Libere Di Sapere
Libere Di Sapere
Libere Di Sapere
Il 9 ottobre 2012 Malala Yousafzai, una giovane studentessa di quindici anni fu colpita alla testa da
alcuni colpi di pistola in una città in Pakistan. Un uomo armato era salito sul bus con cui la ragazza
tornava da scuola, aveva chiamato il suo nome e le aveva sparato. Malala rappresentava ‘’il
simbolo degli infedeli e dell’oscenità’’ (parole dei terroristi che rivendicarono l’attentato) perché
quando aveva undici anni era divenuta celebre per un blog che curava, nel quale sosteneva la
propria ferma volontà di andare a scuola. Tramite internet aveva fatto poi conoscere al mondo il
regime di terrore, contrario ai diritti delle donne, instaurato dagli integralisti islamici che avevano
occupato la regione in cui viveva. Venne ricoverata all’ospedale, riuscì a sopravvivere dopo la
rimozione chirurgica dei proiettili. Inseguito, venne trasferita in Inghilterra in un ospedale che si
offrì di curarla. Dopo essere stata dimessa, rimase negli Stati Uniti, dove tornò a studiare
iscrivendosi a una scuola superiore femminile. A diciassette anni ricevette il Premio Nobel per la
pace, il 10 ottobre 2014. Attraverso la sua eroica lotta divenne portavoce importante del diritto delle
bambine all’istruzione. Se però la storia di Malala ha avuto un lieto fine, ancora nulla di certo si sa
delle 200 liceali nigeriane, che sono state rapite nell’aprile 2014 da un gruppo estremista islamico,
militanti armati del Boko Haram, responsabile di vari attentati in Nigeria. L’obiezione verso
l’istruzione femminile e la visione della donna come destinata esclusivamente al matrimonio o nata
per compiacere e servire l’uomo, ha radice antiche in molti paesi del mondo. Anche in Europa, per
secoli la condizione, il ruolo e l’affermazione delle donne sono stati definiti soprattutto in base al
corpo, al sesso, ai rapporti socio affettivi. Ciò, infatti, ha giustificato pratiche educative differenziate
tra maschi e femmine […]
Anche la curiosità e l’aspirazione al sapere femminili sono stati esplorati e considerati suscettibili di
punizioni già nella mitologia greca classica. L’autrice, in questo libro ci presenta degli esempi. Si
pensi al mito di Psiche: la giovane si arrischia a scoprire l’identità del suo amante, che le si è
sempre presentato avvolto nell’oscurità, e per questo viene condannata a infinite peripezie. Oppure,
possiamo riflettere sulla storia di Pandora, la prima donna nel mondo greco, che, data in sposa a
Epimeteo, apre incuriosita il vaso donatole dagli dei, facendone così uscire tutti i mali che da allora
devastano la terra. Si consideri poi, la prima donna della
Se, però, l’istruzione e l’alfabetizzazione delle donne sono state spesso visto con sospetto e timore,
al contrario la loro educazione non è mai stata trascurata, anzi è stata ritenuta assolutamente
necessaria per guidarle e dominarle. In questo libro, viene sottolineato la differenza tra le parole
“istruzione” ed “educazione” , che in italiano hanno un significato non coincidente. Mentre per
istruzione si intendeva un “allargamento” delle conoscenze (andare a scuola per imparare a leggere
e a scrivere) e veniva vista con occhio di sospetto se riguardava le donne; l’educazione era, invece,
educare le donne a osservare i canoni, i comportamenti che sostanzialmente le inserivano in un
contesto molto ristretto che era quello della madre e della sposa.
Lo scopo di questo libro è quello di offrire un excursus cronologico della nascita e dello sviluppo
del diritto delle donne all’istruzione fino ai giorni nostri. È una sintesi dei numerosi studi condotti
sul problema della formazione femminile ma si basa anche su alcune questioni approfondite
dall’autrice, Alessia Lirosi, durante il suo lavoro come giornalista all’ UNICEF.
• La trattazione è divisa in due parti, la prima si concentra sull’istruzione femminile nella storia
dell’Europa e soprattutto dell’Italia, tra il XVI e la prima metà del XX secolo. Viene scelto proprio
in Cinquecento è un età moderna che è caratterizzata dalla prima formazione di quella ‘cultura di
diritti’ che è giunta fino a noi. Il Seicento ha conosciuto le prime resistenze ai processi di
assolutizzazione del potere politico, il rafforzamento dell’idea della libertà di coscienza.
• La seconda parte del libro si allarga a considerare tutto il contesto mondiale. L’autrice si sofferma
sui principali documenti riguardanti i diritti umani, e in particolare quello dell’istruzione, che sono
stati elaborati al livello internazionale e regionale a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti
umani del 1948.
Negli ultimi due secoli, quindi si è affermato che l’istruzione femminile è un diritto alla donna in
quanto tale, e in quanto essere umano pari e uguale all’uomo. In particolare, il diritto all’istruzione
è stato definito un Empowerment right: ciò significa che, se garantito, esso aumenta la
consapevolezza dell’individuo, lo rende capace di avere un maggiore controllo sulla propria vita e
di reclamare il rispetto delle proprie necessità di fronte allo Stato. Dunque tale diritto tutela non solo
se stesso ma anche altri diritti, soprattutto quelli civili e politici. Negare il diritto all’istruzione
significa perciò negare non solo l’accesso alle conoscenze ma anche la possibilità di avere un
pensiero autonomo, libertà di giudizio, indipendenza economica.
Questo volume si pone soprattutto come un testo divulgativo e in un certo senso anche didattico,
allo scopo di mantenere viva la consapevolezza dell’esistenza di un pregiudizio secolare nei
confronti delle capacità intellettive delle donne. Alessia Lirosi, sostiene che si fa presto a
dimenticare e che le conquiste ottenute, nella nostra società così avanzata, possono correre il rischio
di risultare fragili e contestabili se non vengono solidamente fondate sulla consapevolezza del lungo
e faticoso percorso che è servito per conseguirle. Un percorso fatto di lotte e rivendicazioni, che in
alcuni paesi è ancora in corso con conseguenze brutali, come nel caso di Malala.
I° capitolo. DAL XVI SECOLO AL XVIII TRA ITALIA, EUROPA E STATI UNITI.
1. A casa o in monastero.
Come abbiamo detto pocanzi, per vari secoli in Europa, e in alcune regioni del mondo ancora oggi,
l’istruzione femminile è stata considerata inutile o pericolosa perciò essa era circoscritta a
un’educazione limitata all’apprendimento di dogmi, precetti e valori religiosi e legata al ruolo
assegnato alla donna da parte della società, ovvero quello di essere madri e spose. Fin dai tempi più
antichi l’educazione delle bambine dipese
dall’imitazione del comportamento di altre donne, fossero esse donne di casa, madri o monache. Si
parla di <<pedagogia o didattica del gesto>>.
I luoghi primari dell’educazione delle fanciulle furono la famiglia, soprattutto quella aristocratica, e
il monastero.
-- Nelle case povere le ragazze ricevevano un addestramento finalizzato allo svolgimento di lavori
domestici, artigianali o contadini. La scelta di un precettore in una casa patrizia dipendeva dalla
sensibilità dei genitori più o meno illuminati.
-- In alternativa la fanciulla veniva mandata come educanda in un monastero. Nei monasteri veniva
espressamente richiesta la capacità di lettura, le suore infatti dovevano dedicarsi completamente alla
preghiera, leggere i libri liturgici e recitare l’Officio divino. Un minimo di alfabetizzazione operava
per selezionare gli ingressi nei chiostri. Le educande dovevano pagare una retta mensile piuttosto
consistente, dovevano vestire modestamente e seguire la legge della clausura, una volta entrate in
monastero non ne uscivano più fino al momento in cui erano destinate a prendere marito o a
monacarsi. La retta doveva essere pagata in contanti e anticipatamente, tutto ciò ci conferma che gli
educandati monastici erano rivolti a una categoria sociale più ricca. Poiché le bambine potavano
rappresentare un fattore di distrazione per le monache, erano tenute a vivere in una parte separata
del monastero, con le stanze e i dormitori a sé stanti, sotto la guida di una sola religiosa.
Per quanto concerne il tipo di educazione che la maestra doveva impartire, si trattava della dottrina
cristiana. insegnato a leggere, a scrivere, musica, canto, il ricamo … Emerge un tipo di educazione
adatta a ceti elevati della società. Importante era infondere alle fanciulle umiltà, pudore e modestia.
La dottrina cristiana era ritenuta importante non solo per le ragazze destinate a farsi religiose ma
anche a coloro che erano indirizzate al matrimonio, infatti, una volta sposate avrebbero impartito i
principi e i valori ai propri figli, preparandoli a essere buoni cristiani.
Iniziò a emergere in Europa un nuovo interesse per l’infanzia vennero perciò avviate una sere di
iniziative mirate all’istruzione morale di
fanciulli e fanciulle. Vennero create istituti specifici destinati a custodire sia ragazze sia le bambine
per nutrirle, educarle: i CONSERVATORI, diretti sempre da monache di clausura. Si distinsero
dai monasteri perché, mentre quest’ultimi erano dediti alla preghiera e alla vita contemplativa, i
conservatori erano destinati ad accogliere e ad assistere. Le educande dei conservatori provenivano
da strati sociali poveri o marginali, non pagavano rette in quanto i costi del loro mantenimento
erano sostenuti dal sistema della beneficenza cittadina.
Nacquero scuole laiche come quella delle orsoline, creata da Angela Merici, la fondatrice aveva
fondato la sua Compagnia di sant’Orsola come una congregazione di donne laiche dedite
all’apostolato attivo nella società e all’istruzione di bambine.
Nasce, anche, un convitto romano del Bambino Gesù, fondato da anna Moroni, prevedeva
l’insegnamento della catechismo.
Prese corpo anche l’azione delle Maestre Pie, per iniziativa di Rosa Venerini, la quale si dedicò
all’educazione femminile aprendo alcune scuola per le fanciulle popolane.
In queste scuole si insegnava a leggere e a scrivere, non mancavano lavori come il cucito; lo scopo
non era quello di garantire una formazione professionale ma quanto quello di plasmare future madri
di famiglia, incaricate di cristianizzare i figli.
L’alfabetizzazione femminile conobbe un periodo di recupero tra il 1500 e il 1700, essa fu maggiore
tra le donne di ceti superiori e minore tra le contadine delle regioni meridionali.
In questo periodo vi furono vari opinioni sull’educazione delle donne. Molti ribadivano la
concezione della famiglia patriarcale , dove la donna era istruita nell’economia domestica ma
tenuta lontana dai libri, si aveva una visione della donna come sposa. Come ad esempio, Locke, il
quale ammetteva che la donna doveva rimanere sottomessa al marito.
Altri invece, come Comenio erano sostenitori dell’apprendimento continuo nel corso della vita e
dell’ideale pansofico, vale a dire
dell’insegnamento di <<tutto a tutti>>. In altri casi si proponeva alle donne che desiderassero
l’istruzione, di sottrarsi alle limitazione domestiche e di riunirsi per lo studio in completa
autonomia. -- Molte donne, quindi, che aspiravano coltivare la propria cultura si sentivano poste di
fronte a una scelta, quella di rinunciare al matrimonio nel caso in cui volevano continuare la propria
passione oppure di quella di rinunciare a questa e sposarsi.
La necessità di fornire un qualche tipo di insegnamento alla donna venne considerato un problema
etico, religioso e di costume piuttosto che pedagogico.
4. Il dibattito settecentesco.
Le speranze di miglioramento sociale e morale si legarono sempre più all’istruzione, crebbe tra gli
illuministi il riconoscimento dell’alfabetizzazione come fondamento dell’istruzione e una maggiore
convinzione che l’infanzia costituiva una fase critica del processo di sviluppo del bambino, il quale
divenne soggetto di cura e attenzione. Questa nuova visione dell’infanzia comportò delle
implicazione sul piano pedagogico stimolando l’interesse di un istruzione in senso generale.
Gli illuministi sostenevano di espellere la visione religiosa e introdurre una visione più laica: l’idea
di fondo era quella di formare individui <<utili>> alla società .
--Si aprì una vivace discussione attraverso la pubblicazione di vari libri, tra cui l’autrice ricorda
“L’Emile” di Rousseau.
Un manuale dove R. sosteneva che l’uomo nasce buono e il male era scaturito dalla corruzione del
mondo. Il bambino, dunque, andava
allontanato dalla città e portato in campagna: qui non doveva ricevere una vera e propria educazione
ma doveva essere lasciato libero di
sviluppare le proprie facoltà. Anche per Rousseau però, l’educazione delle bambine manteneva
contenuti e scopi diversi rispetto a quella dei ragazzi. Secondo R. la donna era nata debole e
dipendeva dal maschio,
l’unica cosa che la rendeva una vera cittadine era il matrimonio e la cura per la propria famiglia.
In risposta all’opera di “L’Emilio” viene redatta un’opera da parte di Madame d’Epinay, amica di
Rousseau. Nell’opera la signora aristocratica rifiutava di identificare come unico ruolo legittimo per
la donna quello biologico. Ella reclamava una formazione educativa che non avesse come scopo
esclusivo la vita familiare e rivendicava: l’uguaglianza intellettuale tra i sessi e il diritto delle donne
a studiare sia materie umanistiche che scientifiche.
“ Non ci si deve istruire per sembrare istruiti agli altri, ma per se stessi; l’istruzione serve per
rendere bella la vita, è una grande risorsa contro la noia (…) è un bene che nessuno vi potrà
togliere, che vi affrancherà dalla dipendenza degli altri (…) Anzi, saranno gli altri a dipendere da
voi, poiché più si ha del talento e dell’intelligenza, più si diventa utili per la società. […] pag. 31
La prima donna laureata al mondo fu Lucrezia Cornaro, proveniente però da una prestigiosa
famiglia. Molte altre donne riuscirono a laurearsi ma solo perché furono mogli o figlie di uomini
illuminati. Per alimentare la coscienza delle donne si svilupparono anche giornali femminili o
almanacchi.
Una seconda enunciazione si ebbe con la Rivoluzione francese; l’Assemblea Nazionale Costituente
adottò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, (1789) essa promulgava
l’uguaglianza universale, riconosceva alcune libertà come quella di espressione e di opinione.
Tuttavia, però, non sembrava affatto comprendere il gentil sesso.
La dimenticanza dei diritti delle donne nelle Carte portò la scrittrice Olympe Gouges a pubblicare la
dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Il testo riprendeva gli articoli della
dichiarazione del 1789 declinandoli però al femminile. Anch’ella, però, non prescriveva nulla
riguardo al diritto all’istruzione.
Tra gli italiani che si batterono per la difesa dei diritti delle donne, l’autrice A. Lirosi ricorda Rosa
Califronia la quale pubblicò un libretto dedicato alla questione dell’istruzione femminile; Carolina
Lattanzi che pubblicò “la schiavitù delle donne” , ella si concentrava soprattutto sul fattore
religioso, in cui individuava uno dei principali elementi che favorivano la condizione di soggezione
delle donne e che andavano rimossi; proprio per questo poi il libretto fu inserito nell’Indice dei libri
proibiti.
1. Istruzione e conformismo
Sebbene ormai per le donne si invocasse un’educazione che fosse meno frivola, tuttavia essa
rimaneva differenziata da quella maschile perché diversi continuavano a essere i ruoli “di natura” di
maschio e femmina, quello di quest’ultima restava il ruolo della madre.
Tra le più gravi limitazioni previste per le donne vi fu ilo mancato riconoscimento del diritto di
partecipare al governo della nazione, di votare e di essere votate. Per tale motivo si andarono
affermando il movimento delle suffragette.
A livello mondiale, l’atto di nascita di un movimento femminista è stato individuato in una
conferenza che si riunì negli Stati Uniti nel 1848, si
trattò della prima riunione tutta al femminile per discutere delle condizioni delle donne e di
rivendicare eguaglianza e diritti civili e politici.
La Nuova Zelanda fu il primo stato ad estendere il diritto di voto anche alle donne. Invece, per altri
Stati come l’Australia, Norvegia, Finlandia, si dovette aspettare i primi decenni del Novecento
perché il suffragio femminile venisse concesso in Stati; in altri ancora, come Francia e Italia, si
aspettò il 1946 e la fine della seconda guerra mondiale.
Nel XIX secolo, oltre all’insegnamento materno e a quello di istitutrici domestiche, si crearono
istituti alternativi agli educandati monastici, dove le fanciulle poterono istruirsi.
Si aprirono piccole case di educazione a Napoli e a Milano; istituzione laiche da parte dello Stato.
Interessanti furono le esperienze di “mutuo insegnamento” nelle scuole primarie per poveri e
popolani: i maestri insegnavano al gruppo dei più capaci che a loro volta impartivano gli
insegnamenti agli altri allievi.
Il governo italiano incoraggiò l’alfabetizzazione, anche alle donne, presentandola come un bene per
la Nazione. Venne emanata la Legge Casati, essa disponeva l’istruzione elementare per quattro
anni, di cui due obbligatori. (sia maschi che femmine, ma in classi separati).
Per le donne l’istruzione di base rimaneva diversa. Nelle scuole per le ragazze del popolo,
l’insegnamento continuò a consistere nel lavoro manuale. Nelle classi medio - alte, invece, si
diffuse un’istruzione moderata orientata verso una conoscenza di tutto ciò che nella vita serviva a
promuovere felicità, benessere e buon nome della famiglia.
Le famiglie medio - alte continuavano a scegliere, per le figlie, in convento e gli istituti religiosi.
Tuttavia però le classi rimasero separate per maschi e per femmine. Il salto verso la coeducazione
fu compiuto dalle fanciulle delle classi borghesi. La borghesia, pur di non mescolarsi come classe
con i ceti minori, preferì superare il pregiudizio sessista.
In linea generale, in Italia il tasso di analfabetismo scese di molto; le donne furono finalmente
ammesse anche ai corsi universitari.
Nonostante la costruzione delle scuole femminili, le varie lotte, l’esaltazione della funzione
femminile della maternità trionfò ancora una volta nel periodo del Fascismo. Questa visione si
precisò nella visione della donna – massaia prolifica, contrapposta all’uomo soldato. Per il regime
fascista la donna italiana doveva possedere forme generose , avere ampi fianchi ed essere forte e
robusta per divenire una vera madre e una buona compagna, nonostante in quel periodo, in Europa e
negli Stati Uniti, trionfavano altri modelli femminili che influenzavano le italiane. Ma, quest’ultime,
avevano il compito di mettere al mondo i futuri soldati, e per nascere sani era necessario curare
anche la salute della madre attraverso l’esercizio fisico. Si incoraggiò quindi lo sport, che divenne
poi materia obbligatoria nelle scuole.
Mussolini, però, si trovò, di fronte a un forte arresto della natalità italiana, dunque egli fissò
definitivamente la donna nel cerchio di sposa e madre, elevando la maternità a dovere nazionale e
il matrimonio come obbligo sociale. In questo contesto, la scuola riceveva il compito di preparare
l’alunna ad essere sottomessa all’uomo, addestrata a ogni cura domestica, all’allevamento e
all’educazione dei figli. Si tentò di attuare un modello di <<pedagogia differenziale>>.
Tuttavia con l’avvento del Fascismo qualcosa era cambiato. Il mondo era stato travolto dalla Prima
guerra mondiale, nel corso della quale le donne si erano ritrovate a sostituirsi agli uomini nelle
decisioni familiari e nel lavoro. Come scrive la scrittrice, il lento processo di emancipazione
femminile, che si era sviluppato alla fine del XIX secolo, con la guerra subì un’accelerazione,
sebbene non in tutti i paesi riuscisse a segnare una svolta. Nel 1923, il ministro dell’istruzione
Giovanni Gentile emanò una legge che regolò il sistema scolastico per alcuni decenni. Egli elevò
l’obbligo scolastico a quattordici anni, creò il liceo scientifico e impose l’insegnamento della
religione cattolica.
Il diritto all’istruzione oggi viene inserito tra i “diritti sociali”. Attraverso il loro riconoscimento
sono emersi, accanto alla figura dell’uomo, nuovi personaggi, prima sconosciuti: la donna e il
bambino, l’anziano e il molto anziano …
Le radice storiche della tutela del minore possono essere collocate in conseguenza della rivoluzione
industriale e degli abusi nello sfruttamento del lavoro, si sentì il bisogno di riconoscere uno status
particolare ai bambini, al fine di proteggerli. Tra le più importanti figure, ricordate nel libro, che
anticiparono la questione dell’infanzia sono Maria Montessori, e un intellettuale svedese Ellen Key.
Nel 1919 sorse un’organizzazione con sede a Ginevra, la principale promotrice fu una dama della
Croce Rossa, che ne era rimasta molto colpita dalle sofferenze inflitte ai bambini durante la prima
guerra mondiale. Ella, allora, stilò una Carta dei Diritti del Bambino, questa carta riconosceva
finalmente i bambini, maschi e femmine, destinatari dei propri diritti.
Nel 1924, l’Assemblea Generale della Lega delle nazioni fece proprio il testo con il nome di
Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo. Si trattava di un documento breve ma
fondamentale: era il primo documento preciso sui diritti dell’infanzia. È interessante rilevare che il
testo, oltre ai diritti, sottolineava i “doveri” richiesti agli uomini e alle donne di tutelare i fanciulli.
Principi che si concentravano sulla difesa della vita, della salute e del benessere dei più piccoli. Ma
nessuno di questi affermava il diritto all’istruzione, ciononostante affermava che il bambino doveva
essere dotato dei mezzi necessari per il suo sviluppo sia materiale che spirituale, e andava cresciuto
consapevole che le sue qualità e i suoi talenti dovevano essere messi al servizio dell’umanità.
Il documento venne impostato come un vero e proprio elenco dei diritti. Nella votazione finale dei
cinquatotto paesi, che facevano parte delle Nazioni Unite, quarantotto approvarono la
Dichiarazione, otto si astennero e due non parteciparono al voto. Anche la Santa Sede mantenne un
atteggiamento di riserva verso il documento a causa degli articoli che menzionavano il diritto
all’aborto e al divorzio.
Nel documento sono elencati diritti classici come quello alla vita, alla libertà …, l’articolo 21 quelli
politici, i successivi menzionano i diritti economici, sociali e culturali. Il diritto all’istruzione è
affrontato nell’articolo 26 e afferma che ogni individuo, maschio o femmina che sia, ha diritto
all’istruzione ed essa deve essere obbligatoria e gratuita.
Ancora più spazi ai doveri dell’individuo venne dato dalla Carta africana dei diritti umani e dei
popoli o Carta di Banjul. Questo documento non è una semplici dichiarazione ma ha una natura
pattizia e di conseguenza le sue norme hanno un valore giuridico obbligatorio. La cultura africana
era basata sull’idea che un uomo prima di essere considerato come individuo,
è riconosciuto socialmente come membro di una tribù. Questo è evidente anche nell’articolo 17
dedicato al diritto all’istruzione.
Importanza alla dimensione collettiva dei diritti viene data anche dall’Asia, la scrittrice parla,
infatti, di “valori asiatici” che metterebbero al di sopra di tutto lo sviluppo economico, fino al
raggiungimento del quale i diritti dell’individuo potrebbero essere sospesi. Nel 1993, in Asia, venne
adottata la Dichiarazione di Bangkok che enfatizzava i principi di sovranità statale, di
autodeterminazione dei popoli e rivendicava la proprietà dello sviluppo economico e sociale, della
lotta contro la povertà e della liberazione dei paesi del terzo mondo dall’indebitamento con l’estero.
Facendo riferimento al mondo arabo, venne adottata nel 2004 la Carta araba sui diritti umani o
Nuova Carta Araba. Prevedeva il diritto a un’istruzione gratuita, obbligatoria e accessibile a tutti.
Gli stati inoltre devono adoperarsi per far sì che essa promuova lo sviluppo dell’individuo e il
rispetto dei diritti umani. Infine raccomanda al governo di riconoscere al bambino il diritto di essere
protetto da qualsiasi lavoro che possa interferire con la sua educazione. Riconosce anche il principio
di non discriminazione, l’uguaglianza dei sessi e afferma che uomini e donne hanno pari dignità e
medesimi diritti e doveri.
Venne adottata nel 1960 dall’ UNESCO; con il termine discriminazione si intende ogni distinzione,
esclusione, limitazione o preferenza che sia basata sul sesso, razza, il colore, la lingua, l’opinione
politica, la
condizione economica o qualunque opinione che abbia come intento quello di annullare o rendere
impari la qualità nell’istruzione.
Questa convenzione ribadisce, anche, che l’istruzione deve mirare al pieno sviluppo della
personalità umana e al rispetto dei diritti umani e deve favorire la comprensione, la tolleranza e
l’amicizia tra le nazioni e tutti i gruppi razziali e religiosi.
Venne adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il trattato riconosce che i diritti in
esso contenuti fanno capo a tutti gli esseri umani. Ma sottolinea, anche, il diritto ai popoli di
autodeterminarsi e a godere delle proprie risorse, afferma che ogni persona ha dei doveri verso gli
altri e verso la collettività alla quale appartiene.
Il documento inoltre condanna il lavoro minorile e si impone agli stati di fissare un limite di età al
di sotto del quale il lavoro di manodopera infantile è vietato e punito dalla legge.
Essa venne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu un esempio di specificazione
dei diritti e per la prima volta affrontava i problemi della discriminazione femminile. Ad oggi,
risulta firmata ma non ratificata dai paesi come l’Iran, la Somalia, il Sudan. Questo documento
condanna le discriminazioni basate sul sesso, queste vìolano i principi di uguaglianza, ostacolano la
partecipazione delle donne alla vita politica, sociale, economica e culturale. Il testo individua le
cause delle discriminazioni in motivi culturali, invita perciò gli Stati a intraprendere
azione adeguate per educare l’opinione pubblica al rispetto dei diritti delle donne, al fine di
assicurare loro gli stessi diritti degli uomini.
L’idea che sta alla base consiste nel riconoscere che il benessere dei più piccoli non dipende
soltanto dalle risposte alle loro necessità di base, ma anche dalla protezione dei loro diritti in quanto
soggetti di tutela civile, sociale e culturale proprio come gli adulti. Secondo la Convenzione, sono
‘bambini’ gli individui di età inferiore ai diciotto anni, il cui interesse superiore deve essere tenuto
nella massima considerazione in ogni circostanza.
Ogni bambino e bambina ha il diritto di essere registrato dopo la nascita e di avere un nome, una
nazionalità … I fanciulli appartenenti alle minoranze etniche, religiose o linguistiche diverse hanno
poi il diritto di avere una propria vita culturale, di professare la propria religione e di far uso della
propria lingua.
Uno dei principi fondamentali di questo trattato è rappresentato dal rispetto e dalla considerazione
per le opinioni dei bambini.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è articolato in una decina di istituzioni. La scrittrice,
Lirosi, ne ricorda alcune più importanti. Tra cui:
• UNESCO, Agenzia delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. L’UNESCO
promuove la collaborazione tra le nazioni attraverso l’educazione, l’istruzione, la scienza,m la
cultura e la comunicazione allo scopo di aumentare il rispetto universale per i diritti umani.
• UNIFEM ossia Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo delle Donne, fu creato nel 1976 con lo
scopo di promuovere il rispetto dei diritti delle donne in tutto il mondo. Il Fondo si impegnava a
rafforzare la capacità economica delle donne, favorire la partecipazione ai processi decisionali,
eliminare ogni forma di violenza nei loro confronti. Inoltre, esortava gli Stati a inserire la questione
dei diritti femminili nei loro ordinamenti giuridici e in tutti i loro programmi e politiche di sviluppo,
e garantiva a essi il supporto tecnico necessario.
• UNICEF è il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. Venne istituito dall’ONU nel 1946 come
fondo temporaneo per portare cibo, farmaci, vestiti e assistenza ai bambini che vivevano in
un’Europa devastata dalla Seconda Guerra Mondiale. Nel 1953 lo scopo, che inizialmente
riguardava solo i bambini europei, venne allargato a tutti i bambini del mondo, ricevendo anche nel
1965 il Premio Nobel per la pace