02.002-Pietro Tresso-Bisogna Agire (L'avanguardia 22 Novembre 1914)

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 3

Pietro Tresso

BISOGNA AGIRE1

Le nostre classi dominanti, e per esse il governo del re, pare che non vogliano tralasciare
mezzo alcuno per provocare la massa proletaria e determinarla ad uscire dalla lotta impostata
entro i quadri della legalità. Pare che in questo tenebroso e scabroso momento storico, in cui
tutto il passato sta appeso ad un filo ed in cui può, forse, una sola scintilla, provocare la cata-
strofe dell’intera società borghese, pare, diciamo, che le nostre classi dominanti provino una
specie di solletico morboso ed osceno, nell’arrischiare la propria esistenza con la provocazio-
ne della guerra civile.
Mentre, infatti, le piazze d’Italia rigurgitano di disoccupati, ‒ poveri cirenei costretti a
portare la croce per le peccata di lor signori ‒ mentre da ogni parte si elevano voci di protesta
contro l’impressionante ascesa del caro viveri e contro l’incetta delittuosa dei generi di prima
necessità che speculatori rapaci vanne esercitando, e mentre pel prossimo inverno si possono
prevedere giorni più dolorosi e più tristi e presentire più alti e più minacciosi i clamori delle

1
Pietro Tresso, «Bisogna agire», L’Avanguardia. Giornale della gioventù socialista italiana, a. VIII, n. 363,
Roma, 22 novembre 1914, [p. 1] (corsivi nell’originale). Abbiamo corretto alcuni refusi ed errori di punteggiatu-
ra. Il testo originale dell’articolo può essere consultato al seguente link:
http://digitale.alessandrina.it/visualizzatore.aspx?TipologiaTestata=1&anno=1914&ID_testata=1&ID_period
ico=1042 [N.d.r.].

1
plebi reclamanti pane e lavoro; mentre, infine, la fame e la disperazione stanno per far traboc-
care il vaso della pazienza e della rassegnazione proletaria, il governo, esponente massimo dei
più generali interessi della classe dominante, risponde con le condanne capestro agl’imputati
politici e preludia l’azione guerresca col domandare un altro mezzo miliardo per le spese mi-
litari.
Bene: benissimo. Non saremo certamente noi ad elevare, per ciò stridule esclamazioni di
sgomento e di meraviglia. Conosciamo benissimo la società borghese; ne studiammo le origi-
ni, ne analizzammo i caratteri più reconditi e manifesti; ne comprendiamo le contraddizioni.
Nata dai favori dello stato e sviluppatasi con le indeprecabili conseguenze della libera con-
correnza, essa finisce col subordinare lo stato ai suoi interessi e col creare automaticamente il
monopolio.
Assertrice dei diritti dell’uomo, crea le condizioni per rendere l’uomo alla più odiosa delle
schiavitù, quella del salariato; propugnatrice delle costruzioni e delle libertà nazionali, porta
nel suo seno la tendenza incomprimibile di violare qualsiasi nazionalità, e di spostarne conti-
nuamente la costruzione geografica e storica; negatrice delle classi, rende ogni giorno più evi-
dente l’antagonismo d’interessi che intercede fra nullatenenti e detentori dei mezzi di produ-
zione e di scambio, l’industrialismo ‒ in nome della libera concorrenza ‒ combatte la pro-
prietà fondiaria e la rendita e finisce fra le braccia dall’alta banca e del trust; desiderosa, la
borghesia, di pace per poter sviluppare le industrie ed i commerci, esprime, di continuo, dal
suo grembo la guerra; bisognosa di produrre sempre a minor costo per riuscire vittoriosa nella
lotta fra produttori, essa sperpera somme enormi in spese militari e di polizia le quali si risol-
vono, in definitiva, in un maggior costo di produzione.
Ce n’è anche di troppo! Paladina della famiglia, distrugge la famiglia; paladina della patria,
uccide le patrie; paladina della libertà e dell’umanità, sgozza di continuo, sull’altare dei propri
interessi e dei propri scopi, la libertà e l’umanità. Odiosa della casta clericale è portata nel
medesimo tempo, a favorirla come arma contro la classe operaia e vi aggiunge la casta milita-
re. Deride il diritto divino e rivendica per sé il diritto naturale ed il diritto storico e nel mede-
simo tempo li distrugge entrambi. Vuole la democrazia e la cultura, e rafforza in un tempo la
tirannide e l’ignoranza!
La commedia potrebbe continuare; potrebbe continuare perché ogni fenomeno che ci è
dato di osservare nella società attuale, non è che una contradizione, non è che la caricatura più
sboccata di se stesso.
Non meravigliamoci adunque, se il nostro governo (sic) invece di provvedere ai bisogni
più urgenti del proletariato, in un momento in cui questo tanto ne avrebbe di bisogno, si ab-
bandona sempre più per la china dell’imperialismo provocatore e megalomane. Non meravi-
gliamoci. La nostra meraviglia ci renderebbe ridicoli e ci dimostrerebbe incapaci di intendere
la vera essenza della società capitalistica, ci dimostrerebbe incapaci di dedurre, da una pre-
messa di fatto, tutte le inevitabili conseguenze. Il militarismo attuale, con le sue tendenze im-
perialistiche, con le sue velleità guerresche, coi suoi propositi sopraffattori, non è avanzo o
reversione barbarica, non è creazione artificiale ed artificiosa di imperatori o di re semicrimi-
nali, ma bensì la risultante necessaria d’una società in cui, in virtù della libera concorrenza,
ogni imprenditore o gruppo d’imprenditori, è costretto a produrre sempre di più e ad aprirsi
sempre nuovi sbocchi a’ suoi prodotti i quali non possono trovare entro i confini politici dello
stato, mercati bastanti ad assorbirli interamente. Perciò gli stati che trovano in se stessi le
condizioni del proprio sviluppo e che hanno saputo dare maggiore impulso ai propri commer-
ci ed alle proprie industrie, sono tratti fatalmente ad imporre agli stati più deboli le proprie
necessità economiche. D’altra parte gli stati più deboli, quelli cioè in cui la borghesia non ha
raggiunto la medesima potenza di irradiazione economica, sono spinti necessariamente alla
resistenza armata, anche se questa resistenza ingenera indebolimento nella loro struttura, an-
che se questa resistenza significhi la morte della borghesia nazionale come efficienza nazio-

2
nale.
In questo caso, il militarismo fisiologico dei grandi genera quello ipertrofico e patologico
dei piccoli. Siamo in altre parole di fronte ad una lotta combattuta unicamente nell’interesse
delle diverse borghesie nazionali, le quali si trovano, in un momento determinato, ad un di-
verso grado di potenza l’una dall’altra.
Così noi vediamo che in seno alla società capitalistica le disquisizioni di ragione e di torto
non hanno ragione d’esistere. Tutte le borghesie, quando cercano di sopraffarsi a vicenda,
hanno ragione, eppure, hanno torto.
È chiaro, che se noialtri appartenessimo all’inetta schiera dei filantropi e degli umanitari i
quali, per la pace della propria coscienza e per disgrazia di tutti, pretendono, con le loro blate-
razioni sentimentali, cerottare il mondo, è chiaro dico che se noi appartenessimo a cotesta
schiera, dovremmo logicamente parteggiare per la borghesia più avanzata la quale offre al
proletariato un maggiore benessere e dovremmo logicamente rimettere, con evidente contra-
dizione, sul tappeto della discussione quali delle borghesie in lotta abbiano più ragione e quali
abbiano più torti. Ma noi socialisti non ci proponiamo tanto ‒ e siamo socialisti appunto per
questo ‒ la questione del benessere quanto quella dello sfruttamento. Non possiamo perciò
confonderci mai con nessuna borghesia, inquantoché fusione con la borghesia significherebbe
implicita rinuncia alla lotta di classe o, se si vuole, significa sospensione della lotta di classe a
vantaggio esclusivo della sola borghesia. Perdipiù accettando la sola risoluzione del benessere
noi verremo per davvero alla negazione violenta delle patrie e contravverremmo, con ciò, ai
principî fondamentali del socialismo il quale nega la patria solo per comprenderla.
Invece di simpatizzare tanto, adunque, per gli uni o per gli altri dei belligeranti, noi sociali-
sti faremmo ottima cosa [a] pensare seriamente ai casi nostri. Tutto in questo momento è in
crisi, tutto va a catafascio. Tramontano in un istante tutte le ostentazioni umanitaristiche della
borghesia e le ridicole masturbazioni del riformismo facilone; tramontano le sesquipedali ca-
talogazioni ed i rogiti interminabili del diritto internazionale e tramontano tutte le ideologie,
tutti i sofismi con cui la borghesia ha saputo orpellare il proletariato. Una cosa sola permane,
ed è: la concezione rivoluzionaria del socialismo militante. Questa concezione noi dobbiamo
difendere, dobbiamo divulgare fra le masse minacciose per fame ma incapaci il più delle volte
ad assurgere alla comprensione del perché della loro miseria, e mentre la classe dominante
domanda altri cinquecento milioni per trascinarci al macello noi dobbiamo affilare le armi,
dobbiamo prepararci ad attuare, con tutti i mezzi, le nostre vedute ed i nostri programmi. Per-
ché, ricordiamocelo la rivoluzione non si fa grattandoci la pera!

Potrebbero piacerti anche