Letteratura Di Viaggio
Letteratura Di Viaggio
Letteratura Di Viaggio
[solidamente la nave
dalla prora al mare, che doveva percorrere a forza di braccia; procedendo scavavano
sempre più nel profondo
Poi rivoltarono in alto i remi, dall'una e dall’altra parte e li legarono con scalmi
Di ben altro tenore il racconto di viaggio di Orazio, che invece di un periplo come Le
Argonautiche, descrive sotto forma di satira il racconto divertente di un viaggio
(dunque, un carme di tipo odeporico) da Roma a Brindisi, che Orazio fece in
compagnia di Mecenate e di qualche altro amico nel 37 a.C. Esso è modellato
sull'iter Siculum di Lucilio, dove l’autore descrive il viaggio effettuato tra il 119 e il
116 a.C., motivato dalla volontà di fare un sopralluogo dei poderi detenuti dal poeta
in Sicilia. Il viaggio di Orazio venne fatto per ragioni diplomatiche, al fine di
comporre i dissensi tra i due principali capi politici del periodo, Ottaviano e Antonio;
inoltre il percorso è descritto come una “odissea” terrestre (a piedi e a cavallo) in
chiave comica, durata una quindicina di giorni. I versi sono esametri, come in
Apollonio.
“Uscito dalla grande Roma, m'accolse ad Ariccia una modesta locanda; m'era
compagno il retore Eliodoro, senza confronti il più dotto dei greci: di lì a Forappio,
brulicante di barcaioli e di osti malandrini. Noi, sfaticati, dividemmo in due questa
tappa, che per gente più svelta è una sola; ma l'Appia è meno faticosa a chi la prende
comoda.”
le rive magnesie e la tomba di Dolope. Qui, verso sera, sbarcarono per il vento
contrario, e nella notte gli resero onore bruciando carni di pecora;
il mare, gonfio, infuriava. Restarono fermi due giorni su quella spiaggia; al terzo
misero in mare la nave, levando in alto la sua grandissima vela.
I primi luoghi costeggiati da Argo sono narrati in maniera piuttosto veloce: la terra
pelasga indica una delle regioni della Tessaglia, su cui si tramanda avesse regnato
Pelasgo, eroe eponimo del mitico popolo, il capo Sepiade è la punta sud-est nella
penisola della Magnesia (come anche la città di Piresia), al largo della quale si trova
l’isola di Sciato. Anche l’episodio della tomba di Dolope è narrato in modo assai
sintetico e serve ad introdurre l’aition di chiusura. Frequentissimi nel poema, questi
excursus sono narrazioni di antefatti mitici che spiegano l’origine della
toponomastica, di usanze cultuali e rituali e di testimonianze architettoniche
contemporanee al poeta. Attraverso gli aitia, collocati alla fine delle sequenze
narrative, si attua nelle Argonautiche una contaminazione tra il presente della vicenda
(la saga degli Argonauti), il passato del mito (gli aitia, appunto) e la contemporaneità
storica.
“Dopo colazione, ci arrampichiamo per tre miglia fin sotto alle pendici di Anxur,
arroccata su rupi che biancheggaino lontano. Lì, con Cocceio, doveva raggiungerci il
mio buon Mecenate, ambasciatori entrambi di affari importanti e abituati ormai a
rabbonire gli amici in discordia. Stavo, per la congiuntivite, ungendomi gli occhi con
il collirio nero, quando giungono Mecenate, Cocceio e insieme a loro Fonteio
Capitone, uomo di grande cortesia e amico di Antonio quant'altri mai.
Con sollievo lasciamo Fondi, dov'è pretore Aufidio Lusco, ridendo delle insegne di
quello scribacchino matto: pretesta, laticlavio ed il braciere acceso. Affaticati
pernottiamo a Formia, la città di Mamurra; Murena ci offre l'alloggio, Capitone la
cena.”
Pare che Orazio, anziché l’abitato di Terracina, voglia indicare questo tempio, i cui
ruderi di spettacolosa grandezza e bianchezza sono visibili di lontano. Qui incontrano
Lucio Cocceio Nerva, giureconsulto e seguace di Ottaviano. Notare l’espressione
aversos…amicos in chiave quasi ossimorica per indicare i due triumviri più
importanti. L’espressione ad unguem del verso 32 deriva dalla consuetudine degli
scultori di passare l’unghia sulle loro opere per rilevarne qualche imperfezione. Al
verso 33 non ut è anastrofe per ut non magis alter: sottinteso sit.
Il gruppo poi si sposta a Formia, piccola prefettura, dal soggiorno poco piacevole,
dove il pretore urbano aveva mandato il vanitoso scriba Aufidio Losco, il quale, per
darsi importanza dinanzi agli eccezionali visitatori, aveva indossate le insegne proprie
del pretore: la praetextam era la toga ornata propria dei magistrati curuli e dei
senatori, ma il cui uso era stato esteso anche ai magistrati di municipi e colonie. Al
verso 38 abbiamo il termine culinam, ovvero, per metonimia, la cena. L’ospitalità
viene ripartita dunque in maniera simmetrica: alloggio presso un sostenitore di
Ottaviano, vitto presso quello di Antonio.
Durante il suo passaggio a Canosa, Orazio da, a modo suo, un riferimento mitologico:
“Perché a Canosa, località fondata un tempo dal forte Diomede, oltre a mancar
l'acqua, il pane è di pietra”
Interessante notare che il viaggio non è scelto dagli Argonauti ma è subìto solo per
realizzare una richiesta di Pelia, che a sua volta non ha veramente a cuore il vello
d’oro, ma spera che in un’impresa così dura Giasone possa trovare la morte e venga
così scongiurata la realizzazione della profezia che vuole lo stesso Pelia ucciso dal
figlio di Esone (Giasone appunto): il viaggio non ha quindi senso in sé né per chi lo
compie né per chi lo impone, e non sarà difficile in questo cogliere una metafora
esistenziale che ben raffigura la condizione dell’uomo dell’ellenismo, ormai non più
arbitro del proprio destino ma ininfluente pedina di un gioco più grande di lui.
“Da te sia l’inizio, Febo, a che io ricordi le gesta degli eroi antichi che attraverso le
bocche del Ponto e le rupi Cianee, eseguendo i comandi di Pelia, guidarono al vello
d’oro Argo, la solida nave. Il re Pelia aveva appreso un oracolo, che l’aspettava una
sorte atroce in futuro: chi tra i suoi sudditi avesse visto venire calzato di un solo
sandalo, quello con le sue trame gli avrebbe dato la morte. Non molto tempo dopo,
secondo il tuo oracolo, Giasone, mentre guadava d’inverno l’Anauro, trasse in salvo
dal fango.”
“Più avanti ci accoglie, provviste di ogni cosa, la villa di Cocceio, subito sopra le
osterie di Caudio. Ora vorrei, Musa, che tu mi ricordassi brevemente la rissa di
Messio Cicirro con quel buffone di Sarmento, da quale padre siano nati e come
vennero a lite. La gloriosa stirpe di Messio sono gli osci e di Sarmento vive ancora la
padrona: discesi da tali antenati, vennero a contesa. "Io dico", comincia Sarmento,
"che tu assomigli a un cavallo selvaggio". Ridiamo, e Messio a sua volta:
"L'ammetto", e scuote la testa. "Cosa faresti," dice l'altro, "se non t'avessero reciso
dalla fronte il corno, visto che pur mutilato minacci?" E per la verità una brutta
cicatrice gli deturpava in mezzo ai peli della fronte la parte sinistra del viso.”
Si svolge, per diletto dei convitati, una specie di Atellana, genere drammatico di
probabile derivazione osca, fra il liberto Sarmento al séguito di Mecenate e un colono
del luogo Messio Cicirro, forse al servizio di Cocceio.
“Essi conservano le tavole incise dai loro padri, sulle quali sono indicati i confini e
tutte le vie di terra e di mare per chi compie l’intero giro del mondo”
Gli Argonauti proseguono il loro percorso aiutati sia dall’indovino Fineo (2.317-407)
che li fornisce per così dire di una « mappa orale», sia grazie ad un’iscrizione, il cui
resoconto è fornito dalla nave Argo (4.256 ss.). Notevole qui anche il riferimento
(πέριξ ἐπινισσομένοισιν) a quelli che i Greci chiamavano periploi che riflette lo
sviluppo del viaggio marittimo dopo il periodo di Alessandro Magno. Infatti, sebbene
siano noti periploi più antichi, solo alla fine del IV secolo a.C. essi divennero
realmente popolari. Il contesto narrativo, il pericoloso nostos degli Argonauti, offre
ad Apollonio Rodio l’opportunità di integrare nella sua epica, e di evidenziarla
poeticamente, una considerevole quantità di nozioni geografiche circa l’oikumene.
Anche qui il materiale geografico è organizzato secondo le linee di un periplo o nei
termini di una cartografia quasi a volo d’uccello (vv. 541 ss.). Ogni scelta di rotta ed
ogni cambio di percorso viene chiaramente giustificato.
“Che terra è mai questa? (lett. Questa terra, che terra si vanta d’essere) Dove ci ha
scagliato la bufera? Avremmo dovuto ripercorrere il cammino dell’andata attraverso
le rupi, scacciando la maledetta paura: se anche fossimo andati contro Zeus meglio
sarebbe stato per noi morire tentando qualcosa di grande!”
“Da un pezzo la sacra nave si sarebbe miseramente infranta molto all’interno, nella
terraferma, se la marea sollevandola non l’avesse portata qui. Ora però il mare si
ritira lasciando solo una schiuma non navigabile, che a stento copre la terra.”
In questo caso gli eroi appaiono piegati non da un ostacolo che oltrepassa le ordinarie
forze della natura, ma proprio da un’insidia connessa con la normale navigazione di
tutti i tempi. Anche in assenza di mostri immani e di prove artificiose il mondo
riserva già di per sé pericoli tremendi per chi pretende di percorrere tutte le sue vie:
questo è un tratto ben riconoscibile all’interno della grecità ellenistica.
Gli ostacoli geografici sono affrontati alla sua maniera anche da Orazio.
Ex illo indica l’uscita da Benevento e poi prosegue con la notazione geografica dei
monti Apuli e dello scirocco, vento proveniente dall’Africa, che prevale nella Puglia.
Ma c’è anche un caso che merita di essere riportato in cui Apollonio commenta con
una certa ironia e umana comprensione il naturale bisogno sessuale degli Argonauti,
vero e proprio oggetto di desiderio delle donne di Lemno. (I, 849-852):
καὶ δ’ αὐτοὺς ξεινοῦσθαι ἐπὶ σφεὰ δώματ’ ἄγεσκον, ῥηιδίως· Κύπρις γὰρ ἐπὶ γλυκὺν
ἵμερον ὦρσεν, Ἡφαίστοιο χάριν πολυμήτιος, ὄφρα κεν αὖτις ναίηται μετόπισθεν
ἀκήρατος ἀνδράσι Λῆμνος. (Libro I, vv.849-852)
E non fu difficile per le donne portarseli a casa come ospiti! Cipride aveva destato in
loro un dolce desiderio per compiacere l’ingegnoso Efesto, affinché in seguito
Lemno, di nuovo integra, fosse ancora abitata da uomini.