00-Appunti Vangelo Di Giovanni
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Il cristianesimo giovanneo
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c. Entrambe queste ricostruzioni sembrano restrittive. L’ambiente di produzione di questi
scritti non era così isolato (come nessuna delle comunità cristiane primitive). Ci sono
contatti con tradizione sinottiche. Il concetto di pre-esistenza è comune alla tradizione
paolina e a Ebrei. Inoltre, il testo suggerisce che Gv fu scritto per lettori ebrei, giudeo-
cristiani, gentili, gentilo-cristiani, e possibilmente samaritani.
Introduzione a Giovanni
1) La storia dell’interpretazione
a. Ireneo (Adv. her. 3.1) dice che Giovanni fu l’ultimo degli evangelisti a scrivere e
identifica Giovanni con il discepolo amato.
b. Eusebio in due passi spiega la motivazione di Giovanni nello scrivere il suo vangelo:
Giovanni aveva accettato gli altri tre vangeli, ma “fu pregato di trasmettere nel suo
vangelo il periodo [della vita di Gesù] riguardo al quale gli altri evangelisti avevano
taciuto e le azioni compiute dal salvatore in questo tempo, cioè prima dell’arresto del
Battista. […] Apparentemente, dunque, Giovanni ha taciuto la genealogia del nostro
salvatore secondo la carne, perché era stata già scritta da Matteo e da Luca” (Hist. eccl.
3.24.7–13). Si tratta della teoria della supplementazione. Altrove, attribuisce a
Clemente d’Alessandria l’idea che Giovanni è un vangelo spirituale: “Quanto a
Giovanni, l’ultimo, vedendo che le cose corporali erano state esposte nei vangeli,
esortato dai suoi discepoli e divinamente spinto dallo Spirito, fece un vangelo
spirituale” (Hist. eccl. 6.15.7). Non è chiaro cosa significhi “spirituale”, ma è chiara
l’idea che Giovanni è di diversa natura dai sinottici.
c. A partire dall’illuminismo, due punti vengono messi in discussione: l’autore del vangelo
e la sua attendibilità come fonte storica.
i. Strauss: Il vangelo di Giovanni è il più mitologico (idea espresse per mezzo di
fatti e oggetti). Inoltre, non è possibile armonizzarlo con i sinottici (si deve
credere l’uno o gli altri). In Giovanni, la mitologizzazione di Gesù è cosciente e
intenzionale. Leggi da Kümmel.
ii. Baur: dato che Giovanni non ha valore storico (si basa su Strauss), allora non
può essere usato per confermare o negare i sinottici.
iii. Loisy esprime queste idee affermando che Giovanni è più teologia che storia
(un modo più scientifico e critico per dire che è un “vangelo spirituale”). Leggi
Kümmel!
iv. Diversi autori tendono a post-datare Giovanni all’inizio del II secolo. L’autore
era un discepolo del discepolo amato, e quindi distante dai fatti storici.
v. Altri distinguono tra la narrazione (storica) e i discorsi (teologici, non storici).
vi. La Scuola delle religioni studiò i testi biblici comparandoli con la letteratura
religiosa contemporanea. Il vangelo di Giovanni venne contestualizzato in due
ambienti differenti: il misticismo ellenistico e lo gnosticismo.
1. Gunkel: il cristianesimo di Giovanni è una religione “sincretistica”. Leggi
Kümmel.
2. Bultmann pose al centro di questo dibattito il “mito del redentore” delle
fonti mandee e manichee (forme gnostiche) e lo indicò quale idea
fondamentale di Giovanni. Leggi Kümmel.
a. Discuti: uso di categorie culturali nello scrivere teologia.
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b. Lagrange mostrò che la religione mandea è tardiva e che le
connessioni con Gv vanno spiegate come influenza giovannea sul
mandeismo.
vii. Il XX secolo si è concentrato sulla questione del rapporto tra Giovanni e i
sinottici.
2) L’autore
a. Ovviamente, il vangelo è anonimo. Le attribuzioni sono tutte esterne al testo.
b. La conclusione del vangelo sembra identificare l’autore (o almeno la fonte di Giovanni)
nel “discepolo amato”: “Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte,
e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (21,24). L’uso del noi può indicare una
comunità che conferma l’autenticità del vangelo.
i. L’identificazione del discepolo amato è tutto un altro problema, dato che
rimane anonimo nel vangelo.
ii. L’identificazione più comune (e tradizionale) è con Giovanni, figlio di Zebedeo.
1. Infatti, il discepolo amato è associato a Pietro, e l’associazione tra
Giovanni e Pietro è comune (anche in Atti).
2. Tuttavia, il vangelo di Giovanni non riporta gli eventi a cui il ristretto
circolo di Pietro, Giacomo, e Giovanni era presente secondo i sinottici
(e.g.: resurrezione della figlia di Giairo; trasfigurazione; Gethsemani).
3. Inoltre, in tutto il vangelo non c’è alcuna diretta identificazione del
discepolo amato, che rimane intenzionalmente anonimo.
c. Le testimonianze esterne sono tutte in favore dell’identificazione dell’autore in
Giovanni, figlio di Zebedeo.
i. Abbiamo visto Ireneo. Ireneo, inoltre, dice di essere stato discepolo di Policarpo
e di averlo udito descrivere il suo rapporto con Giovanni (Adv. her. 3.3.4).
ii. Vanno aggiunti anche Teofilo d’Antiochia, il Canone Muratoriano, Clemente
d’Alessandria.
iii. Tuttavia, Giustino sembra includere soltanto i sinottici tra le “memorie degli
apostoli”, mentre Policarpo non cita mai Giovanni.
d. I criteri interni sono più deboli.
i. La teologia di Giovanni sembra combinare la conoscenza dei dibattiti in ambito
rabbinico tra la distruzione del Tempio e la seconda guerra giudaica e temi
tipicamente ellenistici.
ii. Giovanni, il figlio di Zebedeo, era un pescatore in Galilea e considerato
“semplice e senza istruzione” dal Sinedrio (At 4,13).
3) Incomprensione
a. Il vangelo di Giovanni è ricco di un linguaggio figurato che gli interlocutori di Gesù
comprendono nel senso immediato materiale. In realtà, questa incomprensione
funziona tra tecnica discorsiva per far avanzare il pensiero. Infatti, Gesù usa
l’incomprensione dei suoi interlocutori per chiarire e approfondire il suo
insegnamento.
b. Simile all’incomprensione è il doppio senso. Alcune parole ed espressioni di Gesù sono
ambigue e comprensibili in più modi o a più livelli. Ex.: innalzato (croce e
glorificazione). Inoltre, alcune espressioni del vangelo hanno un significato nel contesto
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di Gesù e del suo ministero, ma possono averne un altro nel contesto della comunità
giovannea.
c. A volte, questi vari livelli di significato hanno una carica ironica. Le parole pronunciate
dagli avversari o interlocutori di Gesù hanno significati per i lettori che chi le pronuncia
ignora. Ex.: 11,50; ma anche 7,35; 10,40–41.
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La storicità di Giovanni
1) La questione della storicità di Giovanni è connessa con quella del rapporto tra Giovanni e i
sinottici. In particolare, se Giovanni si basa sui sinottici, non offre alcun contributo nuovo
rispetto allo studio della storicità dei sinottici. Tuttavia, come vedremo, la dipendenza di
Giovanni dai sinottici è molto dibattuta. Ad ogni modo, Giovanni fornisce molto materiale
(specialmente nei discorsi) che non è presente nei sinottici. Almeno per questo materiale
speciale di Giovanni, la questione della storicità è legittima.
2) Generalmente, Giovanni è stato considerato uno scritto teologico e poco attendibile dal punto
di vista storico. L’idea di base è che i Sinottici forniscono i dati storici, mentre Giovanni
intendeva complementarli con una visione teologica.
a. Questa visione è la deistoricizzazione di Giovanni.
b. La conseguenza è la degiovannizzazione di Gesù. La ricerca storica su Gesù per la
maggior parte ha evitato Giovanni come fonte. Di conseguenza, il ritratto storico di
Gesù è costruito unicamente sulla base dei Sinottici.
3) Lo studio più importante che ha cercato di analizzare l’attendibilità storica di Giovanni è quello
di Dodd, La tradizione storica nel Quarto Vangelo (1963).
a. Dodd sostiene che ci sono tradizioni orali alla base di Giovanni e si prefigge di
identificarle con l’uso della critica delle forme. (Alcune forme letterarie nascono nella
trasmissione orale di eventi)
b. La caratteristica principale delle tradizioni pre-giovannee è l’origine ebraica: il
linguaggio sembra avere origine nell’aramaico; c’è un’insistenza sui costumi ebraici; ci
sono nomi di luogo ebraici tradotti in greco (e.g.: Gabbatha/Litostroto; Golgotha/luogo
del cranio).
c. Dal punto di vista del contenuto, Dodd indica alcuni elementi delle tradizioni pre-
giovannee:
i. Una descrizione più ampia del ministero di Giovanni il Battista, incluso la sua
testimonianza sull’identità messianica di Gesù.
ii. Il primo ministero di Gesù in Giudea, contemporaneo a quello del Battista, e
l’amministrazione di un battesimo.
iii. Dati geografici sull’itinerario di Gesù non noti ai sinottici, in particolare in
Giudea e Transgiordania.
iv. Un resoconto esteso della passione e degli eventi immediatamente precedenti.
In particolare, pone maggior enfasi sugli aspetti politici della morte di Gesù.
v. Riguardo ad altri aspetti (Gesù come guaritore; ministero in Galilea; detti di
Gesù) Dodd ipotizza che queste tradizioni avessero più contenuto di quanto
Giovanni ha effettivamente preservato o che (nel caso dei detti) l’opera
letteraria di Giovanni le rende difficili da ricostruire.
d. L’identificazione di tradizioni pre-giovannee non implica che il loro contenuto sia
storicamente attendibile o originato da Gesù. Tuttavia,
i. L’esistenza di tradizioni indipendenti dai sinottici fa nascere quantomeno la
questione se siano storicamente attendibili.
ii. La notevole quantità di queste informazioni tradizionali suggerisce che almeno
parte di esse siano attendibili.
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4) Uno studio più recente che sviluppa le idee di Dodd è quello di Anderson, The Fourth Gospel
and the Quest for Jesus.
a. Anderson parte da una visione più complessa della relazione tra Giovanni e i sinottici:
“Anche se Giovanni fu completato per ultimo, la sua tradizione non è tardiva, e in gran
parte rappresenta un’autentica riflessione sul ministero di Gesù e sulle sue
conseguenze. Ma se la tradizione giovannea non derivava dalle tradizioni sinottiche,
questo non significa che la sua indipendenza fosse il risultato di isolamento o mancanza
di confronto. Al contrario! La tradizione giovannea si confrontò con la tradizione pre-
marciana negli stadi orali dei loro sviluppi e si propose di accrescere e complementare
il vangelo di Marco in forma scritta.”
b. Alla luce di questa complessa relazione, Anderson tenta di valutare l’attendibilità
storica dell’informazioni dei vangeli.
i. Un certo numero di elementi ha doppia attestazione (in Gv e nei Sinottici):
1. L’associazione di Gesù con il Battista all’inizio del ministero pubblico.
2. La chiamata dei discepoli. Giovanni, tuttavia, chiarifica che il percorso
dei vari discepoli fu più variegato di come lo presentano i Sinottici.
3. Gli eventi attorno alla moltiplicazione dei pani (raduno delle folle;
approvvigionamento; traversata del lago; discussione del significato del
pane; confessione di Pietro). Anderson suggerisce che alcuni elementi
miracolosi possono essere abbellimenti, ma un nucleo storico di eventi
rilevanti deve esserci e deve aver impressionato la popolazione della
Galilea.
4. Gesù come guaritore e le guarigioni di sabato.
5. La coscienza profetica di Gesù (soprattutto il titolo di Figlio dell’uomo).
6. La purificazione del Tempio. (multipla attestazione; dissimilarità;
imbarazzo).
7. L’arresto, il processo e la morte di Gesù.
8. Le apparizioni di Gesù risorto.
ii. Anderson evidenzia anche il contributo originale di Giovanni. Informazioni che
soltanto Giovanni trasmette e sono assenti nei Sinottici.
1. Ministero di Gesù contemporaneo al Battista. Un accento
fondamentalmente apologetico della presentazione del Battista in
Giovanni è l’insistenza sul fatto che il Battista non è il Messia. Si tratta
apparentemente di un tentativo di presentare la comunità cristiana
come il naturale sbocco per i discepoli del Battista (durante le prime fasi
del ministero di Gesù e dopo la sua morte). Gv 3,26 stabilisce
chiaramente che Gesù e il Battista operavano contemporaneamente
almeno per un certo periodo, e che c’era un flusso di discepoli tra i due
gruppi. Questo sembra essere un correttivo a Mc 1,14, secondo cui il
ministero di Gesù inizia dopo l’arresto del Battista. Un ulteriore dato
storico potrebbe essere il luogo del ministero del Battista a Betania oltre
il Giordano (1,28; resti archeologici di un intenso culto).
2. Il tempo della purificazione del Tempio. Giovanni narra l’episodio
all’inizio del ministero di Gesù (2,13–22). I Sinottici narrano l’episodio
alla fine del ministero di Gesù, ma dipendono tutti da Marco che
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raccoglie gli eventi di Gerusalemme alla fine del suo racconto. Vari
dettagli del racconto giovanneo suggeriscono attendibilità storica. In
particolare, il fatto che i lavori del Tempio erano durati 46 anni
suggerisce una data del 26 o 27 per l’episodio (Erode iniziò i lavori per il
Tempio nel 19 aC).
3. Il ministero pluriennale di Gesù e i suoi spostamenti. Il racconto di
Giovanni sotto questo aspetto sembra più realistico dei Sinottici. Non
sembra verosimile che un leader carismatico ebraico non si recasse a
Gerusalemme varie volte ogni anno.
4. Inizi del ministero. Anderson suggerisce che i due segni in Gv 2–4 (Cana
e il figlio del funzionario) potrebbero avere un’origine storica ed essere
preservati da Gv come correttivo a Mc (hanno luogo prima o attorno alla
morte del Battista?).
5. Accoglienza favorevole da parte di samaritani, donne, e gentili. Il ruolo
dei Samaritani è sottolineato in 4,3–42 (con molto dettagli confermati
dall’archeologia). Le donne hanno un ruolo più importante in Gv: la
madre di Gesù (2,1–11; 19,25–27), la donna samaritana (Gv 4,3–42);
Maria e Marta (11,1–28); Maria Maddalena (20,1–23). L’accento sull
donne è importante in particolare se si crede che Gv fu scritto più tardi,
dato che altre fonti suggeriscono una diminuzione del ruolo ministeriale
delle donne.
6. Ministero in Giudea. Nei Sinottici, Gesù giunge in Giudea solo alla fine
del suo ministero e vi compie soltanto due miracoli (al guarigione di
Bartimeo a Gerico e la maledizione del fico). Giovanni include tre
miracoli in Giudea: la guarigione del paralitico alla piscina probatica
(5,1–18), la guarigione del cieco nato (9), e la risurrezione di Lazzaro
(11). Nonostante la presenza di elementi difficili da confermare, questi
racconti contengono molti dati verificati dall’archeologia.
7. L’Ultima Cena. Se i Sinottici rappresentano una trasformazione dei pasti
comuni cristiani in senso simbolico, l’ultima cena in Giovanni potrebbe
rappresentare un resoconto più accurato di un pasto fraterno, libero da
simboli sacramentali.
Leggi, Dodd, “Discorso e dialogo nel Quarto Vangelo,” in La tradizione storica del Quarto Vangelo
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Giovanni e i Sinottici
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un mago (esorcismi di demoni), un battista (seguace di Giovanni), un
ebreo, un semplice essere umano, un amico dei peccatori, e un
criminale crocifisso. Tutti questi elementi, secondo Colwell,
contribuivano alla visione popolare del cristianesimo come una
superstizione o un movimento rivoluzionario. Invece, Gv voleva
rivolgersi a lettori di più elevata classe sociale ed educazione. In pratica,
Gv riscrive il vangelo eliminando tutte quelle caratteristiche.
d. Indipendenza di Giovanni dai sinottici (a partire dagli anni ’30: Gardner-Smith; ora
consenso).
i. Windisch aveva dimostrato l’inadeguatezza della teoria della
supplementazione.
ii. Si enfatizzano le differenze.
iii. Ci si concentra sul ruolo delle tradizioni orali (anziché dipendenze letterarie).
1. Le somiglianze con Marco sono di due tipi:
a. Lo schema generale: attività del Battista; ministero pubblico;
crocifissione.
b. Alcuni accordi verbali.
2. Lo schema generale può derivare da uno schema di kerygma primitivo
(e.g., At 13,23ss).
3. Gli accordi verbali si trovano nella passione e nel cap. 6. Marco e
Giovanni possono aver condiviso fonti (pre-marciane) per questi testi
(soprattutto: unzione a Betania; moltiplicazione dei pani e camminare
sulle acque; lo scherno di Gesù).
iv. Giovanni deriva da una tradizione simile ma indipendente da quella dei sinottici
(Gardner-Smith e soprattutto Dodd, Historical Tradition in the Fourth Gospel).
v. Duplice rilevanza:
1. Indipendenza=>molteplice attestazione.
2. A quale data risale Gv? Se dipende da Marco è tardivo, ma se ne è
indipendente può essere considerato più primitivo.
e. La scena si complica:
i. Boismard [EBAF] e Neyrinck [Lovanio] pensano ad una redazione di Giovanni in
varie fasi (almeno 3). I sinottici sarebbero stati usati in una di queste fasi. Le
teorie sono così complicate e dettagliate (fa vedere immagine) da attrarre poco
consenso.
ii. Brown considera la possibilità di influenze mutue tra le varie tradizioni su Gesù
(in qualche fase della trasmissione).
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La cristologia di Giovanni
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2. Come è implicito alla conclusione del prologo, nessuno può rivelare Dio
eccetto l’unico che l’ha “visto”.
3. Nella maggior parte dei casi è più centrale l’affermazione che Gesù ha
udito/visto che il contenuto di questa audizione/visione (ex.: 15,15). La
legittimità di Gesù come mediatore è più importante della mediazione
stessa.
iii. Gesù VIENE/DISCENDE DA e VA/ASCENDE A Dio. C’è un movimento unico di
Gesù che lo stabilisce quale punto di contatto tra Dio e gli uomini.
1. Queste categorie vengono espresse con una grande varietà di verbi
(venire; uscire; scendere; giungere; e salire; andarsene; venire [al
Padre]; partire; lasciare; andare via; passare).
d. Il CONTENUTO della rivelazione.
i. Mentre il verbo γινώσκω indice la conoscenza naturale, il verbo οἶδα indica la
conoscenza divina.
1. Spesso il verbo è usato per dire ciò che gli uomini non conoscono, a
meno che non gli sia rivelato.
2. Contenuti di questa conoscenza: Dio (7,29; 8,55); l’origine divina di Gesù
(8,14); la sua ora (13,1; 19,28); la sua passione (18,4). Questi sono gli
elementi essenziali della rivelazione di Gesù, che solo lui “conosce” e
perciò può comunicare agli uomini.
ii. La verità (ἀλήθεια) equivale alla rivelazione. Conoscere la verità significa
accedere alla conoscenza divina che solo Gesù possiede e può comunicare.
1. Gesù dice a Pilato: “Per questo sono venuto nel mondo, per rendere
testimonianza alla verità” (18,37).
e. Un tratto del Vangelo di Gv che conferma l’importanza della rivelazione è la specifica
natura del concetto di fede. Mentre nei sinottici la fede è soprattutto fiducia nel potere
di Gesù di operare miracoli, in Gv la fede è soprattutto adesione personale a Gesù e
accettazione della sua identità divina.
4) TITOLI CRISTOLOGICI: i titoli sono sostantivi attribuiti a Gesù che sinteticamente esprimono
un’affermazione di natura teologica.
a. Giovanni usa, come gli altri scritti cristiani, titoli TRADIZIONALI di origine gesuana o
pasquale.
i. PROFETA: in questa categoria rientrano due tipi di testi. Alcuni affermano che
Gesù è un profeta (senza articolo in greco). Ad esempio, la Samaritana (4,19) e il
cieco nato (9,17) usano questo termine per descrivere le caratteristiche di Gesù
(conosce la verità senza che gli sia stata comunicata; compie guarigioni; è
inviato da Dio). In altri testi, le folle affermano che Gesù è il profeta o, più
precisamente, “il profeta che deve venire nel mondo (6,14; 7,40). Questi sono
riferimenti alla profezia di un profeta come Mosè in Dt 8,18: “Io susciterò loro
un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà
loro quanto io gli comanderò; se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà
in mio nome, io gliene domanderò conto”. Questo riferimento al profeta
escatologico rientra nella presentazione di Gesù quale supremo e definitivo
rivelatore.
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ii. FIGLIO DELL’UOMO: questo titolo ricorre spesso nei vangeli come auto-
designazione di Gesù. Mentre nei sinottici implica spesso l’umanità di Gesù, in
Giovanni è sempre connesso con una dimensione celeste e gloriosa. Es.: 3,14:
“il Figlio dell’uomo è innalzato da terra”.
iii. FIGLIO (di Dio): Mentre nei sinottici questa designazione è rara, Giovanni la usa
23 volte a cui vanno aggiunte le volte in cui viene discussa la speciale relazione
di Gesù con il Padre. Questo titolo descrive sia il rapporto tra Gesù e Dio (es.:
10,30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”), sia la missione che Gesù riceve da
Dio (es.: 3,16: “Dio ha tanto amato il mondo da aver dato il Figlio unigenito”).
L’uso di questo titolo era comune per i re ellenistici che fondavano il loro potere
su una relazione unica con la divinità. (discuti subordinazione del Figlio al Padre;
es.: 5,19; 17)
iv. CRISTO/MESSIA: Questo titolo è profondamente radicato nello sfondo giudaico
del cristianesimo (Gv è l’unico che usa l’ebraico traslitterato messias). Il senso
letterale della parola è “unto” e si riferisce a un individuo scelto da Dio per uno
scopo specifico. Il termine viene usato in molti modi nel mondo giudaico,
incluso il senso politico/regale di liberatore. Giovanni chiaramente evita questo
significato. Gesù non vuole essere coronato re (6,15) e il suo regno non è di
questo mondo (18,33–37).
v. SIGNORE: Signore è il termine specifico della fede pasquale (Gesù è Signore; cf.
Fil 2,9–11). Giovanni pone l’accento sul valore cristologico di questo titolo in
20,28. La confessione di Tommaso è rivolta direttamente al risorto ed esprime
chiaramente la divinità di Gesù.
vi. SALVATORE: Gv 4,42 e 1Gv 4,14 hanno l’espressione “salvatore del mondo”
riferita a Gesù. Qui è importante notare il ruolo del mondo come l’ambito
nemico di Dio. Cf. anche 3,17.
b. Altri titoli, invece, sono unici della tradizione giovannea.
i. LOGOS: Questo titolo si trova esclusivamente nel prologo (1,1–18).
1. Sfondo greco: è il principio razionale che governa il mondo. Per gli stoici
questa razionalità è una realtà divina immanente.
2. Sfondo giudaico: è la parola di Dio che crea e salva (es.: Sal 33,6;
107,20). Nei testi targumici la parola (memrah) viene personificata.
3. Nel prologo il logos è descritto in tre aspetti:
a. Preesistenza (1–3): il logos è preesistente, divino, e mediatore
della creazione.
b. Presenza diffusa (4–5; 9–12): la presenza del logos nel mondo
provoca reazioni opposte di accoglienza e rifiuto.
c. Incarnazione (14–18): il logos assume la fragilità dell’esistenza
umana e mortale. Questo è l’elemento specificamente cristiano
che supera le nozioni collegate alla sapienza personificata.
ii. L’UNIGENITO: questo titolo contiene la doppia sfumatura che Gesù ha un
rapporto di filiazione con Dio e che questo rapporto è unico. Vedi in 1,18: “nel
seno del Padre” che tenta di esprimere in maniera grafica questa relazione
speciale.
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iii. AGNELLO DI DIO: Questo titolo ricorre solo in 1,29.36: Il preciso significato
dell’immagine dell’agnello non è chiaro vista la scarsa elaborazione del titolo.
Potrebbe essere un riferimento all’agnello pasquale o al servo sofferente di
Isaia “come agnello condotto al macello” (Is 53,7). L’immagine è sviluppata in
maniera più piena nell’Apocalisse, ma non è chiaro che qui abbia lo stesso
significato. L’espressione completa (“Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato
del mondo) ha un significato espiatorio.
5) Espressioni “IO SONO”.
a. “Io sono” PREDICATIVI.
i. Nei discorsi di Gesù, Giovanni usa diverse metafore cristologiche nella forma “io
sono X”: il pane della vita; la luce del mondo; il buon pastore; la resurrezione e
la vita; la via, la verità e la vita; la vite (e voi i tralci).
ii. Ciascuna di queste metafore focalizza su contenuti diversi che non è possibile
analizzare nel dettaglio. L’importante è tenere presente che questa formula
costituisce un segnale che il discorso ha contenuto primariamente cristologico
(anche se, ovviamente, la cristologia si interfaccia con vari aspetti del messaggio
giovanneo). Inoltre, la frequenza di queste formule nei discorsi in Giovanni,
dimostra il carattere intenzionalmente cristologico del vangelo.
b. “Io sono” ASSOLUTI.
i. Quattro volte, la formula “io sono” è usata senza predicato: 8,24.28.58; 13.19.
Si deve aggiungere 6,20 in cui l’espressione non è un solecismo (e 18,5).
ii. Lo sfondo ebraico di questa formula si trova in Es 3,14 ma anche in varie testi in
cui è Dio a usarla: Es.: Is 43:10.
iii. Questo uso forte della formula probabilmente va tenuto presente
nell’interpretazione degli “io sono” predicativi.
6) La MORTE DI GESÙ.
a. La passione e morte di Gesù sono descritte in termini di GLORIFICAZIONE.
i. Si accentua la natura volontaria della sua morte. Pilato non avrebbe autorità su
di lui se non gli fosse stata data dall’alto (19,11). Gesù consegna il suo spirito
(19,30). Sceglie liberamente di bere la coppa della passione (18,11).
ii. Ci sono allusioni simboliche alla regalità di Gesù (18,33–38; 19,1–3.19–21): la
corona di spine, le vesti di porpora, e le acclamazioni; l’iscrizione sulla croce.
iii. Le stesse connotazioni sono presenti in passi che precedono la passione.
1. La passione è un innalzamento (hypsoo): 3,14; 8,28; soprattutto 12,32–
33.
2. La passione è l’ora della glorificazione (doxazo): 12,23–24; 17,1.
iv. Il linguaggio dell’innalzamento/esaltazione in Giovanni coinvolge non solo la
morte ma anche la risurrezione di Gesù, viste come un unico movimento.
v. Il tema della sofferenza è assente.
b. La morte di Gesù è descritta anche in termini di “PARTENZA” verso il Padre (a volte
“ascesa” al Padre).
i. Il tema appare varie volte, ma è discusso più diffusamente in 14,1–14.
ii. La partenza è seguita da un ritorno il cui significato è ambiguo. Il ritorno
potrebbe indicare la risurrezione di Gesù o la parusia. Visto che Giovanni
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presenta il regno come già realizzato, gli autori tendono a identificare il ritorno
di Gesù con la sua risurrezione.
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Antigiudaismo in Giovanni
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6) Nel processo di Gesù la dimensione politica non è assente.
a. L’accusa di bestemmia è menzionata una sola volta (19,7), ma Giovanni dice che le folle
vogliono incoronare Gesù (6,15; 12,13) e che questo provocherebbe una reazione da
Roma (11,47–48).
b. Il processo di fronte a Pilato ha molta più importanza che nei sinottici.
c. 19,15: “Non abbiamo altro re che Cesare!”.
7) Townsend osserva che l’uso del termine greco ioudaios è associato a contesti greci, non
palestinesi (esempio in Atti viene usato quando l’azione si sposta dalla Palestina).
i. Oppure è il termine usato da non-ebrei: es. Mt 2,2; Mc 15,2; Mc 15,26.
b. Giovanni usa frequentemente la parola giudeo (anche in sensi positivi) perché scrive
dal punto di vista di un gentile o di uno che non si considera più parte della comunità
giudaica. Descrive gli ebrei come li descriverebbe un non-ebreo.
c. Giovanni pone enfasi sul carattere giudaico di tradizioni e feste (2,13: “la Pasqua dei
giudei”, anche 6,4).
d. Gesù introduce una citazione come parte della “loro legge” (15,25). Anche 8,17; 10,34.
e. L’espulsione dalla sinagoga conferma questo scenario.
f. Il termine Israele ha sempre connotazione positiva (1,31.47.49; 3.10; 12,13).
8) von Wahlde: l’analisi dei singoli usi dell’espressione “i giudei” dimostra che spesso è riferita
non a tutto il popolo ma a gruppi ristretti all’interno di esso.
9) Brown: il vangelo di Giovanni è una reazione all’espulsione dei cristiani giovannei dalla
sinagoga.
a. Il termine “giudei” senza aggiunte è adatto al contesto dei primi lettori di Giovanni che
vivevano nella diaspora, dove non c’erano le autorità del Tempio, le folle di
Gerusalemme, o molti nativi della Giudea. I lettori di Giovanni potevano collegare
l’ostilità dei giudei loro concittadini con l’ostilità verso Gesù nel racconto di Giovanni.
b. In altre parole, il conflitto tra “i giudei” e Gesù riflette l’esperienza di conflitto tra la
comunità cristiana e quella giudaica alla fine del primo secolo. I “giudei” del vangelo
rappresentano coloro che nell’esperienza della comunità giovannea osservano i
costumi giudaici e rispondono negativamente a Gesù. Non si tratta di un giudizio
negativo su tutti gli ebrei, ma dell’idea che i giudei ostili all’evangelista sono gli eredi
delle autorità giudaiche ostili a Gesù anni prima.
c. Il vangelo riflette le accuse che venivano mosse ai cristiani della comunità giovannea e
le usa per esporre e chiarificare una cristologia.
10) Kysar: Benché il vangelo di Giovanni non sia antigiudaico, può produrre antigiudaismo.
Esegesi Gv 8,37–47
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