Letteratura Italiana
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Lunedì 20-09
Leopardi (1818-35) riprende questa idea in uno dei suoi canti: “imitazione”. Si
intitola imitazione perché è il rifacimento di un testo di un autore francese, un testo
politico post-Napoleone. Leopardi non ne fa una traduzione ma prende solo
ispirazione cambiando le parole, per questo parliamo di imitazione. Composta
intorno al 1828, strofa libra leopardiana, alternanza endecasillabi e settenari ma
disposti in maniera libera come le rime. Un uomo parla alla foglia nella prima parte,
nella seconda è la foglia a rispondere, è come un dialogo. La foglia dice che prima
aveva un origine: il faggio, ora ne è stata divisa al vento che la porterà in giro per
sempre, ignorando il resto del mondo e perché viene trascinata. Sa che però andrà
dove vanno tutte le altre foglie: verso la morte, il nulla nella prospettiva
leopardiana. Ci sono 2 possibili letture:
-una universalizzante: la foglia è un paradigma generale del destino umano
-lettura autobiografica: sta parlando di se stesso portato in giro dal vento della vita.
Vengono citate le rose, simbolo dell’amore, della donna. Anche l’alloro che rimanda
alla sfera della virtù, della gloria. Ma chi parla è una semplice foglia di faggio, come
Leopardi stesso. Ma fa la stessa fine delle altre foglie, come gli uomini, nel nulla.
Dante, inferno, terzo canto. Paragona i
dannati alle foglie, quando Caronte li fa
salire sulla barca fanno come le foglie in
autunno
Questi testi possono essere sia apologhi o discorsi sull’essere e sulla vita. Leopardi nella sua idea ateo/materialista crede
che comunque gli uomini non sono migliori degli animali, ma sono molto simili a loro. Ungaretti invece è cattolico, crede
nella bontà della vita e dell’esistenza umana, sebbene sa che ci sono delle norme spietate che regolano la vita.
Un caso di apologo: Canto V dell’Inferno, dove vede dei dannati veri, non ignavi e quelli del Limbo; ora incontra i
lussuriosi –– si sono lasciati travolgere dal desiderio al di sopra della ragione e quindi vengono trascinati dal vento e
sbattuti tra di loro o contro le rocce. Paolo e Francesca soffrono – lei racconta della sua storia.
•Dante si serve di paragoni animali per descrivere la vita dei dannati nell’Inferno. Nei vv 37-48 ––> è il Dante autore che
parla: gli vengono in mente gli stornelli, che volano in stormi molto grandi e fitti –– sotto, un’altra schiera gli ricorda le
gru, che si muovono in formazione lineare, in riga.
•Vv 82-87: paragonati a colombe – stanno volando e si fermano perché lui le ha chiamate, planando come se si
posassero su un nido. Anche Francesca si rivolge a lui definendolo “animal grazioso e benigno”, dotato di anima, non in
senso di animale.
Mercoledì 22-09
Pascoli – Myricae scene di vita campestre. È un poeta en plein air. Come i pittori en plein air che ritraevano ciò che
vedevano passeggiando, così fanno i poeti: raccontano ciò che vedono/sentono durante le loro camminate. La
passeggiata filosofica/intellettuale nasce nel 700. La poesia può ritrarre come una sorta di pittura la realtà.
“Il cane”
Noi mentre il mondo va per la sua strada,
noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
e perché vada, e perché lento vada.
Madrigale: composizione musicale o lirica, in maggior parte per gruppi di 3-5 voci, originaria dell'Italia, e diffusa in
particolare tra Rinascimento e Barocco, dal contenuto rustico e pastorale. Madrigale in Pascoli: Versi endecasillabi divisi
in tre strofe. Il carro è lento mentre il cane è veloce e vorrebbe fermarlo, usava a quell’epoca mettere i cani a guardia
del casolare. Nonostante il cane continui ad abbaiare per far fermare il carro questo va avanti e attraversa la proprietà
del suo padrone costringendolo poi a ritirarsi e a tornare indietro. Il mondo (in questo caso rappresentato dal carro) va
per la sua strada e noi (il cane) ci rodiamo per questo. Quel noi è universalizzante. Vorremmo imprimere la nostra
velocità al mondo, vorremmo che le cose si sviluppassero a nostro favore. Pascoli ha l’idea che in campagna si stia
meglio che in città. È già una forma di riflessione ecologica. Il suo modello sociale preferito è quello dei contadini.
Identifica il progresso con la città e la città con la velocità, vivere lì è frenetico/vorticoso. Il mondo della campagna, della
natura è quello della lentezza. Il mondo contadino è inoltre più vicino all’antico, quindi, è statico. Il carro qui
rappresenta il mondo della natura, il cane rappresenta l’uomo/il progresso. Se l’uomo cerca di forzare i ritmi della
natura perde, proprio come il cane. Siamo di fronte a un apologo che va verso il discorso sul vivente.
“In capannello”
Cigola il lungo e tremulo cancello
la via sbarra: ritte allo steccato
cianciano le comari in capannello:
Le comari stanno nel capannello a chiacchierare vivacemente e aspettano che il passaggio a livello si apra. È un altro
scenario campestre. È un altro madrigale. Lui sta passeggiando e sente le comari parlare di problemi di vita quotidiana: il
vin costa molto nonostante ci sia stato un raccolto abbondante, il maiale che mangia e però non ingrassa. Dopodiché
arriva il treno. Lui lavora molto sui rumori, è un maestro della sinestesia. “Cigola” è un suono fastidioso, già introduce un
senso di inquietudine. Dalla descrizione il treno “nero” sembra qualcosa di minaccioso e interrompe la quiete campestre
con il suo fragore, come un rumore violento. Il mondo della campagna è ancora lontano dal progresso, da questo nero
treno che presto travolgerà anche la campagna. In campagna si usa il traino a mano, questo treno a carbone che emana
fumo nero è qualcosa di spaventoso. C’è il contrasto modernità-premodernità, città-campagna. Pascoli riflette su cosa
rappresenta il treno in relazione alla campagna, è un oggetto innaturale.
“Solitudine”
I
Da questo greppo solitario io miro
passare un nero stormo, un aureo sciame;
mentre sul capo al soffio di un sospiro
ronzano i fili tremuli di rame.
II
Sono città che parlano tra loro,
città nell'aria cerula lontane;
tumultuanti d'un vocio sonoro,
di rote ferree e querule campane.
III
Parlano dell'azzurra lontananza
nei giorni afosi, nelle vitree sere;
e sono mute grida di speranza
e di dolore, e gemiti e preghiere...
In questo testo se la prende con il telegrafo, permetteva di inviare messaggi a distanza in tempo reale, di conseguenza le
campagne erano cosparse di pali che portavano i fili del telegrafo. Lui si ritrova solo su un’altura, al suo fianco ci sono i
pali. Secondo la sua visione il telegrafo mette in comunicazione città dove le persone sono infelici. Chi vive in città è
infelice. Ci sono tre nuclei di quartine di endecasillabi a rima alternata. Da notare la precisione di Pascoli ne definire gli
insetti. Inoltre fa una netta distinzione tra il fastidioso ronzio artificiale del telegrafo e il piacevole ronzio naturale degli
insetti. La campagna è più umana. “Tumulto” è qualcosa di violento, forzato. Chi è in città è irrequieto e stanco. Il
telegrafo porta in giro solo elementi non piacevoli. Ha una visione idillica della vita di campagna dove si può avere
ancora un rapporto con la natura.
“Dialogo”
Scilp: i passeri neri su lo spalto
corrono, molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e vanisce in alto:
È un discorso sul vivente. Descrive un bue che si trova solo su un prato a pascolare. Si credeva che la vista del bue
ingrandisse la realtà, secondo le ipotesi scientifiche di quel tempo. Pascoli raccoglie questa ipotesi scientifica e si mette
nei panni del bue cercando di descrivere cosa il bue vede. Cerca di immedesimarsi nelle basi percettive dell’animale. La
lirica parte dal presupposto che gli occhi dell'animale vedano tutto più grande di quanto non sia in realtà, per cui il bue
sembra guardare le cose con sbigottimento, quasi avesse coscienza di una loro gigantesca sproporzione. È un sonetto:
endecasillabi, 2 quartine e 2 terzine. Avvicina questa percezione a quella del fanciullino. Ipotizza che dentro ogni essere
umano, dalla vita alla morte, ci sia un fanciullino. Rimane sempre vivo nel cuore degli uomini, l’uomo non perde mai la
sua fanciullezza. Gli antichi avevano una fantasia più accesa della nostra, come i bambini e come il bue perché non ha le
nostre stesse percezioni banali. Entrambi sono come i fanciulli, sia gli antichi che i buoi. Sanno fare degli elementi
naturali elementi divini. Anche i popoli primitivi (indigeni) hanno questa capacità.
Lunedì 27-09
La natura può essere descritta come Locus amoenus oppure Locus horridus/asper (inospitale, pauroso).
Ci sono 3 prospettive diverse sulla natura:
1. Madre natura: abbraccio con la natura, natura benevola, che ci viene incontro e noi ne siamo riconoscenti. Due
campi semantici si ricollegano a questa idea: l’Eden (es. paradiso perduto, mito del buon selvaggio che nasce dal
racconto biblico) e l’Arcadia (nella mitologia classica è il luogo originario dell’unione uomo-natura, una sorta di
Eden pagano)
2. Natura madre perduta: natura positiva, considerata madre, che però è stata persa dall’uomo. Ciò genera
rimpianto e nostalgia. C’è stata una caduta dall’Eden. Il progresso/lo sviluppo della ragione si sono sostituiti
all’istinto, è ciò che ha portato l’uomo fuori dal paradiso terrestre.
3. Natura matrigna (si pone contro gli esseri viventi/l’uomo es la ritroviamo in Leopardi) /natura mistero (si ritrova
nella corrente del romanticismo nei miti del folklore contadino/nella superstizione popolare, del simbolismo da
Baudelaire in poi). Anche nelle poesie di Pascoli contenute in Myricae la rappresentazione della natura rimanda
alla natura-mistero, ma Pascoli è un poeta contraddittorio da un lato parla della natura come luogo di pace e
tranquillità (es. “solitudine”), dall’altro di natura minacciosa-misteriosa (es. “assiolo”).
La relazione che l’autore può avere con la natura può essere:
● Relazione asimmetrica: l’uomo si ritiene ad un piano diverso e superiore rispetto alla natura, quindi, si crede in
diritto di controllarla e sfruttarla. Es. filosofia di Cartesio. Questa idea viene recuperata dai testi biblici: la natura
è un serbatoio ad uso e consumo dell’uomo. Su questo principio si fonda anche la cultura capitalistica.
● Relazione simmetrica: la natura è posta sullo stesso piano dell’uomo. Es. la letteratura francescana, introduce
un alternativa alla relazione asimmetrica nella letteratura italiana dopo la diffusione del cantico delle creature
da cui si evince un messaggio di unione uomo-esseri viventi.
Si inizia a parlare di coscienza ecologica (ecologia, dal greco oikos+logos = discorso sulla nostra casa). L’uomo viene
colpevolizzato, ha commesso delle mancanze o può commetterle nei confronti della natura. Si tratta di una spinta
riformistica volta a cambiare le cose attraverso la sensibilizzazione (riformismo ecologico), possibilità di armonia con la
natura che va difesa e protetta. Es. in Parini si riscontra coscienza pre-ecologica, aveva parlato di inquinamento delle
città. Si concretizza nel 900 con Calvino e Caproni.
Calvino – Città invisibili (1972), ripresa del “milione” di Marco Polo (milione = soprannome dato alla famiglia dei Polo, si
tratta di un racconto di imprese familiari, inizialmente l’opera era stata composta in antico francese da Marco Polo tra
1288-1299 quando si trovava in carcere). È una cornice narrativa sulle singole descrizioni di città che Marco Polo ha
visitato. Riprende la struttura del milione ma le città descritte sono città fantastiche. Il suo scopo è parlare di problemi
reali legati alla società. Es. città di Leonia: si ispira all’Orlando furioso di Ariosto, in particolare al canto tredicesimo
quando Astolfo vola sulla luna per recuperare il senno di Orlando, c’è un discorso ecologico sui rifiuti (la produzione
eccessiva di oggetti infiniti grazie allo sviluppo capitalistico-comunista non fa altro che incrementare l’accatastarsi di
rifiuti. Gli agi del progresso insieme alla logica del comunismo hanno un costo ambientale).
Calvino è uno scrittore di città (intesa come vera sede dell’uomo es. New York=culla dell’umanità). Le città però hanno
dei problemi es. smaltimento rifiuti. Definisce le città moderne come “crateri di spazzatura”. Si serve della scrittura per
diffondere una sensibilizzazione all’ambiente e alla natura. Dopo la descrizione della città di Melania Marco Polo di
concentra sulla narrazione di un ponte costruito pietra x pietra. Qual è la pietra che sostiene il ponte? Chiede Kublai
Khan perché interessato a conoscre le pietre fondanti che servono a costruire il ponte. Marco Polo gli risponde che il
ponte non si regge su una pietra in particolare ma su tutte quindi bisogna rispettarle tutte quante. Kublai rappresenta
l’aspetto/potere politico mentre Marco Polo rappresenta il filosofo/intellettuale.
Caproni – Versicoli quasi ecologici (1972). Poesia contenuta nella raccolta “Res amissa” pubblicata postuma nel 1991. È
formata per lo più da settenari inframezzati da ottonari, si tratta di versi brevi, con rime interne ed assonanze: non è
legato alla metrica tradizionale. Riprende il modello dei lirici greci = versi fulminanti con un’opinione/sentenza finale.
Uso dell’imperativo: invito + ammonimento. Cita 2 animali in via d’estinzione: lamantino e galagone. Natura intesa come
sistema complesso e integrato: se togli un anello crolla tutto.
N.B. E. Lorenz nel 1972 descrive ”l’effetto farfalla” il battito delle ali della farfalla in Brasile è rappresentativo di un
qualsivoglia piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali del sistema che conduce a conseguenze su scale più grandi.
Nel 72 Lorenz tiene una conferenza intitolata “può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in
Texas?”
Martedì 28-09
San Francesco D’Assisi – Laudes creaturarum o cantico delle creature
È il primo grande testo letterario della letteratura italiana. È il pilastro della poesia francescana. La letteratura italiana
comincia nel 200 e comprende sia testi religiosi (come questo) sia testi profani (come quelli della scuola siciliana). Quelli
della scuola siciliana sono testi di argomento amoroso quindi profano. Federico II, in contrasto con il papa, voleva dare
un aspetto laico alla sua cultura, quindi, promuove la profanità. L’argomento amoroso è perfetto perché non è neanche
in contrasto con la politica. Amore come riproduzione del rapporto di vassallaggio tra uomo e donna. In Italia centrale
abbiamo un ambito diverso, si pratica soprattutto la lauda come il cantico di S. Francesco che da il via a questo stile.
CAP XVI
"Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete laudare, imperò
che v'ha dato la libertà di volare in ogni luogo; anche v'ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso, perché elli
riserbò il seme di voi in nell'arca di Noè, acciò che la spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute
per lo elemento dell'aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e
davvi li fiumi e le fonti per vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare li vostri nidi. E
con ciò sia cosa che voi non sappiate filare né cucire, Iddio vi veste, voi e' vostri figliuoli. Onde molto v'ama il vostro
Creatore, poi ch'egli vi dà tanti benefici, e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e sempre vi
studiate di lodare Iddio". Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i
becchi e distendere i colli e aprire l'alie e riverentemente inchinare li capi infino in terra, e con atti e con canti
dimostrare che 'l padre santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco con loro insieme si rallegrava e dilettava,
e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e famigliarità;
per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore. Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece
loro il segno della Croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti,
e poi secondo la Croce ch'avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro partì; e l'una parte volò inverso l'oriente
e l'altra parte verso occidente, e l'altra parte verso lo meriggio, e la quarta parte verso l'aquilone, e ciascuna schiera
n'andava cantando maravigliosi canti; in questo significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di
Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della Croce, secondo il quale egli si divisono in quattro partì
del mondo; così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per lui e per li suoi frati
portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo,
alla sola provvidenza di Dio commettono la lor vita.A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Il protagonista è Francesco che predica agli uccelli e si rivolge a loro con “sirocchie” = sorelle, sorelline. Sirocchie uccelli,
femminile concordato con maschile perché uccelli in latino è femminile. Dio ha dedicato a loro l’elemento dell’aria. È
una sorta di trasformazione narrativa al cantico delle creature. Qua è rivolto agli animali, gli uccelli devono ringraziare
Dio del suo sostentamento. Anche loro vengono investiti di un lessico familiare (sirocchie-sorelle). Considera gli animali
esattamente come esseri umani. Stanno fermi durante la predica come i fedeli durante la messa. Di solito scapano per l
presenza umana ma non in questo caso. Devono essere grati per tante cose: penne, alberi per il nido, elemento del
vento, ali per volare, acqua, cibo. “Guardatevi dal peccato della ingratitudine” si attribuisce all’animale la possibilità di
peccare, gli si attribuisce una coscienza, il libero arbitrio. Anche gli animali possono commettere peccati e dannarsi,
potrebbero esserci anche loro all’inferno. Attraverso il canto esprimono la loro fede, la loro spiritualità. Hanno grande
familiarità con San Francesco, come se fosse quasi uno del loro stormo. Alla fine della predica li benedice con il segno
della croce, dopo vanno e si dividono in 4 parti, 4 punti cardinali. Se ne vanno per la terra a diffondere il vangelo. Sono
investiti di una funzione missionaria. Attraverso il loro canto e la loro bellezza possono anch’essi trasmettere il vangelo.
Filippo Tommaso Marinetti – manifesto del futurismo, 1909, pubblicato su Le Figaro di Parigi. Fu un elogio della velocità,
della vorticosità del vivere contemporaneo. Quindi scommette anche su ciò che permette la velocità: le macchine in
tutte le loro forme, soprattutto i mezzi di trasporto. Odio totale per la tradizione che rappresenta la staticità, la stasi. È il
contrario della velocità, rappresenta il male. Rapporto con la natura nuovo: gli elementi non invitano ad un rapporto
simmetrico con la natura, invita piuttosto a dominarla/sfruttarla. Prospettiva asimmetrica. I viventi non sono nostri
fratelli ma nostri schiavi. Le grandi fabbriche/costruzioni sono la bellezza per i futuristi. Vogliono distruggere la
tradizione, anche i musei. 1912 manifesto tecnico sulla letteratura futurista, qui Marinetti invita a distruggere la sintassi,
scrivere di getto come se fosse uno sfogo interiore, eliminare la punteggiatura.
Saba si ritrova in questo contesto. Non lo accetta, nel canzoniere da quindi un immagine fuori tempo. Animali: nostri
fratelli, sono migliori di noi perché più puri e innocenti. Gli uomini sono più inclinati al male. Esaltazione degli animali.
Esaltazione della femmina rispetto a maschio. In un suo testo la moglie viene paragonata agli animali anzi, alle femmine
degli animali (che superano i maschi degli animali). “A mia moglie” appartiene alla sezione casa-campagna. La moglie sta
aspettando la figlia, 1909-1910. Strofe libere di settenari e endecasillabi, rime libere, ci son anche versi irrelati (che non
rimano con altri versi) e versi rimati. Ha un metro vicino alla tradizione. Riprende il tema della lode alla donna ma
attraverso le cose più utili (diverso dagli altri). Ci sono elementi di vicinanza con il cantico delle creature: elenca gli
animali e i loro comportamenti, discorso umile e comprensibile, tono generale di litania/di preghiera che assomiglia alla
posa ritmica del canto. È un discorso sul vivente, sull’interiorità.
vv. 16-17 gli animali sono migliori degli uomini e le femmine sono migliori dei maschi. Le femmine degli animali più di
tutti hanno la capacità di avvicinarsi a Dio.
Questo paragone donna-animale è la prima volta che viene fatto (prima era sempre un paragone donna-donna).
Il dolore è la nota dominante del vivere, punisce gli uomini e gli animali (lo riprende da Leopardi). È un dato di fatto
dell’esistenza. La vita non è spensierata ma sempre sul limite della tristezza/dolore. Sono paralleli molto provocatori: se
tu vuoi essere santo imita gli animali, sono degli esempi per l’uomo. Punti principali di Saba:
1. Uomo e animale sono in Saba indistinguibili
2. Invito alla pietas verso gli animali
3. Il grado animale arriva ad essere superiore al grado umano
Gli animali insegnano l’amore, sulla vita, sull’essere umano.
Invita a non uccidere gli animali.
Pecchia = ape dal latino . ape e formica sono 2 animali che hanno molte virtù:
● Ape: vive in gruppo, collabora, animale utile perché impollina
● Formica: laboriosa, geniale, fortissima, collaboratrice
Questi sono i 2 animali al vertice come esempi di virtù, infatti chiudono la poesia.
Importante anche l’esempio della rondine: la moglie come la rondine porta la primavera, la bellezza. Ma al contrario suo
non se ne va in autunno, è come una rondine-passero che infatti in autunno non migra.
Anche il paragone con la cagna che è fedele o innocente come la coniglia. Lui la paragona a tutte le femmine degli
animali, molti hanno pensato a questo come uno sminuimento della donna/un insulto, ma al contrario è il paragone più
alto che si possa fare in quanto nella prospettiva di Saba la femmina degli animali è l’essere che più di tutti si avvicina a
Dio. Inoltre, lui specifica che questo è riferito unicamente a lei, alla moglie.
“A mia moglie”
1. Tu sei come una giovane, 30. volge, ove tinge un rosa 61. priva in sé si rannicchia,
2. una bianca pollastra. 31. tenero la sua carne. 62. cerca gli angoli bui.
3. Le si arruffano al vento 32. Se l’incontri e muggire 63. Chi potrebbe quel cibo
4. le piume, il collo china 33. l’odi, tanto è quel suono 64. ritoglierle? chi il pelo
34. lamentoso, che l’erba 65. che si strappa di dosso,
5. per bere, e in terra raspa; 35. strappi, per farle un dono. 66. per aggiungerlo al nido
6. ma, nell’andare, ha il lento 36. È così che il mio dono 67. dove poi partorire?
7. tuo passo di regina, 37. t’offro quando sei triste. 68. Chi mai farti soffrire?
8. ed incede sull’erba
9. pettoruta e superba. 38. Tu sei come una lunga 69. Tu sei come la rondine
10. È migliore del maschio 39. cagna, che sempre tanta 70. che torna in primavera.
11. È come sono tutte 40. dolcezza ha negli occhi, 71. Ma in autunno riparte;
12. le femmine di tutti 41. e ferocia nel cuore. 72. e tu non hai quest’arte.
13. i sereni animali 42. Ai tuoi piedi una santa 73. Tu questo hai della rondine:
14. che avvicinano a Dio 43. sembra, che d’un fervore 74. le movenze leggere;
15. Così se l’occhio, se il giudizio mio 44. indomabile arda, 75. questo che a me, che mi sentiva
16. non m’inganna, fra queste hai le 45. e così ti riguarda ed era
tue uguali, 46. come il suo Dio e Signore. 76. vecchio, annunciavi un’altra
17. e in nessun’altra donna. 47. Quando in casa o per via primavera.
18. Quando la sera assonna 48. segue, a chi solo tenti
19. le gallinelle, 49. avvicinarsi, i denti 77. Tu sei come la provvida
20. mettono voci che ricordan quelle, 50. candidissimi scopre. 78. formica. Di lei, quando
21. dolcissime, onde a volte dei tuoi 51. Ed il suo amore soffre 79. escono alla campagna,
mali 52. di gelosia. 80. parla al bimbo la nonna
22. ti quereli, e non sai 81. che l’accompagna.
23. che la tua voce ha la soave e 53. Tu sei come la pavida 82. E così nella pecchia
triste 54. coniglia. Entro l’angusta 83. ti ritrovo, ed in tutte
24. musica dei pollai. 55. gabbia ritta al vederti 84. le femmine di tutti
25. Tu sei come una gravida 56. s’alza, 85. i sereni animali
26. giovenca; 57. e verso te gli orecchi 86. che avvicinano a Dio;
27. libera ancora e senza 58. alti protende e fermi; 87. e in nessun’altra donna.
28. gravezza, anzi festosa; 59. che la crusca e i radicchi
29. che, se la lisci, il collo 60. tu le porti, di cui
Mercoledì 29-09
“la capra”
Parafrasi:
Ho parlato ad una capra.
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Era legata in un prato ed era sola.
Sazia d'erba, bagnata
Aveva appena mangiato, era bagnata
dalla pioggia, belava .
per la pioggia e belava.
Quell'uguale belato era fraterno Quel belato mi sembrava solidale con il mio dolore.
al mio dolore. Ed io risposi, prima Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno, per scherzo, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia. ha un'unica voce ed è immutabile.
Questa voce sentiva Sentivo questa voce
gemere in una capra solitaria. gemere nel verso di una capra solitaria.
In una capra dal viso semita In una capra dal viso simile a quello degli ebrei,
sentiva querelarsi ogni altro male, sentivo il lamento di tutti i mali,
ogni altra vita. di ogni altra creatura.
La capra era un animale domestico, la si osservava spesso nelle campagne. È un misto di settenari ed endecasillabi, c’è
qualche rima e qualche verso irrelato. Questa poesia riprende la canzone libera leopardiana. “ho parlato a una capra”
mette in relazione stretta l’uomo e l’animale, c’è stato un dialogo, un’interlocuzione. La capra è in una condizione di
solitudine, ha mangiato ma è bagnata e bela perché infastidita dalla pioggia. Leggendo il secondo verso noi capiamo che
la condizione della capra è quella universale di tutti gli esseri. Nel lamento di quella capra sentiva lamentarsi tutti i mali.
La capra gli ricorda il popolo ebraico ma in lei non vede solo il male subito dagli ebrei, vede il male di tutti gli esseri
viventi. Non è solo la capra a stare in questa condizione ma tutti gli esseri viventi. Nel suo belato riconosce la sofferenza
continua. Risponde per compassione, riconosce una solidarietà per l’animale. La fraternità tra i viventi aiuta a
sopportare il dolore, ci può essere compassione, pietà per gli altri. Per Leopardi invece, la solidarietà non esiste più, non
c’è più possibilità di un aiuto reciproco tra i viventi.
Leopardi – testo tratto dallo Zibaldone, 1826, Bologna, siamo in primavera. Lo Zibaldone ha 4500 pagine, iniziato nel
1817 e concluso alla morte nel 37. È una raccolta di appunti di ogni genere. Un diario intimo, personale, di riflessioni.
Pubblicato nel 1898. Il testo che abbiamo analizzato è l’osservazione di un giardino bellissimo, dovrebbe sembrare un
eden, è una natura artificiale a cui l’uomo ha dato un ordine. Se lo si osserva in modo scientifico però si nota solo
sofferenza. Tema del locus amoenus (luogo felice/piacevole), tema dell’arcadia, dell’eden: è questa l’dea che si ha in
Italia del giardino. Con Leopardi c’è un rovesciamento di questa idea. Prende il topos del giardino, dell’eden e lo
smantella. Non è una questione individuale la felicità, è una questione di specie, tutti sono infelici. Fa un discorso sul
vivente osservando un giardino. Stronca l’immagine dell’eden. La famiglia delle piante è in stato di souffrance. Famiglia
è inteso in senso ironico, sono solo li tutte insieme, non sono solidali tra di loro. La natura ci fa nascere ma ci spinge
anche verso la morte.
Il sole: ha dato la vita alla rosa ma ora la secca.
L’ape: sempre rappresentato come insetto buono perché lavora e si impegna ma Leopardi dice che questa operazione è
dolorosa per i fiori, di conseguenza, neanche lor sono buone.
Sembra un locus amoenus ma non lo è, gli insetti portano dolore alle piante, anche la formica o la lumaca. Le piante
vengono danneggiate anche dai fattori atmosferici. Sostanzialmente non c’è un equilibrio, non c’è un’armonia. C’è una
donzelletta gentile che raccogli i fiori dolcemente ma in realtà li sta strappando, provoca loro dolore. Così anche il
giardiniere. Osservando la natura superficialmente la vediamo allegra, se osserviamo meglio gli esseri viventi ci
accorgiamo che c’è solo sofferenza. Ogni giardino è come un ospedale, è pieno di esseri malati, morenti, sofferenti.
“saggio sopra gli errori popolari degli antichi” lo scrive 11 anni prima del testo precedente, ha una prospettiva molto
diversa. Tutto è bello, delicato, toccante: è pienamente nella tradizione.
Martedì 05-10
Prima prospettiva (madre natura):
o S. Francesco + letteratura francescana
o Pascoli
o Saba (prospetta una famiglia dei viventi. Si ispira anche a Leopardi, al “canto notturno di un pastore errante
dell’Asia”. Condivide con Leopardi l’idea secondo cui sulla vita è sempre calato il velo della sofferenza. Nei
vv.133-143 dell’opera di Leopardi: forse in qualunque forma ci si trova la sofferenza è presente. “Forse se avessi
le ali sarei più felice” c’è sempre il forse, il dubbio).
Seconda prospettiva (madre natura perduta): semantica della caduta/scissione/disarmonia. Nasce il mito dell’antico,
visto come un gigante rispetto a noi moderni, sono migliori di noi. Antichità: luogo d’origine della felicità. I moderni
hanno perduto questo luogo, il progresso lo ha allontanato dalla natura. Per alcuni un ritorno all’origine è possibile, per
altri (es. Leopardi) no. La letteratura contemporanea dal romanticismo in poi insiste sul fatto che l’uomo è “caduto da”
“scisso da” “in disarmonia con” la natura. Mentre un tempo spesso non meglio precisato (mondo primitivo, antichità,
infanzia): l’origine, non lo era. Viceversa, un tempo, l’uomo era “insieme a” “unito a” “in armonia con” la natura.
Ugo Foscolo
Con lui si può parlare di romanticismo/letteratura neoclassica. È a cavallo tra queste 2 correnti. Il romanticismo italiano
è diverso da quello straniero: non parla di sogno/incubo, non crede all’irrazionalità/alla visionarietà. Punta sul
sentimento e sulla passione piuttosto che sulla dimensione onirica. Fa una raccolta di poesie intitolata “poesie”. A
quell’epoca la rima era l’elemento dominante ma Foscolo sceglie un titolo più staccato dalla tradizione. Raccolta
composta da 2 odi e 12 sonetti = 14 come i versi del sonetto, forse ha voluto riprodurre la struttura del sonetto. Sonetto
molto tradizionale. È iper-selettivo nel costruire questa raccolta.
“A Zacinto”
Sonetto composto tra il 1802 e il 1803. 14 versi, endecasillabi, suddiviso in quartine (rime A-B) e terzine (rime C-D-E o C-
E-D). Foscolo è veneto, quando nasce Zante appartiene a Venezia. Cultura veneta + cultura neogreca, unisce queste 2
culture, per questo è sempre un passo nell’antichità e uno nella contemporaneità. Nel 97 esce dal Veneto dopo il
trattato di Campoformio (Napoleone lo libera e poi lo cede agli austriaci che perseguitano coloro che avevano
appoggiato Napoleone. Lui prima lo appoggiava). È costretto a fuggire, per questo parla di esilio (da Zante). Parla però in
modo universale, non si riferisce unicamente a sé stesso. Non capisce più qual è la sua vera patria, Italia? Grecia?
Veneto? I primi 11 versi sono un unico periodo con un enjambement (frattura sintattica) molto forti, incutono nervosità.
La forma classicistica trattiene un’interiorità irrequieta. Il primo verso è negativo, è come se fosse il continuo del suo
pensiero. È come se fosse un taglio estrapolato dal suo pensiero. Sembra riallacciarsi a un discorso pre-esistente, che in
realtà non c’è, è la sua interiorità. Le sponde di Zante sono sacre/divine. Riferimento mitologico a Venere, secondo il
mito nasce li dalla spuma del mare, quindi è un elemento di sacralità. Una divinità che nasce dalla natura. Nasce nella
Ionia e con il suo primo sorriso ha reso le isole feconde, vive. Rende sacre le sponde. Zacinto è quindi un’isola
importante per la mitologia. Inclito= illustre/celebre. Vv. 8, si riferisce ad Omero e L’Odissea anche se quello di Ulisse è
stato un diverso esilio. Diversus in latino significa “che si muove in varie direzioni/pluridirezionale” (ci sono molti
latinismi nelle sue poesie). Ulisse riesce a baciare la sua terra, Itaca, Foscolo invece no. Si paragona ad Ulisse ma fino ad
un certo punto: Foscolo non tornerà mai alla sua terra. Vv. 13-14: destino d chi muore in terra straniera, nessuno piange
sulla sua tomba, in una terra che non è la sua (come Foscolo). Abbandono perpetuo della terra natale. C’è una tendenza
universalizzante nella sua scrittura: tutti noi siamo così, non toccheremo più quella materna terra in cui l’uomo era
tutt’uno con la natura. Vv 13, il noi è inteso come noi uomini e con “origine” parla di antichità. Saremo per sempre scissi
dalla natura. Riprende Lucrezio, poeta latino, quando parla di Venere. Usa l’introduzione poetica prima di parlare del
suo testo, molti la usano. Dice che la natura è la forza vitale che spinge gli esseri a unirsi, riprodursi, spargere vita
nell’universo. Natura da lui concepita come Venere che infonde la vita. Anche per Foscolo la natura coincide con l’istinto
riproduttivo. Distinzione fra l’Ulisse omerico (l’uomo antico) che aveva la possibilità di un ritorno alla sua isola (la
natura) e l’uomo di oggi per il quale questo ritorno è impossibile. Al giorno d’oggi l’alma venus è impossibile, questo fa
parte del paradigma lucreziano.
Leopardi appartiene alla prima prospettiva, nostalgia dell’antichità. La poesia di Leopardi è caratterizzata dal
pessimismo.
Il pessimismo nasce quando il poeta scopre la realtà e vede finire le illusioni della fanciullezza: per Leopardi, infatti, la
sola età felice per l’uomo è quella dell’infanzia, perché si hanno ancora speranze e fiducia nel futuro; l’età adulta,
invece, non porta altro che dolore. Il pessimismo leopardiano attraversa varie fasi:
I. il pessimismo individuale: il giovane Giacomo crede di essere il solo a soffrire, crede che solo lui, anche a causa
del suo aspetto fisico, sia escluso dalle gioie della vita e sia destinato all’infelicità. La sola consolazione per il
poeta è la contemplazione della natura.
II. il pessimismo storico: il poeta scopre che il dolore è di tutti gli uomini ed è provocato dal loro progressivo
allontanamento dalla Natura, che è per loro una “madre” benevola: essa ha creato l’uomo perché fosse felice,
ma poi lo sviluppo della civiltà e della Ragione (la Storia) hanno limitato in lui il sentimento e l’immaginazione,
rendendolo infelice. Soltanto durante la fanciullezza l’uomo rivive la spontaneità e la naturalezza degli antichi,
che erano lo stato iniziale e felice dell’umanità.
III. il pessimismo cosmico: la colpa delle sofferenze dell’uomo è della Natura, ora vista come una “matrigna”,
indifferente al dolore umano: prima essa illude i propri figli, fa loro credere che sia possibile essere felici, poi
rivela loro la realtà del mondo, cioè che il destino dell’uomo è quello di essere infelice e, allo stesso tempo, di
desiderare la felicità pur sapendo, in quanto dotato di Ragione, di non poterla raggiungere. La Natura matrigna
diviene così il destino crudele che perseguita gli esseri umani, destino contro il quale questi non possono lottare
(Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “funesto a chi nasce il dì natale”). L’uomo non h la colpa, è la
natura che ha messo la ragione nell’uomo.
IV. il pessimismo eroico: negli ultimi anni della sua vita, il poeta scopre che gli uomini, proprio perché legati dal
dolore, possono sentirsi solidali: la Ragione svela all’uomo l’inganno della Natura, che è crudele (ne La ginestra,
riferendosi alle pendici sterili del Vesuvio, Leopardi dice ironicamente: “dipinte in queste rive son dell’umana
gente le magnifiche sorti e progressive”), ma gli uomini possono aiutarsi, l’umana solidarietà può attutire i colpi
del destino e alleviare le sofferenze. Il poeta ha accettato ormai il dolore come realtà nella vita dell’uomo e
cerca di lottare contro di esso.
“Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” 1818
Madame de Stael era una filosofa francese che accusò la cultura italiana di essere arretrata, non aggiornata, con una
mitologia fin a sé stessa/superficiale/ripetuta. Invita gli italiani ad un rinnovamento in senso romantico, li invita a
guardare le traduzioni dei testi stranieri che sono più all’avanguardia. Ci sono molti classicisti a quest’epoca che
difendono ancora la loro scelta poetica più tradizionale. Inizia così una polemica del contrasto tra antico e nuovo. Anche
Leopardi vuole intervenire in questa diatriba, prendendo la parte dei classicisti, così scrive il discorso di un italiano alla
poesia romantica. Inoltre, nel testo sottolinea anche il fatto che lui è italiano, c’è un punto di vista anche politico. Per lui
essere classicista equivale a essere italianista. Difende la letteratura italiana dalle influenze straniere, come il
romanticismo. Secondo lui il fine della letteratura è il diletto/piacere e la poesia antica è dilettevole, per questo va
imitata. Bisogna essere semplici, ingenui, spontanei, ascoltare la natura. Purtroppo quest’opera non viene accolta dagli
editori dell’epoca e non viene pubblicata per ben due volte. Punti fondamentali del testo:
- gli antichi avevano una mentalità mitopoietica, capace di trovare la divinità in ogni oggetto della natura (questa
prerogativa è rimasta nell’uomo moderno ai primitivi e ai fanciulli) = prospettiva della filogenesi/ontogenesi.
- quando gli antichi greci e latini poetavano avevano questa mentalità: dialogavano con la natura.
- I poeti moderni non possono riattivare questa funzione psichica perduta (come pretenderebbero di fare i
romantici) a causa dell’avvento della ragione e delle scienze esatte, ma, possono e devono imitarla, fingendo di
avere un cuore antico.
- Il poeta moderno deve fingersi interiormente antico (= semplice, ingenuo, spontaneo, fanciullesco, in sintonia
con la natura). Questa teoria spiega l’uso ripetuto di allocuzioni a corpi celesti nei canti. Come gli antichi che si
rivolgevano agli astri. Lui li vuole imitare.
In questo testo sostiene che siamo talmente cambiati rispetto agli antichi che non ci riconoscerebbero più come figli.
Prima i paesi erano isolati, ora invece si può viaggiare, c'è una rete di comunicazioni. Gli uomini antichi erano spettatori
naturali, noi artificiali. Fa coincidere la naturalità con l'ignoranza, con la non conoscenza. L'ignoranza non è un difetto, è
un pregio perché permette la meraviglia. Fa vedere la realtà con occhi puri. Noi ora conosciamo come funziona natura
quindi la concepiamo in un modo diverso. Non c'è più la meraviglia. Ora noi conosciamo il nesso causa – effetto quindi,
abbiamo perso la magia dell'ignoto, della natura. La nostra vita è una condizione artificiale. La scienza vuole togliere i
segreti alla natura. La scienza ha violentato e scardinato la natura. Questo fenomeno contraddistingue tutti quelli che
vivono in civiltà a gradi diversi, chi più e chi meno. Gli antichi erano spettatori naturali, non avevano uno sguardo
civilizzato. Conoscevano solo la natura prima della società. Leopardi è molto controtendenza con la visione del suo
tempo secondo cui la scienza migliora la vita degli uomini. Leopardi invece dice che la scienza violenta la natura. “Quello
che furono gli antichi lo siamo stati noi tutti”, qui intende dire durante la fanciullezza. Essere dominati dalla fantasia
secondo lui è meglio che essere dominati dalla ragione, di conseguenza, l'ignoranza è meglio del sapere. “Ogni oggetto
ci voleva parlare”, la realtà, la natura parlava all'uomo. L'uomo antico non era solo in nessun luogo, era dominato dalla
meraviglia mentre invece l'uomo moderno fa fatica a meravigliarsi. Non conoscendo la reale causa dei fenomeni li
spiegavano con la loro fantasia. Non c'erano convenienze sociali che frena vanno le passioni. La fantasia era libera e
senza freno. Elogia la fantasia che la società contemporanea sta cancellando. Questa fantasia in ingigantiva le cose
piccole e illuminava quelle buie. Questa è la sua idea dell'Antico ma molti altri la pensano così soprattutto tra Settecento
e Ottocento. Sembra avere di mira la classe colta perché guida la rivoluzione scientifica che rovina la società.
Mercoledì 06-10
Il protagonista rivolge alla luna i propri problemi, la propria interiorità. Datazione intorno a giugno-luglio del 1819/20. La
luna è trattata come un essere vivente che parla con lui. La sua completa solitudine trovava conforto nella luna.
L’episodio di cui parla è angoscioso, sta piangendo rivolto verso la luna. Dice che la sua vita era dolorosa e lo è ancora.
Ricordare il dolore e crogiolarsi in quel ricordo per lui è piacevole (vicino al romanticismo). Lui si sente intrappolato a
Recanati, all’epoca serviva il passaporto per uscire dalle Marche, tenta la fuga ma viene scoperto dal padre che gli
impedisce di lasciare Recanati. Non ci sono elementi che ci permettono di collocare la poesia in un tempo-spazio
preciso, è a-temporale. Diviso in due parti: la prima elegiaca, in cui si descrive un notturno lunare, la seconda filosofico-
ragionativa, nella quale si afferma il valore consolatorio del ricordo. 16 endecasillabi senza rima. Appartiene alla raccolta
dei canti.
“Alla luna”
O graziosa luna, io mi rammento 1
Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari. 5
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova 10
La ricordanza, e il noverar l'etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose, 15
Ancor che triste, e che l'affanno duri!
“Il risorgimento”
Vv. 17-24
Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita;
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna; In questo testo rimpiange come perduta la
Spenta per me la luna, funzione giovanile di dialogare con gli astri.
Spente le stelle in ciel. Crescendo c’è in lui un passaggio dall’antico al
moderno, intorno agli anni 20. Da giovane ad
Vv. 41-64 adulto perde il rapporto con la natura che per
Qual fui! quanto dissimile lui diventa morta/spenta. Poi, c’è un
Da quel che tanto ardore, risorgimento, c’è un ritorno all’antico dove
Che sì beato errore compone questa poesia e “A Silvia”. La sua crisi
Nutrii nell’alma un dì! interiore dura parecchi anni. Finito il periodo
La rondinella vigile, giovanile per lui la terra era arida, esanime, la
Alle finestre intorno luna e le stelle spente, non riusciva più a
Cantando al novo giorno, parlarci. Il suo cuore è caduto in un sonno
Il cor non mi ferì: profondo, tutto gli è diventato indifferente, ha
smesso di comunicare con la natura. Poi come
Non all’autunno pallido una sorta di miracolo questa funzione è tornata.
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.
“Le ricordanze”
Ricorda l’abitudine giovanile di stare da solo a guardare le stelle. Pensava non sarebbe più riuscito a dialogare con loro.
“L’infinito”
Lunedì 11-09
Zibaldone pp 63.64, circa 1819
Poco successivo al discorso di un italiano. Fa riferimento al mito di Ciparisso che uccise il suo cervo preferito e si
trasformò in cipresso. Quando gli antichi vedevano un cipresso pensavano a questo mito, pensavano che al suo interno
ci fosse l’anima di Ciparisso. Noi moderni invece vediamo solo un cipresso.
All’Italia
È il primo canto del libro, è un canto di sapore politico dedicato al riscatto dell'Italia che all'epoca era in mano agli
stranieri. Inizia a girare l'idea di Risorgimento, di indipendenza nazionale. Il testo è dedicato all'idea di Italia unita è
libera. Dichiara di ispirarsi all’Ortis di Foscolo e anche ai Sepolcri. Non sono solo canzoni patriottiche ma si parla già di
pensiero proto-risorgimentale. Anche il discorso di un italiano si concludeva con un invito ai giovani a prendere le armi
contro gli stranieri per l'indipendenza. C'è l'idea di decadenza dell'italiano di primo Ottocento rispetto ai padri antichi. I
moderni sono oziosi, inattivi, vivono in una sorta di egoismo. Invita ad un risveglio nazionale. La poesia inizia con O
patria mia, successivamente però diventerà un autore totalmente apolitico. Il canto è composto da 7 stanze di 20 versi
ciascuna, ci sono due schemi lirici diversi tra strofe pari e strofe dispari. Leopardi dice di non vedere la presenza politica
dell'Italia, riconosce la decadenza nazionale e invita alla rinascita.
Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della repubblica
Qui all'idea di decadenza nazionale subentra quella dell'uomo. Il discorso politico si sgretola, non c'è più possibilità di
riscatto. Angelo Mai è un bibliotecario della biblioteca Vaticana di Roma che scoprì molti testi nascosti nei palinsesti
(codici pagani antichi che venivano raschiati e sopra vi venivano scritte nuove opere di carattere cristiano). Tra queste
scoprì un’opera di Cicerone che trattava il sistema repubblicano. Elogia Angelo Mai perché riporta in vita la grandezza
degli antichi ma, purtroppo, rimarrà inascoltato. Leopardi traccia una storia della decadenza da antichità a modernità
grazie a testi ritrovati da Mai e tramite alcuni autori. Li divide in uomini antichi: Dante, Petrarca, Ariosto, Colombo. E
uomini moderni con una mentalità moderna: Tasso, Alfieri. Colombo è l'unico personaggio non poetico che Leopardi
cita. È colui che ha avuto soprattutto la responsabilità del passaggio tra antico e moderno per aver scoperto l'America
nel 1492. Ha dato confini certi a ciò che era ignoto, è colui che ha cancellato le illusioni dell'antichità, le ha uccise. È
andato oltre le colonne d'Ercole, ha trasgredito il divieto di Dio, solo Ulisse lo aveva fatto ed era stato condannato da
Dante nella Divina Commedia, così Leopardi fa con Colombo ma in chiave laica.
Leopardi interpreta l'Ulisse dantesco in chiave laica con Colombo ma sempre in modo negativo. Il Colombo della
canzone dell'Angelo Mai è un colombo che compie un folle volo come Ulisse.
vv. 76, strofe dedicate a Colombo nato in Liguria. Sorpassa le colonne d'Ercole, ha spezzato ogni impedimento della
natura. Secondo Leopardi la natura per impedire il passaggio aveva messo le colonne d'Ercole e l'oceano. Non voleva
che l'uomo scoprisse al mondo. Il guadagno di questa scoperta è infimo. Il mondo non cresce scoprendolo ma
diminuisce. Il fanciullino vede la terra molto più meravigliosa del saggio perché non conosce. C'è una strofa di rimpianto
e lamentazione perché con la scoperta si perde il mito, l'illusione, la fantasia. Si parla anche del mito di Aurora sposa di
Titone, che ogni mattina all'alba si alza e porta la luce in cielo. Inoltre, Colombo ha figurato il mondo in una carta e lo
sminuisce. Quando raggiungiamo la verità ci è impossibile immaginare.
Martedì 12-09
Alla primavera, o delle favole antiche
Canto dedicato alla primavera che sta per arrivare. Si dice che l’antichità sia la primavera dell’uomo. La primavera è un
luogo caldo, mite, piacevole, in questo caso si parla di stato d’animo. La modernità invece è l’inverno dell’uomo con un
freddo gelido che ghiaccia tutti. Secondo Leopardi i moderni sono in un momento di glaciazione interiore. La primavera
ogni anno ritorna ma solo per la natura. Per lui il ritorno alla primavera interiore è impossibile (per molti altri romantici
invece lo è). Le strofe hanno uno schema fisso, 11 versi su 19 sono irrelati. Ci sono inversioni innaturali nella sintassi,
tipico del classicismo. Questa è una struttura molto dottrinale/filosofica, non è idilliaca/lirica. Il sole in primavera ristora
la natura dopo i danni dell’inverno. Anche il vento spinge via l’ombra della nubi. La luce risveglia gli animali dal letargo e
il loro desiderio di riprodursi. Descrive gli effetti della primavera sulla natura. Anche gli uccelli che ricominciano a volare.
Può questo risveglio esserci anche nell’uomo? L’uomo ha consumato tutto questo. Parla di “fiaccola del vero” vero
inteso come della scienza. Anche noi possiamo essere governati da Febo (apollo)? È non solo il Dio del sole ma anche il
Dio del bello, della poesia. No, i raggi del febo non possono più scaldarci e neanche la loro poesia può farlo. La
primavera non può più scaldare i gelidi cuori. Leopardi si rappresenta come un giovane vecchio, qui ha 24 anni, tutti i
giovani del mondo moderno iniziano a sentirsi vecchi presto rispetto agli antichi. Per lui essere giovane-vecchio è una
cosa negativa mentre per molti altri invece no perché la vecchiaia è sinonimo di sapere/saggezza. Spiega questa sua
sensazione in alcune lettere:
- Lettera a Brighetti del 21 apr. 1820
Ha cominciato a pensare/soffrire quando era fanciullo, è cresciuto in fretta. La sua fanciullezza è stata breve.
- Lettera a Mai del 30 marzo 1821
Erano in confidenza e si scambiavano spesso lettere.
- Lettera a Giulio Perticari del 30 marzo 1821
Parla degli effetti della vita moderna che lui vede dentro se stesso.
- Storia di un anima scritta da Giulio Rivalta pubblicata dal conte Giacomo Leopardi
Finge di aver trovato un manoscritto in cui questo Giulio Rivalta racconta la sua vita ma in realtà è un alter-ego di
Leopardi. Descrive l’idea secondo cui i giovani nel mondo moderno invecchino rapidamente, lui compreso.
Sei tornata quella anta natura che eri per gli antichi? Domanda retorica, la risposta è no. Il concetto di santa è riferito
qui alla natura, non ad una divinità. C’è già un passaggio interiore importante, non di parla di Dio ma di NATURA santa.
Forse in questo periodo fa coincidere Dio con la natura. Fa molte domande retoriche la cui risposta è sempre negativa.
Prima le cime delle montagne (=l’Olimpo) erano popolate di divinità, ora per noi ciò che produce rumori/movimenti è
solo il vento. Parla del meriggio, il tempo meridiano è un tempo incerto e misterioso. In questo tempo i pastori che
portavano gli animali ad abbeverarsi sentivano cantare i satiri. Se l’acqua si muoveva lo si interpretava come se ci fosse
una divinità che stava facendo un bagno e scappava per la presenza umana. Chi viaggiava di notte vedeva la luna e si
sentiva protetto e accompagnato da questa. C’è una grande densità sintattica e mitologica tra questi versi. Chi in
antichità se ne andava dalla società e si ritirava nei boschi sentiva la natura vivere, abbracciava gli alberi e li sentiva
respirare (miti legati agli alberi: Dafne-alloro, Filli-mandorlo, prole di Climene-pioppi). Si riteneva che le piante fossero
divinità, fossero vive.
vv. 77 il nostro genere umano non è più parente dei miti.
vv. 80 le stanze dell’Olimpo si sono svuotate, l’uomo non ci crede più. Gli Dei pagani sono finiti. Affermazione pericolosa
all’epoca perché potrebbe essere rivolta alla divinità in generale. Un tempo Zeus usava il tuono per punire i peccati degli
uomini, ma gli uomini moderni ora lo considerano solo un fenomeno atmosferico. Non c’è più distinzione tra uomini
buoni e cattivi. Inizi a prendere piede l’idea di natura matrigna. Il suolo che ci partorisce è straniero, ignaro di noi. Ci
cresce tristi. La natura sembra del tutto indifferente all’uomo. Negli ultimi versi chiede alla natura di farlo tornare
antico, la prega di farlo.
vv. 90 “sempre ammesso che tu sia viva” ha il dubbio. Anche se questa divinità non è pietosa almeno ci starà
guardando?
Questa poesia è come un congedo dalla fede. Mette in dubbio l’esistenza della divinità. Qui nasce l’idea della natura
indifferente, nemica di tutti. Per esempio, il tuono ora minaccia tutti, non solo i peccatori.
N.B. Il passero solitario, composto tra il 31 e il 35. Qui il poeta si rappresenta come giovane anche se nella realtà non lo è
più, è già adulto. È un po’ un ritratto di sé stesso quando era in gioventù. In questo canto si paragona al passero solitario,
che è ozioso e abituato a vivere solo, non partecipa ai voli degli altri passeri. Si estrania da tutto, come Leopardi.
vv. 17 evita ciò che caratterizza la giovinezza, cioè la compagnia/le risate. Non si preoccupa di queste cose, trascorre la
sua giovinezza quasi come un’eremita o uno straniero.
vv. 33 parla degli altri giovani che sono diversi da lui, è gioventù sicuramente meno colta. Questa gioventù guarda e si fa
guardare, ed è fiera di questo gioco di sguardi. Secondo Leopardi è su questo concetto che si condensa il vivere civile. Lui
rifiuta di partecipare a questa festa, preferisce stare da solo.
Mercoledì 13-10
Inno ai patriarchi, o de’ principii del genere umano
Lo inserisce nelle canzoni del 24, ma non è una canzone, è una serie di endecasillabi sciolti. Leopardi aveva il progetto di
scrivere degli inni dedicati a personaggi della bibbia, lo intitola “gli inni cristiani”. Si ispira a “inni sacri” di Manzoni.
Dopodiché subentra in lui una nuova visione del mondo/dell’uomo e si allontana dalla fede. Analizza la decadenza
dell’uomo attraverso la vita dei patriarchi, sono 5. Questi patriarchi avevano un cuore antico. Compie un sincretismo tra
cultura pagana e cristiana. Considera di cuore antico i profeti ebraici ma anche dei poeti greci. Quel tempo per il mondo
greco si chiama età dell’oro o arcadia e per i laici/religiosi eden.
Vv 71 parla di Abramo (padre degli ebrei) e Giacobbe (figlio di Isacco, figlio di Abramo). Nella genesi si dice che Abramo
fu visitato da 3 viandanti (angeli) che gli profetizzarono la nascita di Isacco nonostante la moglie fosse sterile. L’incontro
con la divinità avviene sempre nel meriggio.
Giacobbe, innamorato di Rachele per sposarla si costringe ad esili e si mette al servizio del padre di lei per 20 anni.
Questo amore sfrenato oggi non esiste più, oggi c’è l’egoismo. Questo amore invincibile oggi non lo posiamo più
provare. Leopardi considera la cultura cristiana e pagana da un punto i vista storico e le fa coincidere. Il mito dell’età
dell’oro non è solo un mito a qualcosa di storicamente avvenuto. Secondo Leopardi l’età dell’oro è qualcosa di interiore.
L’età dell’oro si è fermata per l’uomo ma non per la natura e per il resto dei viventi. Nel mondo della natura non c’è
un’elaborazione psicologica di ciò che ci succede, è tutto momentaneo. L’umana stirpe visse inconsapevole del suo fato
ovvero la morte, non aveva l’affanno dell’elaborazione interiore della coscienza, per questo erano più felici. Le leggi
della vita erano coperte dalle immaginazioni/illusioni. L’Eden è uno stato interiore/di coscienza, non si parla tanto di
stato esterno. Mito dell’età dell’oro di cui la cultura classica era imbevuta, corrisponde all’Eden. Leopardi li sovrappone.
Sia i racconti biblici che quelli storici dicono le stesse cose: c’è stata una decadenza dell’uomo. Leopardi considera
ancora esistenti alcuni uomini edenici, che hanno ancora quel cuore antico es. popolazioni primitive delle Americhe,
vivono fuori dalla società, non hanno mezzi tecnici.
Vv 104 tal fra le vaste californie selve. Qua c’è ancora un popolo beato, non conoscono l’angoscia e l’ansia. Il loro corpo
non è indebolito dalla cancrena al contrario dell’uomo civilizzato. L’uomo moderno è in cancrena, sta morendo.
Civiltà=malattia. Natura=salute. È contro la colonizzazione.
Vv 110 la natura non può fare niente per fermare l’uomo. Molti popoli vengono proprio violentati dall’occidente che
porta loro la sofferenza. Li portano davanti a bisogni che non esistono, così fa anche la società, ci porta a desiderare
cose che in realtà non servono. Portano una civiltà di cui quei popoli non avevano bisogno e portano anche dei bisogni
indotti, minacciando così la felicità di questi popoli.
G. chiericato
La terra dopo l’Eden per noi è una dura matrigna. Anche gli animali sono irritati contro di noi. Nel paradiso terrestre gli
animali ubbidivano all’uomo. Poi l’uomo ha disubbidito a Dio e ha attirato verso di sé la loro ira. L’uomo è stato infettato
dal peccato originale ed è stato condannato. Interpreta il peccato dei primi genitori come decadenza dell’umanità.
Abbozzo in prosa dell’inno ai patriarchi
Prima si scrivevano in prosa gli abbozzi, poi si riportava il tutto in versi. Secondo Leopardi gli angeli sono gli abitanti del
pantheon dell’Olimpo. Prima apparivano sulla terra e dopo il tradimento/decadenza dell’uomo gli angeli spariscono
dalla terra.
Zibaldone pp 2250, dicembre 1821
Se la natura avesse previsto la civiltà come punto di massima evoluzione dell’uomo sarebbe un controsenso perché lo
indebolisce, peggiora il suo stato fisico. Soprattutto lo studio crea indebolimento del corpo, impossibile che la natura
vogli questo. Controsenso: nella società più si studia più si è virtuosi. Lo sviluppo della ragione indebolisce e ammala il
corpo. La nosologia cresce in proporzione alla civiltà. Anche gli animali se addomesticati si indeboliscono. Anche le
piante in agricoltura si degradano.
Zibaldone pp 2712
Chi non ragiona non erra, chi non ragiona è sapientissimo. Chi non conosce il pensiero è sapientissimo come il fanciullo
o i primitivi. Sanno quali sono le strutture più profonde della natura perché le vivono. Condanna la civilizzazione, ma è
una condanna velata al colonialismo.
Zibaldone pp 401-2
Qui parla dei bisogni indotti. Non soddisfano i desideri ma inducono a desideri inutili. Istinto: minimo di raziocinio che
serve per sopravvivere. L’istinto è diverso dalla ragione, la ragione accresce smisuratamente i bisogni dell’uomo. I
bisogni naturali dell’uomo sarebbero pochissimi ma la società e la ragione li rendono infiniti quindi è impossibile
soddisfarli e l’uomo è infelice. I primitivi no.
Lunedì 18-10
Questo nesso civiltà-malattia-indebolimento lo ritroviamo in 2 scrittori: Pirandello (“alberi cittadini”) e Svevo (“la
coscienza di Zeno”).
- Alberi cittadini
Qui vediamo una scrematura del pensiero leopardiano. È una riflessione sugli alberi che si trovano in città, sono in una
condizione innaturale, in una condizione di esilio. Sono estrapoli di natura intrappolati nell'ambito urbano. Usa termini
leopardiani come attediati o pentimento amaro e sconsolato. Questi alberi sono prigionieri e vivono nella noia intesa
come dolore esistenziale. Pirandello quasi li considera esseri umani, non li usa come se fossero uomini, ma parla della
loro interiorità. Sono alberi malaticci. Con il termine smarrirsi si riferisce agli uomini che sempre di più vanno a vivere
nelle città abbandonando le campagne come molti contadini. In generale parla dell'uomo che ha deciso di vivere in città,
quindi di vivere infelice. C'è una lusinga da parte della civiltà per far uscire l'uomo dalla natura. Il richiamo della natura
ancora c'è nei diventi secondo Pirandello. La natura è ancora viva in città e anche noi uomini siamo in una condizione di
esilio. Riprende l'idea del giardino di Leopardi con le cesoie che figurano e mutilano gli alberi e le piante. C'è un albero
tra questi che non si rassegna, cerca di raggiungere le luci e sopra ci sono dei passeri, questo attira lo sguardo dei
bambini. Questo albero rappresenta chi sa sognare e immaginare, chi ha una mentalità diversa. C'è un signore vecchio
che scaccia i passeri per il rumore e rappresenta chi cerca invece di soffocare la naturalità. La città alla fine predomina
per quanto ci si opponga a seguire la natura.
- La coscienza di Zeno
Svevo è italo austriaco: subisce il flusso della letteratura italiana ma anche di quella mitteleuropea. Svevo è ebreo, il suo
vero nome è Aron Hector Schmitz. Non era un intellettuale professionista, lavorava per il suocero. Girala molto per
lavoro e conoscerà anche James Joyce che pubblicizzerà Zeno in Francia. Suo amico sarà anche Montale che nel 25
scriverà a lui un omaggio. Nel 28 muore in un incidente. Zeno Cosini (cosa da niente) è un inetto, subisce una
trasformazione nell'ultimo capitolo. Svevo è ispirato da Leopardi, Nietzsche, Freud. Zeno ha una forte nevrosi, opta per
iniziare la psicoanalisi, lo psicoanalista freudiano gli chiede di ripercorrere il suo stato riscrivendolo in un memoriale.
Nell'ultimo capitolo Zeno concludi che la psicoanalisi è inutile e successivamente lo psicanalista pubblicherà il suo
memoriale. Il romanzo va per temi: il fumo, la morte del padre, il matrimonio, l'amante, lavoro è nuova vita. Si rende
conto che non gli serve la psicoanalisi e che può auto curarsi diventando malvagio, speculando sulla guerra: diventerà
un imprenditore e avendo la sua vita in mano guarirà dalla nevrosi. L'opera è preceduta da una prefazione del dottor S e
da un preambolo di Zeno. Nel preambolo dice di non riuscire a vedere la sua infanzia, nonostante gli occhi presbiti. Zeno
cerca di regredire in una concentrazione che sembra quasi una trance, vede un bambino che non è lui, non riesce a
trovarlo, nell'immagine del figlio della cognata, gli occhi sono grandi e le mani enormi. Per Zeno non solo è impossibile
ritrovarsi fanciullo ma afferma che la corruzione è già presente nel fanciullo, appartiene allo stesso sangue dei moderni,
degli adulti. Dopo essere guarito dice che l'infelicità non deriva dalla coscienza ma dalla buona coscienza. Finché ci si
oppone ti soffre quando si accetta la decadenza la sofferenza cessa. La società è dominata dagli adulti, non dai bambini.
Secondo te devo l'uomo soffre perché non si può opporre allo stato degradato. Può però adattarsi, uniformarsi,
adeguarsi alla massa. Zeno diventa un imprenditore, vende armi speculando sulle disgrazie della guerra ma gli passa la
nevrosi. Infatti Svevo dice che noi stiamo bene sulle disgrazie altrui. Zeno si è adeguato alla massa e sostiene di non aver
più bisogno della psicoanalisi. C'è l'idea di società come lotta darwiniana: lotta di tutti contro tutti. Zeno in questo caso
non è il sopraffatto ma il sopraffattore. Forse anche Svevo ha un'idea di superuomo che vince o domina sugli altri. Zeno
parla della sua prima speculazione e della gioia e soddisfazione che gli ha dato. Vende incenso al posto della resina pur
sapendo che non hanno la stessa efficienza, riesce a guadagnare molto di più, qui in lui cessa la decadenza. Torna in
qualche maniera allo stato animale, di giungla. La vita umana al giorno d'oggi è una malattia, Zeno lo sa benissimo. Non
sopporta cure questa vita, neanche la psicoanalisi. Per lui la vita attuale è inquinata dalle radici. Alle origini non era così.
Zeno torna in questo stato quando diventa sopraffattore. Si preoccupa per il sovrappopolamento, ogni metro quadrato
sarà occupato da un uomo. Gli animali si evolvono e si sviluppano solo in base alle loro esigenze di sopravvivenza,
l'uomo invece inventa degli ordigni come le macchine che sono fuori dal suo corpo. L'uomo diventa più furbo perché
vuole affidare alle macchine il suo lavoro, ma così facendo si indebolisce. La sua furbizia cresce in proporzione alla sua
debolezza. Prima o poi le macchine sostituiranno l'uomo. I primi strumenti erano rudimentali ed erano prolungazioni del
corpo dell'uomo e lo aiutavano in maniera naturale. Ora le macchine sono completamente autonome e l'uomo non è
più forte come in natura. Devo mettere in guardia la società, il futuro sarà di chi possiederà il maggior numero di
macchine. Forse solo dopo una catastrofe causata dagli ordigni ritorneremo allo stato di natura. La società verrà
cancellata è l'uomo si auto-estirperà.
Martedì 19-10
La scissione della natura in Montale, è presente il tema della caduta dall'origine. La raccolta Ossi di seppia viene scritta
durante la sua villeggiatura nelle Cinque Terre, al suo tempo erano molto diverse da come sono ora, c'era più verde.
“I limoni” 1921-1922
Parla della divisione violenta dell'uomo dalla natura. Riprende il topos della campagna, il poeta ama la campagna e vede
la città come un’oppressione. E per la poesia delle piccole cose, a un modello diverso per esempio da quello di
D'Annunzio. È un poeta della campagna, della natura. Si contrappone ai poeti della grandezza, della vita mondana.
Limoni è la poesia che apre la raccolta, è un discorso sul vivente. Loro dei limoni rappresenta l'età dell'oro ovvero lo
stato di natura. È una canzone montaliana: prevalentemente usa settenari ed endecasillabi ma non solo. Arriva a versi
talmente lunghi che sembrano pezzi di prosa, in realtà sono solo versi composti. L'uomo ritorna brevemente allo stato di
natura quando va in campagna ma alla fine torna sempre in città. Prenda di petto i poeti laureati che il governo
riconosce come maestri dicendo che esaltano la civiltà. Lui ama invece la natura. Dice che i poeti laureati guardano
piante lustri, lui invece guarda i limoni. Utilizza il noi inteso come dimensione collettiva, è un noi corale. Parla di una
collettività, interpreta l'essere dei moderni. La natura ora cela i tuoi segreti, in passato no. Chi vive completamente in
natura è in contatto con la verità. L'uomo moderno solo quando va in campagna o è in vacanza può percepire ciò che
sentivano gli antichi, com'era la loro mente. Dappertutto sentivano la presenza della divinità. Al ritorno in città cessa
tutto. La città è il luogo del freddo, dell'inverno, del tedio. La campagna invece è il luogo dell'allegria interiore. Dentro di
noi abbiamo il gelo dell'incivilimento.
“la farandola dei fanciulli sul greto”
È una poesia senza nome di conseguenza si utilizza come nome il primo verso. È composta da due strofe, la prima con
rima baciata AB AB, la seconda con rima incrociata CD DC. La prima strofa parla di un gruppo di fanciulli che giocano
spensierati. La seconda di un adulto che riguarda e rimpiange quel tempo. La farandola è un ballo di gruppo provenzale
molto veloce e difficile che richiede molta sincronia. I fanciulli sono in sintonia tra di loro e con la natura che li circonda.
Il mondo è un’arsura ma i fanciulli sono verdi. Questi fanciulli erano come un cespuglio umano che respirava aria pura. Il
cespuglio ha la possibilità di affondare le radici nella natura e nutriti della sua linfa, è come l'età della fanciullezza. Il
passante adulto sente il distacco dalle radici, si sente sradicato dalle antiche radici. I fanciulli non hanno nome e non
hanno veste, sono tutti uniti in una farandola. Parla di sponde felici ma non si conosce il luogo preciso. È come se
fossero su un'isola felice nell'età dell'oro. Nell'età dell'oro ovvero la fanciullezza si è tutti uniti e solidali. Questo
atteggiamento di sradicamento non è universale, alcune persone riescono a mantenere la purezza, per Montale queste
persone sono le donne.
Mercoledì 20-10
“falsetto” 1923-1924
Montale dedica questa poesia a Esterina, una ragazza di 19 anni conosciuta durante la villeggiatura. Lui la identifica con
la fanciullezza, abbraccio con la natura. Nella poesia la ritrae mentre si tuffa. Il poeta non si tuffa, ha perso quella
fanciullezza interiore. Non può più tuffarsi nel mare, inteso come natura. Il poeta allude al fatto che lei anche da adulta
continuerà ad avere questo cuore. Il passare dell'età rischia di sgretolare la fanciullezza che abbiamo dentro. Il suo viso
assomiglia a quello dell’arciera Diana, ha viso di una dea antica. L'antichità che la fa assomigliare a Diana non verrà mai
meno, dentro di lei il divino rimane. Lo stile di Montale spesso sconfina nell'ermetismo: utilizzo di parole, immagini,
oggetti sintetici, allusivi, misteriosi, enigmatici. Siamo negli anni del Fascismo quindi non c'è libertà di parola, molti
devono nascondere o mascherare il più possibile per evitare la censura o peggio. La seconda strofa della poesia avvicina
Esterina alla sfera animale per esempio alla lucertola quando prende il sole viene paragonata alla lucertola che si stende
sul masso. L'acqua è l'elemento della divinità ed è anche la forza che tempra Esterina. Lei tuffandosi in acqua si rinnova,
si tempra. Utilizza il termine equorea: è un latinismo e significa “che appartiene al mare”, intende che lei è una creatura
del mare. Il mare la rende più pura, non viene intaccata dalla salsedine. Lei invita il poeta a vivere in un sorridente
presente perché lui si sente vecchio. Il poeta è schiacciato dal pensiero del domani. Lei cammina su un ponticello che
stride per raggiungere il mare, per farlo ci vuole anche coraggio, chi ha paura del mare non lo può fare. Lei evita per un
attimo e poi si tuffa con un sorriso, il sorriso le dà una potenza assoluta. Per lei il Gorgo che stride è un divino amico. Il
mare la stringe e questo ricorda l'abbraccio con la natura. Riprende l'icona uomo foglia ma in questo caso donna foglia.
Negli ultimi due versi è presente un noi corale inteso come noi che non riusciamo a vivere come te, noi che rimaniamo a
terra. Il divino esiste per qualcuno ma molti altri rimangono esclusi.
Lunedì 25-10
Con Italo Calvino abbiamo una chiara coscienza ecologica. È un intellettuale internazionale ovvero è aperto alle
suggestioni straniere. Calvino parte dall'idea che la natura sia armonia.
Un pomeriggio Adamo
Calvino mette in scena un rapporto tra un giardiniere (Albereso) e una cameriera (Maria Annunziata) in una Villa
padronale, non meglio specificata. Calvino è molto universale, non specifica. Albereso vive tutto il giorno a contatto con
la natura come se fosse un selvaggio. Ha i capelli lunghi, possiede quindi un aspetto diverso rispetto al popolo e alla
borghesia. È una figura di una persona affrancata dalla società. È attratto dalla cameriera, cerca di donarle piccoli
elementi del giardino. Lui è vegetariano, ama gli animali e avere contatti con loro. Alla ragazza invece non piacciono,
preferisce la vita mondana. Quando lui le regala un rospo lei pensa sia velenoso, lui cerca di donarle degli altri animali
per esempio una biscia Ma lei prova disgusto e li odia. Nella conclusione lui ha un contatto diretto con un formicaio,
appoggia la mano su un formicaio e ti lascia ricoprire dalle formiche, anche lei appoggia la mano ma appena vede le
formiche corri a mettere la mano nell'acqua per ucciderle. Mentre lui si fa ricoprire di formiche lei gli urla di toglierle,
per farlo staccare dal formicaio alla fine lo abbraccia. Ci sono temi che rimandano alla genesi: l'albero di pesco dove ci
sono le formiche, il titolo dell'opera, un uomo e una donna che scoprono l'amore. È un racconto subito successivo alla
guerra, Calvino appartiene alla prospettiva comunista.
“la formica argentina”
Mette in scena il trasferimento di una piccola famiglia in un paese. All'arrivo scopre che il paese è infestato da formiche
argentine, animali molto fastidiosi che riescono ad arrivare ovunque. Non potendole contrastare infine traslocano. È un
caso strano perché qui la natura è nemica. C'è un'idea di rottura tra uomo e natura. Le stesse formiche che nel
precedente racconto erano buone qui sono ostili. Ha una crisi con il rapporto uomo natura, la risolve con l'idea di
caduta. Tra gli anni 40 e 50 sono successe molte cose tra cui il distacco dall' ideologia comunista. Dal Neorealismo
iniziale Calvino passa poi alla favolistica nel 56. Gli animali in questo racconto sono fastidiosi, non sono gradevoli. Sono
una presenza esterna. La coppia ha un bambino che prima del trasferimento aveva una malattia ed era poi guarito. Le
formiche riescono ad arrivare anche nella sua culla, e riescono ad insidiare anche il bambino stesso. I genitori lo
mettono poi in un cassetto del comò ma le formiche arrivano anche lì. Le formiche non si riescono a debellare perché
non c'è un formicaio da distruggere, sono sparse in tutto il territorio. Le formiche invadono anche la culla del bambino,
quindi, la disarmonia è estesa anche alla sfera infantile. Non ci saranno altri racconti come questo che rappresenta l'idea
di natura matrigna. È l'uomo che provoca la rottura con la natura tramite anche l'inquinamento e lo sfruttamento del
suolo, vediamo qui la nascita di una coscienza ecologista. La civiltà non può vincere la natura con la forza o con la
scienza.
“Marcovaldo le stagioni in città”
Qui Calvino contrassegna la vita urbana come vita inquinata. Inquinata perché è artificiale, sporca, l'uomo utilizza male
le risorse della terra. Metti insieme a 5 cicli stagionali, ognuno di quattro stagioni, richiama la struttura dell'anno solare.
Marcovaldo lavora al nord in una grande ditta anonima. Non si sa cosa produca ma si sa che è brutta è sporca e si
chiama Sbav. Fa un ragionamento sulla vita operaia degli anni 50 e 60. Vive in una mansarda insieme alla moglie e i suoi
7 figli, lavora solo lui. Marcovaldo sente la vita urbana come una prigione, vuole tornare alla natura. Ma i suoi tentativi
di tornare alla natura falliscono sempre.
- Primo capitolo, primavera. “Funghi in città”
Il vento fa doni, si torna alla versione della natura Adama. C'è un piccolo pezzo di terra vicino alla fermata dove nascono
i funghi. A Marcovaldo non interessano i cartelli, le vetrine, le insegne. È invece attratto dalle piccole sorgenti di natura
che ancora esistono nel mondo artificiale. È turbato perché sa che vive in un mondo artificiale e si rende conto della sua
miseria. Trova i funghi che stavano spuntando nel cuore della città e ciò lo rende felice. I figli di Marcovaldo per esempio
non si rendono conto di cosa siano questi elementi naturali perché non hanno mai visto la campagna. Non sanno cosa
sono i funghi o cosa sia un bosco. La visione di questa natura che sboccia nell'asfalto dà vita a Marcovaldo. Questo
momentaneo contatto con la natura lo fa rigenerare. Porta a casa i funghi, tenta di fare il raccoglitore ma non ha le
competenze, I funghi sono velenosi e lui e la sua famiglia si intossicano. Lui non ho le competenze per riconoscere i
funghi commestibili mentre invece un animale le avrebbe.
- “Il bosco sull’autostrada”
La legna a casa di Marcovaldo era finita e in casa faceva molto freddo. Marcovaldo va in giro per la città a raccogliere la
legna e anche i bambini rimasti a casa vogliono aiutare il padre. I bambini però non sanno cosa sia un bosco quindi lo
cercano sui libri di favole. Escono a cercarne uno e al buio confondono un gruppo di cartelli autostradali con un bosco, il
segano e li portano a casa. I bambini avevano una conoscenza molto approssimativa della natura non avendola mai
vista.
- “Dov'è più azzurro il fiume”
Marcovaldo vuole trovare del cibo puro per la tua famiglia. Legge sul giornale che il cibo è inquinato e si spaventa quindi
decide di andare a pescare lontano dalla città. Risale il fiume vicino alla tua città e trova un posto dove l'acqua è
particolarmente azzurra, dopo scopre che il colore è dato da uno scarico di vernici che si trova nelle vicinanze quindi non
può pescare neanche li. Già a quest'epoca emerge il problema dei cibi inquinati. A quest'epoca sono i giornali il
principale mezzo di informazione, non il telegiornale. Il cibo inoltre ti comprava al mercato e non al supermercato,
quindi già all'epoca del giornale e del mercato si parlava di inquinamento. Anche mangiare, che è uno dei bisogni
dell'uomo, diventa difficile. Anche i gesti più naturali come mangiare diventano ora innaturali. C'è l'idea di un nemico
che si infiltra tra le mura di casa: l'inquinamento, in chiave ecologica. In questo caso è diverso dal racconto della formica
perché qui è colpa dell'uomo. Calvino punta molto sui ragazzi, vuole educare la gioventù attraverso la letteratura.
- “luna e gnac”
La famiglia di Marcovaldo vorrebbe osservare il cielo stellato ma non può perché ogni 20 secondi si accende un neon
gigantesco con la scritta gnac proprio di fronte a casa loro. In realtà sarebbe una scritta pubblicitaria molto più lunga:
spaak-Cognac, di cui però si vede soltanto la scritta gnac perché un altro Palazzo copre la prima parte. Quindi le loro
notti sono tutte a intermittenza tra il buio e questo gnac che è una scritta un po' ridicola e insensata e impedisce a loro
di vedere la notte. Calvino qui mette l'accento sull'inquinamento luminoso in città, reca grande disturbo ai cittadini. La
soluzione che trova Michelino, il bimbo più piccolo di casa, è quella di rompere questo neon con una fionda.
Inizialmente Marcovaldo lo vuole punire, poi guarda il cielo e si rende conto che finalmente riescono a vedere la luna e
le stelle. La vita in città impedisce di osservare il cielo, ci si sente spaesati, non ci si sa più collocare nell’universo.
Attraverso Marcovaldo Calvino dice che bisogna ricominciare a ragionare sul cielo, a ragionare sugli spazi in cui siamo e
al ruolo che abbiamo in questi spazi. Solo così l'uomo potrà trovare un equilibrio futuro con la natura.
Martedì 26-10
Ora entriamo nella terza prospettiva ovvero quella di difesa o diffidenza o paura rispetto alla natura: natura matrigna
natura mistero. La natura è vista come un nemico da combattere oppure contiene gli echi sinistri e inquietanti di un
altrove. L'uomo è vittima della natura che secondo alcuni contiene segnali misteriosi, inquietanti. Si parla di natura
inospitale. Pascoli ha un rapporto doppio con la natura tra madre e matrigna. È il luogo dove si manifestano i morti, La
natura è un tramite, è l'unica porta che da sul aldilà. Infatti il Myricae la presenza della morte e dei defunti è altissima.
Uno dei punti cardine di Leopardi, della sua prospettiva di natura matrigna, è il fatto che la natura pone l'uomo ai
margini. Lui lotta contro l'antropocentrismo, idea radicatissima nella cultura europea dell'età moderna.
L'antropocentrismo è un'idea che la scienza ha contrastato involontariamente ponendo al centro del sistema solare non
l'uomo ma il sole. Mette in dubbio quindi la centralità dell'uomo soprattutto grazie a Copernico. Ancora intorno agli anni
20 dell'Ottocento l'affermazione di questa tesi non restava impunita. L'umanesimo e il Rinascimento si fondano su
questa idea di uomo al centro, soprattutto grazie a Pico della Mirandola che dedica un testo alla dignità dell'uomo nel
Cosmo. In latino dignitas valore.
Giovanni Pico della Mirandola – Oratio de hominis diguitate (discorso sulla dignità dell'uomo) 1486. Nascita
dell’antropocentrismo rinascimentale
La libertà è l'orizzonte dell'uomo, l'uomo si autodetermina, lo può fare solo lui, né gli animali né gli angeli. È un inno alla
libertà assoluta dell'uomo. L'idea è alla base dell'Umanesimo, l'umanesimo si occupa della letteratura che riguarda
l'uomo, l'uomo è totalmente al centro dell'attenzione indagato soprattutto attraverso i grandi filosofi, poeti, storici della
grande antichità. A loro interessa l'uomo in tutte le sue forme. Il testo di Pico è un po' un incoronazione di questa idea.
La sua opera esalta l'uomo e la libertà assoluta. Gli umanisti puntano sulla filologia, studio storico-scientifico dei testi, si
cercano i testi antichi originali. Non contaminati e modificati da correnti di pensiero successive per esempio il medioevo
Cristiano. Il primo umanesimo è di tipo civile e si sviluppa soprattutto a Firenze, il secondo Umanesimo è invece più
filosofico e si sviluppa particolarmente a Napoli manca Firenze. A Firenze in particolare è appoggiato da Lorenzo de'
Medici detto il Magnifico che diede un grande apporto alla letteratura. Pico aveva un sogno: voleva far convergere
pacificamente tutte le culture e tutte le religioni. Tenta di organizzare un convegno ma viene condannato dal Papa, è
costretto a scappare e successivamente viene assolto grazie a Lorenzo de' Medici. Nel testo fa l'esempio del cane che ha
già un posto determinato nella natura, vive caninamente, non può vivere in nessun altro modo. Dio ha determinato già
la vita di tutte le creature, ma non dell'uomo. L'uomo è un soggetto, è padrone di se stesso.
● Affermazione di una netta superiorità dell’uomo rispetto agli animali
● L’uomo si autodetermina
● L’uomo è l’unica creatura in grado di afferrare la ragione e la bellezza del creato
● L’uomo è “opera di natura indefinita” perché ha in se tutto ciò che Dio ha singolarmente assegnato alle altre
creature
● L’uomo è posto da Dio nel mezzo del mondo
● L’uomo è preposto a dominare sul creato
Nella seconda parte dell’opera dice che anche ogni nazione è libera e autodeterminante, ogni nazione può avere una
propria cultura senza sovrastarsi le une con le altre.
Giovan Battista Gelli – La circe, 1549. Precoci segni di crisi dell’antropocentrismo rinascimentale.
Testo costituito da 10 dialoghi, nei primi 9 contesta Pico e, infine, nel decimo lo appoggia. Gelli è un personaggio
particolare, ha origini popolari, appartiene al ceto artigiano, si dedica alla filosofia nonostante sia un calzolaio e non
abbia ricevuto una formazione. Scrive in una lingua viva, parlata a Firenze nel 1500. Quest’opera ha influenzato molto le
operette di Leopardi. La circe mette in scena dei dialoghi tra Ulisse e i suoi compagni greci trasformati da Circe in
animali. Circe è innamorata di lui e ritrasforma in esseri umani solo coloro che vogliono tornare umani dopo aver
sperimentato la condizione animale. Ulisse deve convincerli, lui è un maestro di inganni, sa cambiare il suo ingegno
adattandolo alla situazione. Nessuno di loro dopo aver sperimentato entrambe le condizioni vuole tornare umano. Solo
uno: Aglafemo, Ulisse lo convince grazie alle argomentazioni di Pico nell’oratio.
Ragioni della superiorità degli animali rispetto agli umani (dialoghi da 1 a 9):
● L’uomo deve faticare per vivere (la vita umana è un continuo combattimento) mentre gli animali hanno tutto
dalla natura
● L’uomo è debole (sono i più infermi e i più deboli che si trovino al mondo), gli animali sono sani e robusti
● L’uomo non conosce la moderazione, la virtù principale degli animali è invece la temperanza
● L’uomo ha il timore della morte e sono tormentati dal regno di Plutone
● Gli animali non conoscono peccati e malizia
Dialogo 10 (ragioni della superiorità dell’uomo rispetto agli animali):
● L’intelletto umano è il solo in grado di conoscere Dio
● L’uomo ha il privilegio dell’autodeterminazione
Ulisse convince così Aglafemo ex filosofo, ora elefante. L’opera si conclude con un inno antropocentrista di Aglafemo,
ricorda in molti punti il cantico delle creature e riprende anche il punto di vista di Pico.
N.B. Leopardi nelle sue opere compie una sconfessione dell’antropocentrismo, soprattutto nelle operette morali. Si scaglia
contro il movimento liberalista, prende distanza dalle loro visioni progressiste secondo cui scienza/sviluppo migliorano la
società. Credono nelle possibilità di miglioramento dell’Italia attraverso la scienza, la statistica, la medicina. È inoltre un
movimento cattolico. Lui prende possizioni anti progressiste e anti cattoliche. Avevano un’idea di uomo come padrone del
mondo. Per lui invece la natura mette l’uomo ai margini, non al centro. Chi si opponeva al pensiero dominante veniva
considerato un irregolare.
Mercoledì 27-10
Giordano Bruno (1548-1600), “De l’infinito, universo e mondi” 1584
Parte da Copernico e la sua teoria eliocentrica, anche Galileo Galilei dimostra matematicamente la teoria di Copernico,
non la si può più mettere in discussione. Copernico non descrive le cose da un punto di vista filosofico-esistenzialista, fa
osservazioni di carattere fisico. Queste considerazioni anti-antropocentriche da un punto di vista filosofico le fa
Giordano Bruno. Estende le sue conclusioni fisiche anche al mondo della metafisica. I punti principali:
● L’universo è infinito e senza centro (quindi la terra non è al centro dell’universo)
● Esistono per la legge di analogia e convenienza infiniti mondi (cioè altri sistemi solari simili al nostro)
● Esistono per la legge di analogia infiniti pianeti come la terra (ognuno con la propria storia e i propri abitanti)
Leopardi riprende alcuni concetti di Bruno per esempio la vita su altri pianeti. Ci sono altre creature assimilabili a noi, lui
non prova senso di angoscia per questo, è anzi entusiasta e si sente un messaggero. L’universo era considerato, secondo
la teoria aristotelica-tolemaica, un universo chiuso, finito, sferico. Giordano Bruno distrugge questa sfera. Non tutti però
sono entusiasti di queste scoperte: Blaise Pascal (1623-1662) “Les pensées”, secondo lui la posizione dell’uomo nel
cosmo è angosciosa, è una posizione di smarrimento in questo universo infinito. (Lui è cattolico). Anche Foscolo fa una
considerazione di uno dei pensieri esposti da Pascal: contro l’indifferenza degli atei. Nel finale di Jacopo Ortis compare
questa traduzione in cui Ortis sembra riconoscersi. Quello di Ortis è un suicidio politico/amoroso/esistenziale. Medita
sulla posizione dell’uomo nel cosmo. Qui si ritrova il pensiero di Pascal tradotto. Tutte le antiche certezze vengono
sbriciolate. L’ignoranza che affligge l’uomo cresce. Molti poeti cantano questa nuova condizione dell’uomo, di angosci
rispetto all’infinità della natura. Si tratta della condizione della vertigine cosmica. Per esempio Leopardi ne parla
nell’infinito ma con un sentimento di dolcezza, mentre invece nella Ginestra (vv. 158-201) non c’è più il sentimento di
dolcezza ma solo la negazione dell’antropocentrismo. La compone nella primavera del 1836 mentre risiede a Torre del
Grieco, un luogo di campagna vicino al Vesuvio, luogo segnato dalle eruzioni del Vesuvio che all’epoca era ancora molto
attivo. Racconta delle sue passeggiate notturne sulla lava pietrificata dove poteva ammirare il cielo in tutta la sua
bellezza/inquietudine. Nel 1815 compone la storia dell’astronomia, dall’antichità fino ai suoi giorni. Conosce bene
l’astronomia e i suoi termini.
Leopardi – Le operette morali
Sono una raccolta di 24 componimenti in prosa, divise tra dialoghi e novelle, scritte tra il 1824 e il 1832. Fase di stesura
(opera non ancora pubblicata, fase di gestazione progettuale, dura 8 anni la stesura):
Prima idea (1819): “dialoghi satirici alla maniera di Luciano” intende Luciano di Samosata (II° sec. D.C.) era uno scrittore
greco, ha lasciato molti dialoghi di sfondo satirico. 4 settembre 1820 scrive una lettera a Pietro Giordani in cui dice “in
questi giorni quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette
satiriche”. Tra queste ci sono le prime operette morali: le proto-operette che però restano solo abbozzate, non sono
finite. Sono dialoghi abbozzati, sperimentali, non li pubblica, verranno pubblicati solo dal 1906. Le proto-operette:
● Dialogo filosofo greco, Murco senatore romano, popolo romano, congiurati
● Dialogo fra 2 bestie (cavallo-toro; cavallo-bue, in 3 redazioni)
● Dialogo galantuomo e mondo
● Novella Senofonte e Niccolò Macchiavello
Tra gennaio e novembre 1824 le prime 20 operette sono composte definitivamente. Dopodiché inizia la seconda fase: la
fase editoriale.
Prima ed. in vita: 1827, Milano, editore Antonio Fortunato Stella (20 operette)
Secondo ed. in vita: 1834, Firenze, Piatti (20 operette + Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere +
Dialogo di Tristano e di un Amico)
Terza ed. in vita: 1835 ma a gennaio 1836 vengono bloccate e sequestrate dalla censura, Napoli, Starita (vengono
aggiunte: Frammento apocrifo di Stratone da Lampasco; Il Copernico. Dialogo; Dialogo di Plotino e Porfirio; Dialogo di
un lettore di umanità e di Sallustio [quest’ultimo poi viene rimosso perché non vi si rispecchi più])
Uscirono postume alla sua morte nella prima edizione in morte a cura di A. Ranieri, Firenze 1845.
Dialoghi tra due bestie (dagli abbozzi incompiuti)
Il dialogo tra cavallo e toro parte dall’estinzione dell’uomo, degli umani restano solo le ossa. Gli umani vengono qui
definiti proprio come razza di animali. Gli animali nel loro dialogo constatano che il tratto distintivo dell’uomo era
l’insoddisfazione (ripresa della Circe di gelli). Viene spiegata l’idea che gli uomini hanno la pretesa di dominare il mondo
e gli animali. Anche gli animali però hanno la caratteristica di antropocentrismo verso la propria specie.
Antropocentrismo non solo verso la terra ma verso l’universo, esempio: le stelle servono a far luce all’uomo. L’uomo
vuole estendere il suo dominio nell’universo infinito.
Mercoledì 10-11
Pascoli – Myricae (1894)
Myricae a un evento alla base, che è la morte del padre di Pascoli. Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna. Suo padre
Ruggiero è un amministratore delle proprietà dei principi di Torlonia. Tra il 1862 il 1867 si trasferiscono in una delle
tenute: La Torre. Pascoli studia nel collegio di padre Scolopi. Ruggero ha idee risorgimentali, liberali e le passa anche al
figlio. Nel 1867 Ruggero viene assassinato, Pascoli a 12 anni. Caterina Locatelli Vincenzi, la madre, è cattolica e avvicina
Pascoli alla religione, rimarrà vicino al cristianesimo ma abbandonerà questa religione. Il lui si fondono cultura pagana e
cristiana. Il paganesimo secondo Pascoli è qualsiasi forma di ideologia che non sia quella cattolica. Finisce in galera
perché partecipa a moti anarchici, sulla via dell'autodistruzione e dell'alcolismo Carducci lo indirizza verso la retta via e
lo aiuta. Dimostra che la morale dei pagani non era così diversa da quella cristiana in antichità, questo punto di incontro
si è poi perso. Il 10 agosto 1867 mentre sta tornando a casa Ruggero viene ucciso, non si saprà mai chi è l'omicida, il
cavallo riporta il corpo a casa conoscendo la strada. Stava portando delle bambole probabilmente per le bambine di
casa. Ammazzare il capo famiglia metteva in difficoltà a tutta la famiglia, i figli erano giovani e la famiglia numerosa
quindi ciò avrebbe portato alla rovina economica con conseguente disgregazione della famiglia. La raccolta parte su
questo omicidio, la struttura stessa della raccolta si basa su ciò. La prefazione viene messa nella terza edizione del 1894,
è la più importante perché l'assetto dell'Opera diventa definitivo. Le poesie di Myricae sono un tributo che Pascoli fa al
padre. Sono 156 poesie, è il numero degli anni di tutti i suoi familiari morti prima di Myricae. Della famiglia sopravvivono
lui, Ida e Marilù. Era una famiglia di 10 persone, in 8 anni rimangono solo loro tre, per questo lui cerca di ricostruire il
nido familiare, tra loro si crea un rapporto strettissimo e morboso. Quando Ida decide di sposarsi lui non accetta che lei
lasci il nido familiare che lui aveva ricostruito. Nessuno può essere indifferente al dolore di cui racconta il poeta. La vita e
la natura sarebbero belle se non fossimo noi a guastarle agli altri e a noi stessi. Secondo lui il male volontario non è
colpa della natura ma dell'uomo, torna all'idea di natura come madre dolcissima. Ha un'idea di sbaglio o errore che è
simile a quella religiosa.
X agosto
Questa poesia racconta l'uccisione di Ruggiero. La natura non è indifferente a questo dramma ma partecipa
attivamente. Nel testo Il padre viene paragonato alla rondine che viene uccisa dal cacciatore e porta in bocca i vermi per
i figli, così come lui portava le bambole. La natura piange di fronte a questi eventi, come? Con le stelle cadenti del 10
agosto. Piange di fronte a una morte violenta. La natura torna ad essere animata come per gli antichi. I contadini per
Pascoli rappresentano gli antichi, il tema della campagna è molto presente. Inoltre, pensa che ciascuno di noi può
ritornare antico se ascolta il fanciullino (l’antichità) che c'è dentro di noi. Senza l'aiuto del cibo della rondine il suo nido
pigola sempre più piano, rischia di morire, così come la famiglia di Pascoli. C'è un’uccisione ingiusta, il nutrimento per i
suoi rondinini è teso ora verso il cielo. Ci sono molti riferimenti al cristianesimo, per esempio gli spini. Pascoli descrive la
notte di San Lorenzo come un pianto cosmico della natura per l'uccisione di Ruggiero e della rondine. In questi versi
Pascoli tratta diversi temi: natura animata, rapporto uomo natura, rapporto uomo religione e unisce sacro e terrestre. Il
poeta crede negli spiriti ed evoca spesso il mondo della morte, si ispira ad Edgar Allan Poe es: “il giorno dei morti” 1891,
sotto un cipresso compaiono i suoi familiari che non sono soddisfatti del ricordo vivo rimasto nei parenti perché non
hanno avuto vendetta della morte improvvisa, essi stanno nel camposanto ma nella fantasia ossessiva del poeta, sono
misteriosamente coscienti, consapevoli e attenti a ciò che accade nel mondo dei vivi al quale sono legati per il dolore.
L’assiuolo
Sta albeggiando ma non è ancora giorno, c'è un assiuolo che vola. È un uccello notturno, è un uccello predatore temuto
dagli altri uccelli. Il poeta si affaccia fuori da casa sua e sente il suo verso mentre vola tra le campagne. Sono novenari
chiusi sempre da un verso onomatopeico. Si apre la poesia con una visione mista tra notte e alba. Comincia ad esserci il
chiarire dell'alba, dalla finestra vede un mandorlo e un melo, in lontananza c'è un temporale che soffia lampi
(sinestesia). C'è una rievocazione dell'assassinio del padre, come gli assassini si muovevano tra i cespugli il poeta ora
sente dei fruscii tra le fratte che gli ricordano quel movimento. Questa natura e intrisa di quel momento dell'uccisione.
Ci sono allitterazioni e onomatopee in senso simbolico, riprodurre i suoni della natura e come riprodurre i simboli della
natura. Pascoli vuole evocare i significati profondi che ha la natura, per questo con lui si parla di fonosimbolismo. Lui
rende antropomorfi i dati della natura che trema e sospira di angoscia. Fa riferimento al culto dell'oltretomba egiziano,
Le cavallette sono come dei ministri dell'oltretomba. Dopodiché arriva al giorno e questo scenario smarrisce. Pascoli si
serve spesso della natura per parlare in chiave simbolica dell'aldilà. Le cose non sono mai banali, non sono mai piccole,
anche le piccole cose nascondono infiniti misteri, nascondono un altro mondo. C'è una triangolazione tra mondo degli
animali, uomini, stelle. Pascoli ha un rapporto simmetrico con la natura, di familiarità. È una madre dolcissima: si ritorna
ad un rapporto benevolo e positivo. La natura partecipa ai casi umani. È a cavallo tra poesia della tradizione e poesia
innovativa.
Lunedì 15-11
Paese notturno
Ci sono tanti riferimenti alla cultura egiziana, sono spesso presenti anche in altre poesie di Pascoli. La campagna che
vede il poeta è veramente fatta di capanne, alberi, stolli oppure è una rovina egiziana del dio Anubi? Uggiola è una
parola fonosimbolica, in particolare Pascoli utilizza la lettera u che rimanda ad un suono misterioso. È una campagna su
cui le nubi proiettano C'è loro ombra, le nuvole lasciano uscire la luna che illumina il paesaggio. C'è qualcosa che
inquieta in questo paesaggio, qualcosa che rimanda all'aldilà. Spesso usa la natura come mistero. Di notte c'è questa
natura inquietante e minacciosa. In lui convivono queste due prospettive di natura.
Il lampo
Descrive l'accendersi e spegnersi di un lampo in una notte di tempesta. Rievoca il lampo dello sparo che aveva colpito
Ruggero. È una ballata di endecasillabi, ha un verso di ripresa e poi una strofa successiva. C'è anche un po' una
rappresentazione surrealistica, questo lampo rappresenta un battito di ciglia, la pupilla è la casa bianca. È un lampo
conoscitivo, fa vedere com'è la terra.
L'anello
L'anello che aveva Ruggero al momento dell'uccisione. Sì intrise di sangue perché si tocco la fronte dopo che gli avevano
sparato. Giovanni è anche sua sorella raccontano che una macchia di sangue non andò mai più via, è come se la morte
del padre fosse un segno indelebile. Successivamente però il fratello maggiore perse l'anello nell'Adriatico, Pascoli
immagina che lo volesse lavare. L'anello si congiunge al mare che sospira, non è indifferente. Una stella dall'alto del
cielo guarda l'anello nel mare. Cielo e terra sembrano uniti da questo anello, infatti l'oggetto unisce due entità separate,
è un anello nuziale. La poesia di Myricae è spesso al confine tra sogno e realtà. Spesso sogno e realtà si mescolano. Nel
sogno arrivano spesso comunicazioni dall'altrove. Spesso la sua è una poesia onirica, in questo senso è decadentista.
Sogno
Sono quartine di endecasillabi. Descrive un proprio sogno in cui si trova per un attimo nel suo villaggio ovvero San
Mauro e sta ritornando da un viaggio, in questo sogno è un bambino, i suoi familiari sono vivi. Nella realtà lui è adulto.
Torna, chiede di sua madre, gliela indicano, ma, mentre si gira il sogno finisce prima che possa vedere la madre, ed è
amareggiato per questo.
Negli stessi anni sperimentano questa rappresentazione della natura compartecipe dei casi umani anche:
o Giosuè Carducci - Alla stazione in una mattina di autunno
La natura per lui è un'entità che dialoga con noi, non è indifferente. Questa poesia appartiene alla raccolta delle odi
Barbare, chiamate così perché cercano di riprodurre la poesia barbara intesa come antica. I primi 2 versi sono doppi
quinari, il primo piano e il secondo sdrucciolo. Il terzo verso è un novenario è il quarto decasillabo. Questa è la metrica
Barbara. Carducci racconta di un saluto alla stazione con la sua amante. Nella poesia la chiama Lidia, non è il suo vero
nome, si usavano pseudonimi. Lei è Carolina Cristofori Piva. Si devono separare ed è molto doloroso, questo saluto è un
addio. Introduce la stazione come luogo di affetti nella poesia italiana. In questa situazione di saluto e addio tutto viene
trasfigurato in una dimensione interiore. Il mondo e il poeta diventano tutt'uno. La vaporiera viene personificata, il suo
fischio è stridulo. Il mondo partecipa al dolore dei due amanti per la separazione.
o D'Annunzio - La pioggia nel pineto
Sono versi molto brevi, liberamente alternati. Il poeta cerca di fare una mimesi della pioggia che cade nel pineto. Si
trova nel pineto con l'amante, probabilmente Eleonora Duse. La pioggia crea all'interno del pineto una risonanza con gli
altri suoni della natura. È come un grande concerto, ma prende parte anche l'uomo, c'è una fusione panica con la
natura. I due amanti non sono più uomini, si fondono completamente con la natura. Vivono una bella favola nella
pineta. Ci sono tanti riferimenti alla classicità. Riprende l'idea di primavera di Leopardi e prova a rinnovarla. La sua idea
di natura è diversa da quella di Pascoli entrambi però pensano ci sia un collegamento tra io e natura.
Vita di Pascoli:
➢ Nasce il 31 dicembre 1855
➢ Tra il 1862 e il 1871 frequenta il collegio dei Padri scolopi di Urbino, fino alla prima liceo
➢ 10 agosto 1867 morte del padre è progressiva rovina economica e dispersione della famiglia
➢ 1871 e 1872 fa a Rimini la seconda liceo
➢ 1873 a Firenze nel liceo dei padri scolopi viene bocciato alla maturità in materie scientifiche puoi fare la
maturità a Cesena
➢ Fa un tema su Manzoni e riceve la borsa di studio iscrivendosi così a lettere a Bologna nel 1873
➢ 1876 perde la borsa di studio per aver fischiato il ministro della Pubblica Istruzione Ruggero Borghi, frequenta
senza pagare le tasse
➢ Tra settembre e dicembre 1879 si trova al carcere a San Giovanni in Monte per Giovanni Passannante,
attentatore alla vita di Umberto Primo di Savoia
➢ Giugno 1882 si laurea in lettere con 110 e lode
➢ Settembre 1885 diventa prof di greco e latino al liceo Duni di Matera
➢ Tra il 1887 e il 1895 insegna presso un liceo a Livorno. Sempre nel 95 ci sono le nozze di Ida a Livorno a cui
Pascoli non partecipa. Nello stesso anno diventa prof di grammatica greca e Latina a Bologna
➢ Tra il 1897 e il 1903 diventa prof di latino a Messina
➢ Tra il 1903 e il 1905 diventa prof di grammatica latina e greca a Pisa
➢ Tra il 1906 e il 1912 diventa prof di letteratura italiana a Bologna
➢ Muore il 6 aprile 1912