Notes 210318 200736 7e9
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CAPITOLO 16
Renzo aiutato dalla folla, si rifugia nella chiesa di un convento (simile all'episodio di fra
Cristoforo che si rifugia in monaatsero). Renzo però rifiuta di rifugiarsi e vuole uscire dalla città e
ducato di milano, perchè non lo percepisce come sicuro. Renzo non chiede asilo perchè avrebbe
avuto difficoltà ad andarsene, quindi questa soluzione era solo nel caso fosse cercato dalla
polizia; decide di andare verso Bergamo (rep veneta), dal cugino. Renzo prende finalmente una
decisione logica. quando esce dalla città, Renzo sta attento a chi chiede. Renzo pensa che lo
spadaro potesse essere uno di quelli che l'avevano messo nei guai con la legge, e che rivelare
delle informazioni a sconosciuti. Renzo non chiede indicazioni a chiunque, ma fa "10 giudizi
fisionomici", si fida di chi gli sembra più affidabile all'apparenza (Manzoni fa la descrizione di chi
vede e come lo valuta, uno farebbe domande, grassoccio sulla bottega ozioso, altro occhi fissi
e labbro in fuori, non sa dove si trovi, un altro sembra malizioso darebbe la strada sbagliata,
identificato come adolescente su cui non si può fare affidamento). Renzo chiede informazioni ad
uomo affaccendato che parla fra sè e sè: questo gli darebbe informazioni veloci per tornare al
lavoro, e parlare da solo è simbolo di onestà.
Renzo si ritrova a decidere fra bene e male, e si sente in colpa per non essere stato in grado
di discernere nelle decisioni precedenti. Renzo dà prova di autocontrollo; le esperienze che fa
sono formative. Egli per uscire dalla città, non si metterà a correre, per non dare sospetti alle
guardie che stavano alla porta della città di Milano. Renzo s'incammina fuori da Milano e si avvia
a Bergamo, passando per una strada secondaria per non essere intercettato. Si rende conto che
però, non sapendo il percorso ben definito, non poteva proseguire in questo modo. Renzo decide
di chiedere indicazioni per un paese in prossimità di Bergamo. Renzo riesce, usando le domande
dell'anziana che incontra, ad ottenere informazioni; Renzo finge di perdersi a gorgonzola. Renzo
vuole arrivare all'Adda, che pone limite fra lo stato veneziano e milanese. Renzo si ferma ad una
locanda, dove viene interrogato da un curioso che vuole sapere di Milano; egli finge di essere
in un paese vicino a gorgonzola. Quando però si rivolge all'oste, questo gli dice che per arrivare
a gorgonzola ci sono strade con dei controlli (per galant'uomini). Renzo vuole però strade
secondarie, e suscita così curiosità nell'oste. Così non continua il discorso. Entra all'osteria
in mercante, che racconta delle vicende do Milano, fra cui la questione di Renzo nell'osteria a
Milano. Nel discorso del mercante invece, Renzo sembrava avere losche intenzioni, che istiga
ad uccidere tutti i signori, che possiede un fascio di lettere descriventi il modo per sollevare un
tumulto. Renzo però non ha mai fatto queste cose. Il mercante dunque travisa tutto ciò poiché è
simpatizzante dei signori e nemico dei tumulti popolari (mucchio di birboni la folla, gli affamati
indemoniati, gli artigiani e panettieri diventano una categoria di disonesti). Tutto il discorso
è dunque filtrato da un uomo ossequioso verso i potenti. Il viaggio di Renzo nel capitolo 16 è
simile a un rito di passaggio dalla giovinezza all'età matura: impara ad essere più riservato,
a fare progetti a lungo termine, a esaminare i suoi interlocutori, a mantenere autocontrollo e
a dominare i propri impulsi, a non mentire. Renzo non ha ancora trovato una via per uscire da
Milano. È notte, non sa dove andare di preciso; poiché si sente solo ed è preoccupato, comincia
a recitare orazioni per i morti (Renzo è quindi superstizioso)
CAPITOLO 17
arrivato a gorgonzola parla con il contadino(?)
renzo affronta un momento di sconforto perchè si trova all'interno di questa natura che definisce
ostile. la paura di renzo trasforma la realtà: gli alberi creature mostruose e la brezza spirito
maligno. stando fermo renzo, riesce a sentire l'acqua che scorre del fiume, Adda, che viene
definito come salvatore(speranza per un luogo sicuro), un amico(fiume conosciuto dalla sua
infanzia). decide di rimandare al giorno seguente per attraversare l'adda. deve decidere dove
andare a dormire, quindi decide di andare in una piccola capanna dove i contadini mettono gli
attrezzi, pensa che quel posto sia creato apposta per lui per la provvidenza, prima di andare
a dormire decide di fare le solite preghiere e pensa anche che pensa che il risveglio brusco di
quella mattina con i poliziotti come punizione per non aver detto le preghiere (due lati della sua
religiosità, superstizione e grande fede).
l'autore usa due sineddoche per indicare due personaggi (treccia nera: lucia, barba bianca:
cristoforo, la terza è agnese) quelli indicati prima di questi hanno creato solo turnazione a
renzo. sopraffatto dai pensieri angoscianti, renzo ritrova la fiducia in dio che in precedenza
aveva quasi smarrito, questo dopo il ricordo di lucia(parole simili a quelle di Lucia all'inizio). (11
tocchi, circa 5.30 del mattino). il cielo prometteva una bella giormata: si apre una descrizione
del paesaggio, dove Manzoni descrive la pianura durante l'alba, va a sottolineare le sfumature
dei colori e va a definire un paesaggio sereno, non più quella natura cupa a renzo della notte.
usa questo paesaggio come al solito, per dare contrasto con le emozioni dei personaggi, Renzo
è più segreto rispetto alla sera precedente, ma ancora inquieto perchè non del tutto al sicuro.
grazie all'aiuto(provvidenziale) del pescatore, renzo riesce ad arrivare all'altra sponda. poi riesce
a chiedere al pescatore se la città che vede è Bergamo, senza nemmeno suscitare curiosità al
pescatore. mazzone specifica che il pescatore era avvezzo a portare dall'altro lato tutti quelli
che arrivavano da lì, e cerca di mantenere le distanze da tutti. addio alla patria: nessuna retorica
rispetto all'addio ai monti, semplicemente era una reazione. incrocia le braccia al petto: aria
malinconica, ma nonostante questo ha fede in dio.
renzo decide di recarsi in un'osteria. descrizione simile a quella che ci è stata fornita nel capito
4 (paesaggio sereno ma persone allo stremo, destinate a mendicare). renzo decide di lasciare i
pochi spiccioli a queste tre persone. renzo sa che la provvidenza si serve della solidarietà tra gli
uomini ed è consapevole di essere uno strumento. manzoni riconosce ai suoi personaggi una
profondità di pensiero, ma sa anche che non sarebbe realistico riconoscere a loro dei grandi
mezzi per manifestare i suoi sentimenti, quindi "presta" le sue parole ai personaggi, perchè non
sono in grado di esprimersi in questo modo.
CAPITOLO 19
figura dell'innominato. si apre con un banchetto organizzato da conte zio dove vengono invitati
degli esponenti della corte milanese. il conte zio parlando con il padre provinciale convinto dalle
menzogne che il conte Attilio gli ha riferito, dice che fra Cristoforo aveva incoraggiato Renzo
nella situazione tumultuosa a Milano. il conte zio ha rinfacciato al padre che fra Cristoforo
era entrato in contrasto con don rodrigo. principi obsta significa resisti al male iniziato. il
conte zio sta cercando di introdurre il suo desiderio, che è anche quello di don rodrigo, cioè
che fra Cristoforo sia collocato lontano sia da Renzo sia da don rodrigo. il padre provinciale
comprende quali sono le intenzioni del conte zio ma cerca di resistere alle richieste. il conte zio
vede dimostrare del padre provinciale e teme le ripercussione se il trasferimento non avverrà. il
monento in cui don rodrigo avesse chiesto l'appoggio della propria casata il conte zio avrebbe
dovuto intervenire. sottolinea il prestigio della casata e l'amicizia che lega le persone al suo
interno. padre provinciale é preoccupato che don rodrigo una volta ottenuta la rimozione di fra
Cristoforo da pescarenico possa vantarsi di tale obbiettivo raggiunto. lo preoccupa che tutti
vengano a sapere di questa situazione, è una questione di onore. anche lui condivide i concetti
di nobiltà. il conte zio lo rassicura dicendo che don rodrigo non se ne vanterà ma non verrà
nemmeno a saperlo. il padre decide di accettare questo trasferimento ma chiede un segno
di amicizia, cioè una donazione per il convento del cappuccini. così si farà e padre Cristoforo
viene trasferito a Rimini. appare l'innominato. Don rodrigo intestardito nel voler rapire Lucia
chiede aiuto a lui. l'innominato è un personaggio storico, cioè Francesco Bernardino Visconti,
feudatario appartenente a una casata del territorio milanese ed era diventata una delle famiglie
più famose e ricche d'Europa. che si riferisse a lui lo sappiamo perchè Manzoni lo dice in una
lettera. eliminare il suo nome accresce il terrore e la minaccia che si vuole legare alla sua
figura. per mantenersi al vero storico cita le sue fonti sull'innominato, cita Francesco rivola a
cui fa riferimento alla sua opera su Francesco Borromeo e l'altro riferimento è Ripamonti. da
entrambe deducendo che il personaggio non veniva chiamato con il suo vero nome. l'accenno
del nome dell'innominato nell'opera di rivelare c'è, in quella di ripamonti viene celato, così da
accrescere il timore. ci viene descritta la sua crudeltà ,il suo vivere fuori dalle regole, da ospitalità
ai fuori legge ed era anche lui un fuori legge, esercitava un potere senza a temere giudizi,
giudici e persone potenti, era un potere tirannico. Manzoni ci presenta e ci racconta la vita
dell'innominato. vengono sottolineate le passioni principali dell'nnominato, la sua inclinazione.
non era solo un violento, ma era anche una persona che desiderava essere la legge ed essere
temuto da tutti. questa inclinazione e queste tendenze erano insite in lui fino dall'adolescenza.
era costretto a impiegati in battaglie per mantenere il suo status di violento, ma arrivò a un
punto che dovette andarsene. comandava però in modo indiretto, anche essendo esiliato.
dopo essere andato in esilio perché era ricercato, l'nnominato riuscì a entrare nel territorio
bergamasco perché il bando di cattura era stato ritirato. una volta rientrato aveva posto sotto
il suo controlla la zona del territorio bergamasco. descrive la famiglia con cui convivenza, parte
dalle persone più vicine a lui e poi quelle più lontane. sono malviventi, perchè sono macchiati
di omicidio perchè stanno proteggendo l'nnominato. erano costretti tra l'amicizia e l'inimicizia.
un altro cattivo é don rodrigo, viene presentato come un uomo crudele e violento, ma non puó
essere paragonato all'innominato. il grande cattivo è l'innominaro, definito con l'aggettivo
straordinario, va oltre i canoni della cattiveria. la cosa a cui é interessato è il potere, tutto è
indirizzato a questo fine. a lui chiedevano aiuto coloro che avevano torto per affermare la loro
ragione, ma accorrevano a lui anche chi aveva ragione contro i potenti. è un potere ambivalente
che viene indirizzato prevalentemente verso il male. é un potere tirannico, la sua forza è rivolta
a capricci superbi ma riesce ad aiutare anche dei poveri che avevano subito dei soprusi. il
comportamento dell'innominato è amorale, è estraneo a qualsiasi morale, al di sopra del bene
e del male, della giustizia e dell'ingiustizia. i gesti che fa per i buoni non devono essere presi
come protezione, non si devono prendere dal punto di vista morale, l'obbiettivo va al di là della
morale convenzionale. Manzoni mette in relazione l'azione dell'nnominato e quella di don rodrigo.
hanno due modi diversi di esercitare la loro tirannia, l'innominato ha un modo salvatico è libero
da qualunque convenzione sociale, per don rodrigo il potere è uno strumento che fa si che
controlli gli altri uomini ma in un contesto sociale, deve mantenere rapporti con parenti e altri
potenti e con chi lavora nella giustizia, sfrutta la giustizia per i propri fini, l'innominato la ignora
completamente e agisce a sua discrezione. per don rodrigo la violenza privata è uno dei mezzi
per ottenere un certo fine, perchè si avvale della giustizia. per l'innominato la violenza privata è
l'unico strumento. Don rodrigo cercava di mantenersi al minimo i rapporti con l'innominato per
non dispiacere chi lavorava con lui. ma don rodrigo infine ricorre alla violenza privata perchè
vuole rapire Lucia e quindi si reca dall'innominato per effettuare il suo volere.
l'unnominato è amorale, agisce a sua discrezione per mantenere il potere. Don rodrigo spesso si
avvale della giustizia per rendersi potente, non ha la violenza privata
CAPITOLO 20
Descrizione castello dell'innominato, posto in alto in un luogo selvaggio, dal quale egli poteva
vedere tutta la valle, compresa l'unica strada praticabile. Si fa riferimento a una vecchia taverna,
divenuta corpo di guardia, chiamata "la mala notte", diversamente al disegno del sole raggiante
sull'insegna. L'innominato viene definito come grande, fisicamente, e moralmente (nel bene e
nel male). Lo sguardo conferiva grande vigore, nonostante egli sembrasse essere di circa 60
anni. (la descrizione dello sguardo è già presa in Gertrude e fra Cristoforo; come questi due
personaggi, anche l'innominato sarà convertito al bene). L'innominato comincia a sentirsi avverso
nei confronti delle sue azioni; manzoni sembra in difficoltà nel descrivere l'innominato, ma in
realtà è una simbologia della confusione delle scelte dell'innominato. Don Rodrigo comincia
a mettere in atto il rapimento, effettuato dall'innominato, che subirà un a conversione dopo
l'incontro con lucia. Il braccio destro dell'innominato è Nibbio, incaricato di parlare con Egidio
per rapire Lucia.
Gertrude era strumento per Egidio, che abitava presso il convento di Lucia. Viene fatto
riferimento all'assassinio della suora novizia fatto da Gertrude ed Egidio. Viene fatta riferimento
ad una voce, cioè quella di Egidio, che potrebbe rivelare l'omicidio e metterla nei guai. Gertrude
viene definita "la sventurata", poiché ricattata da Egidio; l'unico modo per evitare tutto ciò era
auto denunciarsi, ma lei non vuole. Lucia viene paragonata ad una pecora, quindi si fa riferimento
alla figura dell'agnello sacrificale. Quando Lucia si sta per recare dal padre guardiano su
istruzioni di Gertrude, la badessa la richiama, presa da un moto della sua coscienza, che viene
subito messa a tacere. Lucia sulla carrozza del Nibbio, si avvicina al castello dell'innominato, che
sente il dubbio sulle sue azioni.
Viene descritta una serva dell'innominato; viene presentata la sua origine. Sempre vissuta nel
castello, era abituata all'atteggiamento dell'innominato con tutte le sue violenze e soprusi.
Viene fatto un parallelismo con Don Abbondio, poiché si adatta con "cupidigia servile" ai potenti
per interesse personali. Ciò avviene in particolare con la vendicazione della morte del marito.
L'innominato ordina a questa serva di accogliere e consolare lucia.
CAPITOLO 21
la conversione dell'innomimato ad oper di Lucia, può essere messa a confronto con a
conversione di fra Cristoforo.
Il nibbio, al contrario del griso, ha un aspetto umano più accentuato. Egli prova compassione
per Lucia, cosa insolita per lui (schioppettata sulla schiena). Sia l'innominato che il nibbio sono
estranei alla compassione.
Lucia durante il viaggio, prega, piange, sviene, e questo comportamento fa presa sull'animo
del nibbio. l'innominato è ancora preso dalla sua coscienza, cerca di ritardare l'incontro con
don rodrigo. Vengono riportate con discorso diretto le parole e i pensieri dell'innominato, che
cerca di convincersi di fare la scelta giusta e non aver più a che fare con quella situazione.
È caratteristica l'incertezza e l'indecisione, poiché in parte e abituato a mantenere un
atteggiamento da signore temibile e temuto, ma anche combattuto dalla compassione.
Avviene l'incontro fra l'innomimato e Lucia, ella cerca di convertirlo e smuoverlo a compassione;
"dio perdona tante cose per un'opera di misericordia" . Questa frase alla fine metterà in crisi
l'innominato, poiché invito a riflettere sul suo passato e le azioni future.
Lucia diventa inconsapevolmente strumento della grazia di dio, che permette di superare
all'innomimato il periodo di contrasto interiore che provava, donandogli pace e facendolo
redimere.
L'innominato, al giungere della notte, si sente cogliere da un senso d'angoscia, per via del
periodo di crisi che ha passato. Il pensiero della liberazione di lucia lo conforta, ma rimane
l'incertezza delle azioni future; egli ha riconosciuto le azioni malvage del suo passato, vuole
redimersi ma è incerto di ciò che farà in futuro. Si vede avvicinarsi un corteo rumoroso che
prende l'attenzione dell'innominato. Questo corteo si contrappone allo stato d'animo tormentato
dell'innominato. Il capitolo 21 e incentrato sulla trasformazione morale dell'innominato e in
parte di lucia; quest'ultima rappresenta la coerenza con i valori cristiani, la dolcezza, la grazia,
l'umiltà, mentre l'innominato antitetico, ovvero non ha grazia e non rispetta la legge dell'uomo e
di dio. I due s'incontrano, e dal loro colloquio inizia la trasformazione morale. Lucia è la vittima,
ma in questo dialogo non è soggetta alle parole dell'innominato; da vittima diventa operatrice
di bene. L'innominato subisce le parole di Lucia. Nella notte, entrambi trascorrono una notte
agitata di veglia, all'interno della quale troviamo un soliloquio dei due personaggi. Troviamo delle
simmetrie. Entrambi sono in preda allo spavento e a timori irrazionali, provano disperazione
che li porta a desiderare la morte, e dunque raggiungono il culmine della loro disperazione.
Lucia avendo in sè la fede, cerca di trasformare la sua sofferenza in un'offerta a dio per trovare
conforto, mentre l'innominato è in procinto di suicidarsi, ma si dispera per cosa ci sarà dopo la
morte. L'unica immagine di conforto è lucia che pronuncia la frase "dio perdona molte cose per
un'opera di misericordia".
all'arrivo dell'arcivescovo di Milano, si sconvolge che la sua presenza crei tanta gioia, mi visto il
corteo decide di andare ad incomtrarlo. L'innominato giunge al luogo dove vive Enrico Borromeo,
e chiede di potersi far ricevere. Manzoni interrompe volutamente la narrazione per descrivere il
cardinale, per spiegare perchè susciti riverenza e rispetto.
Il cardinale Borromeo fin da giovane prende per norma le parole dei vangeli, conduce una vita
pienamente nei valori cristiani, viene paragonato a un corso d'acqua che dalla sorgente diventa
fiume senza intorbidirsi. Voleva che la sua vita fosse utile e santa, dunque si sottolinea che non
ci sia santità senza donazione al prossimo. Gli altri due punti cardine della sua vita da prete,
insegnare la dottrina cristiana agli ultimi, e praticare la carità. Nonostante egli appartenesse ad
una casata ricca, cerco di evitare gli sforzi e i vantaggi che ne derivavano. Vuole essere povero
e frugale (abito semplice e tavola frugale). Al Cardinale sono assegnate dunque da Manzoni le
virtù teologali (fede, speranza e carità), si aggiungono inoltre umiltà e semplicità, la rettitudine (la
sua vita è il paragone delle parole), rifiuto dei beni terreni, amore per la cultura.
Vi sono analogie fra Fra Cristoforo e il Cardinale, che sono motivati da profondi valori cristiani,
considerati grandi fautori del bene, ma hanno ricevuto formazione differente; il cardinale non
muta, ma matura adottando da subito questo stile di vita. Gra Cristoforo invece si converte
durante la gioventù in seguito ad un evento traumatico. Vi è inoltre un collegamento fra Gertrude
(monaca monza) e il Cardinale: entrambi appartengono ad una famiglia nobiliare e sono passati
al clero, anche se in due modi differenti. Le figure sono dunque antitetiche, poiché il Cardinale è
caratterizzato da umiltà, la monaca da orgoglio, verso il potere, poiché il Cardinale lo vede come
un dovere verso il prossimo, mentre per Gertrude esercita il potere per suo vantaggio.
CAPITOLO 23
il Cardinale e l'innominato si trovano e stanno in silenzio per un attimo, poiché il secondo
vorrebbe perdono ma non sa come chiederlo, mentre il primo vuole avvicinare l'innomimato
senza farlo scappare. L'atteggiamento e l'aspetto del cardinale, fermo e rispettoso davanti
all'innominato, infondono fiducia in quest'ultimo. Viene descritto nuovamente il Cardinale dal
punto di vista fisico, ma anche com'è tipico di Manzoni, caratteriale. Si analizza dunque la
psicologia del personaggio. Gli elementi che denotano la bellezza senile del cardinale, vengono
riassunti come spiccanti sulla "magnifica semplicità della porpora" (ossimoro). La porpora è
simbolo di lusso, si contrappone alla semplicità, ma vebono collegati dal Cardinale poiché il
potere della porpora viene messo al servizio dei semplici e degli umili. Le parole del Cardinale
sorprendono e addolciscono l'innominato, mettendolo a suo agio; il cardinale dice sarebbe
dovuto giungere all'innominato molto prima per evitare che egli giungesse da lui. L'innominato fa
capire di essere ancora in conflitto interiore, quindi il cardinale lo asseconda. Il Cardinale infatti
spiega all'innominato cosa probabilmente prova (cioè che non è pronto a convertirsi del tutto).
L'innominato è sul punto di cedere alle parole di Federico Borromeo, ma ha ancora dei dubbi
sulla sua possibilità di perdono ("cosa volete che faccia di me questo dio se esiste?"). Il
Cardinale inizia dunque un'artista persuasiva che evidenzia pa potenza di dio e come l'innominato
possa diventare suo strumento di bene. Risponde che può diventare segno di potenza e bontà di
dio, facendo di lui un uomo nuovo. L'innominato rimane colpito da come il cardinale non si segni
di fronte alle opere che ha compiuto in passato. Si susseguono interrogative dirette retoriche
("chi siete voi pover'uomo che vi pensiate d'aver saputo da voi immaginare e fare cose più
grandi nel male, che dio non possa far volere e operare nel bene?"). L'innominato si stupisce delle
parole del cardinale e si commuove. Le lacrime sono associate al battesimo, perchè l'acqua è
simbolo di vita nuova. Quindi l'innominato si rinnova. Il cardinale è stupito che l'innominato si stia
pentendo, dunque gli vuole stringere la mano. L'innominato lo respinge perchè non vuole che una
figura così santa lo avvicini ("amorevole violenza" è un ossimoro). Il Cardinale fa riferimento alla
parabola della pecora smarrita per consolare il cardinale. L'innominato scoppia in un pianto di
commozione sulla spalla del Cardinale. Vi è un accostamento fra la porpora pura del Cardinale e
la casacca dell'innominato, che ha compiuto atti di cattiveria (sono elementi antitetici).
Viene convocato Don Abbondio con il Cardinale. Il curato è impacciato, confuso per il fatto di
essere stato convocato e non riesce nemmeno a parlare in modo corretto. Quando scopre
che Lucia è alla dimora dell'Innominato, viene colto ancora di più dalla paura, s'inginocchia al
Cardinale per celare la sua espressione, e cerca complicità con l'innominato. Don Abbondio
rimane impietrito, vorrebbe tornare a casa propria. Il Cardinale crede che Don Abbondio, come il
fratello del figliol prodigo, possa sentirsi trascurato in seguito alla conversione di un peccatore;
in realtà don Abbondio stava cercando di svicolare il compito affidatogli dal cardinale. il
cardinale però non aveva intenzione di cambiare idea; è introdotta una similitudine che traduce lo
stato d'animo di don Abbondio di fronte a l'innominato e al cardinale, si sente come un ragazzo
pauroso e non ha nemmeno il coraggio di scappare. Perpetua è la colpevole di aver dato al
curato il consiglio di andare all'incontro dei parroci a pregare con federigo. Don Abbondio non
crede al ravvedimento dell'innominato e vede ogni segno che fa l'innominato come un pericolo
per la sua incolumità. ciò che sta intenerendo don Abbondio è il fatto che i suoi "compagni di
comitiva" sono protetti dalla folla e dall'innominato mentre lui è insieme a lui.
Da qui si dà inizio ad una serie di soliloqui del curato:
primo soliloquio: riflette sulla situazione.
secondo soliloquio: compaiono a uno a uno i responsabili della sua situazione, tutti posti sullo
stesso piano: per primo don rodrigo, che non permette il matrimonio di Renzo e Lucia, poi
l'innominato al quale rimprovera sia le scelleratezze sia la conversione, ha sempre causato
fracasso sia nel bene che nel male, don Abbondio con le sue vigliaccheria non può definirsi
galantuomo, ma ai suoi occhi si è sempre comportato nel miglior modo possibile, però per la
sua salvaguardia, infine federigo borromeo che non ha tenuto abbastanza riguardo alla sicurezza
di uno dei suoi curati. dopo quest'analisi, suppone come lucia sia finita nella mani dell'innominato
e che don rodrigo probabilmente si sia rivolto a lui (supposizione corretta). il suo soliloquio si
conclude sottolineando per quanto ora stanno andando da lucia per liberarla non è convinto
che l'innominato voglia compiere completamente questa azione. l'innominato è bivalente, o un
Sant'Antonio, oppure un uomo violento e terribile nemico del bene.
La visione dei bravi dell'innominato fa dimenticare il terrore che aveva provato nel vedere i bravi
di don rodrigo. si pente di non aver sposato Renzo e lucia, se l'avesse fatto non si sarebbe
trovato davanti un pericolo peggiore a quello di prima, cioè le ritorsioni dei bravi. Don Abbondio
è spesso descritto in un monologo interiore, per via del suo carattere caratterizzato dalla paura,
quindi c'è un impossibilità di dialogo con chi lo intimorisce, perchè non ha il coraggio di dire ciò
che pensa. è l'unico modulo espressivo con la natura del personaggio. con il monologo interiore,
il lettore comprende la morale utilitaristica di don Abbondio. poi si nota l'alterata percezione di
sé stesso, poichè pensa di essere un galantuomo. il pentimento dell'nnominato, ammirato da
tutti, per lui è un incomodo. federigo prende delle decisioni che lo definiscono come santo, giá
in vita si sente come se lui verrà santificato per le sue opere, agli occhi di don Abbondio agisce
senza meditazione, imprudente. quello che agli occhi di federigo, cioè di liberare lucia, per don
Abbondio è una spedizione pericolosa. lucia, che è una vittima, è una creatura nata per la sua
rovina. all'interno delle parole di don Abbondio c'è una natura distorta dovuto dalla paura.
CAPITOLO 26
don Abbondio medita sulla risposta che avrebbe dovuto dare alla domanda di federigo. il
cardinale sta proseguendo con le accuse nei confronti di don Abbondio, senza poter trovare
una soluzione. Il Cardinale gli chiede quali sono state le scuse usate per annullare il matrimonio,
don Abbondio continua a non rendersi conto della gravità delle sue scelte: reputa che aver
mentito ai due ragazzi nin sia un gesto grave e mette in contrasto il trattamento dell'innominato.
Viene dunque ripreso dal Cardinale, che rimprovera i suo comportamenti e pensieri. Il curato
accetta di ricevere i rimproveri perchè è un suo superiore, non perché crede di aver torto.
Perpetua gli aveva dato il suggerimento di riferire tutto al cardinale, ma don Abbondio rifiuta
perchè aveva promesso di tacere. don Abbondio riporta a sé stesso le ragioni per le quali non
aveva chiamato il cardinale; egli dà più importanza alle minacce fisiche che a quello che vuole
suscitare in lui il cardinale con questi rimproveri. Don Abbondio riconosce le stesse parole
che gli aveva rivolto perpetua, dunque aveva sempre avuto la soluzione ai suoi problemi, ma
non l'ha mai voluta prendere in considerazione. La paura dei bravi aveva suscitano in lui una
così grande paura che solo a ripensamento fa pronunciare a don abbondio una risposta ardita
e irrispettosa nei confronti del cardinale, gli dice che sarebbe dovuto trovarsi nei suoi panni
per parlare e lo definisce incoerente (il lettore sa che invece il Cardinale è coerente nelle sue
azioni).Don Abbondio ha osato rispondere con insolenza al cardinale e si aspetta che egli
agisca di conseguenza; invece il cardinale si dimostra comprensivo e chiede a don abbondio
dove sarebbe dovuto risultare manchevole. Il curato riconosce la santità di federigo, ma
per lui è un tormento. Il Cardinale si pone come esempio a don abbondio di come dovrebbe
riconoscere i propri limiti davanti a dio e quindi di come dovrebbe riconoscere il suo sbaglio.
Ma don Abbondio approfitta della benevolenza del cardinale per scaricare la colpa su Renzo e
lucia, intrufolatisi in casa sua. Il cardinale smatella le scuse di don Abbondio, che continuava a
scaricare colpe. Infatti non si sarebbero intrufolati in casa se li avesse sposati secondo la via
legale. Quando don Abbondio morirà dovrà scontare il giudizio divino, ora potrebbe scontare
una parte; don Abbondio dovrebbe amarli perchè soffrono. Queste parole lo costringono a
pensare e a riconsiderare le sue azioni. Manzoni utilizza una similitudine per lo stato d'animo
di don Abbondio, una candela con lo stoppino umido che fa fatica ad accendersi. La fede del
Cardinale viene raffigurata da una fiamma, che con difficoltà riesce ad accendere una piccola
fiammella che rappresenta la minuscola fede di don Abbondio. A differenza dell'innominato, don
Abbondio non si converte in modo vero e proprio ma si commuove. Le parole del cadidnale gli
avevano fatto percepire tenerezza e compassione per gli altri. Così il colloquio con il cardinale si
conclude.