03 - Biomarcatori Enzimatici

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Biomarcatori Enzimatici

Biomarcatori Enzimatici

I dosaggi enzimatici utilizzati a scopo diagnostico sono circa 20 ad uso


routinario e rappresentano nell’insieme il 30% del carico di lavoro dei
laboratori
I-Ossidoreduttasi; II-Transferasi; III-Idrolasi; IV-Liasi; V-Isomerasi; VI-
Ligasi
Misura degli enzimi

Possono essere dosati su diversi liquidi fisiologici (plasma o siero, saliva, urine
feci, lacrime, succhi intestinali, essudati, trasudati)

Contesti diagnostici:
1. Valutazione dell’attività di produzione dell’enzima (enzimopatie)
2. Valutazione della quantità di enzima dismesso dalle cellule per
iperproduzione o danno cellulare

Collocazione degli enzimi: citosolica, mitocondriale, nucleare, organelli


intracitoplasmatici, membrane cellulari.

Il quadro enzimatico di una cellula dipende dalle funzioni che essa svolge ed è
dunque caratteristico del tipo di cellula e di tessuto. Inoltre la concentrazione
intracellulare di specifici enzimi è migliaia di volte superiore rispetto all’ECF.
Questi due elementi sono alla base dell’enzimologia diagnostica, in quanto il
riconoscimento nel sangue di un aumento degli enzimi tipicamente presenti in
determinati tessuti indirizza il sospetto verso un tipo di patologia.
L’utilizzazione clinica dei dosaggi enzimatici si basa
quindi:

1. Sulle differenze nella concentrazione di enzimi


che si osservano nei vari tessuti;
2. Sulla localizzazione intracellulare degli stessi;
3. Sulla presenza di isoenzimi o isoforme specifiche
per determinati tessuti o cellule
La misura degli enzimi non avviene solitamente in termini di massa, ma di
attività
Si misura la quantità di substrato che l’enzima contenuto nel campione da
analizzare trasforma nel prodotto per unità di tempo.

Vantaggi in termini di praticità e di costo.


Svantaggi:
1. La misura dell’attività si correla ovviamente alla sola quantità di enzima
attivo; nessuna indicazione sulla quantità di enzima prodotto e di eventuali
frazioni inattive;
2. La misurazione della frazione attiva non tiene conto delle situazioni
ambientali capaci di modificare l’attività enzimatica (inibitori o
potenziatori dell’enzima, condizioni della reazione….);
3. In rare circostanze nella sequenza di reazioni utilizzate per il dosaggio
dell’enzima si possono verificare delle interferenze dovute a presenza di altri
enzimi a concentrazione anomala
Misurazione dell’enzima in termini di
attività
Sito attivo determina l’attività degli enzimi: sito di legame e sito catalitico

Alcuni enzimi sono composti unicamente da aminoacidi: oloproteine.


Altri enzimi, oltre alla parte proteica (apoenzima) necessitano di
cofattori:
• Coenzimi: non fanno parte integrante della struttura enzimatica
(NADH o NADPH, vitamine..)
• Gruppi prostetici: stabilmente legati all’enzima: FAD o gruppo eme;
• Cofattori metallici: ioni metallici che attivano la reazione

Tutte le reazioni chimiche catalizzate dagli enzimi avvengono ad una velocità definita,
caratteristica dell’enzima a determinate condizioni.
La velocità di una reazione chimica può essere definita come la variazione nella
concentrazione del prodotto nell’unità i tempo. La cinetica enzimatica studia in
particolare la velocità delle reazioni chimiche.
Attività dell’enzima dipende dalla temperatura, pH della
soluzione e dalla concentrazione del substrato

Ordine zero condizioni ideali per eseguire la misurazione dell’attività enzimatica


Sistema indicatore
Misurazione degli enzimi in termini di
massa
Gli enzimi possono essere dosati in maniera diretta attraverso saggi immunometrici

Utilizzo di anticorpi che riconoscono specifici siti antigenici tipici


dell’enzima
Abbiamo indicazione di quanti siti attivi sono presenti, ma non quanti siano
quelli realmente operanti
ISOENZIMI e ISOFORME

LDH CK AST ALT


Fattori che condizionano
l’utilità diagnostica

1. La validità (sensibilità e specificità), ovvero la corrispondenza tra la


modificazione della concentrazione plasmatica ed un determinato evento
patologico;
2. La proporzionalità tra entità della lesione tessutale ed incremento dell’attività
enzimatica nel sangue;
3. La persistenza dell’ incremento per un periodo di tempo sufficiente a
consentirne l’identificazione;
4. La disponibilità di metodi accurati, precisi e di costo contenuto

La presenza nelle cellule dell’organo di quantità di determinati enzimi molto


superiori a quelle presenti nel sangue e/o di un pattern enzimatico o di isoenzimi
specifici costituisce la base logica per la definizione di quadri enzimatici d’organo.
Gli enzimi in molti casi (fegato, miocardio, prostata, osso) costituiscono dei
marcatori di lesione estremamente sensibili e specifici.
Molti enzimi sono ubiquitari, altri sono presenti solo in specifici tessuti
Fattori discriminanti
Un primo fattore discriminante in termini di specificità è la diffusione
dell’enzima: un aumento della LDH può essere ascritto ad un danno muscolare,
epatico, a patologie ematologiche e linfonodali. Per contro un’alterazione della
colinesterasi o della lipasi possono essere segno di patologia dei soli organi in cui
queste attività enzimatiche sono rilevabili, e quindi fegato e pancreas,
rispettivamente.
Un fattore discriminante in termini di sensibilità è la massa del tessuto o
dell’organo danneggiato assieme al gradiente tra concentrazione intracellulare ed
extracellulare:
AST gradiente epatocita/sangue 7000:1, massa cellule epatiche 1000g, una cellula
distrutta su 750 può comportare un significativo aumento dell’enzima nel plasma
ACP gradiente cellula prostatica/sangue 1000:1, massa cellule prostatiche 20g, una
cellula distrutta su 75 può comportare un significativo aumento dell’enzima nel
plasma
Poiché la massa della prostata è 50 volte inferiore rispetto al fegato, si deve
verificare un danno ben più grave ed esteso per avere un significativo
movimento enzimatico
Sul fattore sensibilità è estremamente importante l’emivita dell’enzima nel sangue,
vedi isocitratodeidrogenasi cardiaca (elevato gradiente miocardio/plasma, emivita
brevissima nel sangue)
Fattori discriminanti
Un fattore discriminante in termini di gravità della lesione è la localizzazione
intracellulare degli enzimi:
gli enzimi adesi alla membrana cellulare possono essere rilasciati a seguito di un
danno leggero e transitorio;
gli enzimi presenti nel citoplasma vengono rilasciati nell’ ECF in seguito a diversi
fattori patologici, comunque facilmente recuperabili;
gli enzimi presenti negli organelli, in particolare mitocondri, vengono rilasciati in
seguito necrosi cellulare.

In alcuni casi l’enzima presente nel citosol e nell’organello sono due isoenzimi e
dal relativo momento della comparsa si possono fare valutazioni sul decorso della
malattia.
TRANSAMINASI
Catalizzano il trasferimento di gruppi aminici tra aminoacidi ed α-chetoacidi

Enzimi ampiamente diffusi in tutti i tessuti:


Alanina aminotransferasi
Aspartato aminotransferasi Transaminasi glutammico-piruvica (GPT
Transaminasi glutammico-ossalacetica
(GOT)

AST dimero costituito da due monomeri identici ed è presente nelle cellule in una
forma mitocondriale m-AST ed una forma citosolica c-AST

Coniugata con
immunoglobuline
TRANSAMINASI
ALT 8/20 U/L
Valori di riferimento
AST 10/30 U/L

Più elevate nei maschi

Variazione giorno per giorno 10-30% ALT, con un significativo ritmo circadiano +
45% pomeriggio. Variazione AST 5-10%

Per AST (in misura minore per ALT) esiste una correlazione con l’indice di massa
corporea. Per valori elevati di massa corporea si ha un incremento del 40-50%.

L’esercizio vigoroso determina un incremento più significativo negli uomini con un


incremento del 300% per AST e del 50% per ALT.

L’emolisi del prelievo può determinare un incremento dell’AST maggiore dell’ALT.

Valori stabili per 24h (RT) e fino a 3 settimane a 4°C


TRANSAMINASI
TRANSAMINASI
Indice di De Ritis

AST/ALT <1 in condizioni fisiologiche o di lieve danno


TRANSAMINASI
AST Miopatie – infarto miocardio Indice di De Ritis >1
Aumento entro le 8 ore, con valori di picco entro le 24 h; la concentrazione
correla con l’entità del danno.
Infarti medio piccoli incremento di 4-5 volte; infarti gravi con prognosi
sfavorevole incrementi di oltre 10 volte.
I valori di ALT sono alti ma in maniere invariabilmente meno significativa

AST Avvelenamento da funghi (amanita falloide)

Aumenti di AST nelle distrofie muscolari progressive, dermatomiositi,


pancreatiti acute, malattie emolitiche , neoplasie (valori incrementati di 2-3
volte)
L’incremento dei valori di AST nel liquor è correlato con accidenti cerebrovascolari.
AST Epatite acuta (Forma necrotica)

ALT Epatite virale (200 volte), epatite cronica (20-25 volte) e cirrosi

ALT è considerato un enzima più specifico per il fegato


Creatina Chinasi - CK
La creatina chinasi catalizza la fosforilazione reversibile della creatina da parte
dell’ATP

Enzima con struttura dimerica – 2 sub unità di circa 40000 Dalton


identificate con la lettera B (Brain) e M (Muscle), prodotti da due loci genici
differenti nei cromosomi 14 e 19.
Sono quindi possibili tre combinazioni dimeriche: BB, BM e MM, definite
anche in base alla mobilità elettroforetica CK-1, CK2 e CK-3
Creatina Chinasi - CK
Creatina Chinasi - CK

Adulto Maschio 38-174 u/l


Valori di riferimento
Adulto Femmina 26-140 u/l
Normale <10 u/l
CK-MB Borderline 10-25 u/l
Infarto Mioc. > 25 u/l

La CK è elevata nel siero entro le 3-6 ore dall’insorgenza del dolore stenocardico per
raggiungere il valore picco entro le 18-30 ore , e ritornare sui valori normali entro il
3°/4° giorno.
Per escludere la possibilità di incrementi della CK di origine non miocardica (traumi,
iniezioni intramuscolari…) , viene comunemente dosato l’isozima CK-MB, che dove
aumentato, accerta la diagnosi di infarto.
Solitamente si eseguono tre determinazioni, all’accettazione e dopo 12 e 24 ore
Lattico Deidrogenasi - LDH
Catalizza l’ossidazione da lattato a piruvato
Enzima con peso molecolare di 134000 dalton, con struttura tetramerica costituita da
4 catene peptidiche di due tipi: H ed M.
I due peptidi sono sotto il controllo genico di due loci differenti situati
rispettivamente nel cromosoma 12 e 11. Di conseguenza sono presenti nel sangue e
nei tessuti 5 diversi isoenzimi della LDH con le seguenti strutture tetrameriche:

LD-1 HHHH
LD-2 HHHM
LD-3 HHMM
LD-4 HMMM
LD-5 MMMM

ENZIMA CITOPLASMATICO; non è legato ad organelli subcellulari


Lattico Deidrogenasi - LDH
Lattico Deidrogenasi - LDH

La ubiquitarietà della LDH lo rende un marker poco specifico, per cui la sua
determinazione viene associata a CK ed AST.
Malattia cardiaca e muscolare: nell’infarto miocardico si ha un incremento 8-12 ore
dopo la manifestazione del dolore stenocardico e raggiunge il picco dopo 24-48 ore.
Aumenti consistenti (3/4 volte). Fenomeno del flipped ratio. Aumenti più contenuti si
hanno nella miocardite ed insufficienza cardiaca congestizia. Incremento della forma
LD5 nella distrofia muscolare (nella fase di atrofia muscolare avanzata si ha un ritorno ai
valori normali)
Incrementi si possono avere nelle epatiti tossiche itteriche (X10 principalmente a
carico della LD5) e nelle malattie ematologiche.
Fosfatasi alcalina - ALP
Si tratta di un gruppo di enzimi differenti, codificati da geni differenti:
Gene nel cromosoma 1: codifica la forma tissutale + abbondante presente nel
fegato, rene ed osso;
Geni del cromosoma 2: codificano per ALP placentare, intestinale

Nel siero degli adulti sono principalmente ALP di origine osteoblastica ed epatica
per circa la metà ciascuna, con piccole percentuali di ALP di origine intestinale.

Nelle fasi di accrescimento è preponderante l’enzima di origine ossea.


In gravidanza si ha un incremento di 2-3 volte a causa dell’aumento dell’isoenzima
placentare
Il tabagismo determina un incremento del 10%, i contraccettivi orali provocano una
riduzione del 20%.
Dosaggio isoenzimi rappresenta un buon test per patologie epatiche ed ossee.
Fosfatasi alcalina - ALP
Fosfatasi Acida - ACP

Gruppo di isoenzimi (circa 20) diffusi in numerose cellule e tessuti, che possono
essere classificati in 5 frazioni elettroforetiche distinte, presenti in maniera
differenziata nei diversi tessuti:

Banda 1 prostata
Banda 2 granulociti
Banda 3 piastrine, eritrociti, monociti
Banda 4 granulociti
Banda 5 osteoclasti

La prostata ed il liquido seminale contengono 100 U/L di enzima, ovvero circa un


milione di volte più concentrato che nel siero, da ciò deriva l’importanza del dosaggio
della fosfatasi acida prostatica (PCP) nella diagnosi delle neoplasie prostatiche. Viene
utilizzato anche nella diagnosi di malattie ossee.
I valori di riferimento dipendono dall’età e dal sesso. Alti nei bambini, si
innalzano ulteriormente nell’adolescenza per poi scendere intorno ai 20 anni su
quelli che sono i valori dell’adulto 0,1-0,8 U/L.
L’introduzione del dosaggio del PSA (antigene prostatico) ne ha ridotto il suo utilizzo.
Gamma Glutamil Transferasi - GGT
Peptidasi che catalizza l’idrolisi di peptidi in frammenti più piccoli, è
contenuto in diversi tessuti, principalmente nel rene ed in senso decrescente
ne fegato, pancreas ed intestino.
L’enzima presente nel sangue deriva principalmente dal tessuto epatico

Valori di riferimento sono variabili, per età sesso e razza. I valori nei soggetti
africani sono circa doppi rispetto alle concentrazione dei soggetti europei. Esiste
una correlazione tra valori di GGT e massa corporea. Il fumo incrementa i valori per
circa il 20%
Sebbene in seguito alla variabilità preanalitica ampia, il valore predittivo la
validità del test siano piuttosto bassi, il dosaggio delle GGT costituisce un
discreto indicatore di funzionalità epatica.
Amilasi
Gruppo di enzimi che scindono i carboidrati complessi.
Sono presenti due isoenzimi, quello di origine salivare S-amilasi e pancreatica P-
amilasi
I diversi fenotipi vanno incontro a modificazioni post-translazionali (deaminazione,
glicosilazione) che comportano la formazione di numerose isoforme.
Diagnosi di malattie pancreatiche. L’aumento delle amilasi che si ha nella
pancreatite acuta è precoce e significativo: entro 2-8 ore dall’inizio della
sintomatologia dolorosa e permane per 3-4 giorni. Il picco (x 4-6 URL) si
raggiunge entro le 72 ore
15-25% casi si hanno valori normali anche se il danno pancreatico è presente ed è
confermato da altri test di funzionalità pancreatica quale il dosaggio della lipasi.
Possibilità di misurazione dell’amilasuria che appare più sensibile e specifico per la
diagnosi di pancreatite acuta, in quanto compare in una percentuale maggiore di
soggetti malati, raggiunge valori più elevati e per più tempo

Valori di riferimento adulto: 0-140 U/L


Nei neonati valori bassi, 20% rispetto agli adulti, con valori che raggiungono i valori da
adulto entro l’anno.
Amilasi
Lipasi
La lipasi catalizza l’idrolisi dei legami esterici nei trigliceridi per produrre acidi
grassi e acilglicerolo. Viene sintetizzata dalla cellula acinare del pancreas.
Valori di riferimento piuttosto variabili in funzione del metodo utilizzato,
comunque solitamente < 130 U/L

L’aumento della lipasi nella pancreatite acuta è molto precoce e significativo:


compare entro 4-8 ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa e compare 8-14
gg. Il picco (x 2-50 URL), si raggiunge entro le 24 ore.
L’aumento della lipasi costituisce un indicatore più sensibile (> 80%) e specifico (>
60%) dell’amilasi nella diagnosi della pancreatite acuta.

Il dosaggio combinato di lipasi ed amilasi consente un’ottima sensibilità


e specificità nella diagnosi della pancreatite acuta
Usando come valore soglia un aumento 3x ha una specificità e sensibilità
prossima al 100% per la diagnosi di pancreatite alcolica acuta
Metodo Turbidimetrico: si basa sul fatto che i grassi in ambiente
acquoso creano un’emulsione
Altri enzimi

Tripsina e chimotripsina: test di funzionalità pancreatica

Colinesterasi: test di funzionalità epatica

Nucleotidasi: test di funzionalità epatica con andamento


simile a ALP

Glicogeno fosforilasi: infarto del miocardio

Aldolasi: infarto del miocardio, informazioni simili a CK


funzionalità epatica con andamento simile ad ALT
epatite virale
Integrazione di enzimi ed altre proteine come marcatore
d’organo
La possibilità di quantificare un pattern di enzimi ha consentito di utilizzare specifici
pannelli analitici per evidenziare lesioni o necrosi cellulare a carico di determinati
organi
Questo approccio è stato ulteriormente implementato con l’uso anche di marcatori di
sofferenza cellulare diversi dagli enzimi: in particolare proteine strutturali o funzionali
tipiche di determinati organi.

1.Quadro enzimatico e proteico del miocardio e del muscolo


scheletrico
2. Quadro enzimatico delle epatopatie
3. Quadro enzimatico delle pancreopatie
4. Quadro enzimatico e proteico delle malattie prostatiche
Patologia miocardica
In questi ultimi venti anni sono stati messi a punto dei pannelli diagnostici
che prevedono l’impiego integrato dei dosaggi enzimatici e di proteine
strutturali
1.Elevato gradiente di concentrazione tessuto/siero
2.Precocità nella comparsa
3.Persistenza per un periodo sufficientemente lungo da monitorare
l’andamento della malattia
4.Specificità per la patologia del miocardio

Precocissimi

Precoci

Intermedi

Tardivo
Patologia miocardica
Mioglobina, proteina contenente eme con peso molecolare 18 kD, piuttosto basso
rispetto al PM degli enzimi, così da renderne più facile la fuoriuscita dalla cellula in
caso di insulto anossico.
Ridotta semi-vita circa 4 ore ed eliminazione renale
Valori di riferimento più alti negli uomini (correlazione con la massa muscolare)

Marker precoce e sensibile (95-100%), tuttavia poco specifico per la diagnosi di IMA, in
quanto incrementi si possono riscontrare anche nei casi di trauma muscolare.

Troponine (C, I, T) marker altamente specifici che appartengono al complesso


delle proteine contrattili del miocardio. Troponina C muscolare e miocardica sono
uguali, quindi vengono utilizzate la T e la I. In modo particolare la cTnT appare
più specifica per il mocardio. La troponina T è dosabile dopo due ore dalla
comparsa del dolore e raggiunge il picco massimo entro le 18-24 ore.
Patologia miocardica
Biomarcatori epatici
Biomarcatori epatici
Biomarcatori epatici
Biomarcatori epatici
L'epatite A è una malattia altamente contagiosa che
interessa il fegato; ne è responsabile un piccolo RNA
virus, chiamato HAV (o virus dell'epatite A), che si
trasmette attraverso il consumo di alimenti e bevande
contaminate o tramite il contatto diretto con persone
infette
Il virus dell'epatite A, comune in condizioni igieniche
carenti, ha un periodo di incubazione che va dai 6 ai 50
giorni (in genere 30), al termine dei quali il paziente può
accusare febbre e malessere. Alcune persone, comunque,
possono non sviluppare alcun segno o sintomo. Nei
bambini, in particolar modo, l'evoluzione è generalmente
favorevole, mentre nei ragazzi e negli adulti può causare
manifestazioni più importanti.

Le complicazioni gravi dell'epatite A sono estremamente rare, tanto che la maggior


parte delle persone colpite va in contro ad una spontanea remissione dei sintomi
entro uno o due mesi; più raramente, la malattia può causare recidive che ne
prolungano i tempi di guarigione oltre i sei mesi.
FATTORI DI RISCHIO: promiscuità sessuale, rapporti
Biomarcatori epatici sessuali non protetti, utilizzo di droghe tramite
iniezione, presenza di altre malattie sessualmente
trasmissibili, come la clamidia o la gonorrea, esposizione
professionale a sangue umano, viaggio in Paesi in cui
l'epatite B è particolarmente diffusa, vivere con persone
infette.
Le complicanze dell'epatite B possono svilupparsi nei
portatori cronici a distanza di molti anni (30-40)
dall'infezione. Il rischio è tanto maggiore quanto più
precocemente è avvenuto il contagio.
Circa il 90% dei bambini che hanno contratto la malattia
alla nascita ed il 30%-50% di quelli che si infettano entro
i primi 5 anni di vita, diventa portatore cronico di HBV;
al contrario, solo il 5-10% delle persone che si infettano
in età adulta sviluppa un'infezione cronica di lunga
durata, dopo un breve periodo iniziale di infezione
acuta.
Tali complicanze comprendono la cirrosi epatica, il
cancro al fegato e l'insufficienza epatica.
La probabilità di morte a causa di danni epatici prodotti
nella fase precoce (epatite fulminante) si aggira intorno
all'uno per cento.
Le persone affette da epatite B sono maggiormente
esposte al rischio di infezione da parte del ceppo
virale HDV
Biomarcatori epatici
A differenza di quanto accade per l'epatite B, che in età
adulta si risolve spontaneamente nel 90-95% dei casi, solo
una piccola parte dei pazienti affetti da epatite C riesce a
guarire senza farmaci e senza accusare danni permanenti
(percentuale stimata intorno al 15%). Di conseguenza, più
di otto persone su dieci svilupperanno un'infezione cronica,
che, nella maggior parte dei casi, procederà in maniera
asintomatica per decenni. Tra questi individui, circa il 30%
svilupperà, dopo 10-30 anni (in relazione Epatite e alla
presenza o meno di altri fattori predisponenti, come
l'epatite B, l'HIV, l'alcolismo, ecc.) una grave ed irreversibile
malattia del fegato chiamata cirrosi. Anche se può risultare
pressoché asintomatica nel suo stadio iniziale, la cirrosi
predispone a malattie molto importanti, come
l'insufficienza epatica ed il tumore al fegato. L'epatite C
aumenta anche il rischio che alcune cellule del sistema
linfatico si trasformino in senso neoplastico (linfomi).
Di per sé, il virus dell'epatite C non è particolarmente infettante ed aggressivo, motivo per cui
alcune modalità di contagio, seppur possibili, sono piuttosto rare.
La maggior parte delle persone infette è stata contagiata da trasfusioni di prodotti ematici ricevute
prima del 1992, anno in cui è stato messo a punto uno screening per la ricerca del virus. Lo scambio
di aghi e siringhe infette rappresenta un'altra classica via di contagio; per questo motivo l'epatite C
è piuttosto diffusa tra i tossicodipendenti. Il rischio di trasmissione da madre a figlio durante la
gravidanza o il parto è basso, stimabile nell'ordine del 5%; aumenta se la partoriente è infetta anche
dal virus HIV ed ha una viremia elevata.

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