quelle sostanze di origine esterna (ad esempio polvere), o interna (ad
esempio sudore), il cui accumulo può nuocere al normale funzionamento dell’organismo
e ridurre le possibilità di difesa dall’attacco di microrganismi patogeni. Oltre alla
quotidiana pulizia del corpo, per una corretta igiene personale è fondamentale curare il
vestiario, che dovrà essere sempre pulito, adatto alla temperatura esterna e al tipo di
attività da svolgere.
Il concetto d’igiene personale si estende anche all’equilibrio psico-sociale
dell’individuo, che è alla base dei rapporti interpersonali. In tale ottica, per stato di
salute si intende un inserimento armonico nel contesto sociale.
L’operatore socio-assistenziale di base ha il compito di provvedere all’igiene personale
dell’assistito nei casi in cui questo non sia in grado di provvedervi autonomamente. Una
corretta igiene personale, oltre a ridurre il rischio di infezioni, ha anche una notevole
importanza dal punto di vista psicologico perché contribuisce ad evitare che il soggetto
si lasci andare all’abbrutimento e perda la stima di sé.
E) L’igiene mattutina
Prima di iniziare le abluzioni mattutine, l’addetto all’assistenza si deve procurare gli
strumenti indispensabili per portare a termine la sua opera senza doversi allontanare
dall’assistito.
Tali accessori consistono in:
- Sapone;
- Spugna;
- Bacinella;
- Batuffoli di garza;
- Collutori e bicchieri monouso per l’igiene orale;
- Eventuali prodotti per la cura dei capelli e della barba;
- Paravento;
- Padella;
- Guanti monouso;
- Asciugamani.
Le cure igieniche del mattino comprendono:
- Il lavaggio del viso e delle mani;
- La pulizia dei denti e della bocca;
- La pulizia dei padiglioni auricolari;
- Il lavaggio dei piedi e la cura delle unghie;
- L’eventuale rasatura della barba e la cura dei capelli;
- L’igiene intima.
Esistono casi in cui, pur non essendo in grado di recarsi in bagno, gli assistiti possono eseguire da
soli la pulizia personale, e perciò ricevono a letto la catinella con l’acqua e il materiale necessario.
Altre volte, invece, gli assistiti sono in grado di praticare da soli l’igiene parziale recandosi in
bagno, ma hanno difficoltà nella deambulazione, e necessitano dell’assistenza dell’operatore. Il
momento migliore per praticare la pulizia mattutina è prima di colazione. Prima di iniziare le cure
igieniche, è buona norma chiedere all’assistito se ha bisogno di urinare o defecare.
Il materiale di pulizia va sistemato sul carrello in modo da poter essere preso agevolmente al
momento opportuno.
Sul piano inferiore si appoggiano:
- Una padella coperta da un telo;
- Due catini;
- Due bacinelle reniformi;
- Un contenitore con acqua calda;
- Un contenitore con acqua fredda;
- Un sacco per la biancheria sporca.
Sul piano superiore si posizionano:
- Una saponetta o sapone liquido;
- Due manopole di spugna;
- Un paio di guanti monouso;
- Alcune falde di ovatta;
- Alcool saponato o canforato per frizionare;
- Termometro da bagno per misurare la temperatura dell’acqua;
- Asciugamani;
- Un telo incerato monouso;
- Traversa
- Pettine e spazzola,
- Forbici;
- Bastoncini di ovatta;
- L’occorrente per l’igiene orale (bicchiere, dentifricio, collutorio e spazzolino da
denti).
Nel caso in cui la pulizia debba avvenire a letto, prima di iniziare è necessario proteggere il letto
con un telo incerato, o monouso, per impedire che si bagni. Inoltre, bisogna preparare la biancheria
pulita del paziente e le lenzuola nuove. Se esiste pericolo di infezione è fondamentale indossare
camici monouso e guanti.
Il lavaggio delle mani, che va effettuato più volte al giorno, è un elemento di importanza basilare
nell’igiene dell’assistito, perché contribuisce a eliminare i batteri; inoltre, nei soggetti con le mani
paralizzate o deformate, la pulizia migliora la mobilità delle dita. Dopo il lavaggio, occorre
asciugare molto bene le mani, specialmente tra le dita. Ai soggetti con turbe o assenza della mobilità
degli arti superiori e a quelli in stato comatoso, è necessario effettuare un controllo regolare delle
condizioni delle mani, che potrebbero presentare decubiti tra le dita; onde evitare questa
complicanza, occorre tenerle separate con batuffoli di cotone idrofilo.
La pulizia dei piedi costituisce una fase importante delle abluzioni mattutine. Il pediluvio, poi, è
sempre un sollievo per l’assistito ed è da preferirsi al semplice lavaggio dei piedi. Esso dovrebbe
costituire un’abitudine quotidiana. Per ottenere un maggiore beneficio è consigliabile aggiungere
all’acqua qualche essenza.
Nel corso dell’igiene intima, l’addetto all’assistenza deve sempre tenere presente che tale
operazione può comportare un forte disagio, pertanto, è fondamentale che egli la effettui in maniera
discreta e con estrema riservatezza.
F) Igiene serale
Prima di andare a dormire è necessario dedicare un po’ di tempo all’igiene personale. La sensazione
di freschezza e pulizia concilia il sonno e facilità il riposo. La pulizia serale varia a seconda delle
condizioni del soggetto e può essere più o meno complessa. Il minimo indispensabile per garantire
una sufficiente igiene personale è il lavaggio del viso, delle mani e la pulizia dei denti e della bocca.
Ovviamente, minore sarà l’autosufficienza dell’assistito, maggiore sarà la necessità di
un’approfondita pulizia serale.
G) Il bagno dell’assistito
Nei casi in cui l’assistito non è autosufficiente occorre avvalersi di alcuni presidi (corrimano,
sgabelli) che consentano all’assistito e all’assistente di non compiere sforzi eccessivi nel corso
dell’operazione. Nell’acqua, la cui temperatura deve essere di circa 38°C, è possibile aggiungere
Sali da bagno, oppure qualche goccia di oli essenziali o estratti di erbe che, oltre a rendere piacevole
l’immersione, rinfrescano, stimolano e hanno un effetto terapeutico. Proprio in virtù delle loro
proprietà terapeutiche, gli estratti di erbe e gli oli essenziali vanno usati con cognizione di causa.
Ecco alcuni esempi riguardanti le proprietà terapeutiche di alcune piante i cui estratti vengono
aggiunti all’acqua del bagno: la lavanda, la valeriana e la melissa hanno effetto calmante e pertanto,
sono indicate nei bagni serali poiché conciliano il sonno dell’assistito. L’ippocastano e il rosmarino,
stimolanti, sono indicati per i bagni mattutini; la camomilla e la malva hanno un effetto
disinfiammante e sono l’ideale per persone che hanno la pelle irritata o che manifestano una certa
sensibilità cutanea; il timo e l’eucalipto, infine, sono indicati nel caso di affezioni alle vie
respiratorie. Per una corretta igiene personale, oltre alle abluzioni serali e mattutine, occorre pulire e
lavare adeguatamente le parti del corpo interessate dall’evacuazione.
H) L’abbigliamento dell’assistito
Il discorso sull’abbigliamento rientra nl campo dell’igiene personale e, nel caso in cui l’assistito non
sia autosufficiente, è l’addetto all’assistenza che deve provvedervi. I soggetti allettati,
impossibilitati a muoversi perché in coma o in condizioni gravi, indossano abitualmente una
camicia aperta sul retro. Per cambiare la camicia esistono tecniche precise che facilitano il lavoro
dell’operatore.
Le operazioni da compiere sono queste:
- Distendere la camicia pulita e sbottonarla;
- Sbottonare la camicia sporca;
- Passare la camicia sopra la testa dell’assistito;
- Sfilare le braccia dalle maniche;
- Passare la camicia pulita sopra la testa;
- Infilare le braccia nelle maniche e abbottonare;
- Arrotolare la camicia sporca e gettare nel sacco della biancheria.
Talvolta questa operazione, specie per pazienti in coma o non collaboranti, necessita della
colllaborazione di più operatori.
- LA PULIZIA DELL’AMBIENTE IN CUI VIVE L’ASSISTITO
A) La pulizia nei centri d’assistenza
La pulizia, attuata tutti i giorni, serve a ridurre la quantità di microorganismi presenti
nell’ambiente e sugli oggetti di uso comune. Oltre che per garantire adeguate condizioni
igieniche, la pulizia serve a conferire all’ambiente un aspetto più gradevole.
Metodi e strumenti di pulizia variano in relazione alla zona da pulire. Di norma si distinguono
tre tipi di aree: a basso, a medio e ad alto rischio. La pulizia, inoltre si distingue giornaliera e
periodica.
Quando si parla di pulizia terminale, invece, ci si riferisce a quella attuata negli ambienti di
degenza particolari, come ad esempio le camere per soggetti infetti, oppure negli ambienti di
degenza che hanno ospitato per lungo tempo soggetti defedati.
La pulizia come metodica di risanamento dell’ambiente viene attuata in due tempi successivi: il
primo prevede l’asportazione di un gran numero di germi grazie all’azione meccanica esercitata
con strumenti idonei (scope, aspirapolvere, spazzolini etc.); il secondo, prevede il trattamento
delle superfici con soluzioni detergenti e disinfettanti.
È opportuno, inoltre, sottolineare che la puliza va effettuata sempre prima della disingezione,
che un uso scorretto della scopa aumenta notevolmente la carica batterica presente nell’aria e,
infine, che il lavaggio dei pavimenti senza un risciacquo adeguato è inefficace. Quanto ai
metodi di pulizia, va detto che la pulizia può essere effettuata: a secco; con acqua; con prodotti
chimici; con mezzi meccanici.
B) La pulizia a secco
Consiste nella rimozione della polvere da pareti, mobili, suppellettili e pavimenti. Va eseguita
evitando accuratamente il sollevamento e la dispersione della polvere poiché in essa, allo stato
secco, i germi sopravvivono a lungo. Attualmente la pulizia a secco è mansione prettamente
specifica. Non è competenza e/o compito dellOSS ripristinare l’igiene delle suppellettili,
pavimenti, mobili etc.
C) Pulizia con acqua
Nella pulizia con acqua di suppellettili e mobili, le spugne lavasciuga rischiano di diventare un
facile ricettacolo di germi per la loro capacità di trattenere le polveri e lo sporco. È buona
norma, perciò, non riutilizzarle senza averle prima lavate accuratamente. Il lavaggio del
pavimento ha lo scopo di asportare lo sporco. Dopo che i pavimenti sono stati spazzati
(operazione che va sempre e comunque effettuata), devono essere lavati con acqua e detergente,
avendo cura di separare sempre l’acqua di strizzatura (sporca) da quella di risciacquo. In tal
modo si evita di disperdere lo sporco trasferendolo da una superficie all’altra.
D) Pulizia con mezzi meccanici
L’uso di macchine automatiche o di altri mezzi meccanici consente di praticare il lavaggio
dei pavimenti rispettando queste norme fondamentali senza impiego di eccessive energie e
di tempo. Il sistema mop, ad esempio, è costituito da due secchi, di cui uno per l’acqua
pulita e uno per l’acqua sporca, da uno strizzatore e da una redazza che viene immersa nel
secchio dell’acqua pulita, strizzata e passata sul pavimento. All’operazione successiva
(pulitura delle frange della redazza) di immersione e strizzatura, la redazza va strizzata
dalla parte corrispondente al secchio (vuoto= dell’acqua sporca. Nella pulizia a umido è
necessiario cambiare frequentemente l’acqua e il detergente contenuti nei secchi. Al
termine delle operazioni di pulizia le frange vanno accuratamente lavate, disinfettate e
asciugate. Lo stesso vale per gli eventuali stracci. Qualora vi fossero cospicui residui di
sporco è buona regola cospargere le aree interessate con soluzione detergente lasciandola a
contatto con aspiraliquidi prima di procedere al normale lavaggio del pavimento. Piuttosto
comuni sono anche le apposite macchine lavapavimenti utilizzate per la pulizia di grandi
superfici (ad esempio corridoi, sale di attesa, sale di soggiorno).

N.3 (MODULO DI BASE) ELEMENTI DI IGIENE ALIMENTARE n. ore 20

CAPITOLO SECONDO
LINEAMENTI DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE
3. PREMESSA
Nel perseguimento dell’obiettivo della difesa della salute, bisogna tener conto delle
conseguenze negative che le errate scelte alimentari, le cattive abitudini e i pregiudizi alimentari
hanno nella costituzione somatica e intellettiva e sul generale stato di salute dell’individuo.
Ciò che più preoccupa non sono le intossicazioni alimentari, oggi per fortuna abbastanza rare,
ma la “qualità” in genere dei prodotti alimentari, l’innocuità dei prodotti soprattutto
industriali e dei composti chimici adottati, come coloranti, conservanti, antiossidanti ecc.
Sul piano territoriale, le strutture sanitarie sono chiamate a svolgere un ruolo di primo piano,
nell’ambito di una più generale educazione alla salute. Basti pensare all’azione preventiva e
protettiva che svolgono i diversi tipi di servizi ambulatoriali, all’orientamento sanitario e
alimentare dei servizi socio-sanitari pubblici, all’azione terapeutica di dietoterapia degli
ospedali.
Nell’ambito specifico dei servizi di assistenza domiciliare è previsto un vero e proprio servizio
alimentazione che dovrebbe occuparsi, tra l’altro, di quegli utenti che non sono in grado di
provvedere autonomamente alla propria nutrizione: progetti che, purtroppo, malgrado siano
previsti dalle varie “riforme sanitarie”, hanno dato luogo nel nostro Paese a poche esperienze
operative.

15. ALIMENTAZIONE ARTIFICIALE


Ci sono casi particolari nei quali si deve affrontare il problema di alimentare pazienti che non sono
in grado di farlo da soli, a causa di una grave patologia: pazienti in stato di coma, malati che devono
essere sottoposti a qualche intervento chirurgico, soggetti con gravi patologie del sistema digerente
etc. Si deve in queste circostanze alimentare il paziente con sonda gastrica o per via parenterale.
Il primo tipo di alimentazione artificiale si effettua con un sondino di misura variabile che si
introduce per via nasale. Gli alimenti sono immessi sotto forma di liquido attraverso una siringa o
mediante sistema infusionale e devono contenere tutte le sostanze nutrizionali necessarie, perciò
saranno integrati con vitamine ed elettroliti. Al termine della somministrazione il sondino sarà
irrogato d’acqua per impedire che si ostruisca.
La somministrazione di alimenti con sonda gastrica può essere dolorosa e portare una serie di
complicazioni: dolori addominali, diarrea per cibi contaminati, vomito, aspirazione di materiale
rigurgitato, disidratazione, infezioni del cavo orale e delle vie respiratorie.
L’alimentazione per via parenterale presenta meno complicanze del metodo con sonda gastrica. Si
utilizzano cannule venose permanenti che si posizionano o in vene periferiche o in grosse vene
come la succlavia, isolata chirurgicamente.
Come per l’alimentazione con sondino, valgono le seguenti regole: condizione assoluta di
asepsi per ridurre i rischi dell’infezione; il materiale utilizzato per l’infusione deve essere
sostituito con frequenza; gli alimenti introdotti sotto forma di liquidi devono contenere
sostanze nutritive nella giusta misura giornaliera, corrispondente al fabbisogno alimentare
del malato.

N. 4 (MODULO DI BASE) ELEMENTI DI DIETETICA n. ore 20

CAPITOLO QUINTO
LA SOMMINISTRAZIONE DEI PASTI E DELLE DIETE
4. L’IMPORTANZA DELL’ALIMENTAZIONE: I COMPITI DELL’O.S.S. NELLA
FASE ALIMENTATIVA
Nonostante i compiti dell’operatore socio-assistenziale di base siano essenzialmente di tipo
domestico-alberghiero, è opportuno che egli non ignori le informazioni basilari sulla composizione
dei cibi, sulla loro preparazione e sui vari tipi di diete.
L’operatore ha il compito di preparare l’ambiente per l’assunzione dei pasti, di riordinare e pulire il
materiale utilizzato e, infine, di trasportarlo in cucina o nei centri di raccolta dei carrelli.
La conoscenza dei principi di una corretta alimentazione consentirà all’addetto all’assistenza di
vigilare sulla dieta dell’assistito e di adoperarsi (sempre e solo dopo avere consultato il parere del
medico) affinchè egli si alimenti in maniera corretta.
Premesso che per la disamina dei lineamenti della scienza dell’alimentazione si rinvia il lettore al
Cap.II della Parte IV, in questo paragrafo saranno accennati alcuni concetti di base.
Alimentazione regolare e bilanciata. In una dieta equilibrata occorre che il 15% dell’energia
fornita dagli alimenti provenga da proteine, il 25% da grassi e il rimanente 60% provenga da
carboidrati.
Proteine. Sono grandi molecole, presenti in tutti gli organismi, animali e vegetali. Sono costituite
da molecole più piccole dette aminoacidi. Oltre ad essere fonte di energia, hanno funzioni
costruttive e di ricambio dell’organismo. Contribuiscono alla formazione degli enzimi, degli
anticorpi, degli ormoni.
Lipidi. I lipidi o grassi, oltre a produrre energia, assolvono ad altri compiti quali: isolamento
termico protettivo; costituzione di membrane cellulari; veicolo per l’assorbimento di vitamine.
Carboidrati. Sono la fonte energetica più importante nell’alimentazione. Hanno però anche
funzioni plastiche perché sono indispensabili per la costituzione degli acidi nucleici (il costituente
più nobile delle cellule) e per la costituzione di molte glicoproteine.
Sali minerali. Rappresentano il 4% del peso corporeo. Hanno funzioni indispensabili
all’organismo. Basti pensare all’importanza dei Sali di calcio nella costituzione dello scheletro.
Vitamine. Sono un gruppo di molecole organiche, indispensabili al normale funzionamento del
nostro organismo. Sono richieste in piccola dose, ma indispensabili per l’accrescimento e per il
rinnovo delle cellule dell’organismo.
Per mantenere il benessere fisico è necessaria un’alimentazione equilibrata. Nei casi di malattia, o
in particolari fasce d’età, viene somministrata una dieta adeguata alle necessità del singolo
individuo.
L’alimentazione incide in larga misura su varie patologie, si pensi all’ipertensione arteriosa, ai
disturbi gastro-intestinali etc.
Anche la malnutrizione è da considerarsi una vera e propria patologia. Sia l’alimentazione carente
sia l’assunzione in eccesso di alimenti sono stati di malnutrizione. Nella maggior parte dei paesi del
mondo prevale la malnutrizione da carenza di alimenti e, malgrado siano stati attuati specifici
programmi alimentari sostenuti da governi e organizzazioni internazionali (F.A.O.), circa
cinquecento milioni di persone al mondo sono sottoalimentate. La situazione è grave in Africa, in
Asia e nell’America centro-meridionale, dove esistono ancora malattie da carenza di vitamine,
proteine e minerali. Alle nostre latitudini è abbastanza frequente trovare stati carenziali di acido
folico e di ferro, soprattutto nei bambini, negli anziani e nelle donne specie in età fertile (la perdita
di sangue e quindi di ferro, contenuto nei globuli rossi, con le mestruazioni aumenta il fabbisogno di
ferro, e quindi favorisce l’instaurarsi di uno stato cerenziale) e in gravidanza dove maggiore è il
rischio di anemia per le “richieste” di ferro e acido folico da parte del feto. È fuori discussione,
però, il fatto che nella maggior parte dei casi, la malnutrizione nei paesi sviluppati, industrializzati,
è rappresentata dall’eccesso di alimentazione.
Tale eccesso può sfociare nell’obesità che, se trascurata, può determinare l’aumento dei grassi nel
sangue (il colesterolo, i trigliceridi) che possono aumentare il rischio di infarto e di malattie
cerebrovascolari (ictus).
L’alimentazione dell’anziano. Come già detto la dieta varia a seconda delle esigenze dell’assistito.
Nel caso di persone anziane, il discorso è piuttosto delicato perché la vecchiaia comporta una serie
di disturbi che spesso rendono la situazione abbastanza complessa. Per questo argomento, però, si
rinvia il lettore al Cap.II della Parte IV.
L’alimentazione del malato. Per l’alimentazione del malato bisogna fare riferimento alle
cosiddette diete terapeutiche, ovvero quei particolari regimi alimentari studiati per bilanciare
determinate carenze e tenere sotto controllo la patologia del paziente.
I tre gruppi di malattie che più necessitano di un rigore dietetico sono:
- Disturbi cronici del metabolismo (ad esempio il diabete mellito);
- Gravi disturbi dell’apparato digerente;
- Nefropatie croniche (insufficienza renale cronica).

2.PREPARAZIONE E DISTRIBUZIONE DEL CIBO


I pasti devono essere preparati sulla base della prescrizione del medico o del dietista (per esempio,
non usando sale nei casi di ipertensione). Di solito è opportuno tenere degli appunti o una scheda
delle prescrizioni per il malato. L’addetto all’assistenza deve fare in modo che la distribuzione si
svolga rapidamente, in maniera che l’assistito non riceva un pasto freddo o tiepido, e che il
contenuto sia sufficiente (1).
Per quanto concerne la somministrazione delle bevande avviene normalmente in bicchieri o in tazze
che possono essere sostituiti dai più pratici bicchieri a beccuccio o dai contenitori con cannucce.
Nella scelta del mezzo più idoneo bisogna sempre tenere conto della sensibilità dell’assistito. Per
coloro che debbono bere molto, è consigliabile preparare un thermos pieno di tè caldo e/o una
bottiglia di acqua minerale, nonché un bicchiere sempre pulito.
Negli istituti di ricovero, l’addetto all’assistenza (l’O.S.S. e l’O.S.S. con formazione complementare
in assistenza sanitaria) deve provvedere a che i pazienti autonomi vengano sollecitati a sedersi a
tavola. Inoltre, prima di distribuire il pasto deve aerare il locale, apparecchiare la tavola, aiutare gli
assistiti non autosufficienti ad alzarsi dal letto, predisporre gli ausili necessari etc. Se necessario,
deve imboccare l’assistito. Quest’operazione richiede garbo e pazienza: è un momento importante,
in cui si può stabilire un contatto attraverso il dialogo. È un occasione per l’assistito di recuperare
un po’ della perduta quotidianità e gratificarsi, non solo attraverso i piaceri del palato, ma anche, e
soprattutto, attraverso le attenzioni rivoltegli dalla persona che lo sta aiutando. Per questo è
indispensabile che l’operatore si predisponga a offrire una buona compagnia all’assistito, in modo
da non fargli vivere questo momento come un incubo che gli ricordi la sua condizione, ma come un
momento piacevole.
I) DIETE TERAPEUTICHE
Nel caso in cui il paziente debba seguire una dieta terapeutica, l’operatore socio-sanitario con
formazione complementare in assistenza sanitaria dovrà vigilare, sotto la guida e supervisione
infermieristica, che le sue condizioni complessive (fisiche, mentali ed emotive) siano buone e che
tale dieta sia adeguata. Per esempio, per un degente con patologie renali si seguirà una dieta
ipoproteica, che fornisca, però, i necessari principi nutritivi (aminoacidi, vitamine etc.). In questo
tipo di dieta sono ammessi solo alcuni alimenti tra i quali latte, pane, verdure, frutta, olio, burro, tè e
caffè. Tra i più comuni sono invece da evitare pollo, pesce, frutta secca etc. Per coloro che devono
seguire una dieta a basso contenuto di calcio, l’assunzione di calcio giornaliero passerà da 80mg
(apporto normale) a 40 mg.
Per pazienti affetti da avitaminosi verrà prescritta una dieta con un elevato contenuto di vitamine.
Un regime alimentare di questo tipo è necessario anche per curare pazienti con ustioni, ferite in
corso di cicatrizzazione, donne gravide. In genere, le diete a basso contenuto di vitamine non
vengono prescritte, sebbene, talvolta, sia necessario sospenderne l’assunzione durante particolari
malattie.
L’O.S.S. con formazione complementare in assistenza sanitaria è la figura che meglio può
sorvegliare l’effettiva assunzione del cibo da parte del malato, assicurandosi che non riceva dai
familiari cibi non consentiti. Infine, è suo compito sorvegliare che la dieta seguita dia i risultati
attesi, nel caso contrario deve avvertire tempestivamente, il personale medico.
J) ALIMENTAZIONE ARTIFICIALE
Nei casi di deficit della masticazione, deglutizione o digestione si deve ricorrere all’alimentazione
artificiale, che si effettua per via enterale o per via parenterale.
Nel primo caso si usa un sondino di cinque millimetri di diametro, che si introduce per via nasale
oppure attraverso delle sonde posizionate chirurgicamente (peg, digiunostomie), nel secondo caso,
invece, si usano una o più cannule venose che si posizionano in vene periferiche o grosse vene.
L’alimentazione tramite sondino si rende necessaria quando il paziente non può mangiare a causa di
alterazioni funzionali del tratto gastroenterico (stenosi esofagee, disfagie), oppure perché si trova in
uno stato comatoso o di semincoscienza, mentre, in alcuni casi, si rende necessaria una nutrizione
aggiuntiva a quella orale.
Le fasi preliminari richiedono il controllo della prescrizione medica considerando la quantità e/o le
calorie e dello stato d’animo del paziente, che va informato circa le varie fasi dell’operazione.
Quanto alle regole operative, dopo essersi lavato le mani ed aver indossato i guanti, posto il
paziente in posizione semiseduta con la testa sollevata, scelta la narice più adatta (non occlusa),
l’operatore sanitario passerà ad effettuare delle misurazioni per determinare la lunghezza del
sondino, calcolata in base alla distanza tra il lobo dell’orecchio e la punta del naso, e poi da questa
fino alla parte inferiore dello sterno (xifoide).
Dopo queste operazioni preliminari avviene l’inserimento del sondino, attraverso la narice fino ad
arrivare alla gola. A questo punto verrà chiesto al paziente di deglutire; alcuni sorsi d’acqua possono
aiutare la sonda ad arrivare oltre l’orofaringe ed avanzare, quindi, fino al cerotto di riferimento.
Controllata la posizione del sondino vi si iniettano 10ml d’aria e si ausculta, con lo stetoscopio,
l’afflusso dell’aria allo stomaco.
Effettuati i necessari controlli per accertare la correttezza della manovra di inserimento si procede
all’infusione delle sostanze nutritive.
L’infusione deve essere lenta (dai 20 ai 35 minuti) e si deve aver cura che la siringa non si svuoti
mai completamente, chiudendo l’afflusso prima che ciò avvenga, così da non fare entrare aria nella
sonda. Quando il preparato è terminato, far seguire dell’acqua in quantità prescritta, quindi pinzare
l’estremità del sondino e procedere alla sua rimozione.
Per effettuare quest’ultima fase occorrono un tappo da sondino o una pinza, una traversa, un
tovagliolo di carta, il necessario per l’igiene del viso e del cavo orale.
Si procede, poi, a coprire il torace del paziente con una traversa e a staccare il sondino dai punti di
fissaggio. Durante questa fase l’operatore dovrà tenere un tovagliolo di carta nella mano libera e
porlo sotto il mento del degente; quindi pinzare il sondino in prossimità della narice e rimuoverlo. Il
sondino va tirato in maniera continua ed uniforme e, una volta estratto, adagiato sul tovagliolo di
carta. Si passerà, quindi, a pulire il viso del paziente, soprattutto le narici, e, dopo averlo sistemato
in una posizione più confortevole, a effettuare l’igiene orale.
9. ALTERAZIONI DELL’APPETITO
Fin dalla prima infanzia sono possibili alterazioni dell’appetito, la più grave delle quali è
l’anoressia psicogena. Nei bambini l’anoressia, cioè la perdita o la diminuzione del senso
dell’appetito, può dipendere da una malattia persistente o che si presenta con regolarità, oppure da
un generale stato fisico cagionevole. Quando la perdita dell’appetito si lega a fattori psichici o
ambientali, si chiama, appunto, malattia psicogena ed è da distinguere dall’anoressia organica,
conseguente solo a malattie dell’organismo: di carattere endocrino, nervoso, del sangue e
dell’apparato digerente
10. ALTERAZIONI DELL’APPARATO GASTROENTERICO
Ecco le principali malattie della nutrizione, con particolare riferimento ai lattanti.
5. Dispepsia
La dispepsia è spesso causata da errori alimentari ai quali si aggiunge un fattore infettivo.
Negli allattati al seno, la dispepsia è prodotta da una eccessiva o insufficiente
alimentazione, da irregolare somministrazione dei pasti, da intolleranza al latte della
madre o da una insufficiente secrezione gastro-intestinale del lattante. La dispepsia può
provocare stitichezza e poi diarrea, vomito, inappetenza e arresto dell’accrescimento e può
essere aggravata dall’eccessiva temperatura estiva. La cura deve prevedere la dieta idrica
per 12-24 ore e la ripresa graduale dell’allattamento controllandolo con la cosiddetta
doppia pesata. Nei bambini allattati artificialmente la dispepsia compare con i sintomi di
quelli allattati al seno, ma più accentuati e con gravi sofferenze e danni immediati sulla
crescita. Può essere acida, per eccessiva somministrazione di zuccheri, o albuminoidea, per
eccesso di sostanze proteiche. La cura consiste nel ridurre la quantità di latte se la dispesia
è acida; se è albuminoidea, si somministrano mucillagini di riso di orzo, latticelli acidi con
aggiunta di piccole quantità di zucchero.

AREA PSICOLOGICA E SOCIALE

N.1 MODULO DI BASE


CAPITOLO PRIMO
PSICOLOGIA E ASSISTENZA
6. IL CONCETTO DI PERSONA E DI BISOGNO
K) La persona
Il concetto di persona è valutabile sotto diverse accezioni, le quali assunte nella loro unicità ci
forniscono utili indicazioni. In ambito giuridico per persona fisica si intende l’essere umano – di
sesso femminile o maschile – che sia nato vivo e che per questo l’ordinamento giuridico considera
centro di imputazione di una serie di situazioni giuridiche soggettive attive o passive, di diritto o di
obbligo.
In sociologia la persona è un essere sociale che si definisce attraverso l’interazione con gli altri,
dapprima nella primaria cellula sociale che è la famiglia, e poi negli altri contesti sociali nei quali si
trova ad esprimere la sua personalità: la scuola, l’ambiente lavorativo etc.
In psicologia la persona è un essere globale, che è maggiore della somma delle sue parti individuali
secondo la teoria olistica, dotato di un elemento – la razionalità – che, per essenza, lo rende simile
agli altri uomini e di uno spirito che lo rende unico tra i suoi simili. In tal senso la persona è unica,
irrepetibile e complessa.
L) Il bisogno
Secondo lo psicologo americano Henry Murray il bisogno è un costrutto che rappresenta una forza
mentale che organizza le percezioni, la comprensione, gli sforzi e l’azione in modo tale da mutare
una situazione esistente di insoddisfazione. In altre parole il bisogno è il fattore dinamico del
comportamento umano e animale che indirizza il soggetto a compiere azioni mirate al suo
soddisfacimento.
Secondo la Teoria dello sviluppo sequenziale dello psicologo umanista statunitense Abraham
Maslow (1908-1970), l’individuo tende a soddisfare i suoi bisogni seguendo un ordine specifico:
- Bisogni fisiologici: sono, secondo Maslow, quelli che intervengono maggiormente
nelle decisioni da prendere e si trovano perciò, al primo posto- la fame, la sete, il
freddo, il caldo, sono le variabili che spingono le persone a procurarsi acqua, cibo e
vestiti. Se le persone non soddisfano questi bisogni, detti perciò primari, è probabile
che la motivazione a soddisfare gli altri sia molto bassa. Quando questi vengono
soddisfatti, gli altri bisogni cominciano a diventare importanti;
- Bisogno di sicurezza: diventa predominante quando i bisogni primari vengono
soddisfatti. Possiamo altrimenti denominare questa categoria di bisogni con il
termine autopreservazione, che consiste nel difendersi dai pericoli esterni. Oltre al
“qui ed ora”, le persone, infatti, tendono a preoccuparsi anche degli eventi futuri;
- Bisogno di appartenenza: corrisponde a una spinta a ricercare la presenza degli
altri, che diventa predominante quando i precedenti bisogni non sono più impellenti.
Tutti gli uomini provano il desiderio di far parte di uno o più gruppi e tendono a
prestare molta cura ai rapporti con gli altri, cercando di evitare critiche e contrasti;
- Bisogno di riconoscimento: spinge a cercare la stima e il riconoscimento dagli altri
componenti dopo essere entrati a far parte di un gruppo, ma include anche il bisogno
di autostima (fiducia in sé). Questo bisogno porta gli individui ad assumere le
caratteristiche del proprio gruppo di appartenenza e a condividerne i comportamenti.
Proprio per questo aspetto, Maslow sostiene che il bisogno di riconoscimento può
essere dannoso e indurre a compiere azioni distruttive e irresponsabili;
- Bisogno di autorealizzazione: distingue l’uomo dagli animali e diventa
predominante quando gli individui hanno già ottenuto la stima dei componenti del
proprio gruppo di appartenenza. Riflette la tendenza ad attualizzare ciò che si è in
potenza, diventando tutto ciò che si è capaci di diventare. Può essere ben sintetizzato
con il famoso detto “volere è potere”, anche se bisogna rovesciarne la prospettiva.
Maslow, infatti, sostiene che l’uomo deve attivarsi in tutti i modi possibili per
soddisfare i propri bisogni. Una donna può per esempio, voler diventare una madre
ideale, un’altra persona può trovare soddisfazione diventando un potente manager,
qualcun altro suonando il pianoforte e così via.

Quando i bisogni superiori rimangono insoddisfatti, generalmente l’individuo regredisce nella


soddisfazione di bisogni di ordine inferiore.
LA GERARHIA DEI BISOGNI SECONDO MASLOW
E) AUTOREALIZZAZIONE
F) BISOGNI DI SUCCESSO E DI STIMA
G) BISOGNI DI AMORE E DI APPARTENENZA
H) BISOGNI DI SICUREZZA E STABILITA’
I) BISOGNI FISIOLOGICI

M) I bisogni del paziente


Per coloro che svolgono attività assistenziali, il bisogno si articola in:
- Bisogno ordinario, normalmente presente che l’uomo riesce a soddisfare da solo;
- Bisogno acuto; a cui può corrispondere una prima azione compensatoria di
assitenza;
- Bisogno di assistenza in senso stretto cui corrispondono una serie di azioni che
definiscono compiutamente una prestazione assistenziale.
Secondo la classificazione in uno in ambito infermieristico proposta da V.Henderson i bisogni del
paziente sono:
- BISOGNO DI RESPIRARE
- BISOGNO DI MANGIARE E DI BERE
- BISOGNO DI ELIMINAZIONE
- BISOGNO DI MOTO O DI MANTENIMENTO DI UNA DETERMINATA
POSIZIONE
- BISOGNO DI RIPOSO E SONNO
- BISOGNO DI SCEGLIERE I PROPRI INDUMENTI, DI VESTIRSI E DI
SPOGLIARSI
- BISOGNO DI MANTENERE LA TEMPERATURA CORPOREA A LIVELLO
NORMALE
- BISOGNO DI TENERSI PULITO, ORDINATO E DI PROTEGGERE LA PELLE
- BISOGNO DI PROTEGGERSI DA PERICOLI DELL’AMBIENTE E DI EVITARE
DI ESSERE FONTE DI PERICOLO
- BISOGNO DI COMUNICARE CON GLI ALTRI, DI ESPRIMERE LE PROPRIE
NECESSITA’ E DI MANIFESTARE I SENTIMENTI
- BISOGNO DI PRATICARE LA PROPRIA RELIGIONE E DI AGIRE SECONDO
LA PROPRIA CONCEZIONE DI BENE E DI MALE
- BISOGNO DI OCCUPARSI DI ATTIVITA’ CHE DIANO L’IMPRESSIONE DI
FARE QUALCOSA DI UTILE
- BISOGNO DI RICREAZIONE
- BISOGNO DI INFORMAZIONE

7. L’ARTE DI AIUTARE
La vocazione, pur essendo un ottimo punto di partenza, non è sufficiente per assistere persone, il
più delle volte, bisognose non soltanto di un aiuto materiale, ma anche di un sostegno psicologico.
Da qui l’importanza attribuita alla conoscenza di alcune tecniche che consentano di fornire
all’assistito l’aiuto di cui ha bisogno, basandosi su precise competenze e non esclusivamente sul
proprio istinto.
L’aiuto può essere rivolto a un bambino, a un anziano e a qualsiasi persona lo richieda, a
prescindere dall’entità del suo problema. Ovviamente, la maniera di aiutare varia da caso a caso:
l’atteggiamento da tenersi nei confronti di un’adolescente anoressica, per esempio, è diverso da
quello necessario per relazionarsi a un anziano. Esistono però comportamenti validi in qualsiasi
caso, a prescindere dall’età e dalle condizioni della persona che si ha di fronte.
L’approccio. Molto importante è che la persona abbia la sensazione di essere oggetto di attenzione
e che senta di avere di fronte a sé un individuo disposto ad ascoltarlo e aiutarlo. Un approccio del
genere, in realtà, sarebbe auspicabile in tutti i rapporti interpersonali e, certamente, consentirebbe di
evitare le molte incomprensioni che costellano la maggior parte dei rapporti personali di un gran
numero di persone.
Attenzione fisica. Prestare attenzione in tal senso significa “agire fisicamente verso l’altro”,
rompere la barriera del distacco fisico e cercare un contatto, ad esempio, con un semplice abbraccio.
L’abbraccio determina sicuramente un contatto più immediato anche se, talvolta, genera imbarazzo;
non tutti, infatti, sono abituati a ricevere e fare effusioni, esistono codici comportamentali in cui
prevale una sorta di pudore che spinge a celare le proprie emozioni, a rimanere apparentemente
distaccati, a rifuggire il contatto fisico. E, spesso, oltre a non essere abituati a ricevere questo tipo di
effusioni, non si sa neppure come farle senza apparire goffi. L’addetto all’assistenza deve,
innanzitutto, sforzarsi di superare le proprie barriere e imparare a dimostrare affetto in maniera
spontanea. Ovviamente, di fronte a persone che si mostrano infastidite dalle effusioni, è opportuno
non insistere e cercare diverse forme di comunicazione. Un altro modo per manifestare
“fisicamente” la propria attenzione è porsi di fronte all’assistito: faccia a faccia, evitando, per
esempio, di gironzolare per la stanza mentre gli si parla.
Sapere ascoltare. L’assistenza psicologica richiede la capacità di ascoltare senza emettere
immediatamente giudizi o dare consigli: bisogna lasciare che l’altro si esprima senza fare pressioni
per “entrare in scena” con una bella predica. Parlare troppo presto, senza lasciare concludere il
discorso alla persona che si sta sfogando, è indice di mancanza di considerazione, ed equivale a
mandare un messaggio del tipo “quello che mi stai dicendo non ha grande importanza, so già dove
vuoi arrivare e ho già la soluzione ai tuoi problemi”. Con queste premesse come ci si può aspettare
che la persona diventi fiduciosa e, soprattutto, si senta presa in considerazione? Solo ascoltando
senza pregiudizi si può intuire il tipo di sensibilità della persona che si desidera aiutare, solo in
questo modo, in altre parole, si riesce a stabilire un contatto e a compiere i primi passi per aiutarla.
Durante l’ascolto bisogna sforzarsi di entrare in empatia con l’interlocutore. L’empatia, che si
raggiunge mettendosi nei panni della persona che si ha di fronte, è la capacità di vivere le emozioni
dell’altro. Attraverso questo processo è possibile sviluppare un alto grado di comprensione.
Comprendere l’altro, essere in sintonia con lui, è già di per se una forma di aiuto. La persona che si
sente compresa e accettata acquista fiducia e si rafforza. Entrare in empatia, però, non deve
significare lasciarsi completamente travolgere dalle emozioni altrui, altrimenti non si riuscirebbe ad
avere la lucidità e il distacco necessari per aiutare l’altro ad uscire dalla condizione di prostrazione
psichica in cui si trova.
Chi intende sostenere psicologicamente una persona deve anche essere in grado di individuare il
tipo di problema che sta dietro al suo sfogo, che non sempre, anzi quasi mai, è esplicito. Bisogna
individuare i temi ricorrenti nel discorso e focalizzare l’attenzione su questi, al fine di comprendere
qual è, o quali sono, i problemi.
Saper rispondere. Arriva un momento in cui la persona che si ha di fronte si aspetta una risposta.
La risposta va calibrata; non sempre, infatti, è il caso di esprimersi in maniera diretta, occorre prima
valutare quale potrebbe essere la reazione di chi si ha di fronte. Bisogna riuscire a capire se, dato lo
stato d’animo della persona e, data la sua sensibilità, è meglio essere diretti o cercare di usare molto
tatto. Elementi che possono aiutare a individuare lo stato d’animo della persona sono il tono di voce
e le espressioni del viso.
Mettere in atto queste strategie non è sempre facile, intervengono molti fattori, non ultimo lo stato
d’animo di chi dovrebbe essere in grado di aiutare, le sue insicurezze. Per di più l’operatore socio-
assistenziale non è uno psicologo né uno psichiatra e non dispone delle conoscenze e
dell’esperienza necessarie per aiutare una persona a superare i propri problemi. Proprio per questo
motivo non si è parlato di “cura” o “prevenzione”, ma semplicemente d’aiuto, un aiuto che è
fondamentale e che può essere offerto con estrema semplicità, senza la pretesa di voler guarire, ma
seguendo comunque semplici tecniche per favorire il contatto emotivo. Si ricordi che, spesso, l’ida
di poter contare su qualcuno favorisce il benessere psicofisico e, di conseguenza, aiuta a superare
meglio le difficoltà.
Il rispetto. C’è un altro fattore di cui tenere conto quando si parla di sostegno psicologico: il
rispetto. Per alcuni infatti, l’assistenza implica un rapporto di subordinazione in cui l’assistito, il
debole della situazione, viene si trattato con benevolenza, ma, più che accettato e compreso, viene
compatito.
Un modo classico e negativo per apostrofare l’assistito è, ad esempio, quello di dargli
immediatamente del tu senza chiedergli il permesso, di chiamarlo solo per nome o, nel caso si tratti
di un anziano, di chiamarlo “nonno”. Dare del tu immediatamente, usare nomignoli, trattare con
eccessiva familiarità gli assistiti è una maniera di squalificarli. Comportamenti del genere sono, il
più delle volte, adottati con la migliore delle intenzioni: mostrarsi “vicini”, quasi come familiari.
Tuttavia bisogna considerare che si può apparire poco distaccati anche senza entrare
immediatamente in confidenza. Sarà poi la persona, qualora ne avesse voglia, a chiedere all’addetto
all’assistenza di darle del tu o a manifestare il desiderio di essere chiamata per nome etc. In realtà,
atteggiamenti di questo genere, lungi dall’essere proficui, non fanno che confermare la disparità del
rapporto.
8. LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA
La psicologia può offrire all’operatore anche metodi e forme di sostegno e preparazione
dell’individuo malato, nonché a coloro che devono avvicinarsi, sotto la spinta di un disagio fisico o
psichico, alla realtà dell’assistenza sanitaria e per esempio sottoporsi a un esame diagnostico di
laboratorio, o strumentale chirurgico o radiologico; oppure di tipo ambulatoriale. Queste persone,
durante un periodo di degenza ospedaliera, si trovano immerse in uno stato d’animo di apprensione
e di preoccupazione, che ha una dimensione “normale” per chiunque debba affrontare qualcosa di
sconosciuto.
Specialmente nel caso di esami radiologici, i pazienti possono essere impressionati e impauriti. È la
procedura stessa, essenzialmente strumentale, a portare verso questo stato di timore e apprensione.
Gli esami radiologici generalmente si svolgono in ambienti in penombra o al buio. Le
apparecchiature utilizzate appaiono complesse e ignote; in più, alcuni esami richiedono la
somministrazione di sostanze per via orale o per via vascolare che possono risultare in se stesse
sgradevoli e che comunque, richiedono manualità di introduzione spesso fastidiose. Altri esami
necessitano la contenzione del soggetto in determinate posizioni scomode per periodi di tempo
anche lunghi: tutte queste componenti inducono il paziente, specie quando si sottopone a tali esami
per la prima volta, ad uno stato di tensione e di paura che può proiettarsi negativamente sull’esito
dell’indagine radiologica, che, come tutti gli altri tipi d’indagine, va, invece, condotta nelle migliori
condizioni possibili.
Diventano, pertanto, fondamentali alcuni concetti base:
- Accettazione: chi presta cure ha una concezione positiva dell’utente, lo valorizza, lo
sostiene e ha fiducia nelle sue potenzialità. Il terapista non è freddo o distaccato ma
ricco di interesse per il paziente, lo accetta in maniera incondizionata, non esprime
pregiudizi;
- Autenticità: la coerenza interna diventa importante non solo per il paziente, ma
anche per chi somministra cure; si stabilisce nel campo terapeutico una relazione
d’aiuto, caratterizzata da un’interazione e una comunicazione fluida fra persone,
specie quando uno dei dialoganti è in una condizione di bisogno o di difficoltà.
Anche nel rapporto con il malato in ospedale, vi è un professionista con competenze
e abilità che possono realizzare concretamente l’aiuto e soddisfare un bisogno di
sicurezza e di salute;
- Empatia: significa comprensione, accettazione dell’altro, autenticità in una
condizione di identificazione. Il concetto di empatia, come abbiamo già visto, si
riferisce a una comprensione e a una accettazione che non sono solo razionali, ma
che includono un coinvolgimento emotivo. Chi presta assistenza, accetta i sentimenti
dell’altro e, nella necessità, li esprime come se fossero propri.

9. L’ATTENZIONE
L’attenzione è il processo con il quale mettiamo a fuoco e cogliamo specificatamente alcune parti
della realtà che ci circonda escludendone le rimanenti. L’attenzione non è, d’altra parte, un processo
semplice e scontato.
A) Il processo di attenzione
L’attenzione richiede almeno cinque meccanismi, e precisamente:
- Allerta: indica la quantità di attenzione implicata in un compito. Questa quantità
dipende dal livello di attivazione, determinato a sua volta sia dallo stato generale
dell’organismo, sia dagli stimoli nuovi provenienti dall’esterno;
- Attivazione: costituisce il meccanismo più direttamente coinvolto nell’elaborazione
dell’informazione. Implica, infatti, sia l’attivazione di determinati percorsi o circuiti
neurali, sia l’attivazione di un sistema di codifica soggettivo, che genera la
rappresentazione interna dello stimolo percepito;
- Orientamento: è il meccanismo che direziona e coordina l’attenzione verso la
sorgente dello stimolo sensoriale, dunque, nello spazio. Sono state individuate due
modalità con cui l’attenzione può orientarsi nello spazio, e precisamente:
l’attenzione orientata in modo esplicito e quello orientata in modo implicito.
L’attenzione orientata in modo esplicito è connessa al movimento del capo e degli
occhi, al fine di individuare ed elaborare uno stimolo localizzato nello spazio
esterno. L’orientamento implicito dell’attenzione, invece, avviene in assenza di tali
movimenti, e soprattutto di quelli oculari;
- Detenzione: è un meccanismo decisamente cognitivo in quanto implica
un’elaborazione dell’informazione che è stata selezionata. Secondo alcuni autori, le
singole caratteristiche di uno stimolo sono elaborate in modo preattentivo, cioè senza
l’intervento dell’attenzione, che è invece richiesta per combinare più caratteristiche;
- Coscienza: esiste un rapporto stretto tra attenzione e coscienza. Dalle ricerche sono
emerse due linee interpretative; una linea riconosce all’attenzione una funzione
psichica autonoma, mentre l’altra considera l’attenzione come un’attività della
coscienza. L’attenzione, in quanto focalizzazione cosciente, può essere di tipo
extratensivo, cioè rivolta verso il mondo esterno, oppure intratensivo, rivolta al
mondo interno.
B) I fattori che condizionano l’attenzione
Il processo dell’attenzione è ancora più complicato quando ci troviamo in una situazione di
sorveglianza monotona e ripetitiva, tipica di molti ambienti sanitari ad alta responsabilità. Questo
clima può portare a un abbassamento dell’attività del sistema reticolare attivatore (RAS), che è una
importante parte del nostro sistema nervoso, costituito da fibre nervose che raggiungono l’area
cerebrale del talamo. L’abbassamento di questa attività porta alla sonnolenza alla ridotta efficienza.
L’attenzione esprime un certo grado di tensione mentale, la quale emerge da meccanismi interni
del soggetto, responsabili dell’interesse per ciò verso cui l’attenzione poi si rivolge. Bisogni e
impulsi personali, spesso inconsci, come sottolineato dalle teorie psicoanalitiche, possono portare a
considerare pochi importanti dati della realtà, e a trascurarne altri invece importantissimi (per
esempio, non dar peso al pianto di un bambino o di un anziano). Questa è certamente una situazione
conflittuale che può influire negativamente sull’assistenza ai malati. Si determina, infatti, una curva
di vigilanza che è già discendente dopo 25-35 minuti, quando, appunto, si avverte una rapida
diminuzione dell’attenzione. Il lavoro di sorveglianza può determinare stress e far diminuire il
grado di tensione mentale che determina l’attenzione.
Altri fattori strettamente interni all’individuo che condizionano l’attenzione sono legati al sistema
delle abitudini. La nostra attenzione è attirata maggiormente da ciò che conosciamo, e che questo
deriva dalla nostra abitudine a percepire la realtà in una determinata maniera. Stanchezza,
irritazione, tensione, pulsioni, abitudini, motivazioni, sono tutti fattori individuali che possono
condizionare l’attenzione anche di chi operi in un reparto ospedaliero.
Per cercare di evitare tutto ciò è necessario favorire una appropriata distribuzione dei ruoli, già nella
fase di selezione del personale, cercando, per esempio, di non collocare un soggetto iperattivo in
posti che richiedano attenzione e responsabilità; è anche importante vagliare insieme le
caratteristiche dei vari compiti e quelle della persona. Le prime incidono in maniera significativa
nel processo della memoria; ogni compito presenta un grado di difficoltà variabile e quanto più
cresce tanto più è difficile memorizzare e riprodurre il materiale legato al compito da eseguire. Alle
caratteristiche personali già accennate si aggiungono quelle che riguardano le prestazioni della
memoria: c’è chi memorizza più velocemente e chi meno. È possibile fare un’analisi delle
caratteristiche personali che possono avere un’incidenza adeguata in relazione a un certo tipo di
prestazione o attività.
L’attenzione funziona al massimo quando l’ambiente circostante è vario e mutevole, per questo
bisogna fare in modo che nell’ambiente di lavoro sia ridotta la monotonia, al fine di una continua
esercitazione della capacità di attenzione. Molti sono i fattori esterni che possono rinforzare lo
stimolo ambientale, tra questi ricordiamo la novità, l’intensità dello stimolo e la ripetizione: tutte
caratteristiche ben conosciute che sono in grado di attirare l’attenzione. La persona in presenza di
uno stimolo interessante riesce a mantenere la capacità di attenzione fino a 45-50 minuti. Lo
stimolo, invece, che dura troppo può procurare assuefazione e, quindi, perdere le caratteristiche di
rinforzo dell’attenzione. La novità dello stimolo favorisce molto la concentrazione, sempre che
questo sia importante per il soggetto, tale cioè da suscitare il suo interesse. Tanto più lo stimolo è
forte, tanto più esso riuscirà ad attirare la sua attenzione. La ripetizione dello stimolo, infine, è un
altro fattore che offre più possibilità di attirare l’attenzione. Il pericolo da scongiurare è sempre
quello dell’assuefazione, che si ha quando lo stimolo è sovrabbondante rispetto alle necessità
psichiche del soggetto. Per creare la giusta tensione mentale è opportuno privilegiare l’attenzione
volontaria, quella cioè che si basa su forti motivazioni, mentre l’attenzione involontaria è
generalmente passiva e priva di adeguati contenuti motivazionali.
Disattenzione, distrazione, distraibilità e aprosisessia, ovvero assoluta mancanza di attenzione, sono
i principali fattori di negligenza, anche all’interno dell’ambiente lavorativo. La disattenzione è
solitamente causata dalla stanchezza e dall’assuefazione fisica e mentale. La distrazione, invece, è
solitamente causata dall’intervento di uno stimolo esterno più forte e tale da distogliere l’attenzione
dal suo compito contingente; per recuperarla occorre una intensità dello sforzo maggiore rispetto
alla situazione di semplice disattenzione. La distraibilità è un’attitudine della personalità, che
bisogna imparare a conoscere e a controllare. L’aprosessia, invece, è un disturbo grave, che si
traduce nell’impossibilità completa a mantenere la tensione dell’attenzione e può essere il segno di
una lesione cerebrale. Nelle demenze senili si può avere un abbassamento dell’acutezza e della
resistenza dell’attenzione. Melanconia e mania sono altre due situazioni di grave disturbo
attentivo: nella prima, l’attenzione è rivolta esclusivamente verso la propria condizione interna
esistenziale; nella seconda abbiamo, invece, un eccesso incontrollato di mobilità dell’attenzione.
10. LA MEMORIA
Con il termine “memoria” si intende genericamente la capacità di conservare e di evocare eventi
accaduti nel passato o ciò che si è appreso. La raccolta dei ricordi o memorizzazione e la loro
evocazione, sembrano quasi sempre prodursi involontariamente, ma è perfettamente possibile nella
vita quotidiana apprendere e ricordare in modo volontario.
A) La struttura della memoria
Nell’ambito delle ricerche sulla memoria il problema più dibattuto è stato se la memoria sia unica e
divisa in diverse componenti o se esistano vari tipi di memorie. La tendenza più attuale è orientata a
ritenere che esistano più memorie, distinte fra loro e con basi e meccanismi diversi.
La memoria sensoriale consiste in un prolungamento delle informazioni sensoriali oltre il tempo di
esposizione all’oggetto. Ad esempio, quando una luce illumina improvvisamente una stanza buia
per pochissimi secondi, possiamo vedere, per quel tempo limitato, sia la luce sia gli oggetti della
stanza che illumina. Il sistema di elaborazione delle informazioni mantiene quindi per un periodo
molto breve una traccia dell’informazione sensoriale, anche quando non si sta prestando particolare
attenzione ad essa. Generalmente la memoria sensoriale viene studiata in psicologia in rapporto alle
immagini visive, e si parla di memoria sensoriale iconica (icona= immagine visiva), o in rapporto
all’udito, e in questo caso si parla di memoria sensoriale ecoica (chiamata così perché la traccia di
breve durata prodotta da un particolare suono è detta eco).
Le informazioni, o parte di esse, elaborate nella memoria sensoriale, vengono trasferite nella
memoria a breve termine. La capacità della MBT di contenere informazioni è estremamente
limitata, anche se la quantità totale delle informazioni che passano attraverso la memoria a breve
termine nell’arco di qualche minuto o di qualche ora può essere considerevole. Un esempio di MBT
è dato dal ricordo di un numero di telefono appena letto, che riusciamo a ricordare per il tempo
sufficiente a formare il numero sull’apparecchio, ma che dimentichiamo subito dopo.
Qual è la ragione per cui solo una parte delle informazioni che giungono alla memoria a breve
termine viene codificata entro quella a lungo termine? Più ripetiamo l’informazione nella memoria
a breve termine, più aumentano le probabilità che la possiamo codificare in quella a lungo termine.
Tuttavia la ripetizione non sempre è sufficiente a produrre questo effetto.
Attualmente gli psicologi distinguono fra due tipi di ripetizione: di mantenimento, cioè quella che
garantisce la conservazione, per un certo tempo, dell’informazione nella memoria a breve termine,
di codificazione, quella che codifica l’informazione nella memoria a lungo termine.
B) Il decadimento della memoria
Il decadimento della memoria è la conseguenza più grave della demenza senile: l’anziano non
riesce a trattenere ricordi nel registro sensoriale della memoria a breve termine; di conseguenza,
nulla riesce più a sedimentarsi nella memoria a lungo termine. Nella demenza senile il
funzionamento della memoria viene, quindi, inevitabilmente compromesso: i fatti più recenti
risultano come mai accaduti, fino alla perdita globale della memoria recente. La memoria remota,
invece, proprio perché frutto di lunga stratificazione, riesce a rimanere abbastanza stabile.
La carenza di memoria, specie nella forma dell’Alzheimer, diventa progressivamente globale: è una
demenza grave che ha le stesse caratteristiche della demenza senile degenerativa cronica, che di
solito appare dopo i 70 anni e nella quale prevale l’atrofia della corteccia cerebrale. Ma non tutte le
amnesie sono sinonimo di demenza: vuoti di memoria sono riscontrabili anche nell’anziano sano,
per quanto questo tipo di amnesia superficiale sia un campanello d’allarme spesso trascurato, legato
allo stereotipo dell’anziano che, per sua natura, tende a dimenticare.
Le amnesie, del resto, rappresentano alterazioni della memoria frequenti a qualsiasi età, proprio in
virtù dell’incapacità, spesso transitoria, di ricordare eventi recenti. Quando l’amnesia non è
passeggera può avere caratteristiche organiche, legate a cause di tipo tossico, traumatico,
infiammatorio e metabolico; origini psicogene, legate a fenomeni di tipo emotivo-affettivo.
La reminiscenza confusa e incosciente può essere conseguenza di paramnesie che deformano i
ricordi, o di ecmnesia che fa vivere in modo regressivo ricordi infantili come attuali.
Anche il falso riconoscimento è un fenomeno passeggero, spesso poetico nella forma soprattutto del
dejà vu, in molti individui normali; mentre nei pazienti isterici o colpiti da epilessia può acquisire
durata patologica.
11. LE EMOZIONI
Le emozioni sono degli stati psicologici e fisiologici che accompagnano delle situazioni percepite
dal soggetto come importanti per il mantenimento del proprio equilibrio e del proprio benessere.
Gli psicologi contemporanei considerano l’emozione un sistema di reazioni coordinate che
includono:
- Un’eccitazione fisiologica, causata da alterazioni neurali, ormonali, viscerali e
muscolari;
- Dei sentimenti, cioè degli stati affettivi positivi o negativi;
- Dei processi cognitivi, che intervengono nell’attività di ricordare, interpretare, porsi
delle aspettative ecc.;
- Delle risposte a livello comportamentale, che possono essere espressive (piangere,
ridere , sorridere ecc.) oppure strumentale (attaccare, fuggire, gridare aiuto ecc.).
Le emozioni vengono di solito distinte in primarie e complesse. Le prime hanno una radice
biologica e sono state rilevate in individui appartenenti a culture differenti e in bambini piccoli,
mentre le seconde sviluppano grazie alla combinazione di alcune delle primarie e sono
profondamente influenzate dall’esperienza.
Tra le emozioni primarie fondamentali vi sono la felicità, il disgusto, la paura, la collera,
l’interesse. Da queste deriverebbero in seguito le emozioni complesse come l’amore, la
delusione, il rimorso e così via. Nello sviluppo individuale sono fondamentali gli scambi con
l’ambiente fisico e sociale che determinano nuovi rapporti affettivi e sociali. L’accoglienza
dell’ambiente svolge un ruolo determinante: fornisce le occasioni, seleziona le reazioni,
suggerisce i modelli di comportamento. Le emozioni svolgono una funzione importante per la
sopravvivenza della specie umana e per lo sviluppo della personalità individuale.
Vi sono poi emozioni che riflettono i valori della cultura di appartenenza. Le emozioni svolgono
una rilevante funzione sociale: segnalano agli altri lo stato di benessere o di malessere
dell’individuo, rafforzano i legami affettivi e sociali e consolidano i valori e le norme culturali.
12. LA FRUSTRAZIONE
La frustrazione, una situazione psicologica che ben si conosce nella vita quotidiana e non soltanto
nell’ambito lavorativo, è la condizione in cui viene a trovarsi l’individuo quando è ostacolato nella
soddisfazione di un suo bisogno; tuttavia essa non sempre è, in quanto tale, controproducente,
poiché non esiste l’evento di per sé frustrante: tutto dipende dalla scala di valori di ciascun
individuo. Un lutto può essere il massimo della frustrazione per gran parte degli individui, ma non
possiamo affermare con sicurezza che ciò valga per tutti. Le conseguenze della frustrazione, quindi,
dipendono dalla forza del comportamento frustrato, dalla natura del problema che crea frustrazione,
dovuta all’indifferenza, che minaccia il desiderio di protezione, specie dei bambini e degli anziani,
all’incoerenza educativa tipica e non rara in certi ambienti professionali.
Le cause di frustrazione possono dipendere nel malato dalle strutture conflittuali sue proprie, cioè
dal conflitto tra tendenze spesso inconciliabili, per cui la soddisfazione di un bisogno esclude la
soddisfazione di un altro (a esempio, il bisogno di guarire si scontra con il desiderio di cibi vietati
dalla dieta prescritta).
I conflitti psichici tra impulsi, bisogni, desideri, spesso inconciliabili, sono numerosi e quasi
sempre portano a una non completa soddisfazione. Le cause di frustrazione che si incontrano nel
soddisfacimento dei bisogni sono sempre in agguato, e spesso ne determinano un blocco totale. Il
conflitto nasce, appunto, dalla difficoltà, e spesso impossibilità, di poter scegliere tra spinte
contrastanti per poter soddisfare bisogni e desideri. Ne deriva una tensione tra stati d’animo
reciprocamente incompatibili o sentiti dall’individuo come tali.
I conflitti possono avere diverso segno e portata. Vi sono:
1) Conflitti tra due scelte positive
2) Conflitti tra due scelte negative
Conflitti tra due scelte con aspetti insieme negativi e positivi.

Le frustrazioni più sentite nascono da una situazione conflittuale, e normalmente tali situazioni si
superano con facilità o, al massimo, con una intensificazione dello sforzo. Questa è la risposta
adeguata, ma vi sono anche le risposte inadeguate, quelle strategie, cioè, che non soltanto non
aiutano a superare l’ostacolo, ma che possono addirittura crearne uno più grave. La risposta
inadeguata più frequente è l’aggressività, che è spesso un modo diretto e non mascherato di reagire
alla frustrazione. Di solito l’aggressività è diretta contro l’oggetto che viene percepito come causa
della frustrazione, ma può anche dipendere dalla nostra realtà interna, come conseguenza dei
conflitti sopra ricordati. Può anche accadere che il soggetto si senta costretto a inibire l’atto
aggressivo contro l’oggetto-causa della frustrazione. Può essere uno degli effetti della
istituzionalizzazione in ospedale; in questo caso, si produce una seconda frustrazione che costringe
il soggetto a sostituire l’oggetto dell’aggressione e a spostarla su altri obiettivi.
I malati affetti da determinate patologie possono diventare aggressivi anche in situazioni che non
giustificherebbero questa risposta: l’aggressività in questi casi può manifestarsi con grida, lancio di
oggetti, rifiuto di indicazioni, alimentazione e terapia. Talvolta si è in presenza di persone che hanno
subito un danno cerebrale, magari provocato da una malattia che accentua gli aspetti negativi della
personalità o ne crea di nuovi prima sconosciuti allo stesso individuo. All’interno dell’ospedale può
anche accadere che l’aggressività venga determinata da una situazione che provoca nel soggetto
confusione, agitazione, senso di incapacità. Nel malato, infatti, non è difficile che si possa
determinare uno stato di confusione generale, anche se momentaneo.
Per i casi sopradescritti è necessario conservare la massima calma: una reazione non controllata può
scatenare nel paziente una accentuazione della sua aggressività. Chi assiste il malato farà sempre
bene a dimenticare quanto è successo e a cercare di distrarre il soggetto verso altri interessi. Se si
riesce a farlo con le parole, la persuasione, un buon grado di empatia, il risultato sarà raggiunto
facilmente. Nella maggior parte dei casi si tratta di reazioni dovute alla malattia, per cui il paziente
ben curato e assistito finisce per dimenticare in breve tempo ciò che è accaduto. Certo non è
piacevole vedersi offeso o minacciato dall’assistito: in questi casi, è utile evitare il pericolo e
cercare di individuare la possibile causa scatenante. Anche in questa situazione vale la regola di
tentare di distrarre il malato. Se queste circostanze dovessero ripetersi è bene non affrontare da soli
il problema: infatti, l’ansia e lo stress cui l’assistente va incontro in situazioni del genere possono
essere talmente forti da riversarsi sul malato, rendendolo ancora più agitato e aggressivo. Per evitare
una situazione che alla fine può portare a un vero logoramento, è importante lavorare in equipe: si
può anche richiedere l’intervento dei familiari o di persone di fiducia del malato. Molta importanza
ha il clima nel quale quest’ultimo è inserito: un ambiente calmo e sereno, all’insegna della
collaborazione e della comprensione, può attenuare l’accumulo di tensione dovuto
all’ospedalizzazione.
13. I MECCANISMI DI DIFESA
Oltre all’aggressività, altre risposte alla frustrazione sono date dai meccanismi di difesa, cioè da
tutti quegli accorgimenti mentali e comportamentali che l’individuo mette in atto per difendere il
proprio equilibrio psichico dai turbamenti interni ed esterni. Di solito la persona con un sufficiente
grado di equilibrio mentale risponde alle frustrazioni in modo adeguato, accettando il fatto che
determinate tensioni possano comportare anche degli aspetti positivi. Le risposte adeguate più
diffuse sono l’intensificazione dello sforzo, la riorganizzazione del lavoro, la scelta di mezzi nuovi,
la decisione di sostituire obiettivi difficilmente raggiungibili con altri più “abbordabili”.
Tipico meccanismo di difesa è la rimozione: con essa l’individuo respinge impulsi, idee, fantasie
considerati incompatibili con il suo mondo di valori. Si tratta di un allontanamento automatico: da
qui deriva l’impegno, per chi offre cure e assistenza, a non giudicare l’assistito con superficialità e
in base alle prime impressioni.
Il meccanismo di difesa della negazione non permette di valutare aspetti essenziali della realtà,
vissuti dal soggetto come spiacevoli: è la cosiddetta “strategia dello struzzo”, in virtù della quale il
soggetto rifiuta di prendere atto della realtà e si nasconde per non impegnarsi o non assumersi delle
responsabilità, per non fare mai niente di più dello stretto necessario.
Con il meccanismo di difesa della proiezione un individuo attribuisce ad altri idee o atteggiamenti
che invece gli appartengono e, in questo modo, soprattutto per quanto riguarda limiti e difetti, ha
l’impressione di liberarsene. Ad esempio, un soggetto demotivato crederà di trovare in altri la stessa
mancanza d’impegno.
La razionalizzazione è il tentativo, invece, di dare risposte plausibili, “razionali” ai propri atti e
idee, anche alle più “stravaganti” o insensate.
Con la sublimazione l’individuo indirizza verso un’altra direzione, accettata per prevalente
conformismo, l’energia psichica che proviene da impulsi di natura sessuale.
La regressione è una forma di risposta inadeguata alla frustrazione, molto grave e pericolosa, in
quanto l’individuo ritorna a vivere stadi evolutivi che aveva superato. Il bambino inserito in un
ambiente particolarmente repressivo e minaccioso può ritornare “a bagnare il letto”. È una forma
estrema di difesa, con la quale ci si rifugia nell’unico mondo che nessuno può apparentemente
toccare; se stesso, il proprio essere. È una forma particolarmente acuta di difesa che subentra
davanti a fatti molto traumatici, come per esempio una violenza subita o un evento particolarmente
doloroso: è il caso, per esempio, di alcuni traumi dovuti a violenza sessuale. Non è raro il caso di
donne vittime di stupro che ritornano a parlare e a comportarsi come bambine: un rifugio estremo in
un’età ritenuta felice.
Con l’assimilazione l’individuo imita fino alla identificazione profonda un’altra persona: può
arrivare a condividerne il pensiero, i gesti e il comportamento complessivo.
Il meccanismo di difesa della formazione reattiva vede l’individuo comportarsi in modo
diametralmente opposto a quelle che sono le spinte inconsce.

AREA DISCIPLINARE SOCIO-CULTURALE, ISTITUZIONALE, LEGISLATIVA

MODULO 3ore INTRODUZIONE AL CORSO


n.1 (MODULO BASE) ELEMENTI DI LEGISLAZIONE NAZIONALE E REGIONALE
A CONTENUTO SOCIO-ASSISTENZIALE E PREVIDENZIALE ore 15

1. IL PUBBLICO IMPIEGO
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche è quello per cui una
persona fisica pone volontariamente la propria attività, in via continuativa e dietro
retribuzione, alle dipendenze di una pubblica amministrazione, assumendo un peculiare
status con particolari diritti e doveri.

Si tratta di un rapporto:
– volontario: sia per la costituzione del rapporto, è richiesta, non solo la volontà della P.A., ma
altresì quella delle dipendente;
– strettamente personale: la specifica capacità intellettuale e tecnica necessaria per ogni
singolo ufficio e la fiducia che l'ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri
interessi importano che il rapporto sia costituito intuitu personae.
– giuridico bilaterale: esso, infatti, comporta diritti ed obblighi reciproci per ciascuna delle
parte;
– di subordinazione gerarchica: la subordinazione (gerarchica e disciplinare)costituisce
l'elemento che distingue l'impiego dall'incarico professionale (locatio operis) in quanto la
prestazione lavorativa è svolta da un soggetto istituzionalmente subordinato alla P.A.

2.LA RIFORME BRUNETTA INTENDE


– responsabilizzare maggiormente i dipendenti pubblici (dirigenti in primis);
– incentivare selettivamente le migliore prestazioni (meritocrazia);
– affermare la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera dei dipendenti;
– contrastare la scarsa produttività e l'assenteismo, agevolare la mobilità del personale,
assicurare una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base
territoriale;
– assicurare la trasparenza dell'operatore delle amministrazione pubbliche, anche a
garanzia della legalità;
– rafforzare le prerogative datoriali dei dirigenti;
– riaffermare e presidiare la ripartizione tra gli ambiti e le materie sottoposte alla legge,
nonché sulla base di questa, ad atti organizzativi e all'autonoma responsabilità del
dirigente nella gestione delle risorce umane, e quelle oggetto della contrattazione
collettiva.

3.IL TRIENNIO 2010/2012: ANCORA NOVITA PER IL PUBLICO IMPIEGO


I profondi cambiamenti intervenuti nel settore del lavoro pubblico non si sono fermati,
tuttavia, alla riforme Brunetta del 2009. Il mondo del lavoro, in generale, ha vissuto e vive
tuttora una stagione di profondo fermento, come emerge chiaramente dalle manovre che
hanno visto la luce tra il 2010 e il 2012. E, infatti, importante citare gli ulteriori provvedimenti
normativi che si collocano nel contesto delle profonde riforme della disciplina del lavoro e, in
particolare, del pubblico impiego.

- viene predisposto un tetto per la contrattazione decentrata, sia dei dipendenti che dei dirigenti
- sono previsti tetti massimi per il trattamento economico non potendo per quest'ultimo
superare,per il triennio 2011-2013, quello spettante nel 2010;
- per il triennio 201 0/2012 non si può procedere, ancora, alla procedure negoziali e
contrattuali: si tratta del blocco della contrattazione collettiva;

4.AMBITO DI APPLICAZIONE DEL D.LGS- 165/2001


Il legislatore ha precisato che per amministrazioni pubbliche, destinatarie della normativa
sul impiego,si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compressi gli istituti e scuole
di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello stato ad
ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro
consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le
camere di commercio, industria, artigianato, ed agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti
del servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999. Agli enti locali sono
equiparati in toto, a seguito della L. cost. 3/2001, le Città metropolitane.

5.LE FONTI DEL PUBBLICO IMPIEGO E LA CONTRATAZIONE COLLETTIVA


I rapporti di lavori dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle
disposizioni del capo I, titolo II, del libro V, del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro