Letteratura Inglese Definitivo1

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JAMES JOYCE

JAMES JOYCE (1882-1941), dopo essersi laureato all’University College, l’università


cattolica di Dublino, lasciò l’Irlanda prima per Parigi e poi per Trieste, dove visse
insegnando inglese dal 1904 al 1915. A causa della guerra si trasferì a Zurigo e infine, nel
1920, si stabilì a Parigi, dove terminò e pubblicò il suo capolavoro, ULYSSES (1922).

Il testo che per primo rivelò il talento supremo di Joyce è DUBLINERS (1914). I racconti
che lo compongono sono in sé autonomi, ma pensati in modo da presentare la vita di
Dublino nei quattro aspetti dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità e della vita
pubblica. Lo stile è pienamente naturalistico, ma è l’epifania “l’improvvisa rivelazione
dell’essenza di una cosa”, che detta il senso del racconto, cogliendo il significato
generale di un’esistenza, di un intero mondo, nel particolare altrimenti sfuggente. Il
simbolo principe è quello della paralisi, da quella letterale a quella metaforica
dell’ultimo libro The Dead, rappresentata dalla neve che ricopre tutta l’Irlanda, cadendo
delicatamente sulle pianure e sulle colline, sui vivi e sui morti.

L'esilio fu per Joyce una scelta di libertà dal clima soffocante dell’Irlanda, in PORTRAIT
OF THE ARTIST AS A YOUNG MAN (1916), l’esilio diviene quasi sinonimo della
condizione di artista. Il romanzo ha aspetti autobiografici ma deve essere visto come
l’illustrazione di un percorso di carattere generale di maturazione del “giovane artista”,
descritta con toni che vogliono essere ispirati all’oggettività e all’impersonalità.

ULYSSES, l’opera che rappresentò per la narrativa ciò che The Waste Land significò per
la poesia, fu scritto tra Trieste, Zurigo e Parigi negli anni che vanno dal 1914 al 1921. Il
poema Omerico è il punto di riferimento, a partire dalla figura dei tre protagonisti,
LEOPOLD BLOOM, piccolo “ebreo errante” che lavora nel settore pubblicitario di un
giornale cattolico, la moglie infedele MOLLY, modesta cantante, e l’intellettuale
STEPHEN DEDALUS, artista inespresso e deluso, che rimandano a ULISSE, PENELOPE e
TELEMACO. I titoli che Joyce immaginò per i 18 capitoli del libro sottolineano il parallelo
con l’Odissea; e lo stesso Joyce lo definisce come “un’Odissea moderna”. Ma agli anni
di viaggi e avventure di Ulisse per i mari e le terre più lontane si sostituisce un solo giorno,
il 16 giugno 1904, con i piccoli spostamenti di Bloom nelle strade e nei locali di Dublino.
Da un lato l’intento parodico che contrappone alla grandezza e all’eroica dignità del
mondo antico la piccolezza e la meschinità del presente; dall’altro c’è la convinzione che
il modesto materiale offerto dal mondo contemporaneo possa essere elaborato in una
dimensione epica. Joyce scrisse che Ulysses era “l’epopea di due razze Israele-Irlanda"
e aggiunse che era una specie di epica del corpo umano (e fu a causa dell’esplicita
presentazione delle funzioni “vergognose” del corpo, la defecazione, la minzione, le
mestruazioni, che il romanzo subì la censura, in Usa fino al 1933 e in Inghilterra fino al
1937). Ulysses è una cosa e il suo opposto. Nel senso che da un lato è un romanzo di
sottolineato realismo, che riproduce sulla pagina con accurata precisione le strade e le
case di Dublino; dall’altro è un romanzo che affida la sua ambizione di essere un summa
di tutto l’universo, di riferimenti letterari, di contenuti simbolici che avvolgono i due
basilari temi del romanzo, la ricerca del figlio da parte di Bloom e la ricerca del padre da
parte di Stephen. In Ulysses trionfa l’invenzione linguistica più dirompente e innovatrice
da far dire a Beckett che Joyce rappresentava per la lingua inglese ciò che Dante aveva
rappresentato per l’italiano. Il vertice dell’invenzione linguistica è dato dal ricorso allo
stream of consciuousness, che occupa l’intero ultimo capitolo, Penelope.

L'ultimo lavoro di Joyce fu FINNEGANS WAKE a cui lavorò dal 1923 al 1939. La vicenda
non c’è: il romanzo racconta i pensieri e i sogni del gestore di un’osteria fuori Dublino, e
del suo rapporto con la moglie e i figli, ma la loro esperienza viene dilatata a raffigurare
l’intera avventura umana. Questo romanzo è influenzato da Freud, Giordano Bruno e la
visione ciclica della storia di Vico, che porta agli estremi la sperimentazione narrativa,
oscurandone la stessa. Quest'opera fu la testimonianza più audace dell’autore più
geniale e del narratore più stupefacente del Novecento modernista.

D.H. LAWRENCE
DAVID HERBERT LAWRENCE (1885-1930), figlio di una maestra e di un minatore,
fu pubblicato e introdotto nei circoli letterari londinesi da FORD MADOX FORD, intrigato
dall’originalità della sua scrittura e della sua estrazione sociale.

Fu con SONS AND LOVERS (1913) che la vita delle classi lavoratrici, con la sua miseria
e le sue sofferenze, balza in primo piano. Sons and Lovers è un robusto romanzo
realista che guarda alla società inglese da un punto di vista antagonistico a quello della
classe dominante, ma è anche un romanzo modernissimo nell’indagine psicologica del
rapporto tra genitori e tra genitori e figli. In particolare di quello edipico tra madre e
figlio, i cui forti connotati autobiografici sono velati dal personaggio di PAUL, che cerca
senza successo di liberarsi dal soffocante legame con la madre attraverso il rapporto
con la riservata e timida MIRIAM e con la più disponibile e carnale CLARA. Alla fine del
romanzo, alla morte della madre, Paul appare come un uomo distrutto, senza
speranza; ma le ultime righe registrano un’inattesa impennata della volontà, una
determinazione improvvisa a non “arrendersi”, a vivere la propria vita.

In THE RAINBOW (1915) Lawrence ci parla del contrasto tra natura e civiltà industriale,
denunciando la distruzione della civiltà contadina “naturale” operata dall’avanzata
della civiltà industriale. Il Lawrence c’è un’idealizzazione, alla Pasolini, di quella vita
vera ormai scomparsa dal suolo inglese; ma c’è anche un interesse sociologico e vigore
narrativo delle trasformazioni sociali dell’Inghilterra.
In THE WOMEN IN LOVE (1921) rafforza l’idea che il recupero dell’integrità vitale
perduta possa passare attraverso l’eros, attraverso un’esperienza sessuale che
Lawrence vede come qualcosa di sacrale. Sul piano stilistico questa opera è in rottura
con gli schemi narrativi tradizionali e sono i singoli momenti di scoperta di una verità
profonda attraverso l’istinto e l’emozione a ricoprire il ruolo centrale dell’opera. Il
romanzo costituisce un duro attacco contro l’intellettualità inglese, malata, agli occhi
di Lawrence, di estetismo e di autocompiacimento, incapace di affrontare la tragicità
del presente. Fortissima è la consapevolezza dello sconvolgimento causato dalla
guerra che non gli permette di guardare con fiducia alle classi lavoratrici. Il dopoguerra
è un tempo apocalittico, che testimonia la decadenza dell’anima inglese e, più in
generale, il declino dell’Occidente.

Il romanzo a cui affida la sua ultima sfida alla sterilità del mondo borghese è LADY
CHATTELY’S LOVER (1928), bloccato dalla censura inglese e americana per più di
trent’anni. Il marito di Lady Chatterley è paralizzato e impotente, relegato su una sedia
a rotelle in seguito alle ferite riportate in guerra. L'amante è MELLORS, il guardiacaccia
“naturale” non contaminato dalla civiltà industriale. La sua risposta è vitale, dettata
dall’eros. Alla sessualità è affidata la possibilità del riscatto, della realizzazione di sé, e
alle parole dirette e “popolari” con cui essa si esprime è affidata la tenerezza della
fisicità dell’amore. Il finale è aperto, tra realistico pessimismo e speranza. Il crollo dei
mercati finanziari l’anno successivo all’uscita del romanzo e l’affermazione del partito
nazista due anni dopo, confermeranno la fondatezza del sentimento che ispira questa
travolgente parabola del declino della superba ruling class inglese.

VIRGINIA WOOLF
VIRGINIA WOOLF (1882-1941) moglie dello studioso di economia e politica Leonard
Woolf, animatrice del BLOOMSBURY GROUP.

In MRS DALLOWAY (1925) porta a frutto la lunga e vitale riflessione di Woolf sul genere
romanzesco. In lei c’era la piena convinzione della necessità di superare la forma del
realismo e di valorizzare i moti dell’animo e della mente, indagati con una nuova
consapevolezza psicologica alla luce di quella sensibilità coltivata dai membri del
BLOOMSBURY GROUP. E c’erano poi l’influenza del grande romanzo russo e l’esempio
della recentissima conquista dell’Ulysses di Joyce. Mrs. Dalloway si svolge in un solo
giorno, il cui scorrere è scandito, per diciassette volte, dai rintocchi delle ore. La vicenda
della protagonista, una dama dell’alta società londinese, si alterna a quella di
SEPTIMUS, mentalmente distrutto dall’esperienza bellica, che nel finale si suiciderà. La
realtà non è “oggettiva”, ma è quanto viene soggettivamente percepito: non tanto dal
narratore, che si defila e spesso scompare, quanto dai personaggi, dai momenti di
rivelazione che li trafiggono, dai meccanismi associativi della mente che vanno nello
spazio e nel tempo e che dettano il procedere della narrazione.

In TO THE LIGHTHOUSE (1927) l’esperienza narrata è quella di Mrs. Ramsay; nella


seconda è quella della pittrice Lily Briscoe. Tra le due parti, che coprono lo spazio di
poche ore, è posto un breve intermezzo, che copre i dieci anni che le separano. I grandi
avvenimenti, pubblici e privati, non hanno un ruolo decisivo. Contano invece i piccoli
“miracoli” che irrompono nella quotidianità, i momenti di visione, che Woolf affida al
monologo interiore. Più che flusso di coscienza, è uno scorrere di sensazioni, di
immagini dalla forte valenza iconica, proposte attraverso una narrazione che mantiene
un suo ordine di esposizione.

In THE WAVES (1931) si accentua la scelta di affidare la pagina al fluire delle voci, delle
sensazioni, dei pensieri dei personaggi, mentre la preoccupazione di “raccontare una
vicenda” scompare: al narratore restava il compito di evocare quelle che definiva “isole
di luce” nella corrente della vita.

Con questi romanzi Virginia Woolf si colloca ai vertici dell’espressione modernista; e la


arricchisce con la sua acuta e fondante riflessione sull’universo femminile e sulla
scrittura al femminile. Woolf morì suicida nel 1941, cedendo a quell’annichilente
depressione che l’aveva tormentata per tutta la vita.

AL DI FUORI DEL MODERNISMO


Il modernismo è stato il fenomeno letterario che “qualifica” il primo Novecento. Ma nella
narrativa molti furono gli autori che si mossero in una direzione estranea.

• William S. Maugham (1874-1965) … autore “naturalista di “Liza of Lambeth” e di


“Ashenden; or, the British Agent”1928 il libro da cui nasce il moderno romanzo di
spionaggio. Ma fu soprattutto autore di splendidi racconti che ne fanno il grande maestro
della narrativa breve. Racconti ambientati nelle colonie britanniche, con la
rappresentazione degli uomini e delle donne che furono gli ultimi interpreti dell'impresa
coloniale. Ma trascende il contesto per offrirci, nella sfera dei rapporti coniugali, un
penetrante ritratto della nostra natura più vera.

• Evelyn Waugh (1903-1965) … fu invece voce dello scontento reazionario per


l'affievolirsi del ruolo egemone della potenza britannica e della sua classe dominante. Il
suo romanzo più bello “A handful of dust”1934 ha come protagonista un gentiluomo
perduto nelle fantasticherie di un mondo scomparso, e incapace di comprendere quello
reale dominato dal denaro. Dal taglio crudelmente comico, percorso da una satira
feroce che non risparmia nessuno. Bisogna ricordare “Ritorno a Brideshead” 1945
romanzo che ripercorre la storia sociale tra le due guerre. Tutto viene travolto dal tempo
e dalla guerra, ma l'immagine finale, la fiammella che continua ad ardere “tra le antiche
pietre” della cappella, sembra indicare che negli antichi valori risiede la sola possibilità
di salvezza.

• Christopher Isherwood (1904-86) … sul versante ideologico opposto troviamo lui.


La sua produzione più riuscirà è quella legata all'esperienza berlinese. C'è una
corrispondenza tra il momento storico e la figura del narratore creata nei “Berlin
Novels” “Mr. Norris Change train” e“Goodbye to Berlin” non grandi eventi ma singole
figure che egli incontra mantenendo un →distacco, ma consegnandoci il senso della loro
esperienza.

• Gorge Orwell (1903-1950) … non solo si schierò a favore delle forze repubblicane
spagnole, ma andò in Spagna a combattere da questa esperienza nacque → “Homage to
Catalonia” 1938 più bel libro sulla guerra civile spagnola in GB. La sua fama è legata
soprattutto alla favola distopica “Animal Farm” 1945, è davvero una fiaba, con i toni e il
taglio del racconto per bambini. = satira dello stalinismo ineccepibile nella sostanza e
comica nella forma. Dopo la caduta dei regimi dell'est il romanzo ha perduto parte del
suo impatto ideologico; ma certo non l'ha perduto quella sua frase che è diventata
un'icona del linguaggio politico del Novecento: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni
sono più uguali degli altri.” Un'altra distopia è “Nineteen Eighty-four” 1950 risponde al
timore suscitato da un progresso →tecnologico nemico dell'uomo, ma fondamentale è la
sua visione politica di un Occidente dominato da una dittatura staliniana. Alcuni timori
suonano attuali quelli relativi alla capacità di manipolazione dei media. Il libro resta
come monito di un uomo libero a difesa di una libertà costantemente minacciata dalle
astuzie dei potenti.

• Ivy Compton-Burnett →esordì con un romanzo “Dolores” 1911, dalle


caratteristiche ottocentesche; tutta la storia è affidata al dialogo dei personaggi, dialogo
dettato da una sapiente ironia spesso beffarda che conferisce ai romanzi un tono
velenosamente Comico. – →l'ambientazione è sempre quella di grandi dimore abitate da
famiglie patriarcali e il periodo è quello dell'apogeo della potenza britannica (tra fine
Ottocento e età edoardiana.) – È una Jane- Austen novecentesca, impietosa e senza
illusioni.

• Malcom Lowry 1909-57 tra la scuola pubblica e Cambridge si imbarco per un anno
su una nave mercantile; pubblicò in vita solo una parte dei suoi molti lavori letterari. uno
di questi è → “Under the Volcano” capolavoro del Novecento inglese, è la storia di un
console britannico in Messico ucciso da una banda di fascisti. Tutto il racconto a parte il
primo capitolo si svolge il 2 novembre 1938: una vita e un mondo in un solo giorno, come
Ulysses e Mrs. Dalloway. Caratterizzato da tre grandi icone: la dannazione faustiana, la
commedia dantesca, e la cacciata dal paradiso terrestre. La scrittura riprende molti
aspetti del modernismo più punti di vista, monologo interiore, →flusso di coscienza, la
dimensione temperale, limitata e dilatata. ma mentre Eliot e Joyce →miravano ad
un'espressione letteraria “oggettiva”, Lowry usa le tecniche per una scrittura soggettiva,
personale. “Under the Volcano” non è un romanzo politico, è un romanzo modernista e
al tempo stesso una delle raffigurazioni più suggestive e puntuali di quel periodo del
Novecento.

IL TEATRO

TRA OTTOCENTO E NOVECENTO


La letteratura drammatica dell’Ottocento inglese fu poca cosa. Il teatro invece prosperò.
Le sale inglesi ospitarono rappresentazioni mastodontiche a metà strada tra il teatro e il
circo e struggenti melodramas, il grande genere ottocentesco inglese. Il melodramma
prevedeva parti con musica, che nel secondo Ottocento scomparvero; restò costante
invece il fatto di mettere in scena passioni ed emozioni elementari, di commuovere con
le sofferenze dei buoni e di indignare con la malvagità dei cattivi, di affascinare lo
spettatore con le straordinarie coincidenze sparse nella vicenda e di consolarlo con un
intervento salvifico all’ultimo istante, che faceva trionfare il bene e la giustizia. Gli autori
non erano dei letterati, ma dei bravi mestieranti. Fu questo genere ad accompagnare la
trasformazione che “riscattò” il teatro inglese dal suo carattere troppo popolaresco,
facendolo diventare, tramite la costruzione di nuove sale moderne, la forma
d'intrattenimento sociale più sistematicamente praticata dalla borghesia. Oscar Wilde
riuscì a concepire dei well-made plays di tale originalità linguistica e irriverenza
ideologica da farle rimanere saldamente in repertorio fino ad oggi.

GEORGE BERNARD SHAW


Il più fiero avversario dei well-made plays e il più convinto sostenitore della rivoluzione
ibseniana fu GEORGE BERNARD SHAW (1856-1950), che dopo una lunga carriera
di letterato e propagandista politico, di critico musicale e di critico teatrale, esordì come
commediografo nel 1892 con WIDOWER’S HOUSE, la prima delle tre “commedie
sgradevoli” che scrisse per quell’Indipendent Theatre che si proponeva di portare sulle
scene inglesi il nuovo teatro naturalistico. Shaw era una “fabiano” promotore della
necessità di radicali riforme sociali e nella commedia è fortemente presente la sua
ideologia, al punto di inventare come motore della vicenda la discussione sulla liceità
morale dei redditi dei rispettabili borghesi, sostenendone l’immoralità. Questo tema del
“denaro sporco” è presente anche in MRS WARREN’S PROFESSION (1893) dove il
denaro sporco proveniente dalla prostituzione è presentato come non meno
disonorevole dei profitti degli industriali che alle operaie pagano salari di fame. Sul piano
della forma Shaw scrisse commedie e non drammi, e piuttosto che adattare alla
commedia la nuova forma naturalistica preferì rifarsi alle formule del teatro popolare
dell’Ottocento piegandole alle esigenze del suo teatro di discussione. Procedette nella
rivisitazione dei generi scrivendo commedie in cui la comicità era strutturalmente
affidata a due meccanismi, quello del paradosso e quello dell’inversione e del
rovesciamento. Shaw si vedeva come un uomo pubblico impegnato nella
trasformazione della società: con le sue commedie si rivolgeva agli spettatori borghesi
che frequentavano i teatri chiedendo loro di abbandonare la “morale corrente”, piena di
idee sbagliate “in materia di rapporti economici e sessuali”, per abbracciare le sue idee
di riforma. La sua voleva essere una critica costruttiva, rivolta alla parte più avanzata di
quella borghesia che così brillantemente criticava perché si facesse protagonista delle
trasformazioni radicali da lui auspicate. Con la Prima guerra mondiale questa possibilità
svanì. Shaw si ritrovò senza un interlocutore capace di seguirlo; e scelse di ambientare
le sue commedie nel passato o in un ipotetico futuro, dove poteva scatenare i suoi
paradossi e le sue accuse alla “morale corrente” senza dover fare i conti con il presente.

SAINT JOAN (1923) fu un lavoro di valore assoluto. Un dramma che contiene i soli
accenti tragici di tutta la produzione shawiana. La dimensione del suo teatro non è né
quella della tragedia né quella del dramma. La dimensione del teatro di Shaw è quella
della commedia, della sfida intellettuale, della sberleffa, del rovesciamento degli stili
tradizionali.

IL TEATRO IRLANDESE
Nel 1899 W.B. YEATS, convinto che il teatro potesse servire a far maturare le
coscienze delle genti d’Irlanda, fondò l’Irish Literary Theatre, proponendo sulla scena
dublinese i suoi drammi in versi ispirati ai miti e alle leggende irlandesi. Yeats voleva
creare un teatro che ritrovasse il vigore etico ed intellettuale di quello della Grecia
classica, e quasi si direbbe che trovasse nel popolo irlandese un'hegeliana giovinezza
dell’umanità. Ancor maggiore fu l’amarezza quando si ritrovò a dover riconoscere la sua
sconfitta, cioè l’impopolarità dei suoi lavori. La colpa non era tanto dell’arretratezza degli
spettatori dublinesi, quanto dell’arretratezza della sua idea di teatro, molto coraggiosa
ma anche molto “letteraria”. Merito di Yeats fu quello di caldeggiare la scelta di fondo di
JOHN MILLINGTON SYNGE, che era quella di recuperare la ricchezza dell’inglese
parlato nelle più remote campagne d’Irlanda. Il suo lavoro più riuscito fu THE PLAYBOY
OF THE WESTERN WORLD (1907), ambientato in un villaggio in cui giunge
improvvisamente il “furfantello” del titolo, portandovi la sua vitale irruenza, la sua fama
sinistra e il suo eloquio incantatore. Il testo è percorso da continui rinvii tra mondo reale
e mondo fantastico, tra verità e menzogna. Synge morì poco dopo, e nessuno seppe
coglierne l’eredità. Fu soltanto dopo la fine della guerra e dopo la nascita di uno stato
libero d’Irlanda che sul palcoscenico dell’Abbey Theatre risuonarono parole di
altrettanta “verità”, suggerite dalla lingua parlata dagli abitanti dei quartieri popolari di
Dublino. Il loro autore era SEAN O’CASEY, che dal 1923 in poi scrisse una serie di
lavori che affrontavano in modo critico le lotte, le rivolte e i drammi che negli anni
precedenti avevano travagliato Dublino e l’Irlanda. Il teatro di O’Casey si colloca in
ambito realistico, ma il suo testo più bello, THE SILVER TASSIE (1929), fa propria la
lezione dell’espressionismo tedesco. Il dramma fu poi rifiutato dall’Abbey Theatre e
O’Casey andò in “esilio” in Inghilterra, dove continuò a scrivere per il teatro parlando
soprattutto del mondo irlandese, con toni spesso caratterizzati da un forte sentimento
anticapitalista e antiradicale.

TRA LE DUE GUERRE

COWARD
L’autore che seppe trasportare sulla scena i cambiamenti e le novità dell’Inghilterra
uscita dalla guerra fu NOEL COWARD (1899-1973). Coward fu l’inventore di uno
stile, di un tipo di personaggi che incarnavano l’idea di eleganza e della spregiudicata
signorilità di certa borghesia inglese tra le due guerre. Le sue commedie erano
gradevolmente scandalose, soprattutto in materia di relazioni coniugali e non. Il premio
maggiore di Coward sta nel linguaggio, nell’orecchio straordinario con cui egli afferrò
nuove espressioni e nuovi modi di dire e li fissò nelle sue commedie facendoli entrare di
diritto nella lingua inglese. Sono LE PAROLE la sostanza delle sue commedie ed è
attraverso la parola che Coward ha saputo consegnare alle generazioni successive il
ritratto della borghesia inglese tra le due guerre.

T. S. ELIOT E IL POETIC DRAMA


Eliot lavorò in piena autonomia a un testo teatrale in versi che lo consacrò come il
fondatore di un nuovo poetic drama. Il dramma MURDER IN THE CATHEDRAL
ricostruisce la vicenda dell’arcivescovo THOMAS BECKET, martire della fede e vittima
dello stato nel 1170. La lontananza nel tempo degli avvenimenti e la celebrazione
drammatica del sacrificio di Becket fanno sì che il verso giunga “naturalmente” allo
spettatore. Un testo che trova una sua anomala forza teatrale nella combinazione tra
forma e soggetto. Sul momento il consenso fu grande e il poetic drama, di Eliot e degli
altri che ne seguirono l’esempio, fino a metà degli anni Cinquanta poté sembrare una
proposta destinata a durare. Non fu così. E a parte Murder in the Cathedral, che resta la
luminosa eccezione, soltanto THE FAMILY REUNION e THE COCKTAIL PARTY hanno
avuto qualche recente riproposta.
SAMUEL BECKETT
SAMUEL BECKETT (1906-1989), nato a Dublino, vissuto per gran parte della sua vita
in Francia, attivo prima e dopo la guerra, autore di romanzi e di testi teatrali, può essere
usato come cerniera tra periodi e generi diversi. Il giovane Beckett a Parigi frequentò
assiduamente JAMES JOYCE, punto di riferimento decisivo della sua prima produzione
letteraria.

La convinzione dell’inadeguatezza del realismo e l’adesione alla rivoluzione dei linguaggi


e allo scatenamento dell’invenzione linguistica propri del modernismo e di Joyce stanno
alla base dei racconti di MORE PRICKS THAN KICKS (1934), che sono una rispettosa
parodia di Dubliners e di Murphy, un romanzo di deliziosa intelligenza che utilizza
tematiche e soluzioni prettamente realistiche prendendosene gioco al tempo stesso, per
dichiararne così l’improponibilità. Dopo la guerra Beckett, sfuggendo per poco
all’arresto della Gestapo, si stabilì definitivamente a Parigi e decise di adottare come
lingua letteraria quel francese che gli si presentava con le caratteristiche di logicità e di
rigore corrispondenti ai suoi intenti narrativi. Da qui Beckett elaborò uno stile nitido,
alieno da ogni concessione retorica e privo di qualsiasi riferimento linguistico.

Beckett si gettò nella stesura della sua trilogia romanzesca, MOLLOY, MALONE MUORE
e L’INNOMINABILE, che costituisce uno dei vertici della ricerca letteraria novecentesca.
Il protagonista dei romanzi è un narratore sempre più decrepito, immobile. E il monologo
del protagonista-narratore si fa sempre più inattendibile come narrazione di una
“storia”. Abbiamo un susseguirsi poi di “storie” sempre più arbitrarie, che dichiarano il
fallimento della narrazione e della parola che le dice, ma che corrispondono alla visione
che Beckett ha dell’artista nel mondo sopravvissuto agli orrori della guerra. Beckett
suggerisce che la maggior colpa dell’uomo è quella di essere nato: la vita è espiazione di
quella colpa e la morte appare come la fine desiderabile, l’annullamento che pone
termine alle sofferenze dell’esistere.

Ancora maggiore è stato il contributo di Beckett nel campo teatrale. EN ATTENDANT


GODOT fu scritto subito dopo Malone, e fu ben presto messo in scena in tutto il mondo.
Beckett prese a prestito la forma drammatica dominante, quella del dramma di
conversazione, riducendo la conversazione a un dialogo fine a sé stesso, che non
conduce mai all’azione e che si dichiara come vuoto conversare. Poiché Beckett pone al
centro della pièce l’atto dell’attendere, l’attesa di qualcuno che non verrà diventa la
forma attraverso cui si rivela il significato dell’esistenza umana.

Nel testo successivo, FIN DE PARTIE (1957) Beckett introdusse con la figura di Hamm,
protagonista paralizzato su di una sedia a rotelle, un elemento di cruciale importanza,
quello dell’abolizione del movimento. Tutto si svolge in una specie di bunker, al di fuori
del quale si trova una realtà degradata e dissolta. Potrebbe essere il mondo dopo una
guerra o una catastrofe nucleare. Può anche essere anche una metafora del mondo così
com’è: Hamm è uno scadente giocatore di scacchi che fa delle mosse insensate, in una
partita persa fin dall’inizio.

I testi teatrali successivi furono quasi tutti scritti in inglese, come HAPPY DAYS (1961),
che ha come protagonista assoluta Winnie, una donna di mezz’età, interrata nel primo
atto sino alla vita e, nel secondo, fino al collo, costretta all’immobilità totale.
L'interramento visualizza la desolata condizione esistenziale in cui risuonano quelle frasi
illusorie, è l’immagine, irrealistica, della realtà. Questo aspetto della visualizzazione lo
si ritroverà nei lavori successivi, costruiti intorno a un’unica immagine, o situazione, che
brucia le sue possibilità espressive nell’arco di pochi minuti: la scena è astratta, il
movimento è negato, i personaggi nel senso corrente della parola non esistono più. Il
risultato è di alta teatralità.

In questo processo graduale di riduzione, Beckett ci ha dato una delle testimonianze più
alte della riflessione sulla condizione umana della cultura europea del Novecento.