Lezione 03 (07-03-07) Oncologia
Lezione 03 (07-03-07) Oncologia
Lezione 03 (07-03-07) Oncologia
Ruolo dell’angiogenesi :Come vi ho detto il ruolo dell’angiogenesi non è soltanto quello di favorire
l’apporto di ossigeno e di alimenti nutritizi, ma fornisce, poi, tutti quei fattori di crescita che sono
un altro propellente che serve per spingere il motore di queste cellule tumorali. Questi fattori di
crescita arrivano col sangue e favoriscono, a loro volta, la formazione di nuovi vasi se si tratta di
fattori di crescita dell’endotelio vascolare oppure favoriscono, semplicemente, la proliferazione
delle cellule tumorali in quanto fattori di crescita in grado di legarsi alle cellule tumorali stesse.
Quindi la funzione dell’angiogenesi è duplice e ognuna di queste due funzioni ha un ruolo
assolutamente importante.
Fattori angiogenetici: uno dei fattori, che troverete anche più avanti, quando vi avvicinerete ancora
di più alla clinica e che studierete comunque, è il VEGF (fattore di crescita dell’endotelio
vascolare). È un fattore di crescita specifico per le cellule endoteliali, quindi, queste sono le uniche
ad avere il recettore per questo fattore di crescita, quindi sono le uniche che rispondono. Quindi
indurrà la formazione di nuovi vasi. La cosa interessante è che questo VEGF non sembrerebbe
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limitarsi a stimolare la proliferazione di endotelio, ma avrebbe anche un ruolo anti-apoptotico
sempre le cellule endoteliali. Quindi garantisce, da un lato, una maggior produzione di queste
cellule, e, allo stesso tempo, fa in modo che questi vasi siano più resistenti anche a fenomeni
fisiologici di morte cellulare. Ha un duplice ruolo, ed entrambi gli effetti favoriscono la crescita del
tumore.
Un altro fattore importante, che svolge più o meno le stesse funzioni, è il fattore di crescita dei
fibroblasti (FGF). Questi due fattori di crescita non sono prodotti solo dalle cellule tumorali, ma
sono prodotti anche da tutta una serie di cellule infiammatorie che, generalmente, sono associate al
tumore e che spesso i tumori imitano.
Una cosa che ha reso ancora più interessante la costruzione di tutta questa piccola massa, che prima
cresceva più o meno lentamente, perché si procurava quello che serviva dalle cellule vicine, e che
poi diventa in grado di stimolare questo processo di angiogenesi, è venuto fuori dall’osservazione
che questo fattore di crescita viene stimolato dall’ipossia. Se torniamo un attimo indietro, vi ho
detto prima che c’è questo piccolo tumore che cresceva e, ad un certo punto, si trova in condizioni
di ipossia, perché, evidentemente, la massa è troppo grande per continuare a nutrirsi esclusivamente
di ossigeno e alimenti nutritizi dalle cellule vicine senza un proprio apparato vascolare; quindi si
determinava un quadro ipossico e questo era responsabile della morte di alcune cellule. Nel
momento in cui abbiamo l’ipossia, questa, induce il fattore di crescita vascolare. Quindi una
situazione che inizialmente è sfavorevole per le cellule tumorali, si trasforma improvvisamente in
ciò che garantisce loro la possibilità di procurarsi un apporto adeguato tramite questo nuovo
processo di formazione di vasi.
Questo fattore di crescita vascolare cosa fa? Abbiamo detto che si lega a dei recettori specifici
(VEGFR) e stimolerà la produzione di cellule endoteliali e quindi l’angiogenesi.
Che questo VEGF sia importante cosa ce lo dice? Per esempio il fatto che se noi utilizziamo
anticorpi in grado di bloccare il VEGF, quindi di impedire di legarsi al recettore e svolgere la sua
funzione e noi blocchiamo la crescita, almeno in vivo, di cellule endoteliali.
E allora che tipo di quadro si instaura in queste condizioni? Noi abbiamo un tumore, in cui
abbiamo delle cellule che sono in grado di produrre VEGF (cellule tumorali e cellule infiammatorie
associate al tumore) che stimola l’angiogenesi e questa è in grado, tramite non solo ciò che porta
fisicamente (ossigeno e sostanze nutritive), ma anche tramite i fattori di crescita che arrivano con
questi vasi di supportare la crescita del tumore, il quale, a sua volta, continuerà a produrre VEGF;
questo , ovviamente, diventa una reazione che si amplifica.
La cosa importante, perché purtroppo niente è mai così semplice, perché uno potrebbe anche dire:
basta che io trovi qualche cosa che blocchi i fattori angiogenetici ed io risolvo il tutto. In realtà la
cosa strana è che le cellule tumorali elaborano non soltanto fattori che favoriscono l’angiogenesi,
ma anche tutta una serie di sostanze che hanno un effetto anti-angiogenetico (che fanno esattamente
il contrario). Troviamo la trobostatina-1, l’angiostatina (ne avrete sentito parlare perchè qualche
anno fa delle ricerche soprattutto di un ricercatore americano hanno dimostrato che questa
angiostatina è in grado di bloccare completamente la crescita di tumori. Si parlava di uccidere il
tumore affamandolo; bloccando l’angiogenesi il tumore muore di fame). Quest’ultima è un qualcosa
di particolare, molto semplice, che deriva dal clivaggio del plasminogeno (che è implicato nella
fibrinolisi e nell’infiammazione). Un altro fattore angiogenetico è l’ endostatina, anch’essa prodotta
dal processo proteolitico del collagene.
Questo vuol dire che la crescita del tumore, in realtà, se noi pensiamo all’angiogenesi come un
processo importante, sia in pratica il risultato di uno spostamento nel rapporto tra fattori che
favoriscono l’angiogenesi e fattori che invece la inibiscono.
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In questo quadro si inserisce un altro discorso, che riprenderemo anche più avanti, che è legato al
ruolo di quell’oncosoppressore che è la p53, che abbiamo già visto quando abbiamo fatto il ciclo
cellulare. Vi ricordate che la p53, che viene definita come “guardiano del genoma” è un gene che si
attiva nel momento in c’è un danno al DNA. Siccome c’è un danno che deve essere riparato, la
prima cosa da fare è fare in maniera che il ciclo cellulare venga bloccato. La p53 in presenza di
danno cellulare è in grado di bloccare il ciclo. In questa situazione il ruolo della p53 è quello di
inibire l’angiogenesi; quindi una p53 normale è in grado di bloccare l’angiogenesi perché è un forte
induttore della trombospondina-1(antiangiogenetico).
Abbiamo detto che gli oncosopressori spesso e volentieri sono mutati nei tumori (per cui non
svolgono più le loro funzioni), quindi, a questo punto, diventa comprensibile che se quel particolare
tumore presenta una mutazione della p53 che tra le altre cose non è più in grado di garantire
l’induzione della trombospondina-1, praticamente non fa altro che modificare quel rapporto tra
fattori pro-angiogenetici e angiogenetici in favore dei secondi. Perché se la trombospondina non
viene prodotta per la mutazione della p53, cosa viene prodotto maggiormente? Il VEGF che stimola
l’angiogenesi e il tumore cresce più rapidamente.
Per molto tempo si è pensato che l’angiogenesi fosse un processo che riguardava soltanto la fase di
proliferazione, e cioè quella fase in cui il tumore primitivo, praticamente, arrivato nell’organo
bersaglio, dove poi andrà a dare la metastasi; e ci si riferiva all’angiogenesi come ad un processo
tipico di quella fase. Invece questo è stato dimostrato essere non vero, perché è un processo che
avviene molto rapidamente nella storia naturale del tumore ed è ciò che precede addirittura il
distacco delle cellule tumorali e quindi il loro movimento infiltrativo, invasivo nel tessuto di
origine. Questa affermazione viene fuori dagli studi che sono stati fatti soprattutto da questi due
gruppi (Liotta e coll., Folkman e coll.) che hanno studiato o da tumori iniettati intramuscolo oppure
utilizzando il carcinoma in situ (soprattutto Folkman). Il carcinoma in situ è un tumore particolare
perché presenta le caratteristiche del tumore maligno, ma che rimane latente, quindi non invasivo,
confinato nel punto dove si è andato a formare, per tantissimo tempo (anche per anni). Poi ad un
certo punto, non si sa bene perché, questo carcinoma, non rimane più in situ, ma impara ad
aggredire il tessuto vicino, ad infiltrarlo e dopo di che va avanti. Cosa si è osservato studiando
questo tipo di tumore? In pratica quello che abbiamo visto prima; cioè che inizialmente questo
tumore cresce, ma rimane localizzato (in situ), quindi non ha capacità invasiva, poi, ad un certo
punto, e adesso noi sappiamo perché, (raggiunta una certa dimensione o cmq sia fino a quando non
vengono stimolati quei fattori angiogenetici) immediatamente inizia il processo di vascolarizzazione
a cui è associato, immediatamente, l’acquisto della capacità infiltrativi. A questo punto si ha il
passaggio da carcinoma in situ a carcinoma invasivo.
CARCINOMA IN SITU = carcinoma che presenta aspetti morfologici tipici del tumore maligno,
ma che per un periodo di tempo molto lungo non è in grado di superare la membrana basale e
dunque non è invasivo.
Questo carcinoma in situ è tipico del carcinoma dell’endometrio.
Nel momento in cui, in seguito all’angiogenesi, questi tumori acquistano la capacità invasiva,
purtroppo, ne deriva che aumenta di molto la capacità metastatica. Un tumore non da metastasi se
prima non impara ad essere invasivo.
Invasività e capacità metastatiche:Ci sono due grosse eccezioni che sono i gliomi e i basaliomi
della cute. Questi sono due tumori invasivi, dal punto di vista morfologico assolutamente maligni,
che non metastatizzano quasi mai.
Fatte queste premesse, vediamo di ricostruire, come una cellula, dal momento in cui è stata
“trasformata”, riesce a portare alla metastasi. sembra facile, ma in realtà, per fortuna nostra è un
processo che comunque richiede da parte del tumore una certa sofferenza e soprattutto è un
processo che non è molto efficiente.
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Noi possiamo subito sostenere perché da qui si arrivi a qui, le cellule tumorali devono passare
attraverso questi momenti importanti:
- distacco dal tumore primitivo ( noi abbiamo una massa tumorale con le cellule tutte unite tra
loro e il tessuto circostante, sino a questo momento, non è molto colpito dalla presenza del
tumore). Quindi la prima cosa che deve succedere è che qualche cellula tumorale si stacchi
dalle altre e che inizi a camminare nel tessuto
- adesione alla membrana basale (perché possa passarla)
- degradazione matrice extracellulare (che rappresenta un terreno ignoto alla cellula o
comunque dove quella cellula non dovrebbe stare)
- migrazione deve migrare selettivamente verso un vaso ( perché le cellule tumorali
potrebbero, a questo punto, disperdersi nella matrice extracellulare e non ci darebbero grossi
problemi, ma purtroppo queste cellule sono in grado di capire che devono prendere una
direzione ben precisa, come una sorta di chemiotassi). Poi devono attraversare la parete
vascolare, quindi devono infiltrarsi tra le cellule endoteliali con un processo che è inverso,
ma simile a quello utilizzato dai granulociti quando dai vasi devono arrivare al sito
flogogeno, e finalmente arrivano. Una volta arrivati, trovano un sacco di nemici: linfociti,
piastrine, si formano aggregazioni di tumori che possono creare altri problemi, ma che non
consentono loro di metastatizzare. Soltanto una piccola frazione delle cellule che arrivate a
questo punto è in grado di legarsi da qualche altra parte, in circolo, alle pareti endoteliali e
qui incominciare il percorso inverso: attraversare il vaso, tramite la collagenasi, squagliare
tramite la collagenasi la membrana basale ed entrare nel nuovo organo in cui dovrebbero
dare metastasi. perché certi tumori metastatizzano prevalentemente o esclusivamente
determinati organi? Perché una volta che sono arrivati in quest’organo non è che possano
fare quello che vogliono, ma devono trovare un ambiente adatto, il che significa che devono
trovare il fattore di crescita che ne possa stimolare la proliferazione e devono essere in
grado, soprattutto, di ricominciare il processo angiogenetico che consenta loro, nuovamente,
di procurarsi ciò che serve per crescere. Senza tutte queste condizioni, anche l’essere arrivati
ad un organo a distanza, non garantisce loro di metastatizzare. Tutto questo, nella maggior
parte dei casi, richiede anni perché possa essere completato; ma ricordatevi sempre che il
periodo più lungo è quello che ci vuole perché da una cellula si formi una massa tumorale
importante che sia in grado di infiltrare, piuttosto che il periodo di metastatizzazione.
Queste sono le fasi che devono essere in qualche modo superate dalla cellula tumorale.
Vediamole una per una.
1- DISTACCO
Un tumore, normalmente, cresce, si amplifica. Per un periodo più o meno lungo non ha capacità
invasiva e allora perché ad un certo punto le cellule di questo tumore acquistano questa importante
capacità? Probabilmente, è dovuto al fatto che più cicli replicativi (più una cellula si divide, più
aumenta il rischio mutazionale del DNA, perché ogni volta che il DNA replica c’è la possibilità che
venga messa una base sbagliata, che i sistemi di riparo non la riconoscano etc.) possano indurre una
mutazione e una cellula può imparare così a staccarsi dalle altre. Oppure, possiamo pensare, che
all’interno di questa popolazione ci sia un sottoclone che è in grado di invadere il tessuto, ma che
sino a quel momento non si era, in qualche modo, manifestato.
Detto questo, dobbiamo capire quali sono le situazioni che favoriscono il distacco di qualcuna di
queste cellule dal resto della massa tumorale.
Rivestono un ruolo molto importante delle glicoproteine che sono proteine di adesione alla cellule;
in particolare si parla di:
CADERINE: fanno si che le cellule aderiscono le une alle altre.
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Quando si parla di molecole di adesione, non bisogna intenderle solo come un supporto, come una
specie di shock che tiene unite due cellule, perché in realtà queste molecole hanno un ruolo molto
importante. Ad esempio queste caderine, comunicano direttamente con altre proteine che sono le
CATENINE. Queste ultime hanno una componente che lega le caderine, ma l’altra va a finire
direttamente dentro il citoplasma della cellula. Questi legami tra proteine cellula-cellula non hanno
solo una funzione di legame, ma sono anche conduttori di segnali cellulari, alla cellula; infatti
vedremo come, per esempio le catenine siano molto importanti e siano implicati in certi tumori
umani (es. tumori del colon associati a poliposi familiare). Quello che si potrebbe ipotizzare è che
partendo da una situazione in cui le cellule sono effettivamente legate tra loro tramite queste
glicoproteine, pian piano si arrivi ad una situazione in cui si abbia una progressiva perdita delle
caderine, fatto associato a perdita di coesione e differenziazione.
Facendo finta che le caderine siano semplicemente pezzi di shock che tengono unite due cellule,
immaginate che questi pezzi pian piano si stacchino e così facendo l’associazione tra una cellula e
l’altra va perdendosi e quindi questa cellula che non ha più rapporti con quella vicina incomincerà a
staccarsi dalla massa tumorale e inizierà a muoversi nel tessuto, o quanto meno sarà in grado di
lavorare per attraversare la membrana basale.
Che le caderine siano importanti in questa prima fase è dimostrato dal fatto che se noi prendiamo un
tumore che abbia questa capacità invasiva, possiamo rilevare che in questi tumori c’è un’effettiva
mancanza di caderina. Se noi attiviamo il gene della caderina nelle cellule tumorali, noi blocchiamo
sia la motilità di queste cellula che l’invasività. Quindi, questo ci dice che la perdita di caderina è
importante per la motilità e invasività delle cellule e se io ripristino la capacità di formare caderina
io blocco l’attività di queste cellule.
L’importante è che capiate che il distacco delle cellule tumorali sembra essere dovuta ad una
perdita della produzione di queste molecole che invece devono tenere le cellule coese tra loro.
2- ADESIONE
La cellula a questo punto deve aderire alla membrana basale per poterla poi oltrepassare.
Cos’è che regola questo fenomeno? Ci vogliono dei recettori idonei per potersi attaccare alla
membrana. Normalmente nella matrice extracellulare noi abbiamo tutta una serie di proteine, quali
la laminino, fibronectina, collagene etc. Nelle cellule tumorali aumentano i recettori per queste
componenti della matrice e si è visto che il numero dei recettori espresso dai tumori è direttamente
proporzionale alla loro capacità invasiva.
È stato osservato che linee cellulari ad alta capacità metastatica hanno più recettori, più integrine
(già viste nell’infiammazione). Queste sono quelle la cui modificazione di struttura comporta il fatto
che ci sia una maggiore affinità per quei recettori posti sulla membrana endoteliale e in questo caso
stiamo parlando di integrine tumorali. Quante più integrine ha una cellula tumorale tanto più facile è
la sua adesione alla membrana, per cui tanto maggiore è la sua capacità invasiva.
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Anche qui, il fatto di trovare linee cellulari più metastatiche che hanno più integrine è solo una
questione di associazione. Ricordatevi sempre che trovare due cose che ci servono per farci tornare
i conti non è sempre scientifico.
Per dimostrare che un’associazione ha un significato bisogna fare qualcosa di più. Vuol dire che se
ritengo che l’integrina sia importante devo dimostrarlo in maniera più diretta. In questo caso quello
che è stato fatto è quello di trasferire il gene delle integrine in cellule tumorali non invasive e
dimostrare che con questo trasferimento le cellule diventano metastatiche.
Abbiamo superato la membrana e dobbiamo attraversare questo territorio inesplorato per poter
arrivare ai vasi. Queste sono le principali componenti della matrice extracellulare:
- collagene IV
- lamina
- proteoglicani
questo è quello che si trova di fronte la cellula tumorale e, in qualche modo, se vuole attraversare
questo percorso deve far fuori tutte queste cose che ne ostacolano il cammino.
Quali armi utilizza la cellula tumorale per continuare a filtrare? Si è visto che l’arma letale di queste
cellule è rappresentata soprattutto da proteasi. Queste proteasi, oltretutto, non se le fa soltanto le
cellule tumorali, ma queste cellule sono davvero diaboliche perché utilizzano anche quelle prodotte
da fibroblasti e macrofagi che sono generalmente infiltrati nel tumore e che quindi acompagnano le
cellule tumorali. Queste proteasi sono soprattutto di 2 classi: una è una proteasi che viene definita
come attivatore del plasminogeno e le altre sono metalloproteinasi che sono presenti nella matrice.
Questo attivatore del plasminogeno (U-PA) è in grado di degradare la laminina e attiva una pro-
collagenasi (pro-collagenasi IV), il che vuol dire che questa pro-collagenasi, una volta attivata andrà
a degradare il collagene e contemporaneamente viene degradata anche la laminina. Anche in questo
caso si è visto che utilizzando anticorpi contro questi enzimi diminuisco l’attività metastatica del
tumore; questo fa pensare che, effettivamente, la produzione di questa sostanza sia importante per la
degradazione della matrice. Molto importanti sono anche queste MMP che sono metalloproteinasi.
Queste sono delle peptidasi zinco dipendenti ( per questo si chiamano metalloproteinasi ). Ce ne
sono di diversi tipi (la 2, 4, 9 e svariate altre). Una di queste, la numero 2, è responsabile del
clivaggio del collagene di tipo IV, come faceva anche l’ U-PA. Queste MMP sono importanti
perché sono diventate un possibile bersaglio nella terapia oncologica. Perché l’azione di queste
proteasi favorisce l’iper-attività delle cellule tumorali e riesco a produrre dei farmaci che inibiscono
queste proteasi io posso sperare di bloccare il processo metastatico. Ricordatevi che se noi
riuscissimo anche solo a ritardare il processo metastatico noi avremmo già fatto un salto enorme per
quanto riguarda sopravvivenza, qualità di vita etc. di pazienti con tumori. Ovviamente, tutto ciò che
può interferire con il processo metastatico è assolutamente importante. Si è visto che, in realtà, degli
inibitori, ovviamente, per queste proteasi, esistono già e sono chiamate TIMPs (inibitori tissutali
delle MMP). Quindi si tratta di fare in modo di aiutare i TIMPs a contrastare le MMP. Si è visto
che, in realtà, quando questi TIMPs sono fortemente espressi viene ridotta completamente l’azione
di queste metelloproteinasi.Normalmente i tumori invasivi sono caratterizzati da elevati livelli di
queste collagenasi, con una relazione diretta: tanto maggiore è l’attività di questi enzimi tanto
maggiore sarà la degradazione della matrice e di conseguenza l’invasività.Questi inibitori delle
MMP agiscono realmente e prevengono la dissoluzione della matrice extracellulare, quindi la
capacità che la cellula ha di andare in circolo.
Siamo arrivati a definire come queste cellule in qualche modo vengono anche aiutate ad individuare
questa direzione e non a disperdersi all’interno della matrice per poter completare questo loro piano.
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4-MIGRAZIONE.
È diretta verso il vaso, in maniera tale che quel processo possa continuare.
Per cui la cellula si deve staccare dal tumore e acquisire una certa motilità, grazie alla presenza di
quei famosi recettori riesce ad ancorarsi alla membrana basale e dopodichè va incontro ad una serie
di modificazioni tali da consentirgli di infilarsi nella membrana basale e nella matrice e questo lo fa
tramite la produzione di una serie di enzimi che sono in grado di scindere la matrice e soprattutto
enzimi che dissolvono le componenti principali. Nell’azione tumorale sono presenti questi enzimi
che, poi, legandosi con i substrati li scindono e continuano a “divorare” la matrice.
Che cos’è che determina il fatto che le cellule tumorali vadano in una direzione piuttosto che a
casaccio all’interno della matrice? Sono generalmente due tipi di elementi. Sono fattori prodotti da
cellule tumorali e poi, non paradossalmente, ma in aiuto, in aggiunta, ciò che aumenta la capacità, la
migrazione selettiva di queste cellule sono addirittura i prodotti di degradazione della matrice.
Quindi man mano che le cellule tumorali degradano la matrice, questi prodotti che si formano sono
a loro volta i fattori che aiutano in questa migrazione.
Fattori prodotti dalle cellule tumorali sono soprattutto: un fattore di crescita che si chiama HGF
(fattore di crescita dell’epatocita). Non fatevi trarre in inganno da questo “H” dell’epatocita, perché
questo nome origina dal fatto che un aumento dell’HGF era stato osservato in fenomeni subito
dopo la resezione parziale del fegato, quindi inizialmente si considerava l’HGF un fattore di crescita
specifico per l’epatocita; in realtà è ubiquitario ed è presente in tutti gli organi ed è un fattore di
crescita presente in forma inattiva nella matrice, ma che una volta che viene clivato, passa alla
forma attiva e va a legarsi ad un recettore che si chiama c-MET e, una volta che si lega è in grado di
stimolare la proliferazione delle cellule.
Questi fattori hanno attività stimolante la crescita, ma stimolano anche l’angiogenesi e la
chemiotassi di cellule tumorali. Invece i prodotti di degradazione della matrice che stimolano la
migrazione sono rappresentati dai prodotti di degradazione di componenti normali della matrice. La
migrazione è mediata anche dal collagene e laminina degradante. Per cui tutto questo fa si che le
cellule tumorali si muovano in una particolare direzione.
A questo punto noi abbiamo visto come, a partire dal tumore primitivo abbiamo superato tutti questi
ostacoli tramite delle modificazioni delle cellule tumorali che appunto imparano a rendersi
indipendenti dalle altre cellule mediante una perdita di queste molecole di adesione, invece si
dotano di recettori in grado di far si che si leghino alla membrana basale, dopodichè producono o
sfruttano le proteasi presenti nel sistema per degradare la matrice. I prodotti di degradazione aiutano
queste cellule a spostarsi verso il vaso, arrivano alla parete vascolare, la superano e finalmente
arrivano in circolo.
Vie di metastatizzazione
Le vie di metastatizzazione non sono solo quelle che sfruttano la via linfatica o quella ematica;
preferibilmente la via ematica per i sarcomi, invece, i linfatici per i carcinomi, ma ci possono essere
anche altre situazioni che favoriscono la metastatizzazione di un tessuto:
-CONTATTO: è quella che troverete in tutti i testi, classica, improbabile, ma ogni tanto è successo.
Nell’operazione, l’asportazione di un tumore, qualche cellula tumorale rimane attaccata alle
pinzette chirurgiche e va a cadere da qualche altra parte, riesce ad attaccarsi e da lì riparte a formare
un altro tumore. Questi sono eventi improbabili, però sono stati descritti.
-IMPIANTO DIRETTO IN CAVITA’: classico soprattutto del carcinoma ovario e che presenta la
peculiarità di rivestirsi, appunto, di cellule tumorali che poi possono finire nelle cavità, per esempio
nel peritoneo e quindi in qualche modo diffondersi, poi, dappertutto. Il peritoneo non è l’unica
cavità in cui questo può succedere: - pericardio - pleura
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Diciamo, però, che quando si parla di vie metastatizzazione, quelle principali sono rappresentate da
queste due.
Quindi la prima cosa che queste cellule devono fare è invadere il circolo, e abbiamo visto come
riescono ad arrivarci. Dopodichè, seconda fase, devono anche fuggire dal circolo, cioè devono farlo
se vogliono riprodursi a distanza in un altro organo, e devono anche riuscire a trovare un ambiente
idoneo che consenta loro di crescere e sviluppare un nuovo tumore in quel particolare organo.
Queste sono le tre fasi che caratterizzano questo processo.
-VIA LINFATICA:Possiamo dire, che un primo ostacolo per le cellule tumorali è rappresentato dai
linfonodi. Perché, generalmente, queste cellule tumorali che sono “buttate” nelle via linfatica
vengono bloccate a livello dei linfonodi regionali. Qui, queste cellule tumorali, trovano un ostacolo,
perché c’è una risposta che tende a bloccarle, ma spesso e volentieri vengono sopraffatte dalle
cellule tumorali e i linfonodi diventano contenitori di cellule tumorali che, poi, oltrepassano i
linfonodi e continuano a girare.
Un ingrossamento linfonodale non è sempre da considerarsi come indicativo di una crescita
tumorale nel linfonodo, perché, spesso e volentieri, non è altro che un’iperplasia di tipo reattivo che
si verifica nel linfonodo una volta che arrivano queste cellule tumorali.
Ingrossamento linfonodo: 1- crescita tumorale
2- iperplasia di tipo reattivo (risposta del linfonodo all’attacco da parte di cellule tumorali)
È chiaro che se prevale la componente tumorale, il linfonodo, non funge altro che da trampolino di
lancio per una successiva propagazione.
Ci sono dei tumori in cui si verifica un fenomeno che è definito:
METASTASI A SALTO: quella che avviene in presenza di anastomosi linfatico-venose e bypassano
il linfonodi, quindi possono andare a dare tumori direttamente senza dare risposta linfonodale.
Tornando ai linfonodi volevo farvi vedere quello che può succedere a quel livello. Se il linfonodo,
nonostante reagisca, viene sopraffatto dalle cellule tumorali, pian piano queste rimpiazzeranno tutto
il linfonodo e a questo punto la propagazione potrà addirittura avvenire sia in senso inverso (da
dove sono arrivati)sia potranno continuare a propagarsi attraverso le vie efferenti. Questa è una
situazione che si verifica abbastanza frequentemente.
LINFONODO SENTINELLA: riguarda soprattutto i tumori alla mammella. Perché generalmente per
stabilire la situazione, quello che si faceva era l’esame completo dei linfonodi ascellari. Adesso
quello che si usa è l’esame dei linfonodi sentinella, che sono dei linfonodi regionali attraverso i
quali, tramite iniezione di traccianti radiomarcati e contemporaneamente anche di coloranti, sia in
grado di stabilire quanto il tumore si è spinto a questo linfonodo sentinella; è molto utile in questo
caso, e fa si che non ci sia bisogno di interventi come quelli che si facevano prima ed è un buon
indicatore di quella che è la situazione.
-VIA EMATICA:Riguarda soprattutto capillari e venule perché le arterie offrono una resistenza
superiore alle cellule tumorali.
Per quanto riguarda questa via, fegato e polmoni sono, generalmente, gli organi più interessati
dall’azione metastatica di cellule tumorali perché, abbiamo detto, questo avviene soprattutto
attraverso le vene; e noi sappiamo che tutto il sangue venoso refluo arriva al fegato attraverso il
circolo portale e al polmone arriva tutto il sangue delle vene cave e questo spiega in parte perché
questi organi siano selettivamente scelti o raggiunti dalle cellule tumorali.
INVASIONE DEL CIRCOLO:Come vedremo, poi, questo concetto che è puramente legato
all’anatomia del circolo, in realtà non è quello che ci spiega tutto, perché c’è una teoria che, invece,
ci dice che il motivo per cui certi tumori metastatizzano prevalentemente in certi organi è dovuto ad
altre cause. Di tutte le cellule che sono state in grado di superare tutti quegli ostacoli che si trovano
davanti e che arrivano al circolo, si calcola che meno dello 0,1% sopravviva, quindi solo una quota
estremamente bassa di quelle cellule sopravvive. Addirittura, nell’uomo, è stato calcolato, in seguito
allo studio di certi tumori, che probabilmente la quota di cellule che sopravvive è ancora più ridotta
(0,00001%).
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Tuttavia, purtroppo, le metastasi sono una realtà e al maggior parte dei tumori maligni, alla fine,
riescono a metastatizzare. In ogni caso, sappiate, che forse ci vogliono migliaia, forse milioni di
cellule metastatiche per produrre una colonia a distanza. Quindi le cellule metastatiche non è che
una volta che sono diventate tali sono in grado tutte di andare a dare metastasi, ma solo una
percentuale infima è in grado di farlo.
La capacità di un tumore, inoltre, di dare metastasi aumenta con la progressione. Cioè, quanto più
un tumore è andato avanti, tanto più aumenta il numero di cellule che potenzialmente è in grado di
dare metastasi.
La capacità metastatica è, generalmente, anche legata alle dimensioni del tumore.
Le dimensioni del tumore sono legate al grado di progressione.
Nel caso del MELANOMA, questo studio, è più indicativo di altri. È stato possibile fare delle
misure abbastanza precise.
Spessore < 0,76 mm: terapia efficace al 100%
Spessore tra 0,76 e 4 mm: rischio metastasi dell’80%
Spessore oltre 4 mm: la probabilità che ci siano già metastasi è > 80%
Il melanoma, purtroppo, è un tumore molto aggressivo ed è assolutamente importante, in questo
caso, intervenire prima che il melanoma aumenti di dimensione perché altrimenti le speranze di
poter fare qualcosa di efficace sono praticamente ridotte. Questo ci dice, e conferma ancora una
volta, che intervenire precocemente sul tumore è assolutamente indispensabile perché ci possa
essere una ragionevole speranza di evitare metastasi.
Queste cellule, comunque, che sono arrivate in circolo, sono riuscite a sfuggire alla reazione
immunitaria ( linfociti etc.) e qualcuna di queste è riuscita a proseguire il suo viaggio fino a quando,
per questioni anche presso velocità del circolo, di lesioni, insomma per qualche motivo riescono ad
arrestarsi all’altezza di capillari e venule, attaccarsi e iniziare quel processo simile a quello che si
osserva nell’infiammazione acuta che comporta un’adesione alle cellule endoteliali che
successivamente determina anche una retrazione di cellule endoteliali secondo i meccanismi che
abbiamo già visto ( le cellule endoteliali per un movimento del citoscheletro si ritraggono e le
cellule tumorali si infilano tra una cellula endoteliale e l’altra ). Le cellule tumorali escono dal
circolo, utilizzano di nuovo quelle proteasi per “sciogliere” la membrana ( in pratica fanno
l’opposto di quello che abbiamo visto prima ) e si legano tramite le molecole di adesione(CAM) e
finalmente riescono ad arrivare nell’organo bersaglio in cui, presumibilmente, vorranno formare il
tumore.
Cos’è che favorisce o meno l’impianto del tumore a distanza,o meglio di cellule tumorali? La
cellula tumorale deve essere in grado di sintetizzare fattori di crescita o rispondere a GF locali. I
fattori di crescita, badate bene,non è che li debba per forza produrre la cellula tumorale perché, se
ha scelto l’organo giusto, li trova già lì. Quindi incominciate a pensare che l’organo che viene
metastatizzato è quello che, presumibilmente, fornisce dei fattori utili a quella cellula, per cui sta
creando un ambiente adatto affinché quella cellula si possa sviluppare. Tutto ciò determina la
proliferazione di queste cellule, ma abbiamo detto che la proliferazione oltre un certo punto, di per
se, non basta, perché non possono più nutrirsi, andrebbero in ischemia e deve partire, anche nel
nuovo organo, il processo di angiogenesi, e quindi è importante che quell’organo fornisca anche
fattori angiogenetici. Naturalmente, anche l’impianto, avrà bisogno di quelle giuste condizioni
( molecole di adesione, recettori, proteasi che riescono facilmente a distruggere la membrana etc. ).
Odissea: Ricapitolando, il passaggio dallo stadio in cui si è formato il piccolo tumore nell’organo di
partenza fino a quando questo tumore è riuscito a metastatizzare un organo a distanza è un viaggio
molto complicato a cui queste cellule sono sottoposte a più aggressioni da parte del nostro
organismo e che comporta una serie di dolorosi eventi, fino a quando, comunque, riescono ad
arrivare all’organo bersaglio e ad impiantarsi e proliferare un tumore a distanza.
Questo è in pratica il riassunto di tutto ciò che abbiamo visto.
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[ fa vedere immagini con organi metastatizzati ]
La capacità metastatica del tumore è molto bassa, solo una percentuale bassissima delle cellule che
entrano in circolo è in grado di riformare un tumore.
Quali sono le evidenze? Studi sperimentali, fatti nel ratto, dimostrano che prendendo il carcinoma
dell’ovaio si è visto che il tumore elimina circa 1 milione di cellule al giorno ( ovvero le immette in
circolo ), ma la capacità metastatica è estremamente bassa e questo vale anche per i tumori umani.
L’altra evidenza è che se io prendo cellule di un tumore e le inietto nel circolo sanguigno, io so che
soltanto una percentuale che varia dallo 0,1 all’1% è in grado di metastatizzare. Quindi in questo
caso io posso controllare perfettamente la situazione e stabilire esattamente quante delle cellule che
ho iniettato riuscirà a dare metastasi. questo mi dice che la popolazione tumorale ha un’efficienza
metastatica abbastanza bassa. Nell’uomo la percentuale è ancora estremamente più bassa.
Detto questo torniamo un attimo alla scelta del sito secondario. Abbiamo detto che ci sono dei
tumori che metastatizzano preferibilmente in certi organi e non in altri. Quali sono le ipotesi?
La prima ipotesi faceva risalire il tutto all’anatomia del circolo. In altre parole, se io ho un tumore in
un certo organo e l’organo più vicino è immediatamente a valle di questo qui, contando il circolo,
era l’organo preferibilmente metastatizzato. Invece, la teoria che adesso è molto più accreditata è
quella che viene definita “seed and soil” ( che vuol dire “del seme e del terreno”, dove il seme è la
cellula metastatica ed il terreno è l’organo che verrà preferibilmente metastatizzato ). Questa teoria,
che in realtà è vecchia (1889), è stata abbandonata per molto tempo e adesso viene considerata
molto importante. Cioè quello che conta non è solo il circolo, ma è il fatto che quell’organo fornisce
a quella cellula tumorale l’ambiente migliore o più appropriato perché possa svilupparsi a distanza.
Per quanto riguarda l’importanza del circolo spiega certi tipi di metastatizzazione, per esempio il
fatto che i tumori del tratto gastro-intestinale preferibilmente colonizzano il fegato, dovuto al fatto
che è il primo letto capillare che trovano. Per quanto riguarda i tumori al polmone che hanno una
scelta preferenziale per il cervello, ma non spiega il comportamento di altri tipi di tumore.
Adesso, per dare una certa concretezza all’ipotesi del seed and soil sono stati fatti degli esperimenti
molto importanti e alcuni dei quali li vorrei far vedere. L’ipotesi del seme e del terreno ci può
spiegare perché questo tipo di tumori, per esempio, metastatizzi in certi organi per cui non c’entra il
circolo, e ci spiega perché non diano mai tumori in certi tessuti nonostante la vascolarizzazione sia
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più che adeguata. Quali sono le evidenze che ci dicono? Ci dicono che invece esiste una specie di
predilezione di certi tumori per certi organi, che non è dovuta a fattori “geografici”. Pezzi di organi
trapiantati nei muscoli scheletrici di topo, dopodichè venivano iniettate cellule tumorali e queste
andavano a metastatizzare solo quei pezzi di organo che sono normalmente sito di metastasi di quel
tumore. Quindi, sapendo che il tumore colonizzava l’organo X, io adesso mi prendo pezzi di organi
e li metto nel topo, dopodichè vedo che le cellule tumorali che ho iniettato vanno a colonizzare
un’altra volta quegli organi che colonizzerebbero in un topo normale.
Un esempio ancora più efficace per dimostrarvi questa organo – selettività: io prendo un topo, gli
inietto delle cellule tumorali e vedo che questi sviluppano metastasi nel polmone, ma non nel rene.
Adesso io prendo un altro animale e gli metto un polmone laddove ci dovrebbe stare il rene, inietto
le cellule tumorali e vedo che queste vanno a colonizzare il polmone che è stato messo al posto del
rene. Quindi, questo ci dice che la collocazione anatomica non ha niente a che fare con questo
processo, perché queste cellule, comunque, vanno a cercare il polmone. Hanno una specie di
predilezione per quest’organo. Se adesso io prendo il rene e lo metto da qualche altra parte, non
viene mai colonizzato da queste cellule tumorali. Questi esempi, che potrebbero sembrare da
Auschwitz, sono quelli che hanno portato a capire che a prescindere dall’anatomia del circolo, c’è
una selettività da parte delle cellule tumorali nei confronti di certi organi.
Che cos’è responsabile del fenomeno che gli americani chiamano “HOMING” (andare a casa)?
- entrano in gioco molecole di superficie: quindi torniamo al discorso delle integrine. Ovvero
un organo che offre disponibilità di molte integrine, favorisce, probabilmente, anche
l’adesione a livello dell’endotelio in quel particolare tratto.
- Selettività: le selettine vi ricordate che erano molecole di adesione, che sono in questo caso
quelle dell’endotelio (E-selettine), che ugualmente favoriscono il legame non solo delle
cellule infiammatorie, ma anche delle cellule tumorali.
- Liberazione di sostanze chemiotattiche di certi organi: ad esempio, certe chemochine. Vi
ricordate le chemochine, sono delle citochine con anche una forte azione chemiotattica.
Nelle cellule tumorali sono state rilevate un gran numero di recettori per le chemochine.
Quindi, laddove l’organo fornisce delle chemochine è anche in grado, tramite il legame con i
recettori di queste cellule, di indirizzarle nell’organo e favorirne l’impianto e la successiva
proliferazione che avviene soprattutto tramite liberazione di fattori di crescita.
- In certi organi è stato osservato che la crescita a distanza è favorita dalla produzione di
questo fattore di crescita che sarebbe l’IGF-1 (fattore di crescita dell’insulina)
- Infine anche l’assenza di enzimi in grado di inibire l’impianto di cellule tumorali, per
esempio l’assenza di quei famosi TIMPs, inibitori tissutali delle MMP, potrebbe svolgere un
ruolo importante perché è più facile, a questo punto, l’azione proteasica di quelle proteinasi,
tramite le quali, quelle cellule tumorali superano la membrana basale.
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