DOGLIO - I - Che Cos'è La Bibbia

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DOGLIO, Claudio, Introduzione alla Bibbia, Brescia 2010 (pp.

5-10) 1

CAPITOLO PRIMO: CHE COS’È LA BIBBIA

La Bibbia è un’autentica biblioteca. Il nome deriva dal greco (ta biblía) e significa “i libretti”:
si tratta infatti di una raccolta di 73 piccoli libri composti nell’arco di oltre un millennio, scritti in
ebraico e in greco, con qualche piccola parte in aramaico. Tale variegata antologia è sorta
nell’ambito del popolo di Israele, come raccolta scritta della vivente tradizione religiosa: è perciò
designata come Scrittura o anche Scritture, per indicarne la molteplicità, oppure Sacra Scrittura
per evidenziarne l’eccellenza.
Per la sua complessità la Bibbia può essere paragonata a una foresta, splendida nella sua
varietà, ma difficile da esplorare, piena di sentieri che bisogna conoscere per non smarrirsi. Ecco
l’intento di questa introduzione: offrire una guida ai vari volumi della biblioteca e indicare i sentieri
per attraversare l’intricato bosco biblico, ammirandone le bellezze senza perdersi1.

l. Una raccolta “canonica”


Una antologia e una biblioteca non nascono da sé: ci vuole qualcuno per decidere che cosa
raccogliere e come organizzare il materiale. Così, prima della Bibbia, c’è una comunità credente
che - attraverso l’opera di numerosi autori - ha raccolto i documenti della propria esperienza di
fede. La Scrittura è infatti considerata il registro della rivelazione divina, cioè la documentazione
umana della Parola con cui Dio si è fatto conoscere, prima attraverso i profeti e poi in pienezza nel
Figlio Gesù. In forza di tale convinzione ci avviciniamo alla Bibbia sia con un approccio storico-
letterario sia con visione teologica, perché solo dalla considerazione di entrambi gli aspetti può
derivare una comprensione adatta alla natura dell’oggetto studiato.
Il criterio fondamentale di questa biblioteca è la divisione in due parti, connotate dal termine
“Testamento”, che corrisponde all’idea di “alleanza”:
– Antico Testamento,
– Nuovo Testamento.
La prima parte (AT) contiene le Scritture del popolo di Israele, mentre la seconda (NT)
raccoglie gli scritti della comunità apostolica che ha riconosciuto in Gesù il Messia, Figlio di Dio. I
cristiani dunque hanno ereditato i libri sacri della tradizione giudaica e vi hanno aggiunto le opere
apostoliche incentrate su Gesù Cristo.
L’antica raccolta ebraica era già formata e veniva definita «canone», termine greco che
significa “metro di misura”. Proprio tale fissazione riconosceva un valore sacro ai testi in quanto
portatori della rivelazione divina e perciò erano impiegati in funzione liturgica e normativa. Il
canone giudaico è stato interamente accolto e successivamente ampliato dalla comunità cristiana
seguendo tre criteri principali: l’origine apostolica dei nuovi libri, l’uso liturgico comune a tutte le
chiese e la conformità del contenuto alla regola della fede2.

2. Una biblioteca di libri “ispirati”


Il tema del canone è dunque teologico e strettamente connesso con ciò che si chiama
“ispirazione” divina3; nell’elenco canonico infatti la tradizione antica ha inserito unicamente i libri

1
Bibliografia. Ampie e valide introduzioni generali allo studio della Bibbia sono: L. Alonso-Sch6kel (e altri), La
Bibbia nel suo contesto (Introduzione allo studio della Bibbia, I), Paideia, Brescia 1994; A.M. Artola, I.M. Sanchez
Caro, Bibbia e Parola di Dio (Introduzione allo studio della Bibbia, 2), Paideia, Brescia 1994; R. Fabris (e coli.),
Introduzione generale alla Bibbia (Logos. Corso di studi biblici, l), LDC, Leumann (TO) 20062; G. Boscolo, La Bibbia
nella storia. Introduzione generale alla Sacra Scrittura (Sophia/Didachè-Manuali 2), EMP, Padova 2009.
2
Oltre ai trattati generali: T. Citrini, Identità della Bibbia, Queriniana, Brescia 1990. Per ulteriori particolari vedi le
successive introduzioni all’ AT e al NT.
3
L. Alonso-Schökel, La Parola ispirata, Paideia, Brescia 1987.
DOGLIO, Claudio, Introduzione alla Bibbia, Brescia 2010 (pp.5-10) 2

ritenuti ispirati e viceversa si possono considerare tali solo i testi presenti nel canone. La
Costituzione dogmatica sulla “Divina Rivelazione” del Concilio ecumenico Vaticano II, intitolata
Dei Verbum (DV), riassume così il dato teologico:
«Le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e
presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito santo. La santa madre Chiesa, per
fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’ Antico che del Nuovo
Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito santo (cfr. Gv
20, 31; 2 Tim 3, 16; 2 Pt 1, 19-21; 3, 15-16), hanno Dio per autore e come tali sono stati
consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse degli uomini di cui si
servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo,
scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva. Poiché dunque tutto
ciò, che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito santo, si
deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e
senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre
Scritture» (DV 1l).

Con il concetto di “ispirazione” si indica dunque sia l’azione speciale che Dio ha esercitato
sugli scrittori sacri (detti agiografi) sia la qualità unica dei libri presenti nel canone biblico per la
loro origine divina. Strettissimo e indissolubile è perciò il rapporto tra la Sacra Scrittura e la Parola
di Dio: «Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e (...) sono veramente Parola di Dio» (DV
24). Tuttavia per il fatto che Dio «ha parlato nella Sacra Scrittura per mezzo di uomini e alla
maniera umana» (DV 12), possiamo affermare che la natura della Bibbia è insieme divina e umana,
ovvero Parola di Dio in linguaggio umano, al punto che le due nature vi sono indissolubilmente
unite come nel Figlio di Dio fatto uomo.
Proprio perché hanno Dio per autore principale, la Chiesa crede che i libri biblici contengano
«la verità di Dio», che il Concilio ha saggiamente precisato con la formula «nostrae salutis causa»,
cioè «per la nostra salvezza» (DV Il). Si è passati così da una posizione apologetica che escludeva
ogni errore ad un atteggiamento propositivo che indica nella Scrittura la possibilità di incontrare la
Parola che salva. Il motivo della verità quindi è riconosciuto nell’intenzione divina di salvare gli
uomini, senza la pretesa di risolvere in modo sacrale le contraddizioni e le inesattezze reperibili nel
testo biblico.

3. Una rivelazione “attestata”


Memoria scritta di uomini credenti, la Bibbia ha tutte le caratteristiche del linguaggio umano,
segnato dalla storia e dalla cultura. In modo suggestivo precisa questa realtà il messaggio finale del
XII Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (2008):
«Le Sacre Scritture sono la “testimonianza” in forma scritta della parola divina, sono il
memoriale canonico, storico e letterario atte stante l’evento della Rivelazione creatrice e
salvatrice. La parola di Dio precede dunque ed eccede la Bibbia, che pure è “ispirata da Dio” e
contiene la parola divina efficace (cfr. 2 Tm 3, 16). È per questo che la no~tra fede non ha al
centro solo un libro, ma una storia di salvezza e una persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta
carne, uomo, storia» (n. 3).

I libri biblici furono composti come tutti gli altri testi dell’antichità e redatti nelle lingue del
tempo, secondo i generi letterari delle culture di allora, utilizzando il materiale comunemente
adoperato nel mondo antico. Come per tutte le opere letterarie della classicità, non si possiedono gli
originali biblici; i testi autografi sono andati perduti, ma il loro contenuto ci è pervenuto attraverso
l’opera di copisti e traduttori che hanno tramandato le opere antiche con varie metodologie editoriali
a seconda dei tempi. La storia del testo biblico è quindi un capitolo rilevante di questo studio,
DOGLIO, Claudio, Introduzione alla Bibbia, Brescia 2010 (pp.5-10) 3

perché garantisce la possibilità di avere accesso al contenuto autentico dei testi originali, nonostante
siano trascorsi molti secoli e siano intervenute varie traduzioni4.
Il testo ebraico dell’AT è conservato in modo completo e vocalizzato nel Codice di Leningrado
(databile all’anno 1008 d.C.): è stato riprodotto nell’edizione critica nota come Biblia Hebraica
Stuttgartensia (Stuttgart 1983). I manoscritti più antichi sono i frammenti rinvenuti nelle grotte di
Qumran, databili tra il II secolo a.C. e il I d.C., che confermano pienamente la fedele attendibilità
delle copie posteriori. La traduzione in greco della Bibbia ebraica, detta dei Settanta (LXX) 5 ,
realizzata ad Alessandria d’Egitto da studiosi giudei nei secoli III-I a.C., è trasmessa dai grandi
codici bizantini del IV secolo d.C. e anch’essa dimostra la sostanziale corrispondenza al testo
ebraico tradizionale.
Per il testo greco del NT 6 si hanno oltre 2500 testimoni diretti, fra cui i più antichi sono
frammenti di papiro datati all’inizio del II secolo. A partire dal IV secolo il testo biblico è scritto
per intero (AT e NT) nei grandi codici maiuscoli, detti onciali, di cui i principali sono il Sinaitico
(S), il Vaticano (B) e l’Alessandrino (A). Vengono quindi i codici minuscoli (dall’VIII secolo), i
lezionari liturgici (dal VI-VII secolo) e le innumerevoli traduzioni nelle varie lingue del mondo
antico. Fra queste ha un ruolo considerevole per la Chiesa occidentale la traduzione latina detta
Vulgata: fu realizzata nel IV secolo con il grande contributo di san Girolamo7.

4. Una parola da “interpretare”


Testimonianza scritta della Parola di Dio e composta in linguaggio umano, la Bibbia ha
bisogno di essere interpretata8: richiede cioè di essere letta, compresa e tradotta in base a principi
interpretativi che garantiscano la fedeltà al senso originale. Tale studio storico-letterario prende il
nome di esegesi, che con diverse metodologie ricerca appunto il “senso letterale” di un testo.
L’ermeneutica ha invece il compito di completare il processo di comprensione, valorizzando la
dimensione teologica della Scrittura, in quanto Parola di Dio destinata all’uomo per la sua
salvezza9. Anche a questo proposito un’ottima sintesi è presentata in Dei Verbum 12.
L’esegesi biblica moderna è stata caratterizzata dal metodo storico-critico10, indispensabile per
lo studio scientifico dei documenti antichi. Tale metodologia cerca anzitutto di chiarire i processi
storici di produzione degli scritti, evidenziando le differenti situazioni spaziotemporali che li hanno
determinati. Inoltre – tramite la critica testuale, l’esame delle forme letterarie e lo studio della
redazione – intende delineare il significato dei testi biblici, analizzandoli come qualsiasi altro testo
dell’antichità. Grazie a tale metodo sono state prodotte negli ultimi due secoli opere di esegesi e di
teologia biblica di grande valore. L’approccio esclusivamente “diacronico”, che si sofferma sullo
studio dell’evoluzione del testo nel tempo, si incentra sul senso dell’autore originale e rischia
perciò di trascurare le potenzialità di significato della rivelazione biblica, considerata nella sua
globalità. Pur rimanendo valido, il metodo storico-critico risulta pertanto ormai insufficiente.

4
S. Pisano, Il testo dell’Antico Testamento, in H. Simian- Yofre (ed.), Metodologia dell’Antico Testamento, EDB,
Bologna 1995, pp. 39-78; B.M. Metzger, Il testo del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1996.
5
Edizione critica a cura di A. Rahlfs, Septuaginta, I-II, Stuttgart 1982.
6
Fra le numerose edizioni critiche, la migliore e più recente è a cura di K. Aland et alii, Novum Testamentum
Graece, Nestle-Aland, Stuttgart 199927. Lo stesso testo è proposto in diverse forme editoriali, anche con traduzione
italiana a fronte.
7
Edizione critica a cura di R. Weber, Biblia sacra iuxta Vulgatam versionem, I-II, Stuttgart 1983.
8
Testo fondamentale sul tema è il documento a cura della Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, LEV, Città del Vaticano 1993.
9
L. Alonso- Schökel, J.M. Bravo Aragón, Appunti di Ermeneutica (Studi Biblici 24), EDB, Bologna 1994; C.
Buzzetti, “Estemeca” Ermeneutica biblica completa, LAS, Roma 2003.
10
P. Guillemette, M. Brisebois, Introduzione ai metodi storico-critici, Borla, Roma 1990.
DOGLIO, Claudio, Introduzione alla Bibbia, Brescia 2010 (pp.5-10) 4

Negli ultimi tempi infatti sono stati proposti altri metodi e approcci 11 per valorizzare una
lettura “sincronica” della Bibbia, privilegiando cioè il testo letterario in sé e in rapporto con tutti gli
altri scritti raccolti nel canone. Meritano anzitutto attenzione i nuovi metodi di studio letterario,
quali l’analisi retorica 12 , quella narrativa 13 e quella semiotica. Ad essi bisogna aggiungere altri
approcci che valorizzano l’insieme della Bibbia come organico testimone di una stessa grande
Tradizione, quali l’approccio “canonico”, il ricorso alle tradizioni interpretative giudaiche e la
considerazione della storia degli effetti prodotti da un testo. Tali metodi intendono valutare il
contenuto unitario di tutta la Scrittura, mettere in risalto la “vivente Tradizione” della Chiesa e
infine rispettare l’analogia della fede. Questi nuovi procedimenti hanno fatto emergere alcuni
principi ermeneutici fondamentali: il testo finale è più importante delle sue fonti; più che
l’intenzione dell’autore è opportuna la ricerca del senso del testo; anziché la ricostruzione storica
dei fatti è da valorizzare il significato simbolico dei racconti; infine l’interpretazione spirituale è
più interessante di quella letterale.
Altri tipi di approccio si servono del contributo delle scienze umane - in particolare sociologia,
antropologia e psicologia – per giungere a una migliore comprensione di certi aspetti dei testi.
Alcuni metodi privilegiano invece particolari elementi, partendo piuttosto dagli interessi del lettore:
è il caso della teologia della liberazione e dell’ermeneutica femminista. È infine da ricordare che
negativa e pericolosa resta la lettura fondamentalista, la quale, partendo da motivi di fede, rifiuta
ogni interpretazione e prende il testo in modo acritico e letteralista. Questa spiegazione della
Scrittura, negando il carattere storico della rivelazione biblica, finisce per rifiutare il principio
stesso dell’Incarnazione, cioè la stretta relazione del divino e dell’umano. Tale approccio risulta
pericoloso, soprattutto perché illude le persone di trovare nella Bibbia risposte immediate ai loro
problemi di vita.
Entriamo dunque in questa meravigliosa foresta che è la Bibbia, percorrendo i suoi vari sentieri
e ammirando l’organica molteplicità dei suoi componenti. Apriamo i libri di questa antica
biblioteca che contiene una parola moderna e viva, capace di parlare al cuore di ciascuno e di
illuminarne il cammino: più dolce del miele, è lampada per i passi, ma anche fuoco ardente, simile
a un martello che spacca la roccia. Come la pioggia irriga la terra, la feconda e la fa germogliare,
così la Parola di Dio può far fiorire anche l’aridità dei nostri deserti spirituali. Non è infatti lettera
morta, ma realtà viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, capace di giungere in
profondità e rivelare i pensieri del cuore.

11
Valido strumento per introdurre al linguaggio tecnico dell’esegesi: I.-N. Aletti, M. Gilbert, I.-L. Ska, S. de
Vulpillières, Lessico ragionato dell’esegesi biblica. Le parole, gli approcci, gli autori, Queriniana, Brescia 2006.
12
R. Meynet, Trattato di retorica biblica, EDB, Bologna 2008.
13
D. Marguerat, Y. Bourquin, Per leggere i racconti biblici. Iniziazione all’analisi narrativa, Boria, Roma 2001.

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