Il Percorso Di Fede Di Giovanni. La Relazione Con Dio Attraverso Gesù, Parole Di Vita 2017
Il Percorso Di Fede Di Giovanni. La Relazione Con Dio Attraverso Gesù, Parole Di Vita 2017
Il Percorso Di Fede Di Giovanni. La Relazione Con Dio Attraverso Gesù, Parole Di Vita 2017
Abstract
Le fonti evangeliche ed extra-evangeliche (come Giuseppe Flavio) restituiscono un profilo
complesso di Giovanni Battista. Una figura chiave posta in un rapporto di estrema prossimità ma
anche di distanza da Gesù.
Il percorso di fede di Giovanni Battista e la sua relazione con Dio, prima che dalle tradizioni
evangeliche sinottica e del Quarto vangelo, emerge dagli scritti dello storico ebreo Flavio Giuseppe.
La sua descrizione di Giovanni, infatti, se in parte è simile a quella dei vangeli, presenta diversi tratti
di originalità come la notizia esclusiva del luogo del martirio.
1
Traduzione da R. PENNA, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane, EDB, Bologna 20004, 255.
2
FLAVIO GIUSEPPE, Storia dei Giudei. Da Alessandro Magno a Nerone (“Antichità Giudaiche”, Libri XII-XX), ed. M.
Simonetti, Mondadori, Milano 2002, 765.
3
E. LUPIERI, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, Paideia, Brescia 1988, 118.
4
Cf. G. JOSSA, La verità dei Vangeli. Gesù di Nazaret tra storia e fede, Carocci, Roma 1998, 119-120.
Ovviamente, per quanto riguarda l’ordine in cui compaiono nel libro di Giuseppe, abbiamo a che fare
con una collocazione delle due figure secondo la logica propria delle Antichità; ma se guardiamo ai
vangeli, o meglio, ai sinottici, è chiaro che nella cosiddetta “trilogia” dell’inizio (la presentazione del
Battista, il battesimo di Gesù, la tentazione di Gesù) si vede prima l’ingresso sulla scena di Giovanni,
e poi, solo dopo, quello di Gesù. Se il Nuovo Testamento dice inequivocabilmente un legame tra
Gesù e Giovanni (che nel caso del vangelo di Luca, è addirittura rafforzato da una parentela, di cui
nulla si sa negli altri tre vangeli), dobbiamo dunque pensare che Flavio Giuseppe non disponesse di
quella mole di informazioni – e, ovviamente, di rielaborazioni teologiche e cristologiche – che
dovevano invece circolare tra gli ebrei che avevano riconosciuto Gesù come Messia d’Israele.
Nella descrizione fatta dallo storico ebreo, ancora, sono assenti quegli aspetti profetico-
messianici che invece dominano nelle caratterizzazioni che ne fanno i vangeli: il Battista di Flavio
Giuseppe parla di giustizia e di timore di Dio, ma non annuncia il “veniente”, colui che sarebbe dovuto
venire dopo di lui (o, più correttamente, in senso spaziale, “dietro” a lui), e che nei vangeli è descritto
in termini solenni, attraverso le azioni che, sempre secondo Giovanni, avrebbe dovuto compiere: la
punizione dei peccatori nel modo in cui gli alberi cattivi vengono tagliati e gettati nel fuoco, un
battesimo in Spirito e fuoco (cf. Mt 3,10-11), ecc.
Il battesimo amministrato da Giovanni, poi, nella descrizione di Flavio Giuseppe è un
semplice rito di purificazione del corpo, che non ha alcuna connessione con il perdono dei peccati,
elemento che invece si trova nei vangeli con l’eccezione di quello di Matteo (cf. Mc 1,4). A questo
riguardo però è plausibile l’ipotesi che Flavio Giuseppe svaluti la forza del battesimo di Giovanni
perché lo storico era anch’egli di discendenza sacerdotale: secondo la concezione sacerdotale il potere
di perdonare i peccati era conferito solo ai sacrifici del tempio. In questo senso lo storico ebreo
potrebbe essere poco attendibile: dato che i battesimi e i riti di purificazione o di auto-immersione
erano comuni al tempo di Giovanni (si pensi alle purificazioni che gli esseni compivano
quotidianamente), quello speciale rito che ha fruttato a Giovanni il suo soprannome di “battezzatore”
doveva avere un significato particolare, che è poi quello indicato dai vangeli.
7
R. PENNA, Il DNA del cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004,
61-62.
8
P. SACCHI, Gesù e la sua gente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2003, 73-74.
9
PENNA, Il DNA del cristianesimo, 62.
10
MEIER, Un ebreo marginale, 19.
e il perdono dei loro peccati, però annuncia comunque un giudizio. Dio ha pazienza, ma la sua
giustizia viene. Interessante, a questo punto, è vedere anche la questione del perdono dei peccati
attraverso il battesimo che Giovanni impartiva. Certo, questa pratica del Battista non dovette passare
inosservata: «Giovanni ebbe alcune idee tremende: inventò il battesimo che toglie i peccati (e la
pericolosità rivoluzionaria di tale pratica, in quanto alternativa al sacrificio espiatorio, non dovrebbe
essere sfuggita ai più intelligenti fra i Giudei suoi contemporanei) nell’attesa della fine del mondo»11.
Da un certo punto di vista, questa originale interpretazione di un rito di purificazione attraverso
l’acqua anticipa quello che poi dirà Gesù ai peccatori (ad esempio, «Ti sono perdonati i peccati»; Mt
9,2), ma a parte la notizia che cogliamo dal Quarto vangelo (di un Gesù che battezza, cf. Gv 3,26),
non risulta che Gesù abbia legato il perdono all’immersione nel Giordano, almeno nel suo ministero
galilaico.
La discontinuità tra Giovanni e Gesù, e la differenza tra la teologia del primo e l’annuncio del
Regno da parte del secondo, si coglie non solo dalle parole dette da Giovanni (sul “veniente”) o dai
gesti da lui compiuti (come il battesimo), ma anche dal modo di vivere, di vestire, e, aspetto non
secondario, dalla dieta del Battista. La cosa sembra essere stata notata anche da coloro che erano
esterni ai due gruppi, come i farisei, che si accorgono di una differenza tra i discepoli dell’uno e
dell’altro: «Allora [i farisei] dissero a Gesù: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno
preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!”» (Lc 5,33).
Box
Molti hanno ipotizzato che i vangeli (diversamente da quanto si evince dalla descrizione di
Flavio Giuseppe), ritraendo il Battista come colui che vive nel deserto, si veste di peli di cammello
con una cintura ai fianchi e si nutre di miele selvatico, volessero rievocare a suo riguardo figure
profetiche del Primo Testamento, come l’Elia di 2Re 1,8. Da una prospettiva storica e teologica, è
maggiormente apprezzabile la spiegazione di Paolo Sacchi, per il quale il tipo di vita di Giovanni non
dovrebbe essere visto solo come una forma “penitenziale” o ascetica, ma si spiega con le pratiche di
purità di qualche corrente del giudaismo di allora: «Era necessario, secondo Giovanni, guardarsi da
ogni forma di impurità: l’impurità impediva di accostarsi a Dio e a Dio di accostarsi all’uomo. Queste
idee spinsero Giovanni ad evitare di mangiare cibi toccati da altri, perché l’impurità poteva celarsi in
ogni contatto umano. Era difficile essere sicuri che il pane non fosse stato toccato da un essere in
stato di impurità. Il miele selvatico, e quindi non toccato da nessuno, era certamente puro, come pure
erano le cavallette, che trovava anche nel deserto. Il deserto e la solitudine divennero il luogo preferito
da Giovanni per vivere il suo rapporto con Dio»12.
In definitiva, anche nel modo di vivere del Battista vi è qualcosa che dice la sua visione del
mondo e, conseguentemente, di Dio. E infatti – nonostante quanto sostenuto da chi vuole vedere una
continuità tra Giovanni e Gesù – sembra esservi una chiara differenza tra la concezione del sacro e
del puro di Giovanni e quella di Gesù. Basti ricordare cosa si legge in Mt 15,10-11: «Ascoltate e
intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca
rende impuro l’uomo!». C’è una distanza evidente tra le idee e la predicazione del Battista e quella
di Gesù, e ciò potrebbe averli portati, ad un certo punto, alla separazione di cui si è già detto.
11
LUPIERI, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, 118.
12
SACCHI, Gesù e la sua gente, 77.
Giovanni nel Quarto vangelo
Giovanni nel Quarto vangelo (mai, qui, chiamato “il Battista”) assume invece almeno tre
caratteristiche specifiche rispetto ai sinottici. Anzitutto, riconosce Gesù e gli dà testimonianza
chiamandolo «agnello di Dio» (cf. Gv 1,29.36). Qualunque cosa implichi questa espressione, è molto
diverso l’indicare Gesù in questo modo, rispetto alla domanda che invece è documentata nei sinottici,
e che attesta il dubbio del Battista. Secondariamente, il Battista non è concorrenziale a Gesù. Non
tiene stretti a sé i discepoli, ma li rimanda ad un’altra sequela, quella di chi viene ora espressamente
riconosciuto come l’inviato di Dio. Negli altri vangeli, però, non vi è qualcosa di corrispondente,
anzi: proprio la domanda che il Battista porge a Gesù dalla sua prigionia, mediante una delegazione,
implica che il primo si attendeva qualcuno secondo parametri diversi da quelli che gli vanno via via
riferendo di Gesù.
Box
Infine, nel Quarto vangelo il Battista si autodefinisce l’amico dello sposo in occasione della
sua ultima apparizione nel racconto (Gv 3,25-30). Si tratta dell’ultima caratterizzazione del Battista,
che segue quelle in cui viene descritto come il “testimone” della luce (Gv 1,7), o la “voce” che grida
nel deserto (Gv 1,25), allorquando nel terzo capitolo del vangelo viene ritratto come il paraninfo, che
esulta per le nozze dello sposo, e poi, una volta raggiunta la pienezza della gioia, si appresta a
“diminuire” (Gv 3,29). Sullo sfondo di questa rappresentazione del Battista vi sono le usanze
giudaiche relative alle nozze, nelle quali una figura fondamentale era proprio quella dello shoshbin.
Quali ruoli specifici al tempo di Gesù dovesse ricoprire per la preparazione del matrimonio è difficile
da dire con precisione, ma curava almeno i preparativi del fidanzamento e le nozze vere e proprie, si
occupava della scorta per prelevare la sposa insieme ad altri compagni (cf. in parte Mt 25,1-13);
doveva accertarsi poi della avvenuta consumazione delle nozze, allorquando lo shoshbin veniva
invitato dallo sposo a gioire per il signum virginitatis che poteva mostrargli. Ma qui il Battista,
secondo Giovanni, compie un vero e proprio gesto di amicizia: si tira indietro riconoscendo di non
essere lui lo sposo, ma “solo” il suo amico.
Giulio Michelini
Istituto Teologico di Assisi
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