Federico de Roberto

Scarica in formato docx, pdf o txt
Scarica in formato docx, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 2

FEDERICO DE ROBERTO

Federico De Roberto nacque a Napoli nel 1861 da un ufficiale napoletano e da


una nobile siciliana, e si trasferì molto presto a Catania, dove visse sempre in
stretto rapporto con la madre, invadente e autoritaria (il padre era morto
molto presto, nel 1870 ). Intorno ai vent’anni iniziò a Catania una vivace
attività giornalistica, che lo fece subito entrare in contatto con Verga e
Capuana: sviluppò la propria vocazione di scrittore negli anni Ottanta, il
decennio di piú forte espansione del verismo italiano e di piú vivace creatività
dei due piú anziani scrittori siciliani. Collaborò a vari giornali nazionali (tra i
quali il «Fanfulla della Domenica»); dal 1889 compí vari viaggi e fece lunghi
soggiorni a Milano, dove da Verga fu introdotto negli ambienti e nei salotti
letterari.Come narratore De Roberto esordí nel 1887 , con il volume di novelle
La sorte, a cui seguí l’anno dopo un’altra raccolta dal titolo Documenti umani,
caratterizzata da un’attenzione sperimentale ai casi piú vari. Nel 1889 uscí il
suo primo romanzo, Ermanno Raeli, fitto di dati autobiografici e incentrato su
un personaggio maschile che deve fare i conti con la propria immaturità
sentimentale. Molto piú riuscito il successivo romanzo L’illusione del 1891,
storia di un personaggio femminile, Teresa, che si configura come
«l’incarnazione della ricerca dell’amore e dello scacco a cui questa ricerca
conduce» tra vicende di inquietante lentezza e corrosiva analisi psicologica, la
protagonista vede catturato il proprio io nel gioco di illusioni che domina i
rapporti umani. Nel 1894 vide la luce il grande romanzo I Viceré, che aveva
imposto allo scrittore uno sforzo gravosissimo; e da allora egli ebbe a soffrire
di una malattia nervosa che si protrasse per gran parte della vita. Deluso dallo
scarso successo dell’opera, De Roberto intensificò la sua produzione saggistica
e giornalistica, collaborando, con articoli sugli argomenti piú diversi, al
«Corriere della Sera». Appartato rispetto alle tendenze culturali dominanti nel
nuovo secolo, visse quasi sempre a Catania, nella casa familiare, accanto alla
vecchia madre. Tentò anche nuove esperienze di scrittura, come quella
teatrale. Piú intensi e vivaci furono i suoi soggiorni a Roma tra il 1908 e il 1913
(quando lavorò, senza però condurlo a termine, al romanzo L’imperio, iniziato
già da tempo come continuazione de I Viceré). Aveva sempre guardato con
distacco e sdegno alla vita politica, ma poi si accostò ai movimenti
nazionalistici e seguí con partecipazione le vicende del grande conflitto
mondiale, durante il quale scrisse vari articoli politici e novelle di guerra. Visse
gli ultimi anni solo e dimenticato, dedicandosi all’assistenza della vecchia
madre malata: pochi mesi dopo la morte di questa, morì a Catania nel 1927.
Dopo una prima stesura nel 1882 e un lungo lavoro di correzione durato fino
al 1893 , De Roberto pubblicò il romanzo I Viceré l’anno successivo . Il
romanzo, diviso in tre parti, narra la storia di una famiglia catanese di antica
nobiltà di origine spagnola, gli Uzeda, principi di Francalanza (antichi viceré
di Sicilia sotto la dominazione spagnola). La vicenda si colloca negli anni 1855
-1882, che videro il passaggio dalla dominazione borbonica ai recenti sviluppi
dello Stato unitario e del suo regime parlamentare: si tratta di una vicenda
d’invenzione, ma fittamente intessuta di riferimenti a fatti reali e concreti; ed
estremamente precisa è la rappresentazione degli eventi pubblici e
dell’ambiente cittadino in cui si svolge la storia privata della famiglia. Il
romanzo affronta dunque una realtà in divenire che converge verso il presente:
i processi innescati in Sicilia dal Risorgimento vi sono seguiti attraverso gli
echi e le reazioni che essi suscitano nell’antica nobiltà feudale dell’isola, da
sempre abituata a gestire il potere, a guardare le cose dall’alto. Il metodo
naturalistico si presenta ne I Viceré in una delle sue soluzioni piú ambiziose: la
narrazione è tutta versata all’esterno, intessuta di presenze fisiche, di realtà
concrete, di gesti e di azioni, e il linguaggio emana da persone caratterizzate
con immediata evidenza. Non ci sono personaggi e punti di vista dominanti,
ma una folla varia e rissosa di voci e di presenze, un proliferare di figure che si
muovono sullo sfondo di ambienti diversi; e tra spazi pubblici e spazi privati si
dà un costante e mutuo scambio. La vita privata degli Uzeda si riflette in
alcune essenziali scene di massa, tracciate da De Roberto con respiro potente;
esemplari quella iniziale e quella finale, che fanno da suggello al romanzo e ci
mostrano tutto lo spostamento che l’asse della famiglia ha compiuto in seguito
al moto della storia. All’inizio, il teatralissimo funerale della vecchia
principessa Teresa, il cui rituale è ancora da Antico regime; verso la fine, il
comizio del giovane principe Consalvo, al termine della campagna elettorale
che lo porterà, deputato «progressista», nel parlamento italiano.come
trascinata via dall’incalzante ritmo della narrazione, che tutto nervosamente
corrode. Nel delineare gli atti, le risse e le dissennatezze della famiglia Uzeda,
il libro raggiunge momenti di comicità impietosa e scatenata: pare allora di
assistere alle smorfie di un grottesco carnevale o di visitare un bislacco inferno
che racchiude in sé tutto il senso della vita sociale. Siamo di fronte a una delle
prove piú alte di naturalismo critico e negativo.Nei successivi scritti De
Roberto non riuscí a mantenere la tensione corrosiva de I Viceré: e non riuscí
a lavorare con altrettanta lena a L’Imperio (pubblicato postumo, ma lacunoso,
nel1929 )Il romanzo intende rappresentare dal centro – da Roma capitale – la
realtà politica del nuovo Stato, attraverso le imprese spregiudicate del principe
Consalvo, deputato, e le disillusioni del giovane Federico Ranaldi, pieno di
ideali risorgimentali.

Potrebbero piacerti anche