Fisiologia Della Visione LA Luce. HH Fotorecettori, Ma in Cosa Consiste La Luce?
Fisiologia Della Visione LA Luce. HH Fotorecettori, Ma in Cosa Consiste La Luce?
Fisiologia Della Visione LA Luce. HH Fotorecettori, Ma in Cosa Consiste La Luce?
LA LUCE.
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I recettori della vista sono cellule sensibili alla luce, pertanto vengono definiti
fotorecettori,ma in cosa consiste la luce?
Già gli antichi Greci hanno tentato di dare una risposta a questa domanda e,
successivamente, scienziati di ogni epoca se ne sono occupati, ma oggi sappiamo che
la luce che vediamo, che illumina il nostro mondo, è solo una parte dello spettro
elettromagnetico, cioè l’insieme di tutte le possibili frequenze della radiazione
elettromagnetica. La radiazione elettromagnetica è una forma di trasmissione di
energia attraverso lo spazio vuoto in cui i campi elettrici e magnetici si propagano
sotto forma di onde e un’onda è una perturbazione che trasmette energia attraverso un
mezzo. L’onda è dotata di tre proprietà: la lunghezza, l’ampiezza e la frequenza.
L’onda è formata da creste e ventri; la cresta è il punto più alto rispetto a una linea
immaginaria centrale, i ventri sono i punti più bassi.
La lunghezza è la distanza tra i punti più alti di creste successive, viene misurata in
nanometri (il nanometro è un milionesimo di millimetro); l’ampiezza è l’altezza
massima sopra la linea centrale o la profondità massima al di sotto; la frequenza è il
numero di creste o ventri che passa in un punto nell’unità di tempo (cioè il numero di
oscillazioni al secondo) e si misura in hertz; la frequenza è legata alla velocità della
luce nel vuoto. Lunghezza d’onda e frequenza sono due grandezze inversamente
proporzionali perché all’aumentare dell’una diminuisce l’altra e viceversa.
Per avere un’immagine oculare perfetta l’oggetto si deve trovare a una distanza (fra
se stesso e la lente) maggiore del doppio della distanza focale. Si avrà così una
immagine reale, capovolta e rimpicciolita.
L’occhio, dunque, con le sue lenti rifrange i raggi affinchè l’immagine si formi
sempre sulla retina. Per questo è un sistema ottico potente in quanto focalizza i raggi
paralleli in uno spazio tanto breve.
P
oiché la distanza dell’oggetto dall’occhio può variare, ma l’immagine deve sempre
formarsi sulla retina, per ottenere questo bisogna fare in modo che rispetto all’occhio
la distanza dell’immagine rimanga fissa e ciò si ottiene variando la distanza focale.
Come? Col meccanismo dell’accomodazione ad opera del cristallino.
Sappiamo che il cristallino è una lente convergente, ma la sua caratteristica è quella
di poter variare la sua curvatura, quindi può variare il punto di fuoco. Così quando un
oggetto è vicino, il cristallino diviene più curvo, l’aumento di curvatura porta ad un
aumento di convergenza e di conseguenza una distanza focale più corta, ovvero una
immagine più vicina.
E’ proprio questa loro estremità, situata nella parte opposta rispetto alle lenti
dell’occhio, che capta la luce che giunge alla retina.
Questo segmento esterno, in entrambi i tipi di recettori, è costituito da centinaia di
dischi che contengono il pigmento visivo fotosensibile, detto porpora retinica.
La luce, oltre a causare un cambiamento morfologico nei coni (accorciamento) e nei
bastoncelli (accorciamento e ispessimento), porta a una modificazione chimica della
suddetta porpora causandone la scissione e lo sbiancamento e poi la successiva
rigenerazione.
Il processo è simile in entrambi i fotorecettori in quanto il composto fotosensibile e
costituito da una proteina detta opsina e da retinene (che è un’aldeide della vitamina
A). Ma il pigmento dei bastoncelli si chiama rodopsina in cui l’opsina che si unisce
al retinene prende il nome di scotopsina, mentre quello dei coni si chiama iodopsina
in cui l’opsina che si unisce al retinene si chiama fotopsina.
Ora sappiamo che la retina può diventare sensibile anche nell’oscurità, può cioè
utilizzare al massimo la debole luce riflessa dagli oggetti; ma prima che gli occhi
possano riuscire a vedere qualcosa devono avere il tempo di adattarsi al buio e questo
processo è alquanto complicato.
Quando un soggetto passa da un ambiente ben illuminato ad uno oscuro, in un primo
tempo non vede niente poi, dopo pochi minuti la visione migliora ed egli comincia a
distinguere i contorni degli oggetti. Ciò è dovuto a un forte aumento della sensibilità
della parte periferica della retina. Ci vogliono circa 20-25 minuti per adattarsi
completamente al buio, infatti durante questo passaggio si verificano alcuni
fenomeni: dilatazione pupillare, rigenerazione della rodopsina, trasporto di
informazioni da molti bastoncelli a una sola cellula gangliare (catena mista).
L’intensità minima di luce che può essere percepita da una retina completamente
adattata all’oscurità è di 1:10.000.000.000 dell’intensità massima percepita in pieno
giorno.
Per l’occhio adattato all’oscurità la parte dello spettro che risulta più luminosa è
quella corrispondente al verde; alla luce la parte che risulta più luminosa è quella
corrispondente al giallo.