Cause Ambient Ali Delle Malattie Neurodegenerative
Cause Ambient Ali Delle Malattie Neurodegenerative
Cause Ambient Ali Delle Malattie Neurodegenerative
Istituto Italiano di Medicina Sociale Via Pasquale Stanislao Mancini 28 00196 Roma Tel. 06 3200642/3 www.iims.it Open Archive: http://e-ms.cilea.it 1 edizione, novembre 2007
ISBN 978-88-87098-64-8
Il presente volume disponibile sul sito www.iims.it. La riproduzione libera, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, salvo citare la fonte.
A mia figlia Martina perch le nostre attivit di ricerca possano aiutarla a vivere in un mondo migliore P.F .
Editore:
Istituto Italiano di Medicina Sociale Via Pasquale Stanislao Mancini 28 00196 Roma Tel. 06 3200642/3 www.iims.it
Realizzazione: Opera Srl. Via Sampierdarena n. 33/2 16149 Genova Per informazioni: www.operacro.com [email protected]
Il libro stato realizzato con limportante sostegno della societ Merck Serono
Dott.ssa Amalia Contessini, Ilaria Di Pippa, Emanuela De Martinis, Monia Pirrone, Annalisa Cannelli.
INDICE
INDICE
PRESENTAZIONE INTRODUZIONE 1. LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 1.1 Introduzione 1.2 Possibili meccanismi di azione 1.3 Cenni sulle pi comuni malattie neurodegenerative 1.3.1 LAlzheimer 1.3.2 Il Parkinson 1.3.3 La Sclerosi Multipla 1.3.4 La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) 2. EFFETTO DELLINQUINAMENTO AMBIENTALE 2.1 Introduzione 2.1.1 Tossicit 2.1.2 Neurotossicit 2.1.3 Carcinogenesi e Mutagenesi 2.2 Radiazioni ionizzanti 2.3 Inquinanti chimici 2.3.1 Sostanze chimiche industriali 2.3.2 Metalli Pesanti 3. NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI 3.1 Introduzione 3.2 I miRNA
4. LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI (Interazione tra geni ed ambiente) 4.1 Il contributo di Jean Piaget 147 4.1.1 Introduzione 150
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INDICE
4.1.2 Le fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget (La psicologia genetica) 4.1.3 Fase senso-motoria 4.1.4 Fase preoperatoria 4.1.5 Fase delle operazioni concrete 4.1.6 Fase delle operazioni formali 4.2 Lo sviluppo cognitivo nella prospettiva di Lev Semyonovich Vygotskij 4.2.1 Introduzione 4.2.2 Lo sviluppo storico-culturale 4.2.3 Il rapporto tra apprendimento e sviluppo mentale. La Zona di Sviluppo Prossimale 4. 3 Lo sviluppo cognitivo secondo Jerome Seymour Bruner 4.3.1 Introduzione 4.3.2 Gli studi sulla percezione durante la nascita della psicologia Cognitiva. 4.3.3 Lo studio sul pensiero e la formazione di categorie. 4.3.4 Lo sviluppo cognitivo (1966), Piaget e Vygotskij sintesi ed evoluzione. 4.3.5 I tre sistemi di rappresentazione del mondo 4.4 Lapproccio riduzionista e le prime evidenze sperimentali sui processi neuronali che coinvolgono la memoria. (LAplysia Californica ed il Nobel per le neuroscienze a E. R. Kandel) 4.4.1 Introduzione 4.4.2 La memoria secondo E. R. Kandel (Lapproccio riduzionista) 4.4.3 Memoria a breve termine e memoria a lungo termine in Aplysia, i meccanismi biochimici. 4.5 Cenni sui disturbi cognitivi e inquinamento ambientale 5. CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA
150 152 153 154 155 155 155 158 158 159 159 160 161 163 164 165 165 166 167 169 173 179
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PRESENTAZIONE
PRESENTAZIONE
La ricerca scientifica sui fattori di rischio ambientali e su quelli correlati allo stile di vita in genere assume oggi un ruolo di strumentalit sociale ancora non assolutamente prevedibile. Daltra parte numerose ed importanti scoperte scientifiche nascono dalla logica deduttiva che i sociologi hanno battezzato serendipit. I benefici economico-sociali e di salute individuale, derivanti da interventi di prevenzione primaria, sono gi noti. Oggi occorre invece una migliore comprensione della fisiopatologia di numerose malattie cronico degenerative, un approfondimento delle correlazioni con il regime alimentare, la verifica dei contaminanti tossici che ad esempio hanno determinato lencefalopatia spongiforme bovina, senza tralasciare le patologie dellinvecchiamento quali Parkinson, Alzheimer, infarto, diabete, artrite e cancro che potranno attecchire in una platea pi ampia di anziani, considerato il dato demografico dellincremento degli ultrasessantacinquenni previsto per il 2025 nella misura del 100%. Nel 2007 il 5% degli europei anziani con et superiore ai 65 anni sar colpito dal morbo di Alzheimer. La ricerca clinica orientata verso nuovi metodi per prevenire o ritardare la morte neuronale nelle malattie neurodegenerative, mentre la genetica indaga sui fattori che predispongono allartrite reumatoide. In definitiva si prospetta un nuovo profilo di studio e di intervento sia per la prevenzione primaria che per il miglioramento della cura e dellassistenza.
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PRESENTAZIONE
Un progetto Europeo denominato APHEA si occupato di studiare gli effetti a breve termine dell inquinamento atmosferico in quindici citt europee. I risultati, basati sulle statistiche relative ai livelli di inquinamento, hanno dimostrato che le sostanze inquinanti hanno un effetto misurabile sulla mortalit causata dalle malattie cardio-vascolari e respiratorie e possono far insorgere patologie classificate presumibilmente come disordini idiopatici a patogenesi ignota, in quanto richiedono ancora studi eziologici sulle cause fondamentali della demenza e fisiopatologie sui meccanismi di produzione della malattia. La dimensione del fenomeno per diffusione ed anche gravit comunque gi una priorit nazionale nel nostro Paese. Il presente volume evidenzia le possibilit di individuare i fattori di rischio ambientali che sono correlati alle malattie, i meccanismi molecolari che potenzialmente rendono influenzabile il sistema di programmazione della cellula, nella convinzione che comprendere il meccanismo di azione aiuta a capire le varie cause di insorgenza ed a trovare cure pi efficaci. Giovanni Maria Pirone Commissario straordinario Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS)
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INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Il filosofo U. Galimberti, in un contesto dove lo sviluppo del progresso tecnico, (attuato per compensare linsufficienza della capacit umana, migliorare la qualit di vita e intervenire sulla realt da cui la sua esistenza stessa dipende) potendo intervenire sullequilibrio dellecosistema, sottolinea, che discutere della tecnica non significa allora enfatizzarla o demonizzarla, ma divenire consapevoli che lorizzonte di riferimento a partire dal quale luomo pu pervenire a una comprensione di se, radicalmente mutato per cui necessario abbandonare la persuasione ingenua secondo cui la natura umana un che di stabile che resta incontaminato e intatto qualunque cosa luomo faccia (Galimberti U., 2002). Infatti, i processi industriali, le diverse forme di antropizzazione, lampio utilizzo di sostanze chimiche comportano che una larga frazione della popolazione umana sia quotidianamente esposta ad un elevato numero di fattori tossici e inquinanti a pi livelli biologici (genetici, morfologico-embrionali, citologici, fisiologici, molecolari), diffusi nelle diverse matrici ambientali (acqua, aria e suolo), che possono indurre danni immediati o differiti sulla salute umana. Il rapporto con lambiente , quindi, una delle determinanti fondamentali per lo stato di salute della popolazione umana, la relazione tra lindividuo e i diversi fattori ambientali pu avere risvolti diversi sullequilibrio salute/malattia. Studiare, conoscere e comprendere quali siano gli elementi da considerare, da un punto di vista epidemiologico, per valutare limpatto dei diversi fattori sullo stato di salute un compito
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INTRODUZIONE
molto complesso, richiede lanalisi e la correlazione tra dati ambientali, territoriali e urbanistici, con indicatori di mortalit, sanitari, demografici, culturali e sociali, per una determinata popolazione. In generale, la prevenzione delle malattie di origine ambientale richiede un intervento sinergico su comportamenti individuali, stili di vita, norme e misure istituzionali che consentano di garantire la sicurezza della popolazione esposta ai rischi ambientali.
SALUTE
FONTI DI VARIABILITA Fattori genetici Stato di salute Nutrizione Occupazione Stato socio-economico
Figura 1.1. Schema di flusso tra salute agenti ambientali fonti di variabilit (da Geller A.M. and H. Zenick, 2005).
Negli ultimi anni le linee di ricerca stanno ponendo maggiore attenzione alla connessione tra prevenzione delle patologie e studio dellambiente nelle sue componenti abiotiche e biotiche potenzialmente patogene. A tal proposito sono di valido supporto luso di test biologici che permettono lo studio dei fattori tossici ai diversi livelli biologici sopramenzionati. Ad esempio nella valutazione dellentit del danno in organismi viventi per azione di agenti chimici, pesticidi e carginogeni si fa ricorso ai test di genotossicit della Cometa e dei micronuclei applicati a cellule meristemali di Vicia faba var. minor o su leucociti umani. noto da tempo che le piante possono rappresentare dei validi indicatori per la presenza di inquinanti ambientali genotossici, consentendo, accanto a
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INTRODUZIONE
pi collaudate metodiche di tipo chimico-fisico e biologico, il controllo e lo screening in situ. Limpiego di questi test di mutagenesi a breve termine, per lalto grado di predittivit della cancerogenesi, unito alla rapidit e ai bassi costi di esecuzione, fornisce un contributo significativo per un monitoraggio ambientale ed un intervento di protezione della popolazione (Sturchio E., et al. 2007). A questi si aggiungono gli indicatori di effetto, i quali permettono di valutare lo stato ambientale sulla base degli effetti che le attivit umane inducono su organismi sensibili fornendo dati biologici come misure di biodiversit, alterazioni biochimiche, fisiologiche, morfologiche, funzionali, genetiche che, in funzione della loro gravit, indicano un ampio spettro di risposte biologiche, da semplici adattamenti fisiologici a quadri patologici ben definiti e a malattie conclamate (NCR, 1989). Gli indicatori di effetto possono essere impiegati in modo alternativo per stimare indirettamente la suscettibilit individuale o la dose, quando la misura dellinquinante primario non sia disponibile o affidabile. Luso pi appropriato di questi indicatori tuttavia la stima del rischio di effetti a lungo termine per individuare eventuali interventi di prevenzione primaria (Mutti A., 1995). Anche la tossicologia, in quanto caratterizzazione della risposta di un organismo ad un tossico e determinazione del meccanismo responsabile delleffetto avverso osservato, si avvale di test che prevedono lallestimento di saggi di tossicit in modelli animali suscettibili o test in vitro. Con questi ultimi test possibile testare gli effetti di una sostanza chimica valutandone la tossicit attraverso la capacit replicativa (citotossicit), il ritmo proliferativo (test di proliferazione), il potenziale trasformante con linibizione da contatto nella crescita cellulare (test di trasformazione) e la capacit di formare colonie in terreno semisolido (test di crescita in soft agar). Tuttavia, a causa della diminuzione dei livelli di esposizione e la crescente complessit delle miscele di inquinanti che caratterizzano molti ambienti lavorativi (similmente a quanto avviene per laria urbana), emerge la necessit di sviluppare batterie di test non a scopo diagnostico, ma che permettano quello che stato definito monitoraggio degli effetti biologici.
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INTRODUZIONE
Il monitoraggio degli effetti biologici consiste nella valutazione di modificazioni biochimiche o funzionali associate a particolari condizioni espositive, strumento complementare per una corretta stima del rischio, soprattutto nei casi in cui non siano note (o non esistano) relazioni doseeffetto e dose-risposta. In questi contesti, il solo uso degli indicatori di esposizione o di dose (monitoraggio ambientale o biologico) risultano essere insufficienti per la stima di effetti a lungo termine, che possono essere invece almeno sospettati caratterizzando condizioni che precedono la malattia conclamata. Per cui test tradizionali sono attualmente supportati da nuove metodologie analitiche come quelle di tossicogenomica le quali permettono di identificare in anticipo e con una maggiore sensibilit alterazioni legate allesposizione ad una sostanza tossica, fornendo indicazioni sul meccanismo molecolare di azione. Tale campo di ricerca ancora lontano dalloffrire una risposta chiara e definitiva sui meccanismi alla base degli effetti tossici. Daltra parte le istanze che vengono poste oggi alla ricerca sono molteplici dal momento che nellambiente possono essere presenti sostanze che inducono o promuovono severe patologie soprattutto a lungo termine di cui ancora difficile definire modalit, cause eziologiche, e progressione. Da diverso tempo stata posta ad esempio lattenzione sul legame tra alcune sostanze chimiche ed i fattori ambientali per valutare landamento epidemiologico delle malattie neurodegenerative (incidenza, morbilit, mortalit). In un articolo pubblicato su The Lancet alla fine del 2006, due autori (P. Grandjean e P. Landrigan) sottolineano come lo sviluppo della neurotossicit dovuta a composti chimici industriali rappresenti una pandemia silente in quanto gli effetti subclinici delle sostanze chimiche non appaiono riportati nelle analisi statistiche. La valutazione e lidentificazione della neurotossicit dei composti chimici si fonda sulla evidenza di un danno funzionale che nel caso di un individuo adulto di solito legato allambito occupazionale, mentre nel bambino ad episodi di avvelenamento acuto ad alte dosi. Di norma la tossicit presenta un andamento dose-dipendente con un effetto clinico manifesto ma nel caso di un effetto subclinico questo pu restare silente determinando una sottostima del rischio. I due autori
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INTRODUZIONE
citano 201 composti chimici comunemente usati e rilasciati come inquinanti nellambiente di cui sono noti e documentati gli effetti neurotossici (in realt il numero di sostanze chimiche che possono causare neurotossicit in test su animali di laboratorio supera 1.000). Gli autori evidenziano come linquinamento ambientale, lesposizione per uso quotidiano ed occupazionale a sostanze chimiche rappresenti un fattore rilevante per il manifestarsi di effetti tossici negli individui esposti, in particolare bambini o feti, maggiormente suscettibili in quanto presentano organi in via di sviluppo. Nel testo vi , quindi, lesortazione ad adottare un approccio precauzionale sui controlli delle sostanze chimiche. Negli ultimi anni un numero crescente di evidenze ha messo in relazione il manifestarsi di patologie del neurosviluppo con diversi composti chimici industriali e non. I dati sulla tossicit di molte sostanze, sono ignoti per il fatto che, attualmente, meno della met delle migliaia dei composti chimici usati sono stati testati, ma soprattutto gli attuali test di tossicit raramente comprendono lo studio delle funzioni neurocomportamentali. Il cervello umano un organo particolarmente vulnerabile, e quindi anche danni limitati possono avere conseguenze di rilievo. Dallo stadio fetale in poi il cervello vive una complessa serie di processi, per cui uninterferenza dovuta alla esposizione di sostanze tossiche pu comportare conseguenze permanenti. Le ricerche hanno dimostrato che sostanze inquinanti presenti nellambiente, come il piombo o il mercurio, a basso livello di esposizione possono avere effetti subclinici avversi, come diminuzioni del grado dintelligenza o alterazioni del comportamento. Larticolo presenta una interessante indagine di raccolta dati relativi a diverse sostanze quali pesticidi, piombo, metilmercurio, arsenico, PCB (bifenili policlorurati) e solventi (toluene), dove stata sufficientemente documentata la tossicit e la sua insorgenza sul neurosviluppo del cervello. I risultati evidenziano che, spesso, unesposizione a sostanze neurotossiche nellinfanzia pu portare ad un maggior rischio di morbo di Parkinson e di altre malattie neurodegenerative (Langston W., et al. 1999; Calne DB., et al., 1986).
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INTRODUZIONE
Queste evidenze scientifiche si basano su studi epidemiologici di esposizioni occupazionali e casi clinici dintossicazione acuta, gli effetti su popolazioni esposte ad inquinamento ambientale sono poco noti, dal momento che lattribuzione di neurotossicit ad un singolo composto chimico spesso impossibile (Grandjean P. e Landrigan PJ., 2006). Dallanalisi dei rapporti del National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH), si trovano altre 200 sostanze non censite dallarticolo citato, a cui vengono assegnati dei limiti in eccesso di esposizione occupazionale per la possibilit che provochino effetti dannosi sul sistema nervoso (http://www.cdc.gov/Niosh/npg/npgsyn-p.html). LEPA a sua volta riporta che pi di 80.000 sostanze chimiche sono registrate per uso commerciale, di cui 62.000 classificate come tossiche (U.S. Environmental Protection Agency, 1998). In Europa la situazione pressoch analoga, con circa 100.000 composti registrati (Commission of the European Communities, 2001). (http://ec.europa.eu/environment/chemicals/exist_subst/einecs.htm). Dal momento che la gran parte di questi composti sono prodotti in quantit notevoli, una particolare attenzione deve essere posta nei riguardi delle esposizioni occupazionali, del rilascio nellambiente e dellesposizione della popolazione attraverso il consumo di prodotti contaminati od utilizzo di manufatti, per quando concerne i livelli di concentrazione di esposizione, i tempi e la modalit dellesposizione stessa. Inoltre necessario considerare leffetto sinergico dei composti chimici. Miscele di composti possono costituire fattore di rischio diverso rispetto al singolo composto, modulandone e/o incrementandone la tossicit (vedi tabella 1.1).
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INTRODUZIONE
Tab. 1.1. Elenco composti chimici neurotossisi: (da Grandjean P, Landrigan PJ. 2006). Panel: Chemicals (n=201) known to be neurotoxic in man
Metals and inorganic compounds Aluminium compounds *Arsenic and arsenic compounds Azide compounds Barium compounds Bismuth compounds Carbon monoxide Cyanide compounds Decaborane Diborane Ethylmercury Fluoride compounds Hydrogen sulphide *Lead and lead compounds Lithium compounds Manganese and manganese compounds Mercury and mercuric compounds *Methylmercury Nickel carbonil Pentaborane Phospine Phosphorus Selenium compounds Tellurium compounds Thallium compounds Tin compounds Organic solvents Acetone Benzene Benzyl alcohol Carbon disulphide Chloroform Chloroprene Cumene Cyclohexane Cyclohexanol Cyclohexanone Dibromochloropropane Dichloroacetic acid 1,3-Dichloropropene Diethylene glycol N,N-Dimethylformamide 2-Ethoxyethyl acetate Ethyl acetate Nitrobenzene 2-Nitropropane 1-Pentanol Propyl bromide Pyridine Styrene Tetrachloroethylene *Toluene 1,1,1-Trichloroethane Trichloroethylene Vinyl chloride Xylene Other organic substances Acetone cyanohydrin Acrylamide Acrylonitrile Allyl chloride Aniline 1,2-Benzenedicarbonitrile Benzonitrile Butylated triphenyl phospate Caprolactam Cyclonite Dibutyl phthalate 3-(Dimethylamino)-propanenitrile Diethylene glycol diacrylate Dimethyl sulphate Dimethylhydrazine Dinitrobenzene Dinitrotoluene Ethylbis(2-chloroethyl)amine Ethylene Ethylene oxide Fluoroacetamide Fluoroacetic acid Hexachlorophene Hydrazine Hydroquinone Methyl chloride Methyl formate Methyl iodide Methyl methacrylate p-Nitroaniline Pesticides Aldicarb Aldrin Bensulide Bromophos Carbaryl Carbofuran Carbophenothion - Chloralose Chlordane Chlordecone Chlorfenvinphos Chlormephos Chlorpyrifos Chlorthion Coumaphos Cyhalothrin Cypermethrin 2,4-D DDT Deltamethrin Demeton Dialifor Diazinon Dichlofenthion Dichlorvos Dieldrin Dimefox Dimethoate Dinitrocresol Dinoseb Dioxathion Disulphoton Edifenphos Endosulphan Endothion Endrin EPN Ethiofencarb Ethion Ethoprop Fenitrothion Fensulphothion Fenthion Methamidophos Methidathion Methomyl Methyl bromide Methyl demeton Methyl parathion Mevinphos Mexacarbate Mipafox Mirex Monocrotophos Naled Nicotine Oxydemeton-methyl Parathion Pentachlorophenol Phorate Phosphamidon Phospholan Propaphos Propoxur Pyriminil Sarin Schradan Soman Sulprofos 2,4,5-T Tebupirimfos Tefluthrin Terbufos Thiram Toxaphene Trichlorfon Trichloronat
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INTRODUZIONE
Ethylene dibromide Ethylene glycol n-Hexane Isobutyronitrile Isophorone Isopropyl alcohol Isopropylacetone Methanol Methyl butyl ketone Methyl cellosolve Methyl ethyl ketone Methylcyclopentane Methylene chloride
Phenol p-Phenylenediamine Phenylhydrazine Polybrominated biphenyls Polybrominated diphenyl ethers *Polychlorinated biphenyls Propylene oxide TCDD Tributyl phosphate 2,2,2-Trichlorotriethylamine Trimethyl phosphate Tri-o-tolyl phosphate Triphenyl phosphate
Fenvalerate Fonofos Formothion Heptachlor Heptenophos Hexachlorobenzene Isobenzan Isolan Isoxathion Leptophos Lindane Merphos Metaldehyde
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CAPITOLO I
LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
I. 1 INTRODUZIONE
Le malattie neurodegenerative sono un gruppo eterogeneo di patologie inerenti specifiche aree del sistema nervoso centrale (SNC) la cui sintomatologia caratterizzata da una progressiva riduzione della componente cognitiva o motoria, a seconda del tipo di cellule neuronali interessate dalla selettiva degenerazione della malattia. Esse a tuttoggi rappresentano un problema per la scienza medica dal momento che le cause eziologiche sono note solo in parte e il loro decorso spesso silente da un punto di vista sintomatico, ma inesorabilmente progressivo, viene evidenziato quando il danno al paziente gi in fase avanzata, precludendo, nella quasi totalit dei casi, la possibilit di una terapia efficace che non sia solamente sintomatica. Da un punto di vista patogenetico, tali malattie sono caratterizzate da un processo cronico di morte neuronale, non sempre accompagnato da infiammazione, che esita in gliosi, esordendo clinicamente in maniera strisciante nellet adulta con decorso progressivo. Nelle fasi iniziali assumono un carattere focale, che in genere colpiscono bilateralmente uno specifico sistema neuronale, dando luogo ad una sintomatologia clinica estremamente variegata. Un tempo si definivano le demenze come precoci e senili, in seguito le sole demenze precoci sono state individuate come delle patologie con caratteristiche peculiari, la stessa schizofrenia diagnosticata nelle fasi pi
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tardive era definita dementia precox. Per tenendo sempre presente questa nuova classificazione si pu comunque affermare che la maggior parte delle demenze e della neurodegenerazione del SNC sono correlate positivamente con let. Parimenti, tuttavia, si osservato che esistono specifici siti di aree cerebrali e cellule che rispetto ad altri vengono colpiti con pi frequenza, la loro particolare suscettibilit legata pi alle caratteristiche citochimiche che allet, ma la frequenza delle lesioni in suddette aree aumenta proporzionalmente allet stessa. Dal punto di vista istologico i processi neurodegenerativi consistono in lesioni non specifiche (un invecchiamento precoce di alcune popolazioni neuronali), genericamente indicative di stress cellulare. In tutti i tipi di malattie neurodegenerative le indagini immunocitochimiche rivelano la presenza di una o pi alterazioni comuni. Per questi motivi stato suggerito un meccanismo patogenetico comune a partire da un danno primitivo ai neuroni della neocorteccia cerebrale, con una possibile rilevanza nel processo patogenetico dello stress ossidativo. Con ci si indicano le conseguenze citopatologiche di un bilancio sfavorevole tra concentrazione intracellulare di radicali liberi e capacit della cellula di neutralizzarli, per un aumento della produzione endogena di radicali liberi, per una diminuzione delle sostanze neutralizzanti, e/o per una diminuzione della capacit di riparare il danno ossidativo prodotto dai radicali liberi sulle macromolecole cellulari. Lanalogia delle caratteristiche patologiche, cliniche ed epidemiologiche suggerisce lesistenza di fattori di rischio genetici ed ambientali comuni ai diversi tipi di malattie neurodegenerative. In sostanza, le evidenze scientifiche suggeriscono per le principali malattie neurodegenerative un meccanismo patogenetico comune e una eziologia multifattoriale risultante dallinterazione tra fattori di rischio ambientali e accentuata suscettibilit genetica individuale.
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LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
Leterogeneit dei fattori eziologici rendono difficile definire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione. Ci sono evidenze che lo stress ossidativo e lalterato metabolismo proteico siano due elementi essenziali nella patogenesi di molte delle malattie neurodegenerative. Le principali malattie neurodegenerative (malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, malattia di Huntington, atassia di Friedreich) sono tutte associate alla presenza di proteine anormali. Tra le proteine hot shock, la HSP-32, anche nota come HO-1 (eme ossigenasi-1), sembra avere un ruolo importante. La HO-1 potrebbe rappresentare un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale. La manipolazione dei meccanismi di difesa cellulari endogeni, come la risposta heat shock attraverso antiossidanti nutrizionali, composti farmacologici o trasduzione genica, potrebbe rappresentare un innovativo approccio nelle malattie neurodegenerative (Calabrese V. et al., 2006). Anche le disfunzioni del sistema immunitario sono causa di patologie neurodegenerative e psichiatriche. La disfunzione del sistema immunitario, con conseguente formazione di reazioni autoimmuni e produzione di autoanticorpi uno dei fattori eziopatogenetici in alcune malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer) e in malattie psichiatriche, come la schizofrenia. Le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da risposte immunitarie aberranti. Componenti self possono essere riconosciuti come estranei dal sistema immunitario per modificazioni posttrasduzionali, quali glicazione, ossidazione e aggregazione che avvengono nel corso dellinvecchiamento. Gli autoantigeni coinvolti nella patogenesi di tali malattie sono autoantigeni neuronali e autoantigeni endoteliali. Anticorpi anti-neurone sono stati dimostrati nel siero di pazienti con malattie neurodegenerative e potrebbero condurre allo sviluppo e progressione di esse in presenza di unalterata permeabilit della barriera ematoencefalica. Gli autoantigeni endoteliali vengono
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riconosciuti da anticorpi anti-cellule endoteliali che possono causare alterazioni della barriera ematoencefalica mediante attivazione o apoptosi delle cellule endoteliali. A tuttoggi non sono ancora disponibili marcatori che permettano una diagnosi specifica per patologie neurodegenerative e psichiatriche e che permettano di valutare il rischio, la progressione e gli effetti del trattamento farmacologico. Sono comunque in corso ricerche volte allidentificazione di autoantigeni riconosciuti dagli autoanticorpi presenti nel siero di pazienti con patologie neurodegenerative, come la sindrome di Alzheimer e a patologie psichiatriche come la schizofrenia, allo scopo di valutare il possibile utilizzo degli autoanticorpi specifici come marcatori prognostici e/o diagnostici e per comprendere meglio i meccanismi eziopatogenetici (Ortona E. & Margotti P., 2007). Nella complessit dei sistemi biologici, elemento comune alle malattie neurodegenerative lalterazione di alcuni processi metabolici, quali: Meccanismi dei processi proteolitici e/o dei loro sistemi di controllo Questi meccanismi alterati determinano un accumulo di proteine anomale, il quale, a sua volta, attiva un sistema di traduzione del segnale chiamato unfolded protein response, attraverso laumento dellespressione di geni della risposta allo stress associato al Reticolo Endoplasmatico (molecole di trasporto chaperoni). Pertanto eventuali mutazioni nelle proteine coinvolte nel traffico Golgi-RE provocano uninibizione della capacit di degradare proteine con conformazioni alterate. Le malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, il Parkinson, la malattia da corpi di Lewy, le Encefalopatie da prioni, la malattia di Huntington ed alcune neuropatie sono patologie caratterizzate da eccessive quantit di proteine erroneamente strutturate (misfolded) e da accumuli di rifiuti molecolari come nelle amiloidosi sistemiche e localizzate (Carrel RW, and Gooptu B., 1998). Il cambiamento della struttura secondaria e/o terziaria di una normale proteina funzionale per lo pi da imputare ad un mancato funzionamento di una famiglia di inibitori delle proteasi nello specifico
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LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
le serin-proteasi (serpine), ci comporta lalterazione della conformazione, una polimerizzazione patologica delle varianti proteiche e la formazione di aggregati proteici intra ed extracellulari con varie organizzazioni che hanno come risultato un inappropriato folding. In alcuni casi loligomerizzazione della proteina misfolded nella conformazione a foglietti b e la formazione di aggregati proteici, produce protofilamenti che si organizzano strutturalmente in fibrille formanti depositi di amiloide tossici per i tessuti con perdita di funzione della proteina aggregata. Losservazione che un tipo familiare di demenza strettamente associato allaccumulo di un inibitore della serino-proteasi presente nel cervello, la neuroserpina, ha permesso di postulare meccanismi conformazionali comuni alle demenze e alle serpinopatie. La neuroserpina omologa alla a1-antitripsina, sintetizzata e secreta dai neuroni durante la loro crescita, e si pensa possa avere un ruolo nel promuovere la formazione delle connessioni interneuronali. La serpinopatia caratterizzata dalla formazione nei neuroni di corpi dinclusione contenenti neuroserpina anomala ed causata da mutazioni, a differente penetranza, dei geni delle neuroserpine. In condizioni normali i neuroni limitano laggregazione intracellulare delle proteine, mediante meccanismi proteolitici. Quando laggregazione per supera una certa entit, i meccanismi proteolitici risultano insufficienti, con conseguente accumulo degli aggregati ed eventuale morte neuronale. La capacit proteolitica dei neuroni di tollerare un eccessivo carico si riduce in relazione al progredire dellet, e ci giustificherebbe alcune forme di Alzheimer a sviluppo tardivo, che sono caratterizzate dai tipici accumuli di precursore proteico della b-amiloide (b-APP) in quelle regioni come lippocampo e la corteccia, dotate di capacit proteolitica molto limitata. La distribuzione in tipiche zone del cervello degli aggregati proteici diversa in ciascuna delle demenze conformazionali ed responsabile della loro varia manifestazione clinica, alla quale contribuisce la severit della mutazione genetica. Infatti mutazioni che determinano notevole instabilit conformazionale comportano un esordio molto precoce della malattia e un coinvolgimento dei nuclei cerebellari e del talamo, con conseguente comparsa di epilessia mioclonica progressiva. Mutazioni meno severe nei geni delle neuroserpine comportano la comparsa di
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LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
inclusioni a livello di neuroni corticali distribuite in modo ampio e un esordio molto pi tardivo della demenza. Studi sulle demenze familiari hanno confermato che laccumulo intraneuronale di proteine aberranti di per s sufficiente a causare la malattia degenerativa ad esordio tardivo. Meccanismi molecolari di risposta allo stress ossidativo cellulare I processi biologici che coinvolgono i radicali liberi e gli antiossidanti sono basati su un complesso equilibrio, la presenza delle specie reattive dellossigeno (ROS), come H2O2, e i radicali OH e O2 di per se non deve essere considerata esclusivamente come un evento negativo dal momento che questi composti hanno un ruolo anche nelle funzioni fisiologiche. Spesso si identifica la presenza di radicali come unaccelerazione dellinvecchiamento dei tessuti o linstaurarsi di gravi patologie come malattie cardiovascolari e neurodegenerative, diabete, cancro (Halliwell, B. and Cross, C.E., 1994; Bray, T.M., 1999; Forsberg, L., et al., 2001). Al contrario, una situazione transiente di stress ossidativi rappresenta uno dei meccanismi fondamentali di funzionamento per: rispondere a/o inviare molti tipi di segnale (ormoni, neurotrasmettitori, citochine ecc.); difendersi dagli agenti infettivi; variare lo stato redox necessario ad avviare un processo differenziativo; essere intermediari di reazioni enzimatiche e chimiche. I radicali sono, perci, indispensabili ad un corretto funzionamento cellulare, tuttavia quando in un comparto tissutale o in una cellula, la corretta regolazione dellomeostasi dei radicali viene alterata nel suo funzionamento, si pu instaurare una situazione di stress ossidativi dovuta ad unaumentata presenza di radicali ossidanti. Ci determina una maggiore ossidazione del tessuto, misurabile dalla comparsa di specie ossidate presenti nei maggiori costituenti della cellula, quali lipidi, proteine, DNA, carboidrati e/o dalla riduzione dei livelli di riducenti
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naturali. Nel momento in cui un processo di stress ossidativo diviene cronico definisce un disequilibrio nella cellula tra la produzione di ROS e le capacit di difesa rappresentata dagli antiossidanti, determinando una condizione di rischio per processi degenerativi e linstaurarsi di una situazione patologica (Sies, H., 1985). noto che numerose patologie, sia su base genetica che acquisit,e sono associate ad alterazioni dello stato redox cellulare, le quali possono avere di per se un ruolo patogenetico o, al contrario, esserne un prodotto. Nel primo caso la produzione di specie pro-ossidanti (o la diminuzione di elementi antiossidanti) interviene nella normale fisiologia cellulare con alterazioni dei processi vitali quali corretta proliferazione e/o della morte cellulare, contrattilit, funzione mitocondriale. Da qui il loro plausibile ruolo nellinsorgenza di patologie degenerative, nei tumori o nei processi associati allinvecchiamento. Patologie che sembrano essere per lo pi correlate a stress ossidativo di tipo cronico, e comunque con esposizione a livelli acuti di ROS, sembrano essere la cataratta (Spector, A., et al., 1993), danni ai tessuti in seguito ad ischemia/riperfusione in vari organi trapiantati (Loguercio C. and Federico A., 2003; Poli G. and Parola M., 1997) e malattie neurodegenerative come lAlzheimer, il Parkinson e la Sclerosi laterale amiotrofica. Nel secondo caso, unalterazione del bilancio redox secondaria a processi patologici, come in alcune infezioni virali o in trattamenti farmacologici di tipo oncologico, dove le alterazioni redox possono rappresentare rilevanti e utili biomarkers per informazioni sulla natura, sulla localizzazione e sugli effetti dello stress ossidativo. Tuttavia, la presenza di molecole che hanno subto un danno di tipo ossidativo pu semplicemente riflettere epifenomeni secondari e non possedere un ruolo di tipo causale. Al momento non possibile delineare chiaramente le relazioni causali esistenti, ma una crescente serie di evidenze indica che elevati livelli di ROS portano a precise conseguenze patologiche, amplificano notevolmente ed estendono il danno, portando
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alla degenerazione irreversibile di cellule e tessuti (Nakamura H., et al., 1997; Andersen JK., 2004). ormai noto che lo stato redox cellulare regoli vari aspetti della funzionalit della cellula attraverso una complessa integrazione di numerosi meccanismi, ad esempio il danneggiamento strutturale delle proteine attraverso lossidazione diretta della catena aminoacidica, il legame alla catena peptidica di prodotti secondari dellossidazione degli zuccheri (glicossidazione), o di lipidi polinsaturi (lipossidazione) (Sayre LM, et al., 2001). Dati molecolari rilevano che dosi subletali di ROS, generati da vari stimoli, possono agire come veri e propri secondi messaggeri allinterno della cellula, andando a modificare il profilo dellespressione genica. Il processo mediato da modificazioni dellespressione di AP-1, Egr1, e di fattori di trascrizione, come NF-kb (Nuclear Factor-kB) e proteine Pax, coinvolte nel controllo delle funzioni cellulari (Tell, G., et al., 2005). Tale regolazione controllata principalmente dalla proteina nucleare, APE1/Ref-1, considerata un sensore redox cellulare; infatti, in risposta ad uno stress di tipo ossidativo, APE1/Ref-1 in grado di agire sia con attivit endonucleasica di riparo dei siti apurinici/apirimidinici del DNA sia di esercitare un controllo di tipo redox su diversi fattori di trascrizione. In questo modo le cellule vengono protette dal danno indotto da ROS sia a livello genomico, mantenendone la stabilit, sia a livello trascrizionale, attivando fattori di trascrizione che controllano i livelli di espressione di enzimi, che eliminano leccesso di ROS come le Superossido dismutasi (SOD), catalasi, ecc. Uno dei fattori di trascrizione controllato in modo redox da APE1/Ref-1 NF-kB (Nishi, T., et al., 2002), il quale svolge un ruolo fondamentale nella risposta allo stress ossidativo, nella regolazione dellinduzione dellapoptosi, inoltre modula a sua volta i livelli di ROS intracellulari attivando la trascrizione di geni che controllano laccumulo di ROS. Questi geni, come SOD2, sono in grado di inibire entrambi la morte cellulare indotta da TNF riducendo i livelli intracellulari di ROS (Wong G.H.W. et al., 1989; Pham C.G. et al., 2004). Infatti nella Sclerosi Amiotrofica Laterale (SLA) sia di tipo familiare che sporadica, un aumento di ROS dovuto ad alterazioni della SOD1, associato a
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modificazioni ossidative del trasportatore di glutammato GLT-1 nel midollo spinale dei pazienti, rafforza lipotesi di una relazione causale tra stress ossidativo ed eccitotossicit. Stress ossidativi e mitocondri Nelle ricerche degli ultimi anni sta emergendo nelle malattie neurodegenerative, il Parkinson, lAlzheimer, latassia di Friedreich, la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, il possibile ruolo dellinterazione tra mitocondri e stress ossidativo. Levidenza che i mitocondri siano un sito di danno nelle malattie neurodegenerative si basa in parte sulla riduzione dellattivit della catena respiratoria nella malattia di Parkinson, di Alzheimer e di Huntington. Le funzioni neuronali richiedono unelevata energia, prodotta a livello mitocondriale tramite fosforilazione aerobica ossidativa, quindi alterazioni dei mitocondri intervengono nella fisiopatologia di molte malattie neurodegenerative, a causa di fenomeni come il deficit energetico, lo stress ossidativo e la eccitotossicit. Tali alterazioni comportano una esposizione cronica delle cellule nervose a livelli molto elevati di ROS, derivanti principalmente dalla disregolazione della fosforilazione ossidativa mitocondriale; il loro accumulo, unitamente al deficit energetico inducono un processo a cascata di ostacolo del trasporto intracellulare di glutammato, il quale si deposita nello spazio intersinaptico determinando una continua stimolazione dei recettori con attivazione dellapoptosi. A tal proposito, numerose evidenze supportano la presenza di alterazioni mitocondriali nei pazienti ALS e nei modelli sperimentali della malattia. Inoltre, mutazioni puntiformi del DNA mitocondriale sono presenti con maggiore frequenza nel midollo spinale di pazienti ALS rispetto ai controlli. Anche la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) rappresenta una malattia neurodegenerativa con unalterata funzionalit mitocondriale, determinata dalla perdita delle cellule gangliari della retina per mutazioni in varie subunit del complesso I della catena respiratoria, alterando lo stato ossidativo della cellula, e causando a sua volta la modulazione ossidoriduttiva dei trasportatori del glutammato e
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linnesco della cascata eccitotossica. Anche le cellule periferiche di pazienti affetti da tali patologie neurodegenerative presentano alterazioni mitocondriali. stata riscontrata una ridotta attivit del complesso IV in linfociti di pazienti affetti da ALS e una riduzione marcata dellattivit del complesso I in mitocondri isolati da piastrine di pazienti affetti da LHON (Ferrarese C. et al, 2001), nella malattia di Alzheimer (Ferrarese C. et al, 2000) e nella malattia di Parkinson (Ferrarese C. et al., 1999). Anche in unaltra malattia neurodegenerativa, latassia di Friedreich, la patogenesi non ancora ben definita, a causa della eterogeneit dei fattori eziologia; difficile stabilire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione. Tuttavia vi sarebbe anche in questo caso un alterato metabolismo mitocondriale con aumento dei livelli di ferro libero, un difettivo processo della catena respiratoria mitocondriale, associata ad unaumentata generazione di radicali liberi e danni ossidativi. A tutto ci stato rilevato che una ridotta espressione della proteina frataxina, una proteina mitocondriale, in grado di detossificare i ROS mediante attivazione della glutatione perossidasi e aumento dei tioli. Lalterato metabolismo proteico e lo stress ossidativo sarebbero anche alla base, nei malati di atassia di Friedreich, di unanomala risposta a livello del cervello allo stress del tipo shock termico. Nel sistema nervoso centrale, la sintesi della proteina heat shock indotta non solo dopo ipertermia, ma anche dopo alterazioni nellambiente redox intracellulare. In particolare, la proteina HSP-32 sembra avere un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale (Calabrese V. et al., 2005).
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La malattia di Alzheimer (MA): caratterizzata da un graduale e progressivo decadimento delle funzioni cognitive quali la memoria, il giudizio, la critica, il ragionamento. La Sclerosi Multipla (SM): caratterizzata allesordio da disturbi motori e di sensibilit seguiti da deficit dellequilibrio, deficit visivo, disturbi urinari, intestinali e della sfera sessuale. La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA): caratterizzata da atrofia muscolare ingravescente, fascicolazioni, crampi muscolari, iperreflessia e successivamente da fenomeni bulbari. In questo capitolo viene affrontata una panoramica delle malattie neurodegenerative pi comuni con particolare riferimento ai possibili meccanismi che sono alla base dello sviluppo e progressione di tali patologie. I.3.1 La Malattia di Alzheimer La malattia di Alzheimer (MA) rappresenta la terza causa di morte nei paesi occidentali. Fu descritta per la prima volta da Alois Alzheimer nel 1906 come una lenta neurodegenerazione, la cui sintomatologia caratterizzata da una progressiva demenza con perdita di alcune funzioni cognitive (linguaggio, orientamento spazio-temporale, memoria, capacit di giudizio) in un arco di tempo che oscilla tra i 5-15 anni. Lo stadio finale della malattia mostra un cervello caratterizzato da unatrofia cerebrale con ventricoli pi ampi, riduzione dei cortical gyri e ampi solchi (widened sulci), tali cambiamenti sono da attribuire alla perdita di cellule neuronali. Esiste anche una degenerazione differenziale nei diversi gruppi di cellule neuronali in relazione alla malattia, infatti lippocampo noto essere coinvolto nella patologia in modo pi consistente rispetto alla perdita funzionale tipica dellinvecchiamento, ci correla con la fisiologia dellippocampo implicato nella formazione della memoria e con il fenotipo della malattia, che prevede un deficit della stessa.
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Sembra ormai abbastanza consolidata la motivazione che allorigine della degenerazione neuronale vi sarebbe un processo di apoptosi incontrollata determinata da diversi fattori. Da un punto di vista anatomopatologico, a livello citologico c la presenza di due caratteristiche lesioni dovute alla presenza di: placche ricche di beta amiloide (derivante dalla proteina di membrana APP) nello spazio extracellulare dei neuroni, il processo piuttosto complesso si basa sul taglio di b-APP da parte di tre enzimi proteolitici (a, b e g-secretasi). Se il taglio operato dagli enzimi a e g-secretasi viene originato un frammento normale (p3); se invece b-APP tagliata da b e g-secretasi, si pu produrre il peptide Ab normale di 40 aminoacidi, oppure la versione patologica di 42 aminoacidi che si accumula a livello extracellulare. Il meccanismo neurotossico da addebitare alla Met-35 la quale sembra avere un ruolo critico in quanto coinvolta nellinduzione di stress ossidativo e della perossidazione dei lipidi (Butterfield DA, Boyd-Kimball D., 2004). Inoltre la g-secretasi fa parte di un complesso proteico localizzato nella membrana lisosomiale costituito da: Presenilina-1 (PS1), Nicastrina (NcT), mAPH1 e PEN2, componenti necessari per il riconoscimento di substrati, assemblaggio di complessi, stabilit e localizzazione dello stesso nei siti dazione. La co-espressione di PS1, NcT, mAPH1 e PEN2 induce la formazione degli eterodimeri della presenilina, glicosilazione della nicastrina ed aumento dellattivit della g-secretasi. La proteolisi intramembrana di bAPP (il clivaggio g-secretasi) risulta alterata da mutazioni a carico delle preseniline, determinando uniperproduzione di derivati neurotossici, amiloidogenici di Ab 1-42. Sono state descritte diverse mutazioni missense del gene PS1 che sono alla base delle forme familiari ad esordio precoce di Alzheimer. Tali varianti mutate inducono unalterazione del processo proteolitico dellAPP capace di provocare un aumento della suscettibilit allapoptosi. Il Reticolo Endoplasmatico ed il compartimento intermedio RE-Golgi possono essere siti di generazione di peptidi tossici di Ab 1-42 in presenza di alterazioni del sistema unfolded protein response, causate da mutazioni della PS1. stato ipotizzato che gli aumentati livelli di Ab 1-42 potrebbero essere il risultato di APP ritenuta a livello del Reticolo
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Endoplasmatico, a seguito del cattivo funzionamento unfolded protein response e del trasporto proteico, dal momento che le mutazioni di PS1 inducono una ridotta espressione della proteina di trasporto GRP78/Bip coinvolta nel folding proteico, ed i cui livelli sono ridotti nei cervelli dei malati (Di Luca M, et al. 1998). accumulo di proteina Tau a livello intraneuronale. I neuroni presentano uno scheletro interno di supporto formato in parte da microtubuli, il cui assemblaggio e la cui organizzazione funzionale, in particolare la morfologia, la crescita e la polarit degli assoni, sono regolati dalla proteina tau. In un cervello non affetto da patologia, la proteina tau lega i microtubuli attraverso dei siti di legame tubulina specifici sotto lazione di una fosforilazione nei domini dei legami tra microtubuli a carico di Ser/Thr-Pro (Buee L. et al., 2000). Nei neuroni affetti dalla malattia la proteina tau viene iperfosforilata in pi di 22 siti diversi, ci determina la perdita della capacit di legame della proteina con i microtubuli, i frammenti liberi della proteina si aggregano in grovigli neurofibrillari, alla base di problemi di comunicazione interneuronale e apoptosi incontrollata delle cellule (Hanger DP, et al., 1998). Il fenomeno dellapoptosi nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer risulta essere aberrante e si auto-propaga fin dalla fase iniziale della malattia, studi del 2005 ne hanno svelato il possibile meccanismo molecolare riconducibile alla proteina tau alterata non determinato dalla sola aggregazione. Sperimentazione in vitro cellule neuronali di ratto, hanno evidenziato che i frammenti 151 e 421 della proteina tau prodotti dal taglio della caspasi-3, sono in grado di condurre alla morte i neuroni dellippocampo, una specifica popolazione di cellule colpita precocemente nella malattia di Alzheimer. Questi frammenti proteici derivano da un processo post-traduzionale della proteina tau, non originano, quindi da una mutazione genetica a carico del gene codificante tau, anche se in altre tauopatie (demenze fronto-temporali con Parkinsonismo associate al cromosoma 17, o Ftdp) le mutazioni di questo gene sono di per se responsabili della demenza. La
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neurodegenerazione potrebbe essere quindi scatenata da un processo autocatalitico in cui lattivazione di caspasi-3 promuove il processamento di tau, il quale genera a sua volta frammenti proteici che favoriscono lapoptosi (Fasulo L., et al., 2005). Nel tentativo di definire parametri biologici che permettano di diagnosticare in fase precoce la malattia stato messo in evidenza la relazione tra la diminuzione dei livelli di Ab 1-42 nel liquor di pazienti affetti da Alzheimer rispetto a controlli sani di uguale et, mentre i livelli di proteina tau mostrano un gradiente opposto rispetto a quelli dellamiloide, risultando pi elevati nei pazienti malati, intermedi in quelli affetti da forme di demenza non Alzheimer e bassi nei soggetti sani (Arai H, et al., 1995). Molti studi indicano che, ben lungi da avere una singola causa, la malattia sia solitamente causata dalla combinazione di pi fattori di rischio, circa il 75% dei casi di Alzheimer sono classificati come sporadici, la cui origine non ha una causa ben definita, ma non si esclude una componente genetica, dove uno dei fattori di rischio rappresentato dallet, tuttavia appare evidente lassociazione con la presenza di uno o due alleli 4 del gene codificante per la apolipoproteina E (Apo E) presente sul cromosoma 19. Il restante 25% dei casi di Alzheimer effettivamente a carattere ereditario, questi casi si possono distinguere in malattie a comparsa precoce (i sintomi appaiono prima dei 65 anni) e a comparsa tardiva (i sintomi appaiono dopo i 65 anni). Nel primo caso sembra che possano essere coinvolti: Il gene per la produzione di beta-amiloide come APP, la proteina precursore dellamiloide collocato sul cromosoma 21 (Padovani A, et al., 2002). I geni per le presenilina 1 (PSEN1) e presenilina 2 (PSEN2) presenti rispettivamente sul cormosoma 14 e cromosoma 1. Anche se una solamente di queste mutazioni viene ereditata, la persona quasi inevitabilmente svilupper la malattia di Alzheimer del tipo ad insorgenza precoce. Mentre per le forme di carattere tardivo appare avere un ruolo ancora la presenza della proteina APP. Recenti studi hanno sottolineato un possibile collegamento fra fattori correlati al
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rischio cardiovascolare e la genesi della malattia di Alzheimer, in particolare sembra che elevati livelli dellaminoacido omocisteina siano associati con un rischio maggiore di malattia. Unaltra area che sembra dare suggerimenti utili a capire la genesi dellAlzheimer lo studio dellinvecchiamento, in particolare in relazione al danno neuronale che col tempo viene inflitto da parte dei radicali liberi e che pu innescare dei fenomeni di danno ossidativo che interferiscono con i sottili equilibri di controllo del cervello. I.3.2 La Malattia di Parkinson Il Morbo di Parkinson (MP) fu descritto per la prima volta da James Parkinson nel 1817 come una malattia neurodegenerativa del Sistema Nervoso Centrale (SNC), riguardante almeno 1% della popolazione con oltre 55 anni di et (Rajput AH., 1992), la cui eziologia a tuttoggi non completamente conosciuta. In condizioni fisiologiche un cervello sano perde una percentuale di cellule nigrali dal 4.7% al 6% per ogni decade di vita nellintervallo tra i 50 e i 90 anni (Gibb WR, Lees AJ., 1991) tuttavia tale perdita non sufficiente a giustificare il MP (McGeer PL, et al., 1977). La patologia caratterizzata dalla degenerazione della connessione neurale tra la Substantia Nigra e lo striato, due porzioni del cervello essenziali per il mantenimento della normale funzione motoria dellorganismo (Wooten GF 1997). .,
Fig. I.1.2.1. Diagramma schematico dei percorsi dopaminergici nel nigrostriale. Fig. 1. Schematic diagram showing the nigrostriatal dopaminergic pathway. A crosssection of human brain shows the caudate and putamen, which constitute the striatum. A section through the midbrain shows the substantia nigra. Dopaminergic neurons (in red), whose cell bodies are located in the SN, send projections that terminate and release dopamine in the striatum. With the degeneration of the dopaminergic pathway, there is a progressive drop in dopamine release into the striatum. Striatal dopamine deficiency, in turn, resultsin complex changes in the brains motor circuitry and causes the motor deficits characteristic of Parkinsons disease (for interpretation of the references to color in this figure legend, the reader is referred to the web version of the article).
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Striatum
Cell body
Substantia nigra
Lo striato fisiologicamente riceve input da parte dei neuroni della Substantia Nigra Pars Compacta (SNpc) attraverso la via dopaminergica nigrostriatale (Moore RY, et al., 1971), la progressiva degenerazione del pathway dopaminergico nigrostriatale comporta una massiva riduzione della dopamina (DA) striatale per una ridotta sintesi e rilascio di DA dai nervi striatali terminali (striatal nerve terminals) (Lang AE, Lozano AM., 1998; De Long MR., 1990; Dicker E, et al., 1993) che nel caso delle manifestazioni cliniche del MP pu essere causata dalla perdita fino all80% dei neuroni dopaminergici. Inoltre in alcuni neuroni nigrali dopaminergici che sopravvivono alla deplezione nonch in altre regioni del cervello come la cortex e i magnocellular basal forebrain nuclei sono presenti alterazioni citologiche dovute dalla presenza di inclusioni citoplasmatiche costituite da aggregazioni di proteina -sinucleina, definite corpi di Lewy (LBs) (Gibb WR, Lees AJ., 1988; Uversky V.N., 2003). Diversi dati di letteratura rafforzano levidenza di una multifattorialit per leziologia del MP coinvolgendo fattori genetici, ambientali, disfunzione mitocondriale e danno ossidativo. In questo ultimo caso opportuno definire che non ancora chiaro quanto lo stress ossidativo rappresenti una causa o sia una conseguenza di altri eventi, tuttavia
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certo il suo ruolo sul danno al DNA (Zhang J, et al., 1999) ed alle proteine (Floor E, Wetzel MG., 1998). Il contributo alla eziologia della malattia da parte di una predisposizione genetica stato studiato sia con studi di caso-controllo (Gasser T. 2001; Sveinbjornsdottir S, et al., 2000) sia con ricerche di identificazione di mutazioni geniche come nel gene per l -sinucleina (Zarranz JJ, et al., 2004), il parkin (Kitada T, et al., 1998), il PINK1 (Valente EM, et al., 2004), il PARK 8 per la proteina dardarin (Hernandez D, et al. 2005) infine il DJ-1 (Bonifati V, et al., 2003). Attualmente gli studi hanno dimostrato che l-sinucleina avrebbe un ruolo centrale nonch molteplice dal momento che la sua alterazione funzionale la si riscontra in tutte le forme della patologia. noto che la sua over-espressione attivi lapoptosi (Lee M, et al., 2001) probabilmente a causa del suo coinvolgimento nella regolazione della stabilit della membrana cellulare e della plasticit neuronale (Recchia A, et al., 2004). La proteina stessa nella sua fase solubile spesso associata ad altre proteine tra cui la tau di cui induce la fosforilazione e la struttura in fibrille (Jensen PH, et al., 1999) a supporto di ci frequente rilevare la copresenza nelle cellule di grovigli neurofibrillari intraneurali insieme ai corpi di Lewy indicando che le alterazioni citologiche non sono spesso cos nettamente distinte nelle diverse patologie ma che diversi meccanismi possono sovrapporsi. Vi sarebbe anche una relazione tra gli aggregati di -sinucleina e lo stress ossidativo infatti questi aggregati simili a quelli di beta-amiloide possono essere indotti in vivo dalla compresenza di Cu(II) (Paik SR, et al., 1999), Fe/H2O2 (Hashimoto M, et al., 1999) o citocromo c/H2O2 (Hashimoto M, et al., 1996) elementi centrali nello induzione delle specie reattive dellossigeno (ROS). A sua volta lo stress ossidativo pu danneggiare direttamente il sistema ubiquitina-proteasoma il quale deputato al controllo della divisione cellulare, della traduzione dei segnali e della risposta immunitaria. Il suo ruolo nella patogenesi di molte malattie neurodegenerative riferito al fatto che una sua alterazione comporta una condizione di stress proteolitico con un accumulo intracellulare di proteine anomale o non correttamente conformate (ripiegate) che non vengono eliminate, inoltre gli aggregati
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proteici tipici della neurodegenerazione sono in grado di intrappolare lubiquitina alterandone la funzione (McNaugth KS, Olanow CW., 2003). Tuttavia lereditariet sembra non essere sufficiente a spiegare tutti i casi di MP, infatti la presenza di proteina -sinucleina viene riscontrata in tutti gli LBs, anche nella maggior parte dei casi idiomatici di MP, senza per identificare la presenza di mutazioni a carico del gene codificante la proteina stessa. Questo indicherebbe, quindi, lesistenza di meccanismi addizionali che causano cambiamenti conformazionali della proteina sinucleina e conseguentemente la sua aggregazione nella formazione dei LBs (Spillantini MG, et al., 1997). Da ci la possibilit che diversi fattori di rischio ambientali siano correlati allinsorgenza della malattia e alla modulazione della stessa nella sua progressione (Di Monte DA, et al., 1986; Di Monte DA, Lavasani M, 2002; Di Monte DA., 2003; McCormack AL, et al., 2002; Tanner CM, Ben-Shlomo Y., 1999). Infatti noto che diversi composti chimici presenti nellambiente possono risultare tossiche per il sistema nigrostriatale contribuendo a determinare il processo neurodegnerativo del MP come: metalli (Altschuler E., 1999; Gorell JM, et al., 1999; Yasui M, et al., 1992). solventi (Davis LE, Adair JC., 1999; Hageman G, et al., 1999; Pezzoli G, et al., 1996; Seidler A, et al., 1996). monossido di carbonio (Klawans HJ, et al., 1982). Negli ultimi 20 anni stato rilevato che la neurotossina 1methyl,4phenyl,1,2,3,6 tetrahydropiridina (MPTP) induce nelluomo (Davis G. et al., 1979; Langston J. et al., 1983), e nella scimmia (Burns R. et al., 1983; Langston J. et al., 1984) una sindrome neurologica del tutto sovrapponibile a quella tipica del MP idiomatico, determinata da una preponderante deplezione selettiva della DA striatale e dei suoi metaboliti e una deplezione dei neuroni DA della SNpc. Inoltre stato rilevato che diversi prodotti chimici utilizzati come erbicidi e pesticidi (paraquat, diquat, rotenone) sono da un punto di vista molecolare strutturalmente simili al MPTP e studi epidemiologici hanno dimostrato un incremento del rischio del MP con luso di questi composti in
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agricoltura o con lassunzione di acqua o cibo contaminati dagli stessi (Marder K, et al., 1998; Gorell JM, et al., 1998; Vanacore N, et al., 2002). Tuttavia anche su questo fronte non ancora stato possibile identificare in una esclusiva causa ambientale da agenti chimici leziologia della malattia. I.3.3 La Sclerosi Multipla La Sclerosi Multipla (SM) una malattia che colpisce la sostanza bianca del sistema nervoso centrale, cervello e midollo. Si chiama sclerosi perch la malattia produce delle cicatrici nelle zone danneggiate e Multipla perch il processo colpisce parti diverse del SNC e in tempi diversi. La malattia causa demielinizzazione, cio un danno alla guaina mielinica, quindi un rallentamento nella conduzione degli impulsi nervosi lungo le vie, i neuroni che ne sono interessati. Anche lassone pu risentire dellattacco infiammatorio e della perdita della mielina compromettendo cos la sua funzione e generando il cos detto danno assonale.
Dendrite Terminale presinaptico
Nodo di Ranvier
Guaina
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La sclerosi multipla caratterizzata da chiazze multiple di demielinizzazione o placche, disseminate in senso spaziale ma anche temporale, in quanto le lesioni si formano, come gi detto, a pi riprese nel tempo, accumulandosi. Le aree di localizzazione preferenziale sono: la sostanza bianca periventricolare, il nervo ottico, il tronco dellencefalo, il cervelletto e il midollo spinale. La demielinizzazione degli assoni delle cellule del sistema nervoso, determina alterazioni delle prestazioni sensitivo-motorie, a causa della riduzione della velocit di conduzione degli impulsi, compromettendo anche gli aspetti cognitivi e comportamentali. I disturbi della sclerosi multipla sono assai variabili e disparati, sia sul versante sensitivo che su quello motorio, in quanto dipendono dalla zona cerebrale interessata di volta in volta dal processo patologico. Un coinvolgimento dellarea temporale potr provocare ad esempio disturbi uditivi, mentre un interessamento dellarea occipitale sar spesso associato a problemi visivi. Levoluzione clinica della sclerosi multipla molto variabile: accanto a forme benigne, con remissione completa ed assenza di recidive, esistono casi ad evoluzione progressiva, con riaccensioni ripetute e postumi invalidanti permanenti. La SM rappresenta la pi comune causa di disabilit su base neurologica nella popolazione giovanile adulta. La maggior parte dei pazienti affetti da sclerosi multipla manifesta i primi sintomi ad una et compresa tra i 20 ed i 40 anni. Colpisce pi frequentemente il sesso femminile (incidenza doppia rispetto ai maschi) e, pur non essendo una malattia ereditaria, pi comune in famiglie con predisposizione genetica. Il decorso della malattia variabile: alcune persone sono minimamente affette dalla malattia, mentre in altre, essa progredisce rapidamente fino alla disabilit totale. Nella maggior parte dei casi la malattia procede per ricadute, con comparsa di un sintomo clinico, che regredisce parzialmente o completamente in 1 o 2 mesi. Le ricadute sono pi frequenti nei primi anni della malattia, successivamente diminuiscono e il decorso pu
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diventare progressivo. La durata media di sopravvivenza dopo i sintomi di esordio superiore ai trentanni. In base al decorso, si distinguono quattro forme cliniche principali di sclerosi multipla. La SM recidivante-remittente ha una frequenza di circa il 25%; caratterizzata dal susseguirsi di attacchi (pousses, esacerbazioni, ricadute o recidive), costituiti dallinsorgenza acuta di disturbi neurologici, con la comparsa di nuovi sintomi o aumento della severit di sintomi gi presenti, che tendono per lo pi alla regressione totale o parziale. Con il trascorrere del tempo la regressione tende a farsi sempre meno completa (forma remittente con esiti) finch, dopo 5-20 anni in media si assiste spesso ad un viraggio verso la forma secondariamente progressiva. La malattia pu rimanere inattiva per mesi, oppure per anni. La SM secondaria progressiva ha una frequenza di circa il 40%; costituita da quelle forme recidivanti-remittenti che hanno perso il caratteristico andamento intermittente e presentano un peggioramento costante (andamento progressivo) con una significativa disabilit. La SM primaria progressiva ha una frequenza di circa il 15%; caratterizzata da un andamento cronico fin dallinizio senza intervalli liberi da disturbi neurologici e da un decorso progressivamente ingravescente. Questa forma ha in genere esordio tardivo (dopo i 40 anni), e tende ad essere caratterizzata per lo pi da disturbi motori. La SM benigna ha una frequenza di circa il 20%; dopo uno o due attacchi con recupero completo, questa forma di S.M. non peggiora col tempo e non determina disabilit permanente e, comunque, non superiore ad un punteggio di 3 alla EDSS (scala di valutazione della disabilit di Kurtzke) dopo 10 anni dallesordio. Questa forma di S.M. associata a sintomi meno severi, per lo pi di tipo sensorio. La causa primaria di questa malattia ancora sconosciuta, mentre sono ben conosciuti i meccanismi attraverso i quali si manifesta e procede nel tempo.
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La SM presenta diverse cause di insorgenza quali cause virali, ambientali, genetiche e immunitarie, le quali insieme concorrono alla manifestazione della malattia. Valutando le relazioni tra questi fattori sembrerebbe che la SM sia causata da fattori autoimmuni che molto probabilmente vengono attivati da fattori ambientali in soggetti geneticamente predisposti. I pazienti con questa patologia presentano numerose alterazioni del sistema immunitario, ma non ancora certo se queste siano la conseguenza del processo morboso, in risposta ad uninfezione virale, o la causa del processo stesso. Lipotesi maggiormente supportata quella di malattia infiammatoria auto-immune, probabilmente causata, o quanto meno attivata da un virus. Il sistema di difesa dellorganismo inizierebbe a considerare la mielina presente nel sistema nervoso centrale come estranea, distruggendola gradualmente. Esiste sicuramente una predisposizione genetica: nei parenti di primo grado dei pazienti con SM il rischio di sviluppare la malattia circa quindici volte maggiore che nella popolazione generale, in particolare tra fratelli. La componente genetica potrebbe intervenire a regolare la suscettibilit dei soggetti a determinati fattori esogeni. Anche lambiente pu svolgere un certo ruolo: questa malattia cinque volte pi frequente nelle zone temperate (come gli USA e lEuropa), rispetto alle regioni tropicali (Iannotta C., 1999). I pazienti con sclerosi multipla possono presentare anticorpi anti mielina, sia in corrispondenza delle placche di demielinizzazione a livello del sistema nervoso centrale, sia nel siero. Gli anticorpi anti-mielina sono di due tipi: anticorpi anti-MOG (myelin oligodendrocyte glicoprotein) ed anticorpi anti-MBP (myelin basic protein), diretti contro differenti target antigenici delle guaine mieliniche della sostanza bianca cerebrale. da far presente che gli anticorpi anti-mielina non rivestono tanto un ruolo diagnostico, essi si evidenziano infatti solo nel 60% dei pazienti con sclerosi multipla ed il loro riscontro non daltra parte sufficiente a porre diagnosi, in quanto non sono specifici per questa malattia. La sieropositivit per gli anticorpi anti-MOG e/o anti MBP, in un paziente con diagnosi clinica e strumentale (Risonanza Magnetica
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Nucleare) di sclerosi multipla, tuttavia indicativa della presenza di una patologia in fase attiva ed associata ad un aumentato rischio di evoluzione negativa, con recidive frequenti ed esiti invalidanti. I pazienti sieronegativi hanno invece unelevata probabilit di presentare una malattia ad andamento benigno, con poche recidive e scarsit di postumi neurologici. La presenza di anticorpi anti-mielina, in soggetti con sclerosi multipla, individua dunque un sottogruppo di pazienti a prognosi negativa, da sottoporre perci precocemente a trattamento (cortisonici, interferone, copolimero 1, immunosoppressori), al fine di prevenire la progressione della patologia. Alcuni studi indicano che lo stress ossidativo gioca un ruolo primario nella patogenesi della sclerosi multipla (Sayre L.M. et al., 2005). risaputo che linfiammazione pu aumentare i livelli delle specie reattive dellossigeno (ROS) e dellazoto (RNS) conducendo allo stress ossidativo. Una delle pi frequenti cause di specie reattive, esclusa la catena di trasporto degli elettroni nel mitocondrio, il sistema respiratorio di microglia attivato. I fattori ROS e RNS generati dai macrofagi sono risultati essere coinvolti come mediatori della demielinizzazione e del danneggiamento degli assoni sia nella encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE, modello animale generalmente (accademicamente) accettato per lo studio della SM), che nella SM (Gilgun-Sherky Y, et al., 2004; Van der Goes A. et al., 1998). In pi i radicali liberi possono attivare alcuni fattori di trascrizione, come il fattore Kappa B della trascrizione del nucleo, il quale gestisce/predetermina lespressione di molti geni implicati nella EAE e nella SM, come il fattore a della necrosi tumorale, la sintesi indotta di ossido nitrico (iNOS), laderenza intracellulare della molecola 1 e laderenza della cellula vascolare della molecola 1 (Barnes PJ, Karin M. 1997; Winyard PG, Blake DR. 1997). Un analisi del sangue (plasma, eritrociti e linfociti) di 28 pazienti con SM, comparati con 30 controlli di pari et sani ha rilevato che i pazienti con SM mostrano riduzioni significative dei livelli di ubiquinone e
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vitamina E nel plasma., e un abbassamento della glutatione perossidasi eritrocitaria (Syburra C, Passi S. 1999). La conclusione stata che il sangue dei pazienti con sclerosi multipla mostra segni significativi di stress ossidativo. Tale conclusione consolida uno studio precedente che ha rivelato una significante diminuzione nellattivit della glutatione perossidasi in 24 pazienti con SM, comparati ai controlli (Skukla UK, Jensen GE, Clausen J. 1997); unanormale attivit di catalisi stata riscontrata anche nei granulociti (Jensen GE, Clausen J. 1997). Inoltre risultato anche un aumento del 38% nellossidazione dei lipidi, infatti sono stati riscontrati nel plasma dei livelli significativamente elevati di glutatione ossidasi e una riduzione della vitamina E: la quantit di lipidi stato misurata durante la fase attiva della malattia (Karg E, et al. 1999). Controlli della CSF hanno mostrato concentrazioni significativamente elevate di isoprostani (Greco A, et al., 1999), e un aumento della MDA e dellattivita della glutatione reduttasi, e una diminuizione dellattivit della glutatione perossidasi. (Calabrese V, et al., 1994). Inoltre, controlli specifici della malattia SM hanno rilevato un aumento dellattivit dei radicali liberi, in corrispondenza con il decrescere dei livelli di glutatione, a-tocoferol e di acido urico (Langemann H, et al, 1992). Inoltre, stato dimostrato che le cellule monoclonali attive, nei pazienti con SM, producono un alta quantit di specie reattive dellossigeno e dellazoto e che si sviluppano, in associazione con le infiammazioni nella malattia cronica attiva, danni ossidativi al DNA, compreso il DNA mitocondriale (Lu F et al., 2000; Vladimirova O, et al., , 1999). A causa del fatto che abitualmente le cellule immunitarie attive rilasciano glutammato, si ritiene che sia proprio lesocitotossicit del glutammato a provocare danni agli assoni. I disturbi da demielinizzazione causati da esocitotossine possono essere molto simili a quelli osservati nella SM, causando cos, nel tempo, danni similari. Un rilascio eccessivo di glutammato da neuroni danneggiati pu condurre ad un sovraeccitamernto dei neuroni, e di conseguenza alla morte delle cellule per apoptosi, mediata da diversi tipi di recettori del glutammato (Matute C, Perez-Cerda F 2005). .
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stato trovato che gli oligodendrociti sono altamente sensibili alla esocitotossicit del glutammato principalmente attraverso i recettori AMPA/kainite (Matute C, et al., 2001). Recenti studi sperimentali hanno mostrato che dal trattamento con gli antagonisti dellAMPA/kainite risulta un sostanziale miglioramento della EAE sperimentale (Noseworthy JH, et al., 2000). Lantagonista dellAMPA/kainite, inoltre, aumenta la sopravvivenza delloligodendrocita e riduce la defosforilazione del neurofilamento H, un indicatore del danno dellassone (Pitt D, et al., 2000; Smith T, Groom A, Zhu B, Turski L. 2000). E inoltre provato che nella SM si ha un aumento di glutammato, in associazione allaggravarsi e il proseguire della malattia, nei livelli di CSF (Stover JF et al., 1997; Barkhatova VP et al., 1998) e che la produzione di , , glutammato da parte dei macrofagi pu essere alla base dei danni agli assoni e alla morte degli oligodendrociti nei casi di SM (Werner P et al., 2001). , I.3.4 La Sclerosi Laterale Amiotrofica La malattia relativamente rara, tipicamente di tipo sporadico, ha unincidenza relativamente bassa (intorno ai 2 casi ogni 100.000 abitanti/anno) e una prevalenza in Italia di oltre 3.000 malati (negli Stati Uniti sono circa 25.000), con una piccola percentuale di casi a base genetica, Questa malattia nota anche come Morbo di Lou Gehrig (dal nome del giocatore americano di baseball che ne fu affetto). La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), meglio definibile come malattia dei motoneuroni, determinata dalla simultanea degenerazione dei neuroni di moto, usualmente attiva nelle aree cerebrali del corticale motorio, tronco encefalico (specie bulbo) e spinale che hanno la funzione di assicurare la motricit di determinati gruppi muscolari e il loro tonotrofismo, comprende una serie di patologie che si manifestano clinicamente con un deficit progressivo di capacit motoria in aree del corpo differenziate a seconda del punto di attacco. La progressione della degenerazione dei motoneuroni interessati varia da soggetto a soggetto, ma comunque piuttosto rapida, nellordine di qualche anno. Ne risulta che alcuni muscoli si fanno via via pi deboli e tendono a perdere volume e tono, per cui le funzioni a cui sono preposti questi
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gruppi muscolari (deglutizione, fonazione, respirazione, motricit degli arti, ecc.) divengono sempre pi deficitarie. Leziologia della patologia, come nelle altre neurodegenerative, dichiarata sconosciuta dalla scienza medica ufficiale. In epoca relativamente recente sono state avanzate diverse ipotesi sui possibili meccanismi che sono alla base della malattia. Le prime osservazioni sono quelle suggerite dalla ricerca epidemiologica: il fatto che lincidenza di questa patologia nettamente pi elevata nellisola di Guam (nel Pacifico) e nella penisola di Kii (nel Giappone), ha fatto pensare al ruolo importante che possono avere i fattori ambientali e, soprattutto, le abitudini alimentari. A tal riguardo si posto laccento sulluso corrente di una particolare farina ricca di alcune componenti proteiche, e in particolare di certi aminoacidi neuroeccitatori - simili allacido glutammico - che, se presenti in eccesso, finiscono per arrecare danno ai neuroni. Ipotesi successive hanno segnalato che la degenerazione cellulare che si rinviene nella SLA potrebbe essere ascritta a: patologie mitocondriali, con alterazioni del metabolismo energetico e squilibri nella complessa catena respiratoria cellulare (stress ossidativo); un possibile ruolo della carenza di fattori di crescita; azione infettiva di particolari agenti virali (i cosiddetti virus lenti), capaci di dar luogo a malattie croniche dopo un lungo periodo di esposizione, che pu durare anche anni; meccanismi autoimmuni, per la presenza, in alcuni malati di SLA, di particolari anticorpi che disturbano il corretto funzionamento dei canali del calcio (piccole porosit, presenti sulle membrane delle cellule nervose, che si aprono su sollecitazione di determinati voltaggi e consentono un ingresso selettivo di calcio allinterno del neurone). A queste ipotesi andrebbe aggiunta anche quella delle cosiddette heat shock protein (HSP), molecole che abitualmente proteggono le cellule da varie forme di stress (ipertermia ed altre situazioni che possono arrecare danno cellulare); nella SLA si sarebbe evidenziata la presenza di HSP anomale (e in particolare, la HSP32), con conseguente mancanza di protezione nei confronti del danno ossidativo neuronale.
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Uno dei fattori di rischio pi significativi e meglio sostenuti da osservazioni scientifiche epidemiologiche la familiarit per SLA. Nel 1993 Rosen e collaboratori identificarono la mutazione genetica responsabile di circa il 10% dei casi di SLA familiare. Il gene in questione codifica per un enzima, la superossido dismutasi di tipo 1 (SOD1), che ha azione protettiva nei confronti della cellula liberandola dai radicali liberi. Tale proteina, presente nel citoplasma di tutte le cellule dellorganismo, se mutata sembra acquisire propriet tossiche selettivamente sui motoneuroni. La mutazione di un altro gene, ALS 2, responsabile della forma giovanile di SLA di tipo 2, provocando la perdita di funzione di una proteina, lalsina, coinvolta nellorganizzazione del citoscheletro della cellula. Tuttora non chiaro come e perch le mutazioni della SOD1 e dellASL2 provochino la degenerazione selettiva delle cellule motoneuronali. Numerosi studi sono attualmente in corso per identificare i fattori di rischio genetici associati alla predisposizione individuale a contrarre la malattia nei casi di SLA sporadici. Nel sangue di soggetti affetti da SLA stato rilevato un aumento dei livelli di glutammato; inoltre recentemente stata osservata, in questi soggetti, una riduzione di una delle proteine responsabili della rimozione del glutammato extracellulare (trasportatore gliale del glutammato) proprio nelle regioni del midollo spinale e del cervello interessate dalla malattia. Il glutammato svolge normalmente unazione eccitatoria per i motoneuroni, ma se presente a livelli superiori alla norma diventa tossico per i motoneuroni stessi. La tossicit eccitatoria il processo attraverso cui gli aminoacidi neuromodulatori, come il glutammato, diventano tossici se presenti in eccesso. Altre potenziali tossine eccitatorie sono lAMPA e il kainato. Il loro ruolo, si suppone, quello di facilitare la morte neuronale, lasciando passare troppo calcio allinterno dei neuroni motori. Un fenomeno che induce un meccanismo a cascata intraneuronale che coinvolge i radicali liberi e ha come esito, appunto, la morte neuronale. attraverso questa ipotesi che si arrivati allidentificazione del riluzolo, il primo farmaco
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brevettato per la SLA. Il riluzolo sembrerebbe, infatti, in grado di antagonizzare gli effetti del glutammato, inibendone la liberazione presinaptica o, meno probabilmente, bloccandone i recettori. Per ora le strategie antiossidanti, invece, non hanno prodotto risultati concreti. Ma su queste teorie ci si concentra sempre di pi dopo che, recentemente, si arrivati allidentificazione del gene Sod1. La scoperta che nei casi di familiarit, lesordio della malattia legato a un difetto nel gene Sod1, che codifica la superossido dismutasi, un enzima che agisce contro gli agenti ossidanti, come i radicali liberi. I ricercatori, questa la novit, hanno capito che la mutazione di Sod1 comporta un nuovo problema per il motoneurone: la proteina alterata fa diminuire la sua presenza nel nucleo della cellula nervosa. Il DNA cos pi sensibile agli attacchi provocati da agenti ossidanti, e questo potrebbe contribuire allesordio e alla progressione della malattia. Alla genesi multifattoriale della malattia potrebbe altres concorrere anche lesposizione ad agenti tossici ambientali.
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CAPITOLO II
II. 1 INTRODUZIONE
Occorre una migliore comprensione dellimpatto dellambiente sulla salute e dei fattori di rischio connessi al regime alimentare, che contribuiscono alle malattie croniche. Prove pi efficaci per la rivelazione dei contaminanti tossici, come lencefalopatia spongiforme bovina, permetteranno di ottenere cibi pi sicuri. Si calcola che entro il 2025 il numero di persone di et superiore ai 65 anni raddoppier. Le malattie della vecchiaia, come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer, linfarto, il diabete, lartrite e il cancro potrebbero aumentare in misura molto vistosa. Circa il 5% degli europei di oltre 65 anni colpito dal morbo di Alzheimer. Si stanno studiando nuovi metodi per prevenire o ritardare la morte neuronale, che quello che accade nelle malattie neurodegenerative come l infarto, il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer. Analogamente, gli studi dedicati ai fattori genetici che predispongono allartrite reumatoide dovrebbero permettere di progredire nella comprensione dei meccanismi che presiedono all insorgere di questa malattia disabilitante. Sar cos possibile elaborare terapie pi efficaci. Perci, oltre a richiedere sforzi personali, la demenza neurodegenerativa porta con se quattro miserabili caratteristiche: di origine ignota, senza cura, sta divenendo incredibilmente comune, richiede uno sforzo in pi rispetto allimpegno domestico medio richiesto
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nella cura di una persona malata. Chiaramente, a questo punto, chiedersi quali siano le cause fondamentali della demenza diventa una priorit nazionale. In verit, alcuni ricercatori e medici stanno lavorando attivamente per comprendere la genesi della demenza e, sebbene i loro sforzi non abbiano ancora raggiunto le dimensioni di unurgenza collettiva, come quella che, a detta loro, ha caratterizzato i programmi nazionali sulla bomba atomica negli anni 40 o sullo spazio negli anni 60, ci sono segni tangenti di una realt emergente di cui dover discutere. La possibilit di individuare eventuali cause ambientali da correlare alle malattie o meccanismi molecolari, che potenzialmente rendono influenzabile il sistema di programmazione della cellula, possono aiutare a capire le varie cause di innesco e/o a trovare cure pi efficaci. Risulta quindi estremamente interessante dare una visione generale su quegli elementi ambientali che possono essere sospettati nellinfluenzare linsorgenza delle malattie neurodegenerative. Lapproccio genetico alle malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer, la Corea di Huntington, il Parkinson, la Sclerosi Laterale Amiotrofica si rivelato condizione necessaria, ma non sufficiente a dare risposte al problema delleziologia di queste patologie altamente invalidanti. Un esempio fornito dalla malattia di Alzheimer, la forma pi frequente di demenza, le cui cause rimangono ancora pressoch ignote. Solo il 5-10% della malattia riconosce una trasmissione ereditaria mendeliana, mentre il 90% costituito dal tipo sporadico, ad esordio tardivo con una eziologia poligenica e multifattoriale. Quindi la ricerca scientifica sta iniziando a porre una maggiore attenzione oltre ai fattori genetici predisponenti, ai polimorfismi per enzimi metabolici per una suscettibilit individuale, anche a fattori ambientali quali stili di vita in contesti rurali o industrializzati, esposizione a fattori inquinanti per motivi occupazionali, assunzione di cibo contaminato, o utilizzo di materiali e manufatti che possono rilasciare sostanze tossiche le quali possono divenire fattori di rischio (Brown RC, et al., 2005; Migliore L. e Coppede` F 2002). Assume, perci, un ruolo sempre pi importante il ., concetto di multifattorialit nella eziopatogenesi di queste patologie. In questo contesto della multifattorialit tuttavia difficile far collimare tutte
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le osservazioni: ambientali, genetiche e quelle relative alla suscettibilit individuale, ognuna di esse appartiene alla speculazione specifica di discipline diverse; nonostante questa pluralit vale la pena considerare alcune tra le relazioni concettuali pi importanti e ormai acquisite dal mondo scientifico. Le attuali conoscenze, sullorigine prima della patologia delle malattie neurodegenerative di tipo sporadico spesso sconosciuta, ma dati di letteratura evidenziano uno stretto legame tra fattori ambientali, quali esposizione a sostanze chimiche come idrocarburi, pesticidi, solventi, nesano e suoi metaboliti (presenti in colle, vernici, benzina), metalli pesanti, farmaci antinausea ad azione centrale, antipsicotici, e reazioni come stress ossidativo e nitrosilante, glicosilazione, meccanismi infiammatori che determinano un perdurare nel tempo di alti livelli di neurotrasmettitori eccitatori, ritenuti fra i maggiori fattori di intermediazione al rischio. Attualmente nel caso del Morbo di Parkinson le cause ambientali appaiono avere un ruolo pi determinante della predisposizione genetica. Si ritiene infatti che la malattia sia il risultato dellinterazione di fattori ambientali a cui il paziente pu essere esposto nel corso della sua vita. Infatti, ricerche epidemiologiche hanno evidenziato che molti degli individui affetti da Parkinson sono stati esposti in misura maggiore rispetto ai casi di controlli a sostanze quali erbicidi, insetticidi, oppure hanno svolto attivit agricole, o hanno bevuto acque provenienti da pozzi (possibili collettori di pesticidi) o hanno vissuto in zone rurali. Ricerche recenti hanno tuttavia evidenziato che lunico fattore di rischio comune a queste diverse realt rappresentato dallesposizione ad erbicidi ed insetticidi per cui lattivit agricola, la vita rurale o il consumo di acqua di pozzo non sono di per se fattori di rischio se non in quanto legati allelemento uso di erbicida e insetticida. Sono di recente acquisizione anche dati che ipotizzano la possibilit che perfino il particolato presente nellaria (PM 2,5-10), intesa come miscela di composti organici volatili, possa avere un ruolo come fattore o cofattore della malattia di Alzheimer. Uno studio realizzato su cervelli di cani cronicamente esposti ad aria inquinata, ha evidenziato lespressione di alcuni marcatori molecolari
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dellinfiammazione (gene COX2), dei precursori dellamiloide (gene APP 751) e del danno ossidativo al DNA, analogamente a quanto riscontrato nei cervelli di pazienti malati (Caldern-Garcidueas L., et al. 2004). Nella letteratura medica degli ultimi anni, diversi autori hanno posto listanza per una maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla profilassi, quale unica via praticabile nel contrastare le malattie degenerative. Infatti nella Sclerosi Laterale Amiotrofica, ma anche nella maggioranza delle altre malattie degenerative, Alzheimer, Parkinson, Huntington etc., al momento della diagnosi definitiva, il paziente ha gi perduto fino al 70% dei motoneuroni o neuroni, rendendo difficile la possibilit di un intervento terapeutico efficace. Inoltre, si deve notare che il processo degenerativo indotto da una qualsiasi causa, si dirama progressivamente in una serie di sotto-processi, auto-sostenenti e divergenti, in grado di mantenere lo stato patologico anche in assenza di processi collaterali. Di qui la necessit e limportanza di poter conoscere e controllare levoluzione di ciascuna tappa della malattia. Le cause eziologico-ambientali, che possono interferire con la componente di suscettibilit individuale e quindi cooperare allo sviluppo della malattia, possono essere associate a marcatori biologico-molecolari-citologici per interventi di tipo preventivo. Luomo non entit isolata dallecosistema in cui vive e i sistemi biologici sono spesso una complessa rete di interazione di fattori genetici, molecolari, fisiologici in comunicazione con il fattore ambiente. Nel maggio 2003, il centro studi Mount Sinai per lAmbiente e la Salute del Bambino ha organizzato una importante conferenza presso lAccademia medica di New York dal titolo Prime Cause Ambientali delle Malattie Neurodegenerative in Et Avanzata. Le ragioni sostanziali per sostenere un rapporto causa-effetto tra esposizione ambientale nei primi anni di vita e insorgenza della patologia in et avanzata, sono state discusse in questa conferenza a dir poco rivoluzionaria. Il cambio di logica a riguardo il seguente: 1) lereditariet in se sembra giocare un ruolo marginale nel rischio di sviluppare demenza (ad esempio, nella malattia di Parkinson la
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predisposizione genetica responsabile della patologia solo nel 5% dei casi). Questo implica la necessit di riporre la nostra attenzione sullambiente, possibilmente in aggiunta ai fattori genetici e agli stili di vita individuali, per conoscere le cause basilari della demenza; 2) molte patologie neurodegenerative sembrano progredire gradualmente attraverso una serie di stadi che richiedono alcuni anni o addirittura decenni. La cascata di alterazioni neurologiche, responsabili dellinsorgere dellAlzheimer, potrebbe scatenarsi gi a partire dalla seconda o terza decade di vita. Questo implicherebbe che esposizioni tossiche nei primi anni di vita -anche esposizioni prenatali- potrebbero essere rilevanti nelle demenze di et avanzata pi di esposizioni equivalenti occorse tardivamente; 3) molti disturbi cognitivi noti per essere causati da esposizione ad agenti tossici presentano effetti latenti di lunga durata. Gli operai della DuPont, esposti ad alti livelli di piombo negli anni lavorativi, mostravano in pensione un declino cognitivo pi rapido rispetto ai loro collaboratori esposti a livelli di piombo pi bassi, anche se, in entrambi i casi, non cera stata pi esposizione al piombo da quasi ventanni. Risultati simili provengono anche da studi condotti in Corea del Sud; 4) studi su animali mostrano che esposizioni precoci a certi agenti neurotossici possono creare cambiamenti subdoli ma permanenti nel cervello, tali che non si possano verificare deficit funzionali finch gli effetti di queste tossicit silenti non vengano smascherate da compromissioni successive; 5) sostanze neurotossiche, quali pesticidi, organocloruri persistenti e metalli pesanti sono ampiamente distribuiti nellambiente; 6) studi sulluomo di malattie non dementi mostrano che lesposizione a certi fattori nei primi anni di vita pu predisporre un individuo allo sviluppo di patologia negli anni successivi. Ad esempio, studi in
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Inghilterra mostrano che i bambini nati di piccole dimensioni perch privati di unadeguata nutrizione, nel periodo dello sviluppo placentare diventeranno adulti che, in et avanzata, saranno ad alto rischio di ipertensione, infarto, diabete e cancro della mammella o della prostata. I risultati di questi studi suggeriscono che i neonati sono influenzati dagli insulti ambientali che si verificano durante un periodo critico dello sviluppo, in modi che hanno conseguenze permanenti. Questa idea nota come Ipotesi Barker. La malattia di Parkinson pu dipendere anche dallinquinamento ambientale. In particolare, da sostanze prodotte da alcuni microrganismi presenti nellambiente sotto varie forme, da batteri, funghi, piante e perfino da prodotti chimici. Lesposizione a questi fattori tossici, come pure la loro ingestione tramite cibo o acqua contaminati, potrebbe infatti facilitare una disfunzione genetica che inibisce il sistema regolatorio delle proteine, con accumulo di proteine degradate e conseguente degenerazione dei neuroni. A dimostrarlo lequipe del ricercatore Warren Olanow del Mount Sinai Institute di New York, con uno studio, effettuato in laboratorio sui ratti, in via di pubblicazione sulla rivista Annali of neurology. La novit annunciata in occasione del Congresso Internazionale sulla Malattia di Parkinson e sui Disordini del Movimento, che ha riunito a Roma oltre 3000 specialisti e neurologi provenienti da tutto il mondo riguarda le forme sporadiche di Parkinson, vale a dire le forme della malattia non geneticamente determinanti. Il giudizio dei ricercatori unanime: si tratta di una scoperta che rivoluziona la conoscenza della patogenesi, ovvero delle modalit di insorgenza della malattia che, dopo quella di Alzheimer, considerata la patologia neurodegenerativa pi frequente, con circa 100-150 casi ogni 100 mila abitanti. Limportanza della scoperta, effettuata somministrando al ratto inibitori del sistema regolatorio delle proteine, duplice: innanzitutto ha spiegato il neurologo Alfredo Berardelli, del Dipartimento di Scienze Neurologiche dellUniversit La Sapienza di Roma la dimostrazione che le interazioni gene-ambiente svolgono un importante ruolo nella causa della malattia. Inoltre, evidenzia elementi simili tra le forme di Parkinson sporadiche, che sono le pi diffuse, e quelle genetiche. In
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altre parole, ha osservato il neurologo Giovanni Fabbrini de La Sapienza, nel ratto stato evidenziato come lesposizione a tali sostanze determini un meccanismo neurologico assimilabile a quello che caratterizza la malattia di Parkinson nelluomo. Una scoperta importante, sottolineano gli esperti, poich apre la strada ad una maggiore comprensione dei meccanismi che portano alla morte delle cellule neuronali, indicando nuove prospettive terapeutiche. Lobiettivo futuro, ha sottolineato Fabbrini, riuscire ad aiutare in qualche modo le cellule neuronali a ripulirsi dalle proteine degradate, il cui accumulo porta alla morte delle cellule stesse, ma dal congresso arrivano anche importanti novit rispetto alle tecniche di cura. Studi italiani e canadesi, presentati al simposio, hanno ad esempio dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica, uninnovativa tecnica non invasiva, produce rilascio di dopamina, una sostanza che viene a mancare nella malattia, facendo migliorare i sintomi e proponendosi, quindi, come un possibile supporto terapeutico. Anche per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, come gi accennato, si evidenziato che allinsorgenza della malattia concorrono anche cause di tipo ambientale come lesposizione ad agenti tossici, quali metalli pesanti, pesticidi, solventi chimici, intossicazioni croniche da piombo, selenio, mercurio, manganese. Tra gli agenti tossici, quelli maggiormente chiamati in causa sono i pesticidi e i fertilizzanti. In effetti, secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori doppia rispetto alla popolazione generale. Tali sostanze, utilizzate anche per la manutenzione del campo da gioco, potrebbero essere responsabili oltremodo dellinsorgenza della malattia tra i calciatori. Tra i fattori ambientali correlati con leziologia della malattia neuronale sono stati identificati il fallout radioattivo legato alla sperimentazione di armi nucleari in Giappone negli anni 50-60 e le concentrazioni indoor di radon in Inghilterra determinate negli anni 81-89. Una delle rilevazioni epidemiologiche pi note quella che riguarda gli atleti che praticano varie discipline sportive e, soprattutto, il calcio. In
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questultimo sport stata rilevata, in Italia, unincidenza della SLA nettamente superiore alla normale popolazione e la causa di questa dato assai significativo stata a lungo studiata. Secondo alcuni, il motivo andrebbe ricercato nel particolare tipo di attivit agonistica di questi atleti, che vengono sottoposti a bruschi contatti ed effettuano numerosissimi colpi di testa: questi traumatismi iterativi sarebbero responsabili di danni encefalici (come, per altri versi, avviene nella demenza dei pugilatori) e ci porterebbe a pensare che dette sollecitazioni continue siano, quanto meno, fattori di rischio o concause nel determinismo della malattia (anche se non esistono, al momento, evidenze che possano avallare con certezza dette conclusioni). Forse pi suggestiva la responsabilit addossata allesuberante produzione di radicali liberi in corso di intensa attivit sportiva o al ricorso a determinate sostanze dopanti o, infine, allalimentazione di questi atleti, pur non essendovi esaustive documentazioni al riguardo. Indubbiamente, la scoperta di ben 33 casi di SLA in una popolazione di 24.000 calciatori (selezionati nelle tre principali divisioni di calcio professionistico, in Italia, tra il 1960 e il 1996) porta a pensare che in questo tipo di professione si possa nascondere un significativo (quanto imprecisato) fattore di rischio, supportato anche dal fatto che esiste una stretta correlazione fra la durata della professione agonistica e la possibilit di insorgenza della malattia. E che sia proprio il calcio e non altre discipline sportive ad avere una specifica responsabilit nel determinismo della SLA dimostrato anche da uno studio effettuato su ben 6000 corridori ciclisti professionisti degli ultimi 30 anni che, pur effettuando sforzi fisici intensi (e pur subendo le ben note insidie del doping) non hanno mai contratto questa malattia. II.1.1 Tossicit La capacit di provocare effetti dannosi sugli organismi viventi, caratteristica di un agente tossico quando supera un certo livello di concentrazione, viene definita tossicit. La tossicit di una sostanza caratterizzata sia da un punto di vista qualitativo, che quantitativo, infatti lazione tossica dipende
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dallinterazione della struttura molecolare della sostanza tossica con le molecole biologiche, e si manifesta solo quando si superano determinati livelli di concentrazione nellambiente o in alcuni organi dellorganismo. In genere possibile distinguerne quattro manifestazioni diverse: tossicit acuta: si presenta quando vi unesposizione ad un agente tossico in un breve lasso di tempo, al massimo 14 giorni, ma solitamente in 24 ore o meno. in genere dovuta ad un assorbimento massiccio e causa sintomi gravi e improvvisi. Lesposizione di solito causata da incidenti o da sovradosaggi accidentali o volontari, per questo motivo risulta molto semplice risalire alla causa e spesso si pu intervenire prima ancora che la tossicit si manifesti in toto. La terapia prevede sempre la rimozione dellagente tossico dallorganismo ed indirizzata soprattutto ad alleviare i sintomi presenti; tossicit sub-acuta: si manifesta in seguito ad unesposizione a concentrazioni relativamente elevate e ripetute in un periodo della durata di qualche mese; tossicit sub-cronica: sostanzialmente causata da unesposizione frequente a sostanze di uso professionale o domestico, come ad esempio i solventi, oppure ad inquinanti ambientali, come quelli prodotti dal traffico. Lesposizione in questo caso perdura per il 2550% della vita del soggetto esposto; tossicit cronica: si manifesta con lassorbimento, prolungato nel tempo, di basse dosi di agente tossico. La tipica esposizione supera il 50% della vita. Tipici avvelenamenti cronici sono quelli causati da metalli o da sostanze organiche (arsenico, mercurio, piombo, benzene). La tossicit si misura con due parametri fondamentali che sono lesposizione, cio la quantit di sostanza disponibile ad entrare nellorganismo, e la dose, cio la quantit di sostanza che effettivamente entra nellorganismo. La quantificazione del potenziale tossico di un inquinante per lambiente unoperazione essenziale nel processo di valutazione del rischio conseguente alla sua immissione. Lobiettivo a cui si tende nel misurare la tossicit di una sostanza lindividuazione della concentrazione
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(quantit biodisponibile) o della dose (quantit che penetra nellorganismo), alle quali il composto tossico capace di produrre uno o pi effetti su organismi tenuti in condizioni controllate (concentrazione del composto tossico e durata dellesposizione). Con questo criterio si pu ricavare la LC50, (concentrazione letale mediana) che corrisponde alla concentrazione che provoca la morte del 50% degli organismi utilizzati in prova dopo periodi di tempo specifici (es.,48, 96 ore). Un altro parametro la EC50 (concentrazione effettiva mediana) che si pu definire come la concentrazione in grado di produrre, per un determinato tempo di trattamento, unincidenza pari al 50% delleffetto scelto come misura della tossicit (se leffetto la mortalit si ha EC50=LC50). In ogni caso, bisogna notare che il fattore critico nella determinazione degli effetti negativi sulla salute non lesposizione ad un dato agente, ma piuttosto lammontare di questo, che pu raggiungere il tessuto o la cellula dove pu esercitare la sua azione. Lammontare totale di una sostanza o di un agente fisico (ad es. radiazioni) che viene assunto da un organismo, appunto definito dose, si distingue solitamente in dose assorbita, che rappresenta lammontare totale della sostanza o dellagente assorbiti, e dose effettiva che lammontare che raggiunge un determinato punto del corpo ben preciso, dove pu esercitare leffetto negativo. Nel caso in cui la dose determini leffetto nocivo nel punto di assorbimento si parla di effetti locali; al contrario gli effetti sono sistemici se si manifestano su uno o pi tessuti od organi specifici (detti bersaglio). Alcune sostanze tossiche, come i pesticidi organofosfati e il piombo tetraetile possono causare sia effetti sistemici che locali. Da notare che il tessuto/organo bersaglio per una sostanza tossica pu variare nel tempo, a seconda della quantit o della durata della dose. Inoltre, le interazioni chimiche e metaboliche possono creare delle sostanze caratterizzate dallavere punti bersaglio diversi da quelli del composto originario. Esistono essenzialmente due tipi di rapporto fra la dose e leffetto tossico determinato da un agente: la tossicit pu insorgere solo quando
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viene superato un particolare valore-soglia di dose tossica, con una sorta di regola del tutto o nulla, come nel caso di molti cancerogeni; oppure pu esistere una correlazione lineare fra la dose e leffetto, nel senso che allaumentare della dose aumenta anche leffetto tossico. Gli effetti sulla salute causati dallesposizione ad una certa sostanza chimica sono direttamente legati allammontare di sostanza che raggiunge il tessuto o lorgano bersaglio. In generale, tralasciando le varie considerazioni che si possono fare a proposito del tempo di esposizione, della natura del composto, della sua quantit e della soggettivit di ogni persona, laccumulo di sostanze tossiche di origine antropica, da parte degli organismi viventi, coinvolge due opposti processi: lassorbimento corporeo e leliminazione. Lassorbimento pu avvenire sia attraverso il diretto contatto tra il contaminante e il corpo (contatto cutaneo) o la superficie respiratoria dellorganismo (per inalazione), sia attraverso lingestione di cibo contaminato. Leliminazione invece pu avvenire con o senza processi metabolici, attraverso lescrezione di metabolici o attraverso la defecazione di materiale digerito, o infine per rilascio dalla superficie del corpo. Ovviamente il grado di contaminazione di un organismo dipender dallequilibrio dinamico tra i due processi, che possono essere cos schematizzati:
corpo assorbimento
Intestino
Una volta che il contaminante allinterno dellorganismo i processi di trasporto e distribuzione (peraltro ancora non sufficientemente conosciuti) possono essere cos rappresentati:
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Tratto digestivo
Il trasporto allinterno del corpo coinvolge lassorbimento dei composti nei diversi componenti del sangue, mentre la distribuzione determinata dalla capacit di diffondere attraverso le membrane dei vasi sanguigni e dei tessuti, in particolare dipende dalla lipofilicit del contaminante. Una volta assorbite, le sostanze tossiche possono distribuirsi tramite il sistema sanguigno a tutte le cellule oppure finiscono in zone di accumulo. Ogni sostanza assorbita pu anche andare incontro ad una trasformazione metabolica in vari punti allinterno del corpo e venire cos metabolizzata. Leliminazione in un certo qual modo lopposto dellassorbimento e consiste nelleliminazione delle sostanze tossiche dal corpo; questa espulsione pu essere attuata in vari modi, anche contemporaneamente, e per lo pi tramite le urine, le feci, laria espirata e, in piccole quantit, tramite la secrezione di sudore, lacrime, saliva e latte. Gli enzimi che attuano le biotrasformazioni non sono molto specifici, e la cosa riconducibile al fatto che le sostanze tossiche sono estremamente varie. Levoluzione non ha fatto s che per ogni composto tossico vi fosse un corrispondente enzima inattivante, in quanto i fenomeni di intossicazione si manifestano quasi sempre in seguito a fattori occasionali. La stessa definizione di detossificazione spesso inesatta, in quanto gli enzimi che modificano le sostanze tossiche possono anche originare dei nuovi composti ancora pi tossici di quelli originari, come nel caso del metanolo. Addirittura, in alcuni casi, il precursore risulta biologicamente inattivo, mentre il metabolita che si origina risulta tossico. Se avviene questa attivazione metabolica del composto, allora lavvelenamento si manifesta con un certo ritardo, in
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quanto deve trascorrere del tempo perch i metaboliti tossici prodotti raggiungano la concentrazione critica nellorgano bersaglio. Con lattivazione metabolica della tossicit, inoltre, non vi una correlazione fra la concentrazione sanguigna della sostanza assorbita e le condizioni dellintossicato, il quale pu anche aggravarsi con la progressiva diminuzione della concentrazione nel sangue del composto assorbito. II.1.2 Neurotossicit Assorbimento, Distribuzione, Metabolizzazione, Escrezione Le sostanze tossiche possono penetrare nellorganismo attraverso diverse vie: inalazione, assorbimento cutaneo ed ingestione. Grazie al circolo sanguigno avviene la loro diffusione nei diversi tessuti ed organi e in genere sono eliminati dal sangue, sulla base delle peculiari caratteristiche strutturali del composto tossico, attraverso il bioaccumulo, in specifici siti target, la metabolizzazione e lescrezione. Fanno eccezione alcune sostanze che, per vari motivi tra cui linsolubilit, non vengono distribuite nellorganismo. A volte non esiste identit tra siti di deposito e siti di azione della tossicit, fegato e reni sono organi delezione per il bioaccumulo di sostanze esogene, probabilmente per il loro ruolo escretorio di metaboliti dallorganismo e per la capacit di scambio dovuta ad unelevata vascolarizzazione sanguigna. Nellintossicazione da piombo, ad esempio, la maggiore concentrazione viene riscontrata a livello osseo ma la tossicit espletata nel cervello, ci determinato dal fatto che composti tossici di natura lipofila vengono depositati in aree del corpo, dove presente unelevata % di grassi, il cervello rappresenta lorgano maggiormente vulnerabile dal momento che il 50% del suo peso secco lipidico rispetto ad un 6-20% di altri organi (Cooper, J.R., et al., 1982). Per poter essere escreta, una sostanza esogena viene spesso metabolizzata in modo da essere convertita in un composto che possa essere eliminato pi facilmente, e questo quanto accade in particolare per sostanze lipofile che vengono rese maggiormente idrosolubili. Il processo di metabolizzazione rappresenta un aiuto nella detossificazione, tuttavia pu accadere che la biotrasformazione determini modifiche strutturali del
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composto, aumentandone la tossicit. Perci, nellanalisi di rischio di patogenicit, in particolare per sostanze neurotossiche, importante non sottovalutare levenienza che dei composti possano divenire tossici e neurotossici in seguito alla metabolizzazione necessaria per lescrezione. La detossificazione e lescrezione pu avvenire attraverso diverse vie, tuttavia gli organi delezione sono rappresentati da reni e fegato, con le urine ed il tratto gastrointestinale come vettori di espulsione. Sulla base della loro solubilit in acqua, le sostanze lipofile, oltre alla metabolizzazione per la solubilit in acqua, possono essere escrete attraverso le feci e la bile, lapparato polmonare, con lespirazione, e lepidermide. EFFETTI DI SOSTANZE TOSSICHE SUL SISTEMA NERVOSO Neurotossiche sono tutte quelle sostanze nocive che hanno come organo bersaglio il sistema nervoso. Esso, costituito da cervello, midollo spinale e da un vasto numero di cellule nervose, rappresenta il sistema di controllo di diverse e numerose funzioni del corpo umano, come la respirazione, lattivit motoria, visiva, le funzioni cardiache, intellettive ecc. Questo complesso sistema controllato e coordinato da processi neuronali che vedono coinvolti neurotrasmettitori, recettori biochimici, ormoni e a tal proposito risulta essere particolarmente vulnerabile alle sostanze tossiche per diverse peculiarit. Diversamente da altri tipi di cellule, quelle neuronali non sono in grado di rigenerarsi in seguito ad un danno, per cui in genere questultimo diviene permanente. Le cellule costituenti il sistema nervoso sono per loro natura soggette ad una progressiva degenerazione legata al ciclo di vita dellindividuo, ma tale degenerazione pu essere incrementata e accelerata da danni indotti da esposizione a composti tossici. Alcune regioni del cervello, nonch alcune cellule neuronali, sono direttamente esposte a sostanze chimiche grazie ad una capillare irrorazione sanguigna, e alla possibilit per alcuni composti, a causa della loro affinit per i lipidi, di superare facilmente la barriera ematoencefalica.
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La particolare morfologia strutturale delle cellule neuronali, con la presenza di assoni, espone queste ad una maggiore superficie di attacco da parte dei composti chimici rendendole inevitabilmente pi suscettibili. Il sistema nervoso strettamente dipendente da un delicato equilibrio elettrochimico per la trasmissione di informazioni tra cellule e la trasduzione di segnali allinterno della cellula stessa. La presenza, quindi, di sostanze chimiche estranee pu agevolmente interferire con le normali funzioni. Piccoli cambiamenti nella struttura o nella funzione del sistema nervoso possono avere conseguenze a pi ampio spettro a livello neurologico e a ricaduta sulla funzionalit corporea. Gli effetti tossici sul sistema nervoso comprendono principalmente lalterazione del bilanciamento ionico, linterferenza con i neurotrasmettitori chimici o con i loro recettori e lanossia, cio la mancanza di ossigeno a livello cellulare. Le cellule nervose hanno infatti unelevata velocit metabolica e per questo richiedono un maggior apporto di ossigeno rispetto alle altre cellule del corpo. Dato che un apporto adeguato di ossigeno essenziale per lappropriato funzionamento del cervello, ogni sostanza che compromette il flusso del sangue al cervello pu causare dei seri danni. Quindi la tossicit si pu manifestare sia a livello generale del cervello, che sulle singole fibre nervose, sulle guaine mieliniche, ecc. Il piombo una classica neurotossina, da molto tempo conosciuta per i suoi effetti deleteri. Lestrema pericolosit del piombo si pu attribuire in parte ai suoi diversi meccanismi di azione. Pu infatti colpire il sistema neuronale danneggiando gli assoni, distruggendo la guaina mielinica e anche interferendo con i neurotrasmettitori chimici nelle sinapsi. Anche gli insetticidi organofosfati interferiscono con la funzione dei neurotrasmettitori chimici allinterno del sistema nervoso, spesso causando debolezza e paralisi, talvolta anche la morte. Il loro meccanismo dazione consiste nellinibizione dellenzima acetilcolinesterasi (AChE). Linibizione irreversibile della acetilcolinesterasi provoca un accumulo di acetil colina endogena nel
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tessuto nervoso, in quanto lAChE un enzima che catalizza lidrolisi dellacetilcolina. Lacetilcolina il trasmettitore chimico dellimpulso nervoso e un accumulo di questo mediatore nella placca motrice, a livello delle giunzioni sinaptiche, dovuto proprio a questi composti che bloccano lazione dellacetilcolinesterasi, provoca linsorgenza di fenomeni patologici, che si manifestano con i classici sintomi colinergici quali convulsioni, coma o addirittura la morte. Unaltra classe di pesticidi ad attivit anticolinesterasica sono i pesticidi carbammici, derivati dallacido carbammico, in cui gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti con gruppi metilici o di altro tipo. Altri composti neurotossici diffusi sono lacrilamide, lendrin, il dieldrin ed alcune forme di mercurio. Nella tabella II.1.2.1 sono riportati i pi frequenti disturbi neurotossici.
Tabella II.1.2.1. Effetti neurologici e comportamentali dellesposizione a sostanze tossiche (Adattata da Anger W.K., 1986). Effetti motori convulsioni debolezza tremore, spasmo mancanza di coordinazione instabilit paralisi anormalit di riflessi cambiamenti nelle attivit Effetti dellumore e della personalit disturbi del sonno eccitazione depressione irritabilit agitazione nervosismo, tensione delirio allucinazioni
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Effetti sensitivi cambiamenti nellequilibrio disordini visivi disordini del dolore disordini tattili disordini uditivi Effetti cognitivi problemi di memoria confusione disordini del linguaggio disturbi dellapprendimento Effetti generali perdita di appetito depressione dellattivit neuronale narcosi, incoscienza fatica danni ai nervi
Gli effetti tossici di un composto esogeno possono espletarsi nel sistema nervoso con diverse modalit temporali e a diversi livelli strutturali, perci nella valutazione della tossicit di una sostanza non possibile non considerare le correlazioni che si stabiliscono tra effetti tossici e reazioni fisiologiche dovute ad una serie di fattori. 1. Relazione tra tempo di esposizione e sintomatologia Vi sono molecole in grado di dare effetti acuti immediatamente o alcune ore dopo lesposizione (droghe, alcool), altre richiedono ripetute esposizioni ed un periodo di latenza nella sintomatologia di alcune settimane o anni (piombo, solventi), altre procurano un danno permanente dopo una singola esposizione (pesticidi organofosforici), altre ancora possono arrivare a provocare la morte se assorbite, inalate o ingerite in grandi quantit. 2. Dose di esposizione. possibile che una sostanza possa avere un ruolo benefico ad alcune concentrazioni, mentre si rilevi tossica ad altre, ad esempio le vitamine A e B6, necessarie nella dieta in concentrazioni molto basse, ad alte dosi risultano essere neurotossiche (Spencer P. S. and Schaumburg H.H., 1980). 3. Effetto sinergico. Pu accadere che lesposizione ad una singola sostanza non determini alcun effetto tossico osservabile, mentre la simultanea esposizione con una o pi sostanze determini un danno al sistema nervoso centrale a causa di un effetto sinergico. A tal proposito D. Cory Slectha ha proposto un possibile modello per valutare la tolleranza biologica verso una potenziale neurotossicit delle sostanze, secondo il quale esiste una vulnerabilit quando eventi che avvengono concordemente o cumulativamente, su diversi siti target in uno specifico sistema biologico del cervello (ad esempio il sistema dopaminergico), compromettono lomeostasi e le capacit riparative del sistema stesso. Ci nello specifico permette di classificare le miscele di composti ad attivit neurotossica che
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agiscono su alcuni sistemi del cervello mediati da diversi meccanismi di azione (Cory-Slechta D.A., 2005). 4. Livelli di patogenicit L effetto neurotossico di una sostanza pu essere espletato a diversi livelli nellorgano bersaglio: molecolare, interferendo con la sintesi proteica di alcune cellule nervose comportando la ridotta presenza di neurotrasmettitori e quindi unalterata funzionalit cerebrale; cellulare, dove lazione viene esplicata intervenendo sul flusso di ioni quali calcio e potassio attraverso la membrana cellulare alterando la trasmissione del segnale tra le cellule nervose; funzione sensoriale e motoria, con conseguenze sulle capacit cognitive della memoria e della motilit. Tali alterazioni possono determinare interferenze su componenti strutturali o funzionali dellorgano stesso. 4.1 Cambiamenti strutturali Possono interessare singole o gruppi di cellule ed intervenire sul carattere morfologico e su strutture subcellulari. A livello morfologico sembra che le sostanze tossiche possano avere unazione selettiva su varie strutture del sistema nervoso, determinando diverse patologie, a seconda del comparto cellulare: neuropatie per il corpo cellulare, assonopatie per gli assoni e mielinopatie per gli strati di mielina. Una frequente patologia di tipo strutturale rappresentata dalla assonopatia centrale periferico distale (central-peripheral distal axonopathy (CPDA)) la cui degenerazione procede dalla porzione terminale dellassone fino al corpo cellulare determinata da alcuni insetticidi di tipo organofosforico, i quali possono indurla dopo una singola esposizione; tuttavia la maggior parte dei composti chimici produce tale effetto dopo una continua o discontinua, ma comunque prolungata esposizione. A livello subcellulare spesso gli effetti tossici determinano una lenta degenerazione cellulare che pu espletarsi con un danno neuronale permanente, quanto avviene nellintossicazione acuta da monossido di carbonio con un progressivo deterioramento di porzioni del sistema nervoso che pu dar luogo a forme psicotiche e morte in alcune settimane (Ginsburg, M.D., 1980).
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4.2 Cambiamenti funzionali Le sostanze chimiche possono intervenire sulle attivit motorie, sulla sensorialit, sugli stati umorali e le capacit cognitive, in quanto il sistema motorio e quello sensoriale sono strettamente correlati tra loro e al sistema nervoso, per cui un danno al sistema sensoriale pu riflettersi in modo indiretto sulle funzioni motorie, mentre alcuni danni possono avvenire direttamente sul sistema motorio o su entrambi. In generale alla base di queste alterazioni, vi sarebbero pi cause: demielinizzazione dei neuroni, danneggiamento degli stessi, alterazione nel sistema dei neurotrasmettitori. Ad esempio il metilmercurio determina effetti a livello visivo, sensoriale e motorio (Chang, L. W., 1980), gli insetticidi a base di composti organofosforici e carbati, inibendo lacetilcolinesterasi, lenzima che taglia il neurotrasmettitore acetilcolina, inducono alterazioni funzionali del sistema nervoso, quali paralisi neuromuscolare, iperattivit, debolezza fino a casi pi gravi con convulsioni, coma o morte (Young, B. B., 1986), il piombo inorganico pu causare ritardo mentale nei bambini e, nel caso di esposizione a basse concentrazioni, determinare una transitoria perdita dellattenzione e delle capacit cognitive (U.S. Department of Health and Human Services, Public Health Service, Agency for Toxic Substances and Disease Registry, 1988). Spesso i cambiamenti comportamentali come stati di inquietudine e nervosismo sono un primo segnale di danno funzionale del sistema nervoso, che nei casi pi gravi possono evolvere in manifestazioni quali depressione, perdita della memoria e difficolt nel sonno, confusione, allucinazioni e convulsioni. 5. Let degli individui esposti e loro suscettibilit. Il corpo umano ha unefficiente ma limitata capacit di detossificazione per alcuni agenti chimici, mentre altri non risultano tossici ma possono divenirlo nel caso in cui lesposizione avvenga quando il sistema di detossificazione dellorganismo sia stato saturato, come nel caso di esposizione cronica a miscele di sostanze chimiche per motivi di natura occupazionale e/o stili di vita, o possa essere alterato da fattori come let (bambini e anziani). (vedi figura II.1.2.1).
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Figura II.1.2.1. Legame tra il rischio di esposizione e la farmacologia clinica (adattata da Ginsberg G., et al., 2005).
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Studi di tossicologia hanno evidenziato forme di neurotossicit latente che si realizzano nei casi di esposizione a livello fetale ed in et infantile. Nel caso di rischio nello stadio fetale, questo avviene non solo per esposizione della donna in stato di gravidanza a composti chimici tossici per stili di vita o occupazionali, ma anche per possibili infezioni batteriche intrauterine contratte durante la gravidanza. Tali infezioni possono determinare la presenza di lipopolisaccaride (LPS), che induce la produzione della citochina proinfiammatoria tumor necrosis factor (TNF) (Thorsen P, et al. 1998). Linfiammazione proposta come uno dei possibili meccanismi patogenetici per il morbo di Parkinson (McGeer PL, et al., 2001) in quanto il TNF stato rilevato, in alte concentrazioni, nel cervello di individui affetti da tale patologia e lo stesso in vitro induce la morte di neuroni dopaminergici (Mogi M, et al., 1994). Perci la copresenza di TNF e LPS nellambiente corioamniotico potrebbe interferire con il normale sviluppo di questo tipo di neuroni determinando il rischio, a seguito di uninfezione intrauterina, che il nascituro possa avere un ridotto numero di neuroni e di tessuto striatale predisponendolo al Parkinson (Logroscino G., 2005). Diversi studi hanno focalizzato anche lattenzione sulla suscettibilit individuale in relazione ai processi di cinetica chimica di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione (ADME), che determina la dose effettiva di un inquinante ambientale su un organo bersaglio. Infatti alcune differenze nella mancata risposta a sostanze tossiche, legate allet, sembrano essere alla base di unalterata risposta ADME come riportato in tabella seguente (Clewell H, et al., 2004). Cambiamenti nei processi ADME determinano che una medesima dose di esposizione esterna possa essere diversa come dose interna di assorbimento o distribuirsi in organi bersaglio diversi in relazione allet (Vedi Tabella II.1.2.2.).
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Tabella II.1.2.2. Cambiamenti farmacocinetici che possono contribuire ad un incremento della suscettibilit in relazione allet avanzata (da: Geller A.M. and Zenick H., 2005). Processo Cambiamenti farmacocinetici legati allet avanzata
Assorbimento di composti chimici avviene a livello del tratto gastrointestinale, della cute e dellappartato respiratorio Nessuna variazione evidente nellassorbimento gastrico eccetto una riduzione della produzione di acidi gastrici con una minore metabolizzazione dei composti basici. (Mayersohn M. Pharmacokinetics in the
elderly. Envron. Health Perspect 102:119-124)
Variazioni dellassorbimento a livello dellepidermide possono alterare la funzione di barriera selettiva della pelle favorendo la penetrazione di alcuni composti. (Elias P., Ghadially R. 2002. The aged epidermal permeabilit barrier:
basis for functional abnormalities. Clin. Geriatric Med. 18:103-120)
La variazione del volume polmonare, dellelasticit, e dellintervallo di ventilazione pu avere un ruolo nellassorbimento o nella deposizione a livello polmonare (ad es. malattia polmonare ostruttiva cronica favorisce una pi profonda penetrazione del articolato e maggiore deposizione).
(Clewell H, Teeguarden J, McDonald T, Sarangapani R, Lawrence G, Covington R, et al. 2002. Review and evaluation of the potential impact of age-and gender-specific pharmacokinetic differences on tissue dosimtry. Crit Rev Toxicol 32:329389.)
Distribuzione di composti chimici pu essere alterata da fattori come la composizione corporea, il flusso sanguigno e le proteine plasmatiche binding
Cambiamento della composizione corporea, come la riduzione della quantit di acqua pu comportare un ridotto volume di diluizione del composto, o un incremento della emivita dello stesso in relazione a quanto questo sia solubile in lipidi o acqua, nonch una pi alta concentrazione dei composti ionici nel siero. (OMahoney S. 2000. Pharmacokinetics. In: Drugs and
The Older Population (Crome P, Ford G, eds). London: Imperial College Press, 58-89)
Riduzione della massa muscolare e relativo incremento della massa adiposa, comporta un pi alto accumulo di composti lipofili e una pi lenta clearence. Variazioni della concentrazione delle proteine binding pu risultare critico poich alcune frazioni di un composto possono dare effetti sullorganismo se presenti in forma libera. Una riduzione di albumina sierica pu determinare un incremento della frazione lipofilica dei composti, mentre un incremento della alfa 1-glicoproteina il legame dei composti basici. (Clewell H, Teeguarden J, McDonald T, Sarangapani R, Lawrence G,
Covington R, et al. 2002. Review and evaluation of the potential impact of age-and genderspecific pharmacokinetic differences on tissue dosimtry. Crit Rev Toxicol 32:329389.)
La barriera emato/encefalica unimportante interfaccia tra il sangue ed il cervello, costituita da cellule endoteliali di rivestimento dei capillari, che protegge il cervello dagli xenobiotici e regola lomeostasi cerebrale. Le caratteristiche fisico/chimiche del tossico come ad esempio la lipofilia, determinano il suo grado di passaggio passivo attraverso la barriera emato/encefalica. Il trasporto passivo paracellulare dei composti idrofili ridotto da uno stretto legame tra le cellule endoteliali e la barriera emato/encefalica, dal momento che anche i composti lipofili sono trasportati attraverso la via trans-cellulare. (de Boer AG. et al. The role of drug transporters at the bloodbrain barrier. Ann. Rev. Pharmacol. Toxicol. 2003;43:629-656). Cambiamenti della permeabilit della barriera emato-encefalica per alterazioni del trasporto e la concomitanza di altre patologie quali diabete, ipertensione, ischemia cerebrovascolare possono favorire la diffusione di sostanze tossiche a livello cerebrale comportando possibili forme neurodegenerative. (Thiruchelvam M, McCormack A, Richfield E, Baggs R, Tank A, Di
Monte D, et al. 2003. Age-related irreversible progressive nigrastriatal dopaminergic neurotoxicity in the paraquat and maneb model of the Parkinsons disease phenotype. Eur J Neurosci 18:589600.)
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Lavanzare dellet non avrebbe un ruolo sullattivit enzimatica del fegato ma sulla riduzione del volume epatico e del flusso sanguigno favorendo una minore attivit epatica con un processo di detossificazione per alcuni composti pi lento e ridotta attivit escretoria con una concentrazione ed emivita pi lunga in circolo del tossico. (Schmucker D. 2001. Liver function and
phase I drug metabolism in the elderly. Drugs Aging 18:837851).
Inoltre la metabolizzazione di xenobiotici legata anche alla funzione di proteine deputate al trasporto transmembranico come la glicoproteina-P
(Kinirons MT, OMahoney MS. 2004. Drug metabolism and aging. Br J Clin Pharmacol 57:5405449) la quale rappresenta un importante meccanismo protettivo
contro la potenziale tossicit degli xenobiotici. La sua presenza stata riscontrata ampiamente su enterociti ed epatociti. (Watkins PB. et al. The barrier
function of CYP3A4 and P-glycoprotein in the small bowel. Adv. Drug Deliv. Rev. 1997;27:161-70).
Il ruolo degli enzimi epatici sarebbe critico nella correlazione allet, in quanto i soggetti anziani in genere sono sottoposti a terapie farmacologiche multiple. Dal momento che il processo di clearence risulta essere lo stesso per i farmaci che per eventuali sostanze tossiche ambientali, pu avvenire che un individuo anziano con terapia multipla possa vedere aumentato il rischio di effetti avversi tra la terapia e la concomitante o susseguente esposizione ambientale. (Butler A, Murray M.
1997. Biotransformation of parathion in human liver: participation of CYP3A4 and its inactivation during microsomal parathion oxidation. J Pharmacol Exp Ther 280:966973.)
Inoltre i processi metabolici possono rendere alcuni composti chimici ambientali biologicamente pi attivi, come nel caso di alcuni cancerogeni e pesticidi. Perci, lesposizione a questi composti, in concomitanza con farmaci, che possono indurre una pi elevata attivit enzimatica, determinerebbe una pi alta tossicit. (U.S. Food and Drug Administration. 2002.
Preventable Adverse Drug Reactions: A Focus on Drug Interactions. Washington, DC:U.S. Food and Drug Administration. Available: http:// www.fda.gov/cder/drug/drugReactions [accessed 15 February 2005]. Buratti F Volpe M, Meneguz A, Vittozzi L, Testai E. 2003. , CYPspecific bioactivation of four organophosphorous pesticides by human liver microsomes. Toxicol Appl Pharmacol 186:143154.)
Escrezione Leliminazione di sostanze tossiche e loro metaboliti deputata anche alla funzionalit renale
Una riduzione della clearence renale determina un incremento della emivita del tossico nellorganismo. Ci sarebbe determinato dalla riduzione del volume renale, del numero e della misura dei nefroni, ridotto flusso sanguigno del plasma renale e del grado di filtrazione glomerulare e della funzione tubulare (OMahoney S. 2000. Pharmacokinetics. In:
Drugs and the Older Population (Crome P, Ford G, eds). London:Imperial College Press, 5889).
Inoltre le alterazioni della funzione polmonare hanno effetto sullassorbimento di gas e composti volatili interferendo sulla via escretiva a livello respiratorio (Birnbaum L. 1991. Pharmacokinetic basis of age-related changes
in sensitivity to toxicants. Annu Rev Pharmacol 31:101128).
CLASSI DI SOSTANZE NEUROTOSSICHE Le sostanze neurotossiche possono essere classificate sulla base dei loro siti target di azione tossica, secondo lo schema di Spencer e Schaumburg viene presa in considerazione solo lazione diretta sul sistema nervoso mentre sono omessi effetti su altri sistemi che possono indirettamente avere conseguenze sul sistema nervoso centrale come, ad
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esempio, il danneggiamento di cellule del sistema immunitario, che influenza alcune funzioni del sistema nervoso e alcuni siti neuronali (Spencer P.S. and Schaumburg H.H., 1984). Membrana neuronale La membrana cellulare possiede un complesso sistema di pompe, recettori e canali per scambi intracellulari di molecole e ioni, lazione tossica di un composto pu interessare queste componenti. In natura esistono composti come la tetrodossina (prodotta dal pesce palla) e la saxitossina (prodotta da dinoflagellati) in grado di ridurre il flusso di ioni attraverso i canali e determinare il blocco dellattivit muscolare, della parola, la paralisi respiratoria. Al contrario, alcuni composti possono aumentare il flusso di ioni attraverso la membrana come DDT e pesticidi piretroidi che agiscono sul flusso del sodio. Struttura neuronale Degenerazioni a carico della struttura assonica sono tra i pi frequenti effetti riscontrati per lazione tossica di un composto, ma nella maggior parte dei casi la cronicit di esposizione determina una molteplicit di danni che coinvolge la cellula nella sua totalit. Alla base di questa degenerazione vi sarebbe un blocco nel trasporto di sostanze dal corpo cellulare; a volte, come nel caso della centralperipheral distal axonopathy (CPDA) il danno dalla periferia dellassone procede verso il corpo cellulare. Sostanze come il disolfuro di carbonio, lesano, lacrilammide, pesticidi organofosforici determinano danni di questa tipologia. Manifestazioni pi severe di neurotossicit riguardano la perdita di cellule nervose sensoriali per trattamenti ad alte dosi di vitamina B6, o per avvelenamento da trimetiltin (TMT). Per questa molecola i danni vanno dalla degenerazione cellulare alla necrosi del neurone soprattutto dellippocampo, dalla riduzione della sinapsina allalterazione dei meccanismi di rilascio e di cattura dei neurotrasmettitori (Gramowski A. et al., 2000).
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Cellule gliali e mielina Un vasto numero di sostanze di tipo neurotossico svolgono la loro azione sulle cellule gliari e sulla mielina da esse prodotta. Lesempio pi noto rappresentato dalla tossina difterica, che danneggia le cellule gliari, mentre lesaclorofene interferisce con i processi mitocondriali delle medesime cellule. Lalterazione delle cellule gliari determina una riduzione della produzione mielinica, con conseguente intorpidimento e debolezza muscolare. Sistema di neurotrasmettitori Altre sostanze possono dare affezione al complesso sistema di neurotrasmettitori del sistema nervoso. La nicotina ed alcuni insetticidi sono in grado di mimare gli effetti del neurotrasmettitore acetilcolina mentre i composti organofosforici, gli insetticidi carbamati, agiscono inibendo lacetilcolinesterasi, lenzima che inattiva lacetilcolina con perdita di appetito, ansia, spasmi muscolari e paralisi. Diverse droghe sono in grado di intervenire su diversi comparti del sistema di comunicazione cellulare. Ad esempio, i neurotrasmettitori noraepinefrina e dopamina per cocaina, anfetamine, recettori a livello cerebrale per i peptici, encefaline ed endorfine causando, alterazioni della percezione del panico, delleuforia e della realt. Sistema circolatorio legato al sistema nervoso Il sistema nervoso supportato per la propria fisiologia da un articolato sistema di vasi sanguigni e capillari, il cui ruolo quello di soddisfare la distribuzione di ossigeno e nutrienti e la rimozione di metaboliti e sostanze tossiche. Diversi agenti come piombo, alluminio, tallio, mercurio e trimetiltin possono rompere i vasi determinando encefalopatie. II.1.3 Carcinogenesi e Mutagenesi Le caratteristiche patologiche, cliniche ed epidemiologiche delle malattie neurodegenerative hanno appunto suggerito lesistenza di fattori di rischio genetici e ambientali, cio un meccanismo patogenetico
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comune; infatti, i lunghi periodi di latenza tra induzione e manifestazione chimica, sono sintomo di uninterazione tra fattori di rischio ambientale e accentuata suscettibilit genetica individuale (Levis A.G., ..). Infatti, in questo tipo di malattie, vengono evidenziati difetti genetici che spiegherebbero la famigliarit, come nel caso della SLA, in cui il difetto genetico, alla base della malattia, consisterebbe in una mutazione a carico del gene che codifica per lenzima rame-zinco super-ossido-dismutasi. Questa implicazione genetica spiegherebbe perch, nellambito di rassegne sugli effetti a lungo termine, in particolare cancerogenetici, di fattori ambientali come ad es. lesposizione a campi elettromagnetici, vengono di norma inclusi anche studi sulla relazione tra esposizioni e incidenza di malattie neurodegenerative (Lagorio S., et al., 1998). Carcinogenesi (letteralmente la creazione del cancro) il processo che trasforma cellule normali in cellule cancerose. Il cancro in definitiva causato dallaccumulo di danni genetici che sono fondamentalmente mutazioni nel DNA. Sostanze che causano queste mutazioni sono chiamate mutageni che causano il cancro e sono noti come cancerogeni. Si dice cancerogeno un agente chimico, fisico o biologico che causa, promuove o propaga il cancro, per azione diretta sul materiale genetico, o per interferenza sui processi metabolici volti alla regolazione della morte cellulare programmata. I cancerogeni sono classificati da appositi organismi internazionali. Per genotossicit si intende la capacit di una sostanza di indurre modificazioni allinterno della sequenza nucleotidica o della struttura a doppia elica del DNA di un organismo vivente. Le mutazioni possono essere di tipo somatico e germinale; nel primo caso interessano solo la linea cellulare mutata e possono portare a formazioni neoplastiche e quindi cancri; mentre, nel secondo caso queste possono essere trasmesse alla prole. Quando lalterazione interessa le generazioni cellulari successive, si determina il cosiddetto effetto mutagenico.
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Molti mutageni sono cancerogeni ma alcuni cancerogeni non sono mutageni. Ad esempio lalcool e gli estrogeni sono cancerogeni ma non mutageni, infatti stimolano la mitosi. Laumento della velocit della divisione cellulare riduce il tempo a disposizione per la riparazione del DNA, incrementando la possibilit di un errore genetico che sar trasmesso alle cellule figlie. Durante gli anni passati divenuto sempre pi chiaro che il cancro una malattia genetica che si produce nel caso in cui mutazioni multiple (eventi genetici) si accumulano nel DNA di una singola cellula somatica causandovi la perdita del controllo della crescita cellulare (Klein G., and Klein E., 1985). Le mutazioni possono essere di due tipi: cromosomiche: in questo caso interi pezzi di cromosomi vengono casualmente eliminati o si fondono con altri gi presenti. I geni si vengono cos a trovare in una posizione diversa da quella originale. Dato che la regolazione dellattivit di un gene dipende, in parte, dalla sua localizzazione nel genoma, le mutazioni cromosomiche hanno, generalmente, effetti estremamente drammatici; fortunatamente sono piuttosto rare. Si evidenziano questi tipi: Delezioni e duplicazioni: portano alla perdita, durante la meiosi, di piccoli segmenti. Questi per si inseriscono nel cromosoma omologo, che viene quindi a possedere un tratto del DNA duplicato. Dei due cromosomi omologhi, uno perde geni, mentre laltro ne acquista una quantit maggiore. Inversioni: sono dovute a pezzi di cromosoma che si staccano e si inseriscono per in posizione capovolta. Traslocazioni: scambio di materiale cromosomico tra due cromosomi non omologhi. Euploidie: sono piuttosto dannose e si verificano quando ad un organismo diploide (2n) viene a mancare, oppure viene aggiunto un particolare cromosoma (es. Trisomia 21 o sindrome di Down). Poliploidie: compaiono quando si aggiungono uno o pi corredi
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interi di cromosomi. In questo modo un individuo si trova a possedere, allinterno dei nuclei delle sue cellule, un corredo cromosomico triplo (3n) o quadruplo (4n). geniche o puntiformi: sono abbastanza comuni e vengono causate da modificazioni di un singolo gene. Sono importantissime dal punto di vista evolutivo. Tale tipo di mutazioni, che riguardano, generalmente, una singola base azotata di un nucleotide, determinano la sostituzione di un amminoacido in una catena proteica che altera linformazione primitiva del DNA. La proteina risultante da questo cambiamento generalmente difettosa (es. anemia falciforme). La mutazione si dice indotta quando causata dallazione di agenti mutageni. Il tipo di mutazione indotta pu spesso essere previsto in quanto i vari mutageni hanno una certa specificit mutazionale. Non potr per essere determinato a priori dove queste mutazioni avverranno e quindi quali conseguenze porteranno allorganismo. Le mutazioni invece sono dette spontanee quando sono dovute a errori nei processi molecolari che riguardano il materiale genetico (DNA o RNA) e quindi non prodotte da alcun agente mutageno conosciuto. Le mutazioni spontanee portano, in genere, a danni o alterazioni di una o poche coppie di basi di una sequenza, per questo determinano di solito mutazioni geniche. A differenza di quelle indotte, le mutazioni spontanee sono molto rare; se ne verifica in media una ogni 106- 108 cellule. Nonostante la loro bassa frequenza sono le mutazioni pi importanti per lo svolgersi del processo di evoluzione. Queste mutazioni (come tutte le altre del resto) possono portare a vantaggi o svantaggi allorganismo che le subisce. I batteri che sopravvivono a trattamenti antibiotici o gli insetti resistenti ai disinfestanti sono tutti esempi di organismi mutanti in cui la mutazione spontanea li ha favoriti rispetto a quelli con fenotipo selvatico. In questo caso bisogna comunque precisare che le mutazioni non sono state originate dalla particolare condizione ambientale (presenza di antibiotici o disinfestanti) ma erano gi preesistenti nellorganismo. I danni possono essere causati da:
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Tautomeria - una base modificata per lo spostamento di un atomo di idrogeno Transizione - Scambio di una purina con unaltra purina, oppure di una pirimidina con unaltra pirimidina. Transversione - Scambio di una purina con una pirimidina o viceversa. Deaminazione: reazione che trasforma una base azotata in una diversa; ad esempio provoca la transizione C U (che pu essere riparata). Meccanismo della carcinogenesi La divisione cellulare (proliferazione) un processo fisiologico che ha luogo in quasi tutti i tessuti e in innumerevoli circostanze. Normalmente lomeostasi, lequilibrio tra proliferazione e morte cellulare programmata, di solito per apoptosi, mantenuta regolando strettamente entrambi i processi per garantire lintegrit di organi e tessuti. Le mutazioni nel DNA che conducono al cancro, portano alla distruzione di questi processi ordinati, distruggendone i programmi regolatori (Dixon K, Kopras E, 2004). Sono stati identificati parecchi geni che, attraverso un processo di mutazione, possono causare il cancro; infatti, affich delle cellule inizino a dividersi in maniera incontrollata, devono essere danneggiati i geni che ne regolano la crescita. Questi sono stati denominati oncogeni. I protooncogeni sono geni che promuovono la crescita cellulare e la mitosi, cio un processo di divisione cellulare; i geni soppressori del tumore scoraggiano la crescita cellulare o impediscono la divisione cellulare per consentire la riparazione del DNA. Tipicamente necessaria una serie di numerose mutazioni a questi geni prima che una cellula normale si trasformi in una cellula cancerosa. I proto-oncogeni promuovono la crescita cellulare in diversi modi. Essi non hanno la funzione di causare tumori ma, al contrario, riescono a controllare la divisione cellulare e la proliferazione delle cellule stesse. Questultima regolata in ogni tipo di cellula da ormoni specifici messaggeri chimici, chiamati fattori di crescita. Alcuni proto-oncogeni controllano la sensibilit agli ormoni perch sono responsabili essi stessi del sistema di conversione dello stimolo o dei recettori nelle cellule o nei tessuti. Tali recettori sono situati sulla superficie della cellula e mettono in grado le cellule di percepire correttamente lo stimolo.
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Mutazioni nei proto-oncogeni possono modificare la loro funzione, aumentando la quantit o lattivit delle proteine prodotte. Quando questo accade, essi diventano oncogeni e le cellule hanno una maggiore probabilit di dividersi in maniera eccessiva e incontrollata. Il rischio di cancro non pu essere ridotto rimuovendo i proto-oncogeni dal genoma in quanto essi sono fondamentali per la crescita, la riparazione e lomeostasi (equilibrio) dellorganismo, e diventano pericolosi solo quando mutano (Knudson AG, 2001). I geni soppressori del tumore codificano i messaggeri chimici e le proteine anti proliferazione che fermano la mitosi e la crescita cellulare. Di solito i soppressori del tumore sono fattori di trascrizione che sono attivati dallo stress cellulare o dal danneggiamento del DNA. Spesso danni al DNA causano, tra le altre cose, la presenza di materiale genetico vagante e attivano cos enzimi e reazioni chimiche che portano allattivazione dei geni soppressori del tumore. La funzione di tali geni di arrestare il ciclo della cellula in modo da effettuare la riparazione del DNA, impedendo che le mutazioni siano passate alle cellule figlie. Soppressori del tumore sono fra gli altri il gene p53, che un fattore di trascrizione attivato da molti stress cellulati tra cui danni da ipossia (mancanza di ossigeno) e radiazione ultravioletta (Schottenfeld D, BeebeDimmer JL, 2005). Tuttavia, una mutazione pu danneggiare un gene soppressore del tumore o la via che porta alla sua attivazione. Linevitabile conseguenza che la riparazione del DNA impedita o inibita: il danno al DNA si accumula senza essere riparato portando inevitabilmente al cancro. La carcinogenesi richiede pi di una mutazione, in genere pi mutazioni a carico di certe classi di geni. La perdita del controllo della proliferazione avr luogo solo in seguito a mutazioni nei geni che controllano la divisione cellulare, la morte cellulare, e i processi di riparazione del DNA. Le cellule che possono causare tumori maligni hanno varie propriet che le distinguono dalle cellule del tessuto sano:
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Resistono allapoptosi (suicidio programmato della cellula). Si riproducono, dividendosi, in maniera incontrollata (o non muoiono) e solitamente si dividono con frequenza maggiore del normale. Sono autosufficienti per quanto riguarda i fattori di crescita. Non rispondono agli antagonisti dei fattori di crescita e linibizione da contatto soppressa. Possono presentare una differenziazione cellulare alterata. Le cellule pi aggressive possono presentare alcune caratteristiche aggiuntive che le rendono particolarmente maligne: Possono invadere i tessuti vicini, solitamente possono secernere metalloproteinasi che digeriscono la matrice extracellulare. Possono spostarsi a grande distanza e formare metastasi. Possono secernere fattori chimici che stimolano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi). Quasi tutti i tumori si sviluppano a partire da una sola cellula, ma solitamente la cellula iniziale non acquisisce tutte le caratteristiche in una volta sola. Con ogni mutazione tumorale la cellula acquisisce un leggero vantaggio evolutivo sulle cellule vicine, entrando in un processo detto di evoluzione clonale. Ne consegue che, cellule discendenti dalla cellula mutata, per effetto di ulteriori mutazioni, possano trarre un vantaggio evolutivo ancora maggiore. Le cellule che presentano solo alcune delle mutazioni necessarie alla formazione di un tumore maligno sono ritenute origine dei tumori benigni; tuttavia, con laccumularsi delle mutazioni, le cellule mutate formeranno un tumore maligno. In generale, sono richieste mutazioni in entrambi i tipi di gene perch si formi il cancro (Sarasin A., 2003). Una mutazione limitata ad un oncogeno verrebbe eliminata dai normali processi di controllo della mitosi e dai geni soppressori dei tumori. Una mutazione di un solo gene soppressore del tumore, sarebbe anchessa insufficiente per causare il cancro per la presenza di numerose copie di backup dei geni che
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duplicano la sua funzione. solo quando un numero sufficiente di protooncogeni mutato in oncogeni e sufficienti geni soppressori del tumore sono stati disattivati, che i segnali di crescita cellulare sopravvanzano i segnali che la regolano e la crescita cellulare aumenta rapidamente completamente fuori controllo. Il danno accumulato teorizzato da molti ricercatori per spiegare la crescita esponenziale dei tumori nella tarda et. Nei giovani le difese contro il danno al DNA sono molto forti, ma, con la mutazione dei geni soppressori del tumore, la velocit con cui si sommano i danni aumenta in modo esponenziale in una sorte di spirale mortale. Questa teoria ulteriormente supportata dal fatto che la probabilit di contrarre un cancro aumenta in modo esponenziale e non lineare con let. La quantit del danno in una cellula cancerosa immensa, quasi tutti i cromosomi presentano un qualche tipo di mutazione comprese multiple copie del cromosoma trisomia, o completa mancanza di un cromosoma monosomia. Di solito gli oncogeni sono geni dominanti, poich contengono mutazioni che portano funzioni nuove o anormali (mutazione genetica) mentre soppressori del tumore mutati sono geni di tipo recessivo perch contengono mutazioni che riducono o annullano la funzionalit. Ogni cellula ha due copie dello stesso gene, una proveniente da ogni genitore, ma nella maggior parte dei casi una mutazione con aumento della funzionalit da parte di un gene protooncogeno sufficiente a trasformarlo in un oncogeno. Di solito invece una mutazione con perdita di funzionalit deve accadere in entrambe le copie di un gene soppressore del tumore per rendere quel gene completamente inefficace (Sarasin A., 2003). Lo sviluppo di un tumore spesso iniziato da un piccolo cambiamento nel DNA (mutazione puntiforme), che porta ad uninstabilit genetica della cellula. Linstabilit pu aumentare fino alla perdita di interi cromosomi o alla formazione di copie multiple. Anche lo schema della metilazione del DNA della cellula cambia, attivando e disattivando geni in modo incontrollato. Le cellule che proliferano rapidamente, come le cellule epiteliali, hanno un rischio maggiore di trasformarsi in cellule tumorali, al contrario delle cellule che si dividono meno, per esempio i neuroni.
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In molti casi, la ricerca non ancora riuscita a individuare le cause che spingono improvvisamente le cellule ad iniziare a riprodursi in modo incontrollato dando origine al tumore. Le cellule tumorali sono, come gi detto, geneticamente instabili e quindi molto plastiche, al punto che piccole mutazioni nel DNA portano alla comparsa e alla proliferazione di sempre nuove varianti cellulari. Ma i tumori hanno anche unaltra caratteristica che permette loro di proliferare cos velocemente: dipendono strettamente dalla formazione di nuovi vasi sanguigni e nuovi capillari costruiti ex novo, utilizzando le riserve del malato. Attraverso la rete di capillari, i tumori si riforniscono dei nutrienti e dei fattori necessari alla loro crescita dirompente. Lamericano Judah Folkman ha dato nei primi giorni di maggio del 98 la notizia della scoperta di alcune molecole in grado di controllare questa abnorme vascolarizzazione. Sui topi di laboratorio, ha dimostrato di poter ridurre il tumore, impedendo la produzione di nuovi vasi capillari e portando cosi la neoplasia ad uno stato di quiescenza (Claesson-Welsh L., et al. 1998; Folkman J., 1998). La rapida e incontrollata proliferazione pu portare a tumori benigni o a tumori maligni (cancri). I tumori benigni non si estendono ad altre parti del corpo, non invadono altri tessuti e raramente costituiscono un pericolo per la vita dellindividuo. I tumori maligni possono invadere altri organi, estendersi in organi distanti (metastasi) e mettere in pericolo la vita. Fino al 1940 circa, era largamente diffusa lopinione che il cancro fosse una conseguenza inevitabile dellinvecchiamento, in quanto per la divisione necessaria la duplicazione del DNA la quale, anche se con frequenza molto bassa, causa il verificarsi di mutazioni che sono appunto alla base dellinsorgere del tumore. Ma questo meccanismo non sembra essere applicabile alla maggior parte dei tumori e, soprattutto, studi epidemiologici evidenziano che sono i fattori ambientali ad avere una grossa parte nella determinazione della probabilit che il cancro si sviluppi. Non sempre facile determinare i fattori che provocano il
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cancro presenti nellambiente, nella dieta o nelle abitudini individuali. In ogni caso, comunque evidente che ci sono alcuni fattori di rischio quali le radiazioni, labuso di bevande alcoliche, lesposizione a sostanze chimiche mutagene, il fumo di sigaretta e una dieta alimentare scorretta (Hiatt H.H., et al., 1977). In termini pi generali, agenti chimici detti mutageni e radicali liberi possono causare mutazioni. Altre mutazioni possono essere causate da infiammazioni croniche. Anche le piante possono divenire soggetti portatori di azione cancerogena perch accumulano nelle loro foglie grandi quantit di nitrati (concimi) che, in seguito ad una serie di trasformazioni chimiche nel nostro stomaco, modificano lazione degli oncogeni. I virus rappresentano unaltra importante causa di alcuni tipi di cancro. Essi probabilmente agiscono in combinazione con altri agenti genetici nella trasformazione maligna di una cellula; alcuni tipi di virus possono causare mutazioni (Yunis J.J., 1983), essi giocano un ruolo importante in circa il 15% di tutti i tumori maligni. Ci sono essenzialmente due categorie di virus tumorali: a trasformazione acuta e a trasformazione lenta. Nei primi le particelle virali portano un gene che codifica un oncogeno iperattivo detto oncogeno virale (v-onc) e la cellula infettata viene trasformata non appena si esprime il gene v-onc. Nei virus a trasformazione lenta, invece, il genoma del virus inserito vicino ad un proto-oncogeno nel genoma ospite. Il promotore virale o altri elementi di regolazione della trascrizione causano sovraespressione di quel proto-oncogeno che a sua volta induce una prolificazione cellulare incontrollata. I virus a trasformazione lenta hanno una latenza di tumore molto lunga, confrontati con quelli a trasformazione acuta, che portano invece direttamente loncogeno virale. Questo perch linserzione virale nel genoma vicino ad un proto-oncogeno bassa. Virus tumorali, come alcuni retrovirus, herpesvirus e papillomavirus, di solito trasportano un oncogeno, oppure un gene inibisce la normale soppressione dei tumori nel loro genoma.
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I test di mutagenesi Sono analisi genetiche utilizzate per verificare la capacit di indurre mutazioni genetiche da parte di agenti fisici o chimici; sono dunque usati per indicare la genotossicit di un agente. I test possono essere in vitro: compiuti su cellule, tessuti o test in vivo: compiuti su interi organismi. La capacit di provocare mutazioni spesso associata alla capacit di provocare cancro: per questo molti test hanno lo scopo di valutare la cancerogenicit di un agente valutandone la mutagenicit. Test in vitro Le colture batteriche pi utilizzate sono di organismi modello come Escherichia coli e Saccharomyces cerevisiae, mentre oggi limitato limpiego di funghi. I test con batteri sono molto diffusi: i batteri, infatti, si replicano molto rapidamente e hanno genomi e propriet biologiche molto conosciuti: i test sono cos molto veloci ed economici. Il principale svantaggio risiede nelle differenze notevoli tra batteri e uomo. Per questo motivo i batteri sono spesso modificati geneticamente, per renderli pi simili possibile a cellule umane. Tra le principali modificazioni ci sono: linattivazione di geni coinvolti nei sistemi di riparazione in modo da aumentare leffetto delleventuale mutageno (aumento del tasso di mutazione). linserimento nelle cellule di plasmidi con geni relativi a sistemi di riparazione error prone (soggetti ad errore), che riparano alcune mutazioni introducendone per di altre. Data la natura del materiale genetico dei microrganismi, i test in questione sono solitamente usati per saggiare linduzione di mutazioni puntiformi. Nelle varie procedure, il test serve a verificare linduzione della mutazione nellorganismo verificandone una variazione nel fenotipo. Due sono i sistemi utilizzabili: il sistema della mutazione in avanti - in cui sono usati ceppi con fenotipo selvatico per un gene marcatore; questi vengono esposti allagente e
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dopo incubazione si isolano e contano le colonie con fenotipo mutato. Il numero di colonie mutate direttamente proporzionale alla mutagenicit dellagente. il sistema della reversione - il ceppo di partenza presenta gi una mutazione; noto sia il gene mutato che il tipo di mutazione presente. Si tratta il ceppo con il presunto mutageno e si verifica la presenza di colonie revertenti; anche qui, pi esse sono, pi lagente mutageno. Il principale vantaggio del secondo sistema la conoscenza della mutazione inizialmente presente nel ceppo. Con il sistema della reversione quindi si pu sapere in modo diretto che tipo di mutazione stata indotta e caratterizzare la modalit dazione del mutageno. Le cellule di mammifero pi usate sono cellule uovo di hamster cinese o linfociti umani. Quando le cellule derivano da tessuti, queste possono essere divise (per poi essere incubate in terreno di coltura liquido) con metodi meccanici o enzimatici. Possono essere utilizzate cellule direttamente prelevate da tessuto vivo e formare cos colture cellulari primarie, caratterizzate per da un numero limitato di divisioni cellulari prima della degenerazione; oppure linee cellulari ingegnerizzate in modo da poter compiere un numero elevato di divisioni (colture cellulari immortalizzate). I vantaggi sono lavere a disposizione sistemi biologici uguali (o molto simili) a quelli umani, quindi simulare in modo molto vicino alla realt lazione che avrebbero gli agenti sulluomo. Le mutazioni che si mira a identificare sono prevalentemente su larga scala (cromosomiche e genomiche). Test in vivo I test in vivo permettono di usare sistemi pi complessi e di tener conto di fattori influenti sullattivit mutagenica di un composto che non sono contemplati in semplici colture cellulari. Sono solitamente usati ceppi di topo, di ratto o criceto, spesso anche ingegnerizzati per ottimizzare i processi. Se si vuole analizzare la presenza di mutazioni somatiche, sono di solito prelevati frammenti di piccoli organi e
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disgregati nelle singole cellule che li compongono tramite trattamento con tripsina o collagenasi. Su queste cellule possono essere poi compiuti test analoghi a quelli descritti in precedenza, come il test del micronucleo o lanalisi cariotipica in metafase. I test in vivo sono poi utili nello studiare le mutazioni indotte nelle cellule germinali; le loro varie fasi di sviluppo sono infatti difficili da ottenere in vitro (Migliore L., 2004). Test di analisi di danno al DNA Questi test servono per scoprire la presenza di danni al singolo o al doppio filamento di DNA (rispettivamente single strand break o SSB e double strand break o DBS). Quelli principali sono il test della cometa e il test della sintesi di DNA non programmato. I test in questione sono spesso di rapida esecuzione, ma non danno altra informazione se non leventuale presenza del danno, senza specificarne la natura; sono per questo poco usati o affiancati da test pi specifici. Il test della cometa, noto anche come elettroforesi su singola cellula, un test di mutagenesi per lidentificazione di danni al DNA in una cellula (solitamente di mammifero). La finalit del test quella di verificare la capacit di una sostanza chimica, o di un agente fisico, di generare danni strutturali nei cromosomi, con conseguenti mutazioni cromosomiche. I danni possono essere rotture del singolo o del doppio filamento di DNA: in entrambi i casi, a seconda delle condizioni sperimentali, possono formarsi frammenti cromosomici. Le cellule da testare vengono disposte su un vetrino insieme a diversi strati sovrapposti di agarosio a diverse concentrazioni e successivamente sono trattate con detergenti o altri agenti in grado di lisare la membrana cellulare; il vetrino sar mantenuto tramite apposite soluzioni tampone a pH basico o neutro a seconda del tipo di danno che si vuole visualizzare: a pH neutro sono identificabili le DBS; a pH alcalino, le SSB. Il vetrino con le cellule lisate viene coperto con un vetrino coprioggetti e posto in una vasca per elettroforesi per 20 minuti a 25 V. Al termine del processo il vetrino lavato e vi aggiunta una sostanza fluorescente in grado di
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legarsi al DNA (di solito bromuro di etidio), in modo da rendere visibile il nucleo al microscopio a fluorescenza. Se un nucleo non presenta danni apparir al microscopio come una struttura rotonda e omogenea; in presenza di danni, invece, i frammenti di DNA migreranno verso lanodo formando in questa direzione una struttura allungata e disomogenea, come la coda di una cometa (da cui il nome al test). Le cellule utilizzate nel test possono provenire da colture cellulari immortalizzate (test in vitro); in alternativa si possono prelevare piccole porzioni di organo, solitamente di piccolo roditore, da cui ottenere cellule separate per disgregazione meccanica o enzimatica (test in vivo). Il test della cometa in grado di stabilire se un agente induce la formazione di danni al DNA, ma non permette di determinare lentit del danno o la porzione di genoma che lo ha subto. Per questo, per avere dei risultati sperimentali pi specifici, deve essere accompagnato da altri test di mutagenesi come il test dei micronuclei o il test della condensazione prematura dei cromosomi (PCC).
Da sempre luomo soggetto allazione di radiazioni ionizzanti naturali, alle quali si da il nome di fondo radioattivo naturale (o pi semplicemente fondo naturale). Il fondo naturale dovuto sia alla radiazione terrestre (radiazione prodotta da nuclidi primordiali o da nuclidi cosmogenici) che da quella extraterrestre (la radiazione cosmica). Per la loro presenza, luomo riceve mediamente una dose di 2.4 mSv/a, valore che per varia moltissimo da luogo a luogo. Nel nostro Paese, ad esempio, la dose media valutata per la popolazione di 3.4 mSv/a. Questo valore deve costituire il riferimento per dare eventuali valutazioni di rischio radioprotezionistico. La caratteristica di una radiazione di poter ionizzare un atomo, o di penetrare pi o meno in profondit allinterno della materia, dipende, oltre che dalla sua energia, anche dal tipo di radiazione e dal materiale con il quale avviene linterazione. Le radiazioni ionizzanti si dividono in due categorie principali: quelle che producono ioni in modo diretto (le particelle cariche , - e +) e quelle che producono ioni in modo indiretto (neutroni, raggi e raggi X). I diversi tipi di radiazione elettromagnetica sono: raggi alfa (basso potere di penetrazione nella materia), radiazione beta e radiazione gamma (alto potere di penetrazione). Convenzionalmente, si considerano ionizzanti le radiazioni con frequenza maggiore di 0,75 x 10 elevato alla 15 Hertz. Le radiazioni ionizzanti possono essere prodotte con vari meccanismi. I pi comuni sono: decadimento radioattivo, fissione nucleare, fusione nucleare, emissione da corpi estremamente caldi (radiazione di corpo nero) o da cariche accelerate (bremsstrahlung, o radiazione di sincrotrone). Per poter ionizzare la materia, la radiazione deve possedere unenergia tale da poter interagire con gli elettroni degli atomi con cui viene a contatto. Le particelle cariche possono interagire fortemente con la materia, quindi elettroni, positroni e particelle alfa, possono ionizzare la materia direttamente. Queste particelle possono derivare dai decadimenti nucleari, che vengono chiamati decadimento alfa per le particelle alfa e beta per gli elettroni e i positroni. In questi casi il potere di penetrazione
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di queste radiazioni limitato, in quanto le particelle alfa (anche se molto ionizzanti) non possono superare strati di materia superiori ad un foglio di carta, mentre le particelle beta possono essere schermate da un sottile strato di alluminio. Anche i fotoni e i neutroni daltra parte, pur non essendo carichi, se dotati di sufficiente energia possono ionizzare la materia (fotoni con frequenza pari o superiore ai raggi ultravioletti sono ritenuti ionizzanti per luomo). In questo caso, queste particelle sono meno ionizzanti delle precedenti, ma possono penetrare molto a fondo nella materia e, per quelli pi energetici, potrebbe non bastare un grosso muro di cemento armato per schermarle (vedi figura sotto).
II.2.1 Effetti biologici Nei casi in cui la radiazione ionizzante incida su tessuti biologici, pu causare danni di tipo sanitario. Come abbiamo visto, la radiazione alfa presenta una basso potere di penetrazione, quindi viene facilmente fermata dallo strato superficiale della pelle costituita da cellule morte, per cui non pericolosa per luomo nei casi di irradiazione esterna. Diventa invece pericolosa nelle situazioni in cui la sorgente radioattiva viene
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inalata o ingerita (irradiazione interna), perch in questo caso pu ledere direttamente tessuti radiosensibili (tipico caso quello del radon, in cui appunto lisotopo radioattivo viene inspirato e quindi pu decadere allinterno del corpo umano emettendo radiazione alfa). La radiazione gamma (fotoni) invece, avendo un potere di penetrazione molto elevato, pu risultare pericolosa per gli esseri viventi anche in situazioni di irradiazione esterna. La quantit di radiazione assorbita da un corpo viene chiamata dose assorbita e si misura in gray. Altre grandezze importanti da considerare sono la dose equivalente e la dose efficace. I danni che una radiazione ionizzante pu provocare sui tessuti biologici sono di vario tipo e vengono suddivisi in: danni somatici deterministici danni somatici stocastici danni genetici stocastici Gli effetti dipendono dalla dose di radiazioni e pi precisamente la dose efficace rappresenta la somma ponderata delle dosi equivalenti ai vari organi e tessuti; i pesi wT che si usano in questo contesto tengono conto della diversa radiosensibilit degli organi e dei tessuti irraggiati. quindi possibile scrivere la relazione matematica che la lega alla dose equivalente:
Anche la dose efficace, come la dose equivalente si misura in un Sievert. importante precisare che lirraggiamento (e quindi il conseguente rilascio di dose) avviene tramite due canali: irraggiamento esterno, dovuto allesposizione del corpo ai radionuclidi presenti nellambiente, e irraggiamento interno, causato dallingestione o dallinalazione di sostanze contenenti isotopi radioattivi. Tipico caso risulta essere linalazione di Radon. Nel caso dellinalazione importante considerare anche tutte le sostanze volatili e i radionuclidi che si legano a particelle in grado di restare in sospensione nellaria, ed eventualmente anche i figli di ogni sostanza.
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NORMATIVA D.lgs n.230 del 17.3.1995 Attuazione direttive EURATOM in materia di radiazioni ionizzanti D.P.R. n.185 del 13.2.1964 e decreti applicativi ancora in vigore Sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dallimpiego pacifico dellenergia nucleare D.M. n.449 del 13.7.1990 Regolamento concernente le modalit di tenuta della documentazione relativa alla sorveglianza fisica e medica della protezione dalle radiazioni ionizzanti Legge n.864 del 19.10.1970 Ratifica convenzione OIL n.115 sulla protezione dei lavoratori contro le radiazioni ionizzanti D.lgs n.626 del 19.9.1994 Attuazione direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro D.lgs n.475 del 4.12.1992 Attuazione direttiva comunitaria relativa a dispositivi di protezione individuale
degenerative a carico del sistema nervoso centrale (Betarbet R, et al., 2002; Campbell A., 2004). A tal riguardo, in ambito tossicologico, la valutazione del rischio e dei suoi fattori rappresentano un nuovo campo di studio degli ultimi decenni, tuttavia le strategie di studio sono piuttosto complesse dal momento che nella realt, sia a livello ambientale che occupazionale, raramente un individuo esposto ad un unico agente ma bens ad una miscela di composti che pu variare nella composizione e nella concentrazione in una dinamica temporale piuttosto ampia. Inoltre, gli effetti indotti sulla salute umana in seguito ad esposizione sono manifestazione di una realt individuale pi complessa rappresentata da un individuale assetto genetico, stato di salute pregresso o corrente, stato socio-economico, fisiologico, stili di vita (fumo, assunzione di alcol), questi fattori possono infatti interferire aumentando o riducendo il rischio. Questo contesto pu a sua volta evolvere durante la vita dellindividuo, per cui si costituisce una complessa rete di interazioni dinamiche chimiche e non solo che ha come ultima espressione la manifestazione patologica sulla salute. Tutto ci pone la necessit di una criticit sui modelli di studio e sui risultati ottenuti perch nella maggior parte dei casi loro malgrado non sono in grado di contemplare tutto lo spettro di possibili fattori che contribuiscono al rischio (Cory-Slechta D.A., 2005). Infatti, risultati contrastanti possono scaturire da differenze metodologiche tra i vari studi, perci necessario considerare i diversi apporti nel complesso processo di definizione di potenziale neurotossico di agenti naturali o di sintesi. Perfino il concetto di esposizione e dose considerati negli studi di valutazione del rischio possono apportare informazioni a volte ingannevoli. Infatti il concetto di dose di esposizione ad esempio strettamente correlata al tempo, alla concentrazione assorbita dallorganismo, alla capacit della sostanza di raggiungere il sistema nervoso centrale, la via si esposizione, nonch la potenzialit dei composti di dare luogo ad effetti additivi, sinergici, o antagonisti (CabanHolt A, et al., 2005).
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II.3.1 Sostanze chimiche industriali I composti a cui attualmente la popolazione esposta sono molteplici ciascuna con delle proprie peculiarit strutturali. Tra i primi composti ad essere stati studiati come sostanze neurotossiche troviamo: MPTP (1-methyl-4-phenyl1,2,3,6-tetrahydropyridina) Questo composto, nel 1980, stato oggetto dei primi studi riportati in letteratura in riferimento a manifestazioni cliniche, virtualmente simili al morbo di Parkinson in un gruppo di tossicodipendenti che avevano fatto uso di eroina di sintesi contaminata da MPTP (1-metil-4-fenil 1,2,3,6-tetraidropiridina) (Langston W, et al., 1999). LMPTP non tossico di per se, lo diviene quando viene metabolizzato, negli astrociti, dalla monoaminossidasi nella forma attiva dello ione 1metil-4-fenil-2,3-diipiridinio (MPP+). Questa neurotossina sostituisce nelle vescicole intracellulari la dopamina dove avviene una autoossidazione causando un danno cellulare (Lotharius J, OMalley KL., 2000). MPP+ trasportato selettivamente nei neuroni dopaminergici attraverso il sistema di trasporto della dopamina, viene accumulato nei mitocondri dove inibisce il complesso I e la conseguente produzione di ATP, che a sua volta attiva il recettore N-metil-D-aspartato (NMDA) causando una sindrome simile alla forma idiopatica di Parkinson (Greenamyre JT, et al., 2001; Schultz J. B., et al., 1997). Pesticidi I pesticidi rappresentano un insieme di sostanze comunemente utilizzate per controllare il proliferare di insetti, semi e funghi, e sono classificati sulla base dellorganismo target o sul loro utilizzo come insetticidi, erbicidi, fungicidi o fumiganti. Gli insetticidi, a loro volta, vengono subclassificati sulla base della tipologia chimica come organofosfati, organoclorinati, carbamati e piretroidi. Lesposizione pu avvenire a vari livelli occupazionali, contaminazione di cibi e di acque,
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perci la loro tossicit viene espletata su un ampio numero di individui e in diverse fasce di et. frequente la possibilit che lesposizione avvenga con miscele di composti strutturalmente simili, per cui difficile ricondurre gli effetti ad un unico agente. I bambini, in questo contesto, rappresentano gli individui pi facilmente esposti, perfino a livello fetale, nel caso di lavoratrici esposte durante la gravidanza, con lassunzione di cibi contaminati e crescita in ambienti contaminati. Inoltre, i bambini presentano la peculiarit, rispetto ad un individuo adulto, di poter assorbire dosi maggiori di composto in rapporto al loro peso corporeo, e di essere pi suscettibili ad effetti tossici per il loro quadro fisiologico immaturo che impedisce un corretto metabolismo e unefficiente escrezione, favorendo laccumulo. Studi di meta analisi hanno confermato che esposizioni cumulative a pesticidi per assunzione di cibi contaminati o per stili di vita o lavoro aumenta il rischio di sviluppo del morbo di Parkinson (Priyadarshi A, et al., 2001; Liou HH, et al., 1997; Liu B, et al., 2003). Lazione tossica dei pesticidi viene imputata a diverse modalit di azione a seconda del tipo di molecola: 1. modulazione di enzimi ad esempio citocromo P450, glutatione transferasi (Hodgson E, Levi PE. 1996; Di Ilio C, et al., 1996); 2. alterazione della attivit mitocondriale con inibizione del complesso I (Gassner B, et al., 1997; Greenmyre JT, et al., 1999); 3. molteplicit di meccanismi sinergici (Thiruchelvam M, et al., 2000). Studi in vitro sulla tossicit di tre pesticidi: maneb, rotenone e paraquat hanno evidenziato la loro capacit di interagire con il complesso I mitocondriale riducendone lattivit con conseguente morte dei neuroni dopaminergici (Dawson T M, Dawson VL. 2003). Una possibile interazione fra fattori di rischio ambientali e polimorfismi genetici in geni mitocondriali e geni coinvolti nella detossificazione dei metaboliti stata intensamente indagata, ma senza risultati soddisfacenti (Tan EK, et al., 2000). Negli ultimi anni lattenzione della ricerca si ampiamente orientata a definire la neurotossicit dei pesticidi come riportato in tabella 3.3.1.1.
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Paraquat Questo pesticida (1,1-dimethyl-4,4-bipyridinium) sembra correlato allinduzione del MP, dal momento che ha una struttura chimica simile al MPP, un attivo metabolico del MPTP (vedi figura 3.3.1.1).
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Studi epidemiologici e in vivo hanno evidenziato che esisterebbe una relazione dose-risposta positiva tra il tempo di esposizione al paraquat e il rischio di contrarre il morbo di Parkinson, dovuta ad una perdita di neuroni (Liou HH, et al. 1997; Liu B, et al., 2003; McCormack et al., 2002). Il pesticida agisce sulle cellule a pi livelli (Dinis-Oliveira R.J., et al., 2006): stimola un processo di eccitotossicit che porta a morte i neuroni dopaminergici mediata da specie reattive dellazoto (sintetasi ossido nitrica, ossido nitrico, anione perossidonitrico); il paraquat nei mitocondri viene trasformato nel suo radicale libero dal complesso I, ci determina unelevata produzione di radicale superossido che inibisce lattivit del complesso I e causa una disfunzione del mitocondrio; in vitro incrementa laggregazione in fibrille della proteina alfasinucleina e formazione dei corpi di Lewy, con unevidente relazione di dose-dipendenza, probabilmente motivata dal legame preferenziale del paraquat per una forma intermedia della proteina (Uversky VN, Li J, Fink AL. 2001; Uversky VN, et al., 2002), quindi possibile che, una
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regolazione positiva della alfa-sinucleina sia manifestazione di una tossicit e, che la diretta interazione della proteina con agenti ambientali siano i potenziali meccanismi che portano ad una forma patologica della proteina in disordini neurodegenerativi (Manning-Bog AB, et al., 2002). Roteneone Linsetticida roteneone induce danni clinici nei ratti simili a quelli dati dal morbo di Parkinson, con selettiva degenerazione del sistema dopaminergico e disordini motori (Sherer TB, et al., 2003). Sono stati anche rilevati effetti sinergici tra il roteneone e la molecola proinfiammatoria di origine batterica lipolisaccaride, suggerendo che fattori proinfiammatori possono cooperare per lo sviluppo della malattia (Gao HM, et al., 2003). stato ben caratterizzato per la sua elevata affinit come specifico inibitore del complesso I dei mitocondri . una molecola molto idrofobia, per cui non necessita di alcuno dei trasportatori della dopamina (DAT) per penetrare allinterno della cellula nervosa. In studi effettuati su topi, concentrazioni di roteneone di 20-30 nmol/L nel cervello di ratti comportano linibizione dellattivit del complesso I e si manifestano lesioni delle cellule nigrostriatali dopaminergiche. Le lesioni sono caratterizzate da inclusioni di alfanucleina molto simili ai corpi di Lewy riscontrati nelle cellule umane (Betarbet R, et al., 2000). La microglia stata implicata nella neurotossicit del roteneone, dal momento che le cellule possono rilasciare sostanze ossigeno reattive, induttori a loro volta di infiammazione (Liu B, Hong J-S. 2003).
Ditiocarbammati Si tratta di una categoria di composti con la presenza di manganese nella loro struttura, a cui da imputare la tossicit. E ben noto infatti, che il manganese induce effetti sullorganismo simili al morbo di Parkinson. Gli studi condotti da Cory-Slechta in un modello animale sugli effetti tossici del fungicida ditiocarbamato maneb hanno evidenziato che la
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singola esposizione non d nessun segno di alterazione comportamentale o fisiologica, mentre lesposizione ad una miscela di paraquat e maneb (usata in agricoltura) determina anomalie quali gravi difficolt motorie, disturbi comportamentali, tremori e brividi sintomi sovrapponibili clinicamente al Parkinson (Cory-Slechta D.A., et al., 2005). La manifestazione clinica da imputare ad un danneggiamento del sistema dopaminergico nigrostriato che comporterebbe una consistente riduzione dellenzima, tiroxina idrossilasi. Quando questa molecola scarseggia la dopamina, il mediatore cerebrale del movimento, comincia a diventare insufficiente e le cellule nervose muoiono. Durante la sperimentazione, nei topi sottoposti alliniezione dei due pesticidi si osservata una riduzione di dopamina del 15% ed una presenza quattro volte pi del normale di astrociti reattivi (cellule nervose infiammate). La spiegazione delleffetto sinergico delle due sostanze trova la sua giustificazione nel fatto che il paraquat da solo non arriverebbe al cervello in concentrazioni rilevanti, mentre a facilitare tale passaggio sembra provvedere il maneb che ne aumenterebbe la possibilit di trasporto. Organofosfati Gli organofosfati rappresentano un importante gruppo, insieme ai carbamati, di sostanze neurotossiche. Il loro effetto viene esplicitato su insetti ed esseri umani inibendo la acetilcolinesterasi, un enzima coinvolto nel taglio del neurotrasmettitore acetilcolina. Linibizione di questo enzima causa un accumulo del trasmettitore implicando disfunzioni al sistema nervoso. Gli effetti indotti dallazione di questi pesticidi causa iperattivit, paralisi neuromuscolare, difficolt respiratoria, problemi visivi fino al coma e alla morte. Unampia letteratura ha dimostrato come queste sostanze intervengano anche in alterazioni comportamentali (Karczmar, A. G., 1984; Clark, G., 1971). Linibizione della acetilcolinesterasi sia da parte degli insetticidi organofosfati che n-metilcabamati, un processo reversibile anche se nel caso dei secondi avviene in modo pi rapido rispetto agli organofosfati, questo determina un maggiore effetto tossico a causa del processo pi lento (Murphy, S., 1986).
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Attualmente gli studi si stanno orientando a definire la percentuale di rischio di contrarre malattie neurodegenerative in seguito allesposizione a organofosfati, attraverso lassunzione di cibi contaminati come frutta e verdure non correttamente lavate, e come questo possa influire su una predisposizione genetica alla malattia (Thiruchelvam M, et al., 2000).
Tabella II.3.1.2: elenco di insetticidi organofosforici e carbamati (adattata da Morgan D.P., 1989). Altamente tossici a Moderatamente tossici a Insetticiti organofosfati
Tetraethyl pyrophosphate (TEPP) Dimefox (Hanane, Pestox XIV) Phorate ( Thimet, Rampart, AASTAR) Disulfoton b (Disyston) Fensulfothion (Dasanit) Demeton b (Systox) Terbufos (Counter, Contraven) Mevinphos (Phosdrin, Duraphos) Ethyl parathion (E605, Parathion, Thiophos) Azinphos-methyl (Guthion, Gusathion) Fosthietan (Nem-A-Tak) Chlormephos (Dotan) Sulfotep (Thiofepp, Bladafum, Dithione) Carbophenothion (Trithion) Chlorthiophos (Celathion) Fonofos (Dyfonate, N-2790) Prothoate b (Fac) Fenamiphos (Nemacur) Phosfolan b (Cyolane, Cylan) Methyl parathion (E 601, Penncap-M) Schradan (OMPA) Mephosfolan b (Cytrolane) Chlorfenviphos (Apacholr, Birlane) Coumaphos (Co-Ral, Asuntol) Phosphamidon (Dimecron) Methamidophos (Monitor) Dicrotophos (Bidrn) Monocrotophos (Azodrin) Methidathion (Supracide, Ultracide) EPN Isofenphos (Amaze, Oftanol) Endothion Bomyl (Swat) Famphur (Famfos, Bo-Ana, Bash) Bromophos-ethyl (Nexagan) Leptophos (Phosvel) Dichlorvos (DDVP, Vapona) Ethoprop (Mocap) Demeton-S-methyl b (Duratox, Metasystox (i) ) Triazophos (Hostathion) Oxydemeton-methyl b (Metasystox-R) Quinalphos (Bayrusil) Ethion (Ethanox) Chlorphynfos (Dursban, Lorsban, Brodan) Edifenphos Oxydeprofos b (Metasystox-S) Sulprofos (Bolstar, Helothion) Isoxathion (E-48, Karphos) Propetamphos (Safrotin) Phosalone (Zolone) Thiometon (Ekatin) Heptenophos (Hostaquick) Crotoxyphos (Ciodrin, Cypona) Phosmet (Imidan, Prolate) Trichlorfon (Dylox, Dipterex, Proxol, Neguvon) Cythioate (Proban, Cyflee) Phencapton (G 28029) Pirimiphos-ethyl (Primicid) DEF (De-Green, E-Z-Off D) Methyl trithion Dimethoate (Cygon, DeFend) Fenthion (Mercaptophos, Entex, Baytex, Tiguvon) Dichlofenthion (VC-13 Nemacide) Bensulide (Betasan, Prefar) EPBP (S-Seven) Diazinon (Spectracide) Profenofos (Curacron) Formothion (Anthio)
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Fenophosphon (Trichloronate, Agrilox) Dialifor (Torak) Cyanofenphos (Surecide) Dioxathion (Delnav) Mipafox (Isopestox, Pestox XV)
Pyrazophos (Afugan, Curamil) Naled (Dibrom) Phenthoate (Dimephenthoate, Phenthoate) IBP (Kitazin) Cyanophos (Cyanox) Crufomate (Ruelene) Fenitrothion (Accothion, Agrothion, Sumithion) Pyridapenthion (Ofunack) Acephate (Orthene) Malathion (Cythion) Ronnel (Fenchlorphos, Korlan) Etrimfos (Ekamet) Phoxim (Baythion) Merphos (Folex, Easy off-D) Pirimiphos-methyl (Actellic) Iodofenphos (Nuvanol-N) Chlorphoxim (Baythion-C) Propyl thiopyrophosphate (Aspen) Bromophos (Nexion) Tetrachlorvinphos (Gardona, Appex, Stirofos) Temephos (Abate, Abathion)
Insetticidi carbamati
Aldicarb b (Temik) Oxamyl (Vydate L, DPX 1410) Methiocarb (Mesurol, Draza) Carbofuran (Furadan, Curaterr, Crisfuran) Isolan (Primin) Methomyl (Lannate, Nudrin, Lanox) Formetanate (Carzol) Aminocarb (Matacil) Cloethocarb (Lance) Bendiocarb (Ficam, Dycarb, Multamat, Niomil, Tattoo, Turcam) Dioxacarb (Elocron, Famid) Promecarb (Carbamult) Bufencarb (Metalkamate, Bux) Propoxur (Aprocarb, Baygon) Trimethacarb (Landrin, Broot) Pirimicarb (Pirimor, Abel, Aficida, Aphox, Femos, Rapid) Dimetan (Dimethan) Carbaryl (Sevin, Dicarbam) Isoprocarb (Etrofolan, MI PC)
a: i composti sono elencati in ordine di tossicit decrescente. Altamente tossici: sono elencati organofosfati in ordine decrescente di valore (nei ratti) di LD50 orale (dose letale media) inferiore a 50 mg/kg; Moderatamente tossici gli agenti hanno valori di LD50 superiori a 50 mg/kg. b: sono insetticidi sistemici; essi sono assunti dalle piante e successivamente trasportati nel fogliame e alcune volte nei frutti.
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Tab. II.3.1.3. Effetti neurotossici da esposizione acuta ad alti livelli di insetticidi organofosforici o carbamati (adattata da Young 1986). Funzioni del sistema nervoso se stimolato da acetilcolina
Attivazione della salivazione, sudore, e ghiandole lacrimali Costrizione ai bronchi Contrazione delle pupille Controllo delle funzioni cardiache Aumento degli spasmi del tratto digerente Aumento degli spasmi del tratto urinario Attivazione dei muscoli scheletrici
Ciclodieni A questa categoria appartengono i pesticidi organoclorurati ciclodieni che esercitano effetti selettivi sui neuroni striatali dopaminergici e hanno un ruolo nella eziologia del morbo di Parkinson dal momento che incrementano in vivo la attivit striatale mediata dal DAT (PurkersonParker S, et al., 2001). stato anche osservato che la dieldrina pu interferire con il trasporto di elettroni ed incrementare la formazioni di radicali superossidi (Sanchez-Ramos J, et al., 1998). Piretroidi Gli studi su questo tipo di pesticidi sono stati correlati alla sindrome della guerra del Golfo e alla eziologia del Parkinson. In vivo, in topi trattati con permetrina, stata osservata una riduzione dellattivit mitocodriale e, sebbene non vi fosse decremento dei livelli di dopamina striatale, un incremento del turnover della dopamina stessa e un decremento dellattivita motoria, anche se non si poteva definire un vero e proprio
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Parkinson (Karen DJ, et al., 2001). Risultati analoghi sono stati rilevati con la deltametrina che mostra un incremento della regolazione mediata dal trasportatore della dompamina (DAT) (Kirby ML, et al., 1999). Secondo altre sperimentazioni, i piretroidi sono in grado di interagire con un ampio range degli ioni calcio, cloro, e in particolare del sodio, determinando una modificazione delleccitazione della membrana cellulare. Questi livelli di iperattivit, rispetto alla normale fisiologia cellulare, comportano una depolarizzazione e blocco della conduzione a livello delle cellule soprattutto muscolari (Ray D.E., Fry J.R., 2006). In figura II.3.1.2 sono riportate le strutture molecolari di alcuni di questi composti con riferimento al tipo di avvelenamento che provocano.
Figura II.3.1.2. (Da Ray D.E., Fry J.R., 2006)
Sindrome da avvelenamento di tipo I: alletrina, bifentrina, bioalletrina, cismetrina, transfluorocifenotrina, fenotrina, resmetrina, tetrametrina, e piretrine. Sindrome da avvelenamento di tipo II: ciflutrina, cialotrina, cipermetrina, deltametrina, fenvalerato, e cis-fluorocifenotrina. Sindrome da avvelenamento mista: cifenotrina, fenpropatrina, e flucitrinato. N.B.: Unanalisi interna delle osservazioni, fatta durante i regolari studi da Soderlund et al. (2002) ha individuato bioalletrina, bifentrina, permetrina, e piretro, da collocare nella categoria mista. Questo pu essere dovuto sia ad una sbagliata classificazione di altri (questa tavola basata su Ray, 1991, pi Holton et al., 1997) che alla registrazione imprecisa delle osservazioni nei regolari studi.
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Insetticidi organoclorinati Questi composti agiscono stimolando il sistema nervoso centrale, hanno la possibilit di accumularsi sia nellambiente che nellorganismo umano. Sono considerati in genere meno tossici dei n-metil-carbamati che degli organofosfati per quanto riguarda la tossicit acuta, ma risultano pi tossici in quella cronica. Il prototipo di queste molecole stato il DDT scoperto nel 1939 e ampiamente utilizzato in agricoltura fino al 1972. Tra il 1940 e il 1970 numerose altre molecole sono state sintetizzate (lindano, aldrina, dieldrina ecc.) e utilizzate fino al momento in cui ne stato determinato laccumulo nellambiente e nei tessuti umani, riconoscendone cos lalta patogenicit. Gli organoclorinati possono essere assorbiti per inalazione, ingestione e assorbimento cutaneo, i siti target sono rappresentati dal fegato, dove vengono metabolizzati ed escreti con le urine, dal tessuto adiposo e dal sistema nervoso. Una intossicazione acuta determina un eccitamento del sistema nervoso, stato confusionale, mancanza dequilibrio, contrazione muscolare, coma (Ecobichon D.J. and Joy R. M., 1982).
Tabella II.3.1.4. Elenco insetticidi organoclorinati (adattata da Morgan D.P., 1989). Insecticide endrin (Hexadrin) aldrin (Aldrite, Drinox) endosulfan (Thiodan) dieldrin (Dieldrite) toxaphene (Toxakil, Strobane-T) lindane (gamma BHC or HCH, Isotox) hexachlorocydohexane (BHC) DDT (chlorophenothane) heptachlor (Heptagran) chlordecone (Kepone) terpene polychlorinates (Strobane) chlordane (Chlordan) dicofol (Kelthane) mirex (Dechlorane) methoxychlor (Marlate) dienochlor (Pentac) TDE (DDD, Rhothane) Ethylan (Perthane)
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Solventi organici Una delle possibili fonti di esposizione ambientale a composti neurotossici rappresentata da sostanze chimiche derivate da processi industriali, come i solventi organici che costituiscono unampia classe di sostanze la cui esposizione viene agevolata dalla loro caratteristica di poter facilmente divenire volatili nellambiente. Le vie di contatto sono rappresentate dallassorbimento attraverso la cute e linalazione. L esposizione acuta caratterizzata da una sintomatologia quale una ridotta capacit della parola, del coordinamento ed equilibrio e dellabilit manuale, mentre quella di tipo cronico causa irritabilit, perdita della memoria, affaticamento, ridotta capacit di concentrazione, cambi della personalit. L uso dei solventi organici ampiamente diffuso, essendo essi utilizzati in molti manufatti (prodotti famaceutici, vernici, prodotti agricoli), e in diversi processi di lavorazione (sintesi di polimeri, fluidificanti.). Quelli di uso pi comune includono lisopropanolo, il toluene, lo xilene, solventi clorinati (tricloroetilene, percloretilene, clorometilene). La quantit di solvente assorbita dallorganismo dipende dalla via di esposizione, dalla concentrazione del composto presente nellaria, dalla solubilit nel sangue del solvente, e dalla modalit di lavoro fisico effettuato nel tempo di esposizione, lattivit respiratoria pi intensa e il maggiore flusso sanguigno in un lavoro fisicamente pi impegnativo favorisce lassorbimento e la diffusione del composto. A seconda del grado di solubilit del composto chimico i solventi organici possono essere variamente diffusi nellorganismo attraverso il flusso sanguigno. In esperimenti in vivo, somministrata una definita concentrazione di solvente in aria, si osservata una differente dose di assorbimento a livello tissutale e una modalit di bioaccumulo diversificata in relazione alla variabilit individuale. I composti organici presentano la peculiarit di modificare la loro struttura con la metabolizzazione, necessaria per lescrezione, dando origine a sottoprodotti che possono a loro volta essere pi tossici e di difficile escrezione rispetto al composto di origine. Diversi studi hanno messo in relazione le malattie neurodegenerative e lesposizione a solventi organici, che sembra abbiano un ruolo nellinduzione del morbo di Parkinson (Seidler A, et al. 1996; Smargiassi A, et al. 1998; McDonnell L, et al. 2003), mentre gli studi sono piuttosto
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controversi per quanto riguarda il morbo di Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica (Kukull WA, et al. 1995; Helmer C, et al. 2001; Gun RT, et al. 1997; McGuire V, et al. 1997; Gait R, et al. 2003).
Tab. II.3.1.5. I pi comuni solventi organici e i loro usi industriali. Compound Acetone Acrylamide Benzene Carbon disulfide Ethylene oxide (ETO) N-hexane Hydrogen sulfide Methane Methyl mercaptan Methyl-N-butyl ketone Methylene chloride (dichloromethane) Organochlorine Organophosphates PCE Styrene Toluene 1,1,1-Trichloroethane (methyl chloroform) TCE Vinyl chloride Xylene
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Industrial Uses Cleaning solvent Mining and tunneling, adhesives, waste treatment, ore processing Fuel, detergents, paint removers, manufacture of other solvents Viscose rayon, explosives, paints, preservatives, textiles, rubber cement, varnishes, electroplating Instrument sterilization Glues and vegetable extraction, components of naphtha, lacquers, metal cleaning compounds Sulfur chemical manufacturing, by-product of petroleum processing, decay of organic matter Industrial settings Odorant in natural gas and fuels Many industrial uses Solvent, refrigerant, propellant Insecticides Insecticides Dry cleaning, degreaser, textile industry Fiberglass component, ship building Paint, fuel oil, cleaning agents, lacquers, paints and paint thinners Degreaser and propellant Cleaning agent, paint component, decaffeination, rubber solvents, varnish Intermediate for polyvinylchloride resins for plastics, floor coverings, upholstery, appliances, packaging Paint, lacquers, varnishes, inks, dyes, adhesives, cements, fixative for pathologic specimens
Non sono ancora del tutto noti i meccanismi di azione dei solventi organici nella possibile eziologia delle malattie neurodegenerative. In modelli animali e in studi su individui affetti da Parkinson, si osservato un eccesso dellattivit del recettore NMDA, possibile, quindi, supporre che tale alterazione funzionale del NMDA, in specifico della substantia nigra, il tessuto maggiormente affetto da lesioni nel Parkinson, possa spiegare lassociazione con la malattia (Nash J.E., Brotchie J.M. 2000; Olanow C.W., Tatton W.G. 1999; Montastruc J.D., et al., 1997; Loopuijt L.D., Schmidt W.J. 1998; Kezic S., et al., 2006). Dudley ritiene che i solventi organici agiscano stimolando lattivit del recettore NMDA, ma questa non unevidenza che supporti una diretta interazione; comunque, data la complessit del sistema NMDA e il suo legame con altri meccanismi regolatori, possibile che vi siano dei target indiretti su cui i solventi organici possono agire e portare ad un processo di stimolazione del NMDA solvente-mediato (Dudley D.L. 1998). A tal proposito sono suggeriti tre possibili meccanismi, anche se non possono essere esaustivi: 1. Unampia variet di composti idrofobici possono legarsi a porzioni (tasche) idrofobiche di alcune particolari proteine. Un esempio rappresentato dalla proteina PIN. Questa piccola proteina un inibitore dellisoenzima neuronale ossido nitrico sintetasi (nNOS), il maggior enzima deputato alla sintesi di ossido nitrico nel cervello (Tochio H., et al., 1998). PIN un dimero contenente una porzione allinterno della quale pu legarsi un segmento di 13 aminoacidi del nNOS producendo linibizione dellenzima stesso (Fan J. S., et al., 1998; Liang J., et al., 1999). Nel caso si leghi la molecola di solvente alla proteina PIN questo impedisce il legame proteina-enzima stimolando lattivit di nNOS; ci giustifica il sostanziale incremento della sintesi di ossido nitrico nel cervello, e la stimolazione dellattivit NMDA. 2. noto che i solventi organici stimolano i canali del calcio, poich il nNOS e lepiteliale ossido nitrico sintetasi (eNOS) sono entrambi Ca2+ dipendenti, la stimolazione di questi potrebbe stimolare lattivit enzimatica, incrementando la sintesi di ossido nitrico, il quale a sua
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volta considerato responsabile della stimolazione del NMDA (Gurdal H., et al., 1992; Romero G., et al., 1994; Singh J., et al., 1995; Diaz A., Dickenson A. H. 1997). 3. Alcuni solventi idrofobici possono essere in grado di agire alterando la struttura della membrana mitocondriale e la funzione degli stessi mitocondri, questo causa un mancato accoppiamento nella fosforilazione ossidativa (Garbe T.R., Yukawa H. 2001; Nohl H., et al., 1996; Peitrobon D., et al., 1987) incrementando la produzione di radicali superossidi. Questa risposta appare produrre una prolungata generazione di radicali liberi e di altri ossidanti nel cervello (Mattia C.J., et al., 1993). Per analogia di quanto noto per altre sostanze, che intervenendo sulla struttura dei mitocondri stimolano lattivit del NMDA, questo modello potrebbe essere applicato per spiegare linduzione della iperattivit del NMDA da parte dei composti organici (Nowak L., et al., 1984; Rothman S. 1983; Novelli A., et al., 1988; Turski L., Turski W 1993; Schultz J.B., et al., .A. 1997; Greenamyre J.T., et al., 1999). In figura II.3.1.3 sono schematizzati possibili meccanismi di azione.
Figura II.3.1.3. Il ruolo dei solventi organici schematizzato a partire dallalto a sinistra e il ruolo degli organofosforici e carbamati schematizzato a partire dallalto a destra. Le frecce indicano interazioni che causano possibili effetti di stimolazione (adattata da Pall M.L. 2002).
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Diversi studi hanno mostrato che esistono vari meccanismi a seconda della struttura del composto organico, ad esempio: Tricloroetilene, svolge la sua azione attraverso la solubilit nei lipidi per raggiungere il sistema nervoso centrale e periferico producendo effetti irreversibili come la demielinizzazione e la morte cellulare, nonch la formazione di radicali liberi, il tricloroetilene epossido lega in maniera irreversibile alcune macromolecole cellulari; Percloroetilene, i suoi metaboliti e il suo epossido reagiscono con le membrane lipidiche, le proteine del citoscheletro, lRNA e il DNA. Lesposizione associata con lalterazione degli acidi grassi dei fosfolipidi. Lepossido di tricloroetilene un agente alchilante elettrofilico che lega covalentemente gruppi nucleofili di molecole, come le proteine del citoscheletro e degli acidi nucleici. Il DNA, alterato da questo legame, pu ridurre la quantit di adenosina trifosfata cellulare (ATP) e un incremento del calcio libero intracellulare, con un possibile danno neuronale; Toluene e i suoi metabolici, determinano produzione di radicali liberi, blocco dellattivit neuronale, demielinizzazione e degenerazione dellassone; Xilene, intergisce con le proteine legate alla membrana, in grado di legare il trasporto lungo lassone; N-esano e molecole derivate, determinano distruzione del trasporto lungo lassone e formazione di legami crociati (cross-links) chimici tra neurofilamenti dellassone stesso; Ossido di stirene, responsabile della formazione di radicali liberi; Acrilammide, ha effetto diretto sul perikarion, inibisce la glicolisi, interferisce con la fosforilazione delle proteine del neurofilamento, impedisce limmagazzinamento del glutatione con incremento della perossidasi lipidica;
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Ossido di etilene, il meccanismo di azione non ancora del tutto noto, si suppone che a causa delle sue caratteristiche elettrofiliche reagisca come agente alchilante legando gruppi nucleofili delle macromolecole biologiche. Legandosi al DNA, lossido di etilene induce lo scambio tra cromatidi fratelli (SCEs) e aberrazioni cromosomiche. Il composto interviene anche sullattivit della creatinin chinasi; Il disolfito di carbonio, interferisce con il metabolismo dei lipidi, il legame del rame, e il legame a molecole intercellulari. Interviene inibendo la sintesi di noreprinefrina e abbassando i livelli di dopamina. II.2.2 Metalli pesanti Manganese, ferro, rame e altri metalli di transizione con attivit redox sono presenti in molti processi biologici e sono cofattori di diversi enzimi, ad esempio le superossido dismutasi, per cui la loro alterata presenza o assenza pu delineare una alterazione funzionale a carico di diversi organi target; un accumulo degli stessi a livello tissutale a causa di modificazioni nei sistemi cellulari di catalisi, trasporto e deposito, pu dar luogo a citotossicit per partecipazione a processi di stress ossidativo e incremento della produzione di radicali liberi (Sayre L.M., et al., 2005). Da tale fenomeno non sono esenti le malattie neurodegenerative, in particolare, il morbo di Parkinson e lAlzheimer sono caratterizzate da una modificata omeostasi dellattivit degli ioni metallo sia con e senza attivit redox. Esistono ricerche su diversi fronti che concordano nel rilevare diversi ruoli a carico dellomeostasi dei metalli, ad esempio lalterata omeostasi del rame e del ferro associata ad una severa sequela di carattere neurologico. I metalli di transizione stessi, come anche gli ioni metallo senza attivit redox, possono addizionalmente contribuire nel loro effetto neurodegenerativo intervenendo sulle proteine e sulla loro struttura. Sia nel Parkinson che nellAlzheimer lo stress ossidativo associato con il reperimento di una alta concentrazione di metalli con attivit redox, in particolare ferro, in specifiche aree del cervello come lippocampo, la cortex, il nucleo basale di Meynert e una colocalizzazione
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nelle placche senili e nei grovigli (tangles) intraneuronali neurofibrillari per quanto concerne la malattia di Alzheimer, dove il ferro associato alla proteina tau, la maggior responsabile della patologia. La disregolazione dellomeostasi del ferro anche supportata dal fatto che una proteina regolatoria dello stesso la Iron regolatory protein (IRP-2) specificamente colocalizzata nellAlzheimer con il ferro avente attivit redox, da cui lalterazione di tale proteina pu comportare una anomalia omeostatica (Smith M.A., et al., 1998). Tuttavia non ancora ben chiaro se leccesso di metalli possa essere una causa di stress ossidativo e di neurodegenerazione o un prodotto dovuto alla perdita di cellule nervose. La capacit di generare ROS dipende fondamentalmente da una equilibrata concentrazione a livello cellulare dei metalli in forma libera, quindi ioni metallo senza attivit redox come lo zinco contribuiscono alla citotossicit perch in grado di rimpiazzare gli ioni con attivit redox in quei siti dove tale attivit risulta determinante. Il ferro libero fortemente implicato nella generazione dei ROS in vivo e alti livelli non fisiologici di esso sono stati riscontrati in diverse alterazioni neurodegenerative. Tuttavia non si rileva lesistenza di una correlazione lineare dose - risposta tra lincremento di ferro totale e lincremento dello stress ossidativo se questi non coincidono con un incremento delle proteine che provvedono allo stoccaggio del ferro nella forma inerte. Una di queste proteine la ferritina la quale in grado di legare e rilasciare il ferro in modo coordinato nel suo stato pi labile, il quale risulta attivo nella produzione di radicali idrossilici. Nel tessuto microgliare vi il maggior numero di siti per la ferritina in grado di legare ferro, che pu essere rilasciato a formare superossidi da alcuni induttori come la 6-hydroxydopamina (neurotossina coinvolta nel morbo di Parkinson), o altre catecolamine facilmente ossidabili, ci confermerebbe come il rilascio di ferro contribuisca a indurre in vivo un danno da radicali liberi (Double KL, et al., 1998). Altri dati rilevano che lalterazione dellomeostasi dei metalli possa avere un ruolo centrale nella patologia neurodegenerativa infatti oramai accertato che alluminio, ferro, zinco e rame accelerano la aggregazione del beta amiloide con una efficacia pH-dipendente (Mantyh PW, et al., 1993). A conferma di ci la scoperta di chelanti in grado di solubilizzare
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parzialmente i depositi di beta-amiloide suggerisce un ruolo fisiologico del rame (II), zinco (II) e del ferro (II) nella deposizione del beta-amiloide stesso, con un percorso diverso dalla chimica redox, dove rame e ferro legati alla forma solubile o aggregata della proteina sembrano avere attivit redox e quindi essere in grado di mediare la formazione di ROS (Bishop GM, Robinson SR., 2004; Huang X, et al., 1999). Manganese Il manganese relativamente abbondante in natura, si rileva combinato con borati, carbonati, fosfati, ossidi, silicati e solfuri, ed inoltre variamente presente in tutti i tessuti animali e vegetali, nellacqua e nel pulviscolo atmosferico. Di norma nelle aree urbane e rurali dove non vi sono sorgenti puntiformi, i livelli di fondo rilevati nellaria vanno da 0,01 a 0,07 mg/m3, mentre nelle aree con sorgenti di emissione industriale i livelli variano da 0,22 a 0,3 mg/m3. Le sorgenti antropogeniche di manganese nellambiente aereo sono costituite dalla combustione dei combustibili fossili (20%) e dallemissione gassosa industriale (80%). Le concentrazioni medie di manganese nellacqua di mare sono di 2 mg/L, mentre nellacqua dolce vanno da 1 a 200 mg/L (Delbono G., et al., 2002). Alcuni composti del manganese, come il cloruro e il solfato, sono solubili in acqua, per cui lesposizione pu avvenire attraverso lingestione di acqua contaminata. I composti organici del manganese vengono utilizzati nella produzione di fungicidi della famiglia dei ditiocarbammati (Maneb e Mancozeb), come additivi per benzina con e senza piombo, combustibili in genere e abbattitori di fumo. Inoltre recentemente il metilciclopentadienil-tricarbonil-manganese (MMT) stato introdotto come sostituto del piombo, con funzione antidetonante nelladdittivazione della benzina perci la combustione della benzina contenente ladditivo rilascia particelle submiscroscopiche di Mn3O4, potenzialmente inalabili (Barceloux D.G., 1999). Malgrado si tratti di un elemento essenziale anche nella fisiologia umana stato rilevato che una eccessiva esposizione al manganese provochi fenomeni di tossicit al sistema nervoso centrale (Andersen M.E., et al., 1999; Fechhter L.D., 1999).
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La prima associazione tra anomalie neurologiche ed esposizione al manganese risale al 1837 in minatori francesi, i quali manifestarono ipotonia muscolare, tremori, postura ricurva durante la deambulazione, parlata mormorante e salivazione. Successivamente nei primi anni del XX secolo sono stati riportati sintomi simili definiti manganese crushers disease (Pal P.K., et al., 1999). Lintossicazione acuta per inalazione di polveri di manganese comporta la cosiddetta febbre da vapore metallico, caratterizzata da dolori muscolari, brividi, secchezza della gola e della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchite acuta, nasofaringite, polmonite e intorpidimento delle estremit (Bozza Marrubini M.L., 1987). In seguito leffetto tossico viene trasferito dai polmoni al cervello comportando manifestazioni acute psichiche e neurologiche, definite come manganismo. Tali sintomi sono molto simili a quelli del morbo di Parkinson, causati da degenerazione cerebrale e distruzione della funzione nervosa in alcune aree (Greger J.L., 1999). Possono essere esposti ad un eccesso di manganese anche gli operatori agricoli che utilizzano impropriamente i formulati contenenti le sostanze attive a base di manganese, ricerche epidemiologiche ed esperimenti in vitro suggeriscono che gli effetti tossici possono verificarsi con esposizioni anche a concentrazioni di Mn molto basse. Fino a tempi recenti si riteneva che, solo i vapori e le polveri del metallo potessero provocare tossicit, escludendo la possibilit di una tossicit per lingestione di manganese attraverso il cibo (Kondakis X.G, et al., 1989). Lopinione che il manganese negli alimenti non sia potenzialmente tossico per luomo, stata messa in discussione da dati provenienti da ricerche realizzate negli anni 80, sulla osservazione di disordini neurologici sofferti dagli abitanti di unisola a Nord dellAustralia, dove il 2% degli aborigeni erano affetti da difetti motori neurali e da disfunzioni cerebrali il cui sintomo distintivo della condizione era una tipica deambulazione veloce e goffa. La causa della malattia era probabilmente imputabile ad una predisposizione genetica che riguardava alcuni individui suscettibili, associata ad alti livelli ambientali di manganese. I soggetti affetti dalla malattia risultavano avere unintossicazione cronica, dovuta ad unelevata assunzione attraverso cibo, acqua e inalazione di polveri (Reilly C.,
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1991), poich questa popolazione viveva in prossimit di miniere di minerali di manganese a cielo aperto, con un apporto stimato di 100-200 mg/kg di manganese nella dieta. Test tossicologici hanno dimostrato che lesposizione alle polveri e ai fumi di manganese non dovrebbe superare il valore soglia di 5 mg/m3, anche per brevi periodi, e test neurologici condotti su lavoratori esposti hanno evidenziato che esposizioni continue a concentrazioni di manganese pari a 1 mg/m3 di aria sono sufficienti ad influire sul SNC (Zheng Y.X., 1999) determinando lesioni ai gangli basali con riduzione dei livelli di dopamina (Pal P.K., et al., 1999). Quindi, anche se la maggior parte dei casi di tossicit cronica legata allinalazione di particolato contenente manganese, gli effetti sul SNC si hanno anche con lesposizione al manganese attraverso altre vie. La neurotossicit del manganese dovuta allossidazione della forma bivalente in trivalente, tale forma, altamente ossidante, non viene detossificato degli enzimi. Inoltre avendo affinit per la porzione nigrostriatale, a causa dellelevata presenza di melanina a cui il manganese si lega, favorisce lautossidazione della dopamina e la produzione di radicali liberi che causano danni al sistema dopaminergico (Lydn A., et al., 1984; Donaldson J., et al., 1982). Il manganismo, causato da esposizione occupazionale, ha sintomi molto simili a quelli del morbo di Parkinson anche se le aree del cervello coinvolte sono diverse, per il primo si osservano lesioni degenerative del globus pallidus, nucleus caudatus e putamen e non del Substantia Nigra; mentre nel Parkison coinvolta la Substantia Nigra pars compacta, ma non il complesso strio-pallidale (Yamada M., et al., 1986). A tal proposito sono stati fatti studi sulleventualit che lesposizione al manganese abbia un ruolo nelleziologia del morbo di Parkinson. Piombo Il piombo diffuso in natura sia in forma organica, pi nociva, che inorganica. Il piombo organico, anche se pi tossico, si degrada rapidamente nellatmosfera ed anche pi facilmente metabolizzato dallorganismo
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umano. Questo comporta un rischio minimo per la salute rispetto allesposizione alla forma inorganica, meno tossica, ma la cui utilizzazione in diversi manufatti determina una maggiore diffusione ambientale con un conseguente aumento del numero di soggetti esposti, in particolare dei bambini che risultano maggiormente suscettibili. Le possibili fonti di contaminazione da piombo inorganico sono rappresentate da cibi e acqua contaminati, nel suo utilizzo in composti chimici o manufatti (batterie, pitture), nel rilascio ambientale attraverso emissioni industriali, o interventi antropogenici (rifiuti, suolo) (Bondy S.C., 1988). La tossicit del piombo nei confronti del sistema nervoso nota da tempo, gli antichi Egizi e i Romani ne facevano un diffuso uso come cosmetico, nella manifattura di oggetti, addizionato al vino come dolcificante e conservante, e nella costruzione di case. Plinio il Vecchio fu il primo ad ipotizzare un danno dallinalazione di vapori di fermentazione del vino addizionato con acetato di piombo, mentre B. Franklin stato il primo a definire lintossicazione da piombo come un rischio occupazionale (Waldron H., 1973). Diversi studi hanno ormai confermato che lintossicazione da piombo determina una riduzione della facolt intellettiva ed effetti neurotossici in particolare legati al fattore et (Landrigan PJ, et al., 1975), in uno specifico studio Canfield et al. hanno dimostrato quanto unesposizione precoce in et infantile anche a dosi relativamente basse sia associata ad una ridotta capacit cognitiva che si protrae nellet adulta (Canfield RL, et al., 2003). Inoltre esisterebbe una relazione di dose dipendenza tra la concentrazione ematica di piombo e gli effetti neurotossici, un incremento di 10 mg/dL della concentrazione di piombo nel sangue stata associata ad una diminuzione del quoziente di intelligenza, ad una minore capacit di coordinamento motorio mani-occhi, di quella verbale e di relazione logica del linguaggio grammaticale (Schwartz B.S., et al. 2000; Needleman H.L., et al., 1990; Canfield R.L., et al., 2003). Questo aspetto sarebbe giustificato da diversi elementi: i bambini possono ingerire o inalare pi piombo per unit di peso corporeo, sono pi vulnerabili alleffetto tossico e hanno un pi alto grado di
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assorbimento da ingestione rispetto agli adulti. Infatti mentre questi ultimi assorbono tra il 5-15% del piombo ingerito ed in genere si ritiene che meno del 5% venga realmente assorbito, nel caso dei bambini stato visto che in una regolare dieta possano assorbire una quantit del 40% del piombo ingerito e trattenerne oltre il 30% di questa quantit. Leffetto tossico sarebbe amplificato dal fatto che, il piombo normalmente viene depositato nel tessuto midollare, dal momento che i bambini ne possiedono in quantit minore rispetto agli adulti, il piombo resta nel circolo sanguigno libero di poter esercitare la propria tossicit in diversi distretti corporei. I bambini, inoltre, non possedendo un sistema nervoso del tutto sviluppato, soprattutto per la barriera ematoencefalica, subiscono effetti pi invasivi rispetto ad un individuo adulto. Il piombo non essendo strettamente necessario allomeostasi dellorganismo umano, pu non essere metabolizzato rapidamente con un conseguente accumulo tissutale (nel sangue, nei tessuti molli, nel midollo e nei denti). Quindi valutare la concentrazione di piombo nel sangue non rappresenta un accurato indicatore di esposizione totale ma solo di esposizione recente, mentre la quantit di piombo nel midollo e nei denti normalmente considerato un indicatore di esposizione cumulativa anche se non fornisce alcuna indicazione sul tempo e la durata della stessa. Nella maggior parte dei casi stato rilevato che per avere un effetto di deficit neurologico necessario un livello di piombo 40 mg/dL nel sangue (vedi tabella 3.2.2.1) (World Health Organization, 1973). La principale fonte di esposizione in et adulta di tipo occupazionale ed associata ad un deficit della manualit, della capacit esecutiva, della memoria e della capacit verbale (Schwartz BS, et al. 2000). Dati epidemiologici su lavoratori anziani hanno evidenziato che le funzioni cognitive si riducono progressivamente in relazione al tempo di esposizione trascorso (Stewart WF et al., 1999), ma a questo si pu , aggiungere una suscettibilit individuale di tipo genetico, infatti portatori di almeno un allele per lapolipoproteina E-4 sarebbero pi sensibili alleffetto tossico del piombo (Stewart WF et al., 2002). ,
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Tabella II.2.2.1: concentrazione di piombo nel sangue e diversi effetti sulluomo e sul bambino (adattata da World Health Organization, 1973).
100
]]]]-
50 40
-[ sintesi dellemoglobina neuropatie periferiche sterilit (uomo) nefropatia coproporfirine urinarie e -ALA
30 20
protoporfirina eritrocitaria ]-
10
tossicit dello sviluppo QI; udito; crescita diminuzione aumento
1 Numerosi studi hanno riscontrato che unesposizione persistente al piombo causa un rallentamento nella conduzione nervosa e una alterazione del metabolismo del calcio (Locktich G. 1993; Orrenius S., et al., 1992). Linterferenza con i canali ionici del Ca calmodulina-dipendenti (Markovac J., Goldstein G.W., 1988; Cheung W.Y,. 1984) provoca effetti
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citotossici mediante perossidazione lipidica delle membrane cellulari con conseguente alterazione funzionale delle stesse e morte cellulare (Donaldson W.E., Knowles S.O., 1993; Shafiq-Ur-Rehman S., 1984). Dal momento che tale fenomeno sembra avvenire in specifiche aree cerebrali, si pu pensare che il piombo sia presente in modo eterogeneo nel Sistema nervoso centrale (Ali S.F Bondy S.C., 1989). ., Inoltre stato rilevato che il piombo riduce lattivit dopaminergica (neurotrasmettitore calcio-dipendente) interagendo con il sistema della dopamina (Lasley S.M., 1992) e visto che il rilascio di questo neurotrasmettitore Ca-dipendente in modo indiretto, il Pb altera il trasporto del calcio con compromissione della conduzione e della trasmissione neuronale del sistema nervoso centrale e periferico. Per alcuni autori sembra che il ruolo del piombo nella malattia di Parkinson sia dovuta allesposizione occupazionale associata per anche al contatto con altri metalli come Fe e Cu. Ferro C sempre pi evidenza a sostegno dellipotesi che il ferro sia coinvolto in diverse malattie neurodegenerative, infatti sarebbe elemento presente in tutti i meccanismi patogenetici delle malattie stesse, e nello specifico, la neuroferritinopatia e atassia di Friedreich sono associate a mutazioni nei geni che a loro volta codificano proteine coinvolte nel metabolismo del ferro. Il ferro viene accumulato nel cervello in funzione dellet, particolarmente nelle regioni che sono coinvolte nella malattia di Alzheimer, determinando uno stress ossidativo e intervenendo direttamente sulla formazione della placca, attraverso i suoi effetti sul processamento della proteina precursore dellamiloide, mentre nella malattia di Parkinson vi sarebbe un accumulo di ferro nella substantia nigra. Il ferro sarebbe allorigine di danni cellulari mediante diversi meccanismi tutti possibili fattori coinvolti nella neurodegenerazione (Zecca L. et al, 2004): 1. aumento della formazione di ROS; 2. incremento dello stress ossidativi; 3. aggregazione proteica (alfa-sinucleina).
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Nelle malattie di tipo neurodegenerative si evidenziato un aumento di deposito di ferro nelle regioni cerebrali affette da degenerazione, tale incremento nel Parkinson riscontrabile solo nella substantia nigra degenerata (Bharath S. et al., 2002). Il ferro presente nel cervello accumulato da neuromelanina e da ferritina la quale, sequestrandolo, svolge una azione protettiva. Nei malati di Parkinson i livelli di ferritina presenti nel cervello sono ridotti, ma questo non riscontrabile nel liquido cerebrospinale e nel plasma, mentre la presenza della neuromelanina, prodotta dai neuroni catecolaminergici della substanzia nigra e del Locus Coereleus, da considerare un processo di autossidazione della dopamina e della noradrenalina e un indice della vulnerabilit dei neuroni (Gibb W., 1992; Hirsh E.C. et al., 1988). La neuromelanina rappresenta la principale fonte di ferro intraneuronale, ha il ruolo di deposito endogeno di Fe (Connor J. et al., 1990; Zecca L. et al., 2001) e funge come protettore dai radicali liberi. Nello specifico la sua struttura presenta due siti di affinit per il ferro ferrico, il quale presente in quantit maggiore nei malati di Parkinson rispetto a soggetti sani (Jellinger K. et al., 1993; Double K.L. et al., 2003). Studi in vitro, su neuroni dopaminergici mielinizzati vulnerabili alle alte concentrazioni di ferro, si osservato che il danno legato alla presenza del complesso Fe-neuromelanina, il quale pu indurre stress ossidativo ed effetti neurotossici. La depigmentazione osservabile nella substantia nigra e nel Locus Coereleus unindicazione patologica importante del morbo di Parkinson. La neuromelanina sembra avere un meccanismo secondario nelleziopatogenesi della malattia poich laumento del ferro osservabile solo in stadi avanzati della malattia.
Alluminio Il cervello particolarmente suscettibile al danno provocato dallalluminio, essendo causa di alcune forme di neurodegenerazione e di demielinizzazione (Golub M.S. et al., 1999) stato ben associato ad alcune forme di demenze come la sclerosi laterale amiotrofica, lAlzheimer
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e il Parkinson. stato ossservato che le cellule della glia sono il principale target dellazione tossica dellalluminio (Campbell A. et al., 2001). Queste rappresentano il 90% delle cellule del sistema nervoso, sono costituite dalla microglia e macroglia (astrociti, cellule di Schwann, oligodendrociti) e svolgono diversi ruoli di supporto allattivit neuronale: 1. comunicazione tra glia e neuroni attraverso una struttura definita sinapsi tripartita, con lausilio di segnali mediati da ioni, neurotrasmettitori (in particolare glutammato), molecole simili agli steroidi e al cAMP rilasciate da regioni sinaptiche e non sinaptiche del neurone (Fields R.D., Stevens-Graham B., 2002); 2. gli astrociti presenti intorno ai neuroni contribuiscono ad una regolazione dellefficacia sinaptica sul sistema nervoso centrale, regolando i livelli di glutammato nello spazio extracellulare; infatti un eccesso di questo neurotrasmettitore compromette la vitalit cellulare. Nel caso di alcune malattie come il morbo di Parkinson, la Corea di Huntington, la malattia di Alzheimer, lischemia cerebrale, e la sclerosi laterale amiotrofica stato osservato un disequilibrio dellomeostasi del glutammato che giustificherebbe il ruolo svolto dagli astrociti (OShea R.D., 2002); 3. le cellule gliali rappresentano un serbatoio per diverse neurotrofine, proteine in grado di legarsi ai neuroni, di trasdurre segnali intracellulari che regolano la crescita, la sopravvivenza o le funzioni neuronali (Reichardt L.F 2003); ., 4. gli astrociti possono indurre caratteristiche peculiari alla barriera ematoencefalica come ridotta permeabilit paracellulare ed elevata resistenza elettrica, sono responsabili dello sviluppo, della fisiologia e della funzionalit della barriera stessa (Abbott N.J., 2002; Rieckmann P., Engelhardt B., 2003); 5. gli astrociti adulti hanno una efficiente capacit di rimuovere le fibrille di beta-amilode, quindi la disregolazione della clereance di questa proteina da parte degli astrociti pu precedere o essere responsabile nel deposito rilevato nella malattia di Alzheimer (Wyss-Coray T. et al., 2003). Ci pu apparire plausibile in quanto noto che la produzione di beta-amiloide non solo legata al processo APP ma anche a scambi di beta-amiloide tra il cervello e il sangue e viceversa, e allo sviluppo di un sistema di
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trasporto per il mantenimento di una bassa concentrazione di betaamiloide (Zlokovic B.V., 2004; De Mattos R.B., et al., 2001). Diversi studi hanno evidenziato come lazione tossica sugli astrociti determina una ricaduta sulla sopravvivenza dei neuroni; le possibili cause di azione sarebbero: secrezione di un fattore che renderebbe i neuroni pi suscettibili alla tossicit indotta dal glutammato; secrezione di un fattore neurotossico in presenza di glutammato; riduzione della secrezione di un fattore protettivo dei neuroni verso la eccitotossicit del glutammato (Aremu D.A., Meshitsuka S. 2006); blocco del rilascio da parte degli astrociti di fattori neurotrofici protettivi per i neuroni; intervento sia sulla funzione delle cellule gliali di comunicazione intercellulare, agendo sugli ioni e i trasmettitori secreti nellambiente extracellulare e limitando lattivit degli astrociti, sia sui gap giunzionali attraverso strutture del citoscheletro (Theiss C., Meller K., 2002; Rothstein J.D. et al., 1996); induzione dellattivit ossidativa dello ione superossido (Kong S. et al., 1992; Pratico D. et al., 2002); interazione con i gruppi polari dei fosfolipidi di membrana, seguente riarrangiamento delle cariche negative con modificazione e immobilizzazione dei fosfolipidi in particolare quelli deputati al legame dei metalli e conseguente accumulo locale di substrati ossidabili (Verstraeten S.V. et al.,1997); inibizione della idrolisi del fosfatidilinositolo difosfato a inositolo trifosfato, importante secondo messaggero, con esocitosi di alcuni neurotrasmettitori contenuti in vescicole il cui rilascio fosfatidilinositolo difosfato dipendente (Huijbregts R.P.H. et al., 2000) interferire nellattivit della fosfolipasi D il cui ruolo quello di organizzazione del citoscheletro (Lassing I., Lindberg U., 1985); incremento della produzione di tumor necrosis factor alfa (TNF alfa) il quale a sua volta stimola la produzione della citochina proinfiammatoria NF-kB, con conseguente induzione dei processi infiammatori responsabili della morte dei neuroni e della proliferazione di cellule gliali reattive (Campbell A. et al., 2002);
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la presenza di alluminio nel neurone determina depolarizzazione con inibizione dello scambio Na+/Ca2+ e accumulo di Ca2+ allinterno dei mitocondri, conseguente rilascio dagli stessi del citocromo c e attivazione della apoptosi mediata dalla caspasi-9 (Savory J. et al., 2003); determina stress a livello del reticolo endoplasmatico con attivazione della apoptosi (Ghribi O. et al., 2001); non partecipa direttamente a reazioni redox e non sembra favorire la formazione di radicali liberi, ma in grado di accrescere il danno ossidativo indotto dal ferro, a tal riguardo si visto che i sali di alluminio legati al ferro aumentano la perossidasi lipidica (Gutteridge J.M.C. et al., 1985) e la produzione del radicale ossidrile stimolando cos lautossidazione della 6-idrossidopamina. Zinco Lo zinco presente nei neuroni in forma legata o libera ma soprattutto legato al glutammato. In seguito a stimolazione, questo viene rilasciato nella sinapsi con il ruolo di stabilizzare la neurotrasmissione (Choi D.W., Koh J.Y., 1998). A livello sinaptico lo Zn compete con il calcio e penetra allinterno dei neuroni post-sinaptici attraverso i suoi canali. In condizioni fisiologiche normali lo Zn viene regolato nella sua delicata omeostasi dal legame con la proteina metallotioneina. Diversi studi hanno confermato che alte concentrazioni di Zn rilasciate tra i terminali pre-sinaptiche e la sinapsi mediano la morte del neurone (Koh J.Y. et al., 1996), tuttavia non appare ancora ben conosciuto il meccanismo attraverso cui si espleterebbe leffetto tossico. Alcuni studi imputerebbero il fenomeno a carico dei mitocondri con diverse supposizioni: inibizione della catena di trasporto di elettroni (Dineley K.E. et al., 2003); inibizione della produzione di energia e induzione della depolarizzazione mitocondriale (Sensi S.L. et al., 1999); inibizione del consumo di ossigeno e riduzione del potenziale transmembrana nei mitocondri del cervello; inibizione del complesso mitocondriale bc1 con produzione di specie ossidanti (Dineley K.E. et al., 2003);
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danno al SNC con demielizzazione in soggetti aventi elevati contenuti sierici di Zn (Prody C.I., Holland N.R., 2000). Probabilmente il danno pu essere causato da unalta concentrazione di zinco che inibisce lassorbimento del ferro, il quale a sua volta ha un ruolo importante nella sintesi e nel mantenimento della mielina (Connor J.R., Menzies S.L., 1996). Tuttavia lo zinco sembra implicato nel contrasto dello stress ossidativo grazie alla sua partecipazione nei meccanismi antiossidanti pi importanti dellorganismo il sistema Cu-Zn-SuperOssido Dismutasi e il sistema del glutatione (Jenner P., 1993; Barker J.E. et al., 1996). Mercurio e Metilmercurio Il mercurio pu essere assorbito sia in forma inorganica che organica come il metilmercurio, questultimo la forma pi comune e anche la pi tossica (WHO, 1976). Lesposizione delluomo a questo metallo pu essere sia di tipo professionale che accidentale. Lassunzione di mercurio essenzialmente legata al consumo di pesce e prodotti derivati e quindi risulta correlata con le abitudini alimentari e individuali e i gruppi di popolazione. Un importante contributo non trascurabile viene dato dalle amalgame dentali a base di Hg, usate dai dentisti per le otturazioni. Il metilmercurio una volta in circolo si distribuisce in tutti i tessuti, nel sangue viaggia per pi del 90% negli eritrociti legato alla cisteina presente nellemoglobina, oppure si complessa con il glutatione (GSH). Cos legato il metilmercurio viene trasportato e distribuito soprattutto nel sistema nervoso centrale, nel fegato, secrezioni biliari e nel rene (Mulder & Kostyniak, 1985). La concentrazione nel SNC risulta 6 volte superiore rispetto al sangue e questo legato alla facilit con cui il metilmercurio attraversa la barriera emetoencefalica. La maggior concentrazione di metilmercurio risiede nella sostanza bianca in determinati neuroni cerebrali, midollari e del ponte, con una localizzazione selettiva nelle cellule di Purkinje, nel cervelletto e nei neuroni del nucleo dentato. La tossicit degli organomercuriali deriva dalla grande affinit del mercurio verso i gruppi tiolici che costituiscono i siti attivi di numerosi enzimi. A livello cellulare un effetto ben documentato del metilmercurio linibizione della sintesi proteica nelle cellule bersaglio, interferendo anche
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nella sintesi del DNA mitocondriale, nei lipidi, nella mielina, nella glutatione perossidasi, nel trasporto degli amminoacidi e del glucosio che attraversano la barriera ematoencefalica. A livello immunitario pu provocare disturbi danneggiando la risposta sia primaria che secondaria con un calo sulla produzione di anticorpi, in particolare i linfociti T. Pu avere anche effetti mutagenici provocando aberrazioni cromosomiali, e il motivo sembra essere legato proprio allalta affinit del mercurio con i gruppi tiolici, ci inibirebbe la formazione del fuso mitotico, come avviene per la colchicina, e quindi formazione di aneuploidia e iperploidia. Il mercurio pu causare danni neuronali attraverso i seguenti meccanismi: induce la formazione di ROS; inibisce gli enzimi preposti alla detossificazione dai radicali liberi, glutatione perossidasi e superossido dismutasi (Hussain S., 1997), grazie alla formazione di coniugati con composti tiolici come il glutatione. Elevati livelli di questi coniugati si riscontrano nella SN di malati di Parkinson (Uversky V.N. et al., 2001); determina il rilascio di Ca intracellulare (Chavez E., Holgun C.J., 1998) causando danni al sistema immunitario (Shenker B.J., 1993). Alcuni studi in vivo hanno mostrato una relazione dose-risposta fra la quantit di mercurio assorbita e lo sviluppo del Parkinson (Olson C-G, Hogsted C., 1981), per cui elevati livelli di questo elemento nel sangue e nelle urine possono essere considerati utili parametri bochimici per una possibile diagnosi precoce della malattia. Gli studi devono ancora dimostrare la correlazione tra linsorgenza del Parkinson e le fonti di esposizione quali il cibo contaminato (pesce) e le amalgame nei denti (Ngim C.H., Devathasan G., 1989). LOrganizzazione Mondiale della Sanit (OMS) ha stabilito che nelluomo la comparsa dei sintomi neurologici associata a livelli medi di concentrazione di mercurio nel cervello di circa 5 mg/g. Studi condotti in vivo e in vitro hanno dimostrato che alcuni antiossidanti quali selenio, vitamina E (alfa-tocoferolo), vitamina C (acido ascorbico), ecc. sono capaci di ridurre gli effetti tossici del metilmercurio (WHO, 1990). Lazione protettiva probabilmente collegata al meccanismo con cui gli stessi effetti tossici sembrano
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esplicarsi, ovvero la rottura del legame C-Hg, che produrrebbe radicali liberi, responsabili della perossidazione lipidica. Una curiosit sul metilmercurio di notevole interesse risiede nel fatto che il rapporto tra la concentrazione nel sangue e capelli nelluomo circa 1:250. Questo rapporto dato dallelevata affinit del metilmercurio per i gruppi sulfidrilici che sono abbondanti nei capelli, infatti questultimi sono costituiti da proteine (alfa-cheratina) relativamente ricche di residui di cisteina. Inoltre una volta legato alle proteine del capello la concentrazione rimane costante nel tempo e le variazioni si verificano solo sulla parte del capello che deve crescere non sul capello gi fuoriscito dalla cute. Quindi i capelli sono accumulatori e indicatori della concentrazione di questo contaminante nellorganismo (Airey D., 1983), inoltre dalle misure longitudinali del capello si pu controllare lelevoluzione nel tempo della quantit e il periodo di esposizione dellindividuo. Questa propriet del capello di agire come accumulatore di mercurio viene utilizzata per la misura dellesposizione delluomo a metilmercurio, soprattutto in comunit a rischio. Cadmio Osservazioni su coorti di lavoratori esposti in forma acuta hanno evidenziato sintomatologia del tutto assimilabile al morbo di Parkinson (Okuda B. et al., 1997). Sedi di bioaccumulo di questo elemento sono reni, fegato, cervello, cuore e polmone, ma la sua tossicit prevalentemente espletata a livello del fegato e del sistema nervoso attraverso la formazione di ROS e la perossidazione dei lipidi delle membrane cellulari (Shaikh Z.A. et al., 1999; Szuster-Ciesielska A. et al., 2000). Il meccanismo di azione della formazione di ROS non ancora noto, ma un possibile meccanismo rappresentato dallinibizione del complesso III della catena di trasporto mitocondriale che blocca il trasferimento di elettroni, e laccumulo della molecola semiubichinone, la quale per instabilit, cede un elettrone allossigeno molecolare con formazione del radicale superossido (Wang Y. et al., 2004). Studi in vivo hanno evidenziato che il Cd opera la degenerazione dei gangli basali e alterazioni dei neurotrasmettitori quali serotonina e acetilcolina (Das K.P et al., 1993). .
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Calcio Lomeostasi del calcio a livello neuronale determinante per la funzionalit delle cellule. In condizioni fisiologiche esiste nelle cellule neuronali un gradiente transmembrana tale per cui la concentrazione di Ca libero intracellulare 4 volte inferiore a quella extracellulare. Tale rapporto necessario per lintegrit della cellula, dal momento che, un aumento intracellulare di Ca libero o un decremento di quello extracellulare pu portare alla morte neuronale (Nelson S.R., Foltz F .M., 1983). Il corretto equilibrio di bassa concentrazione di Ca libero allinterno della cellula normalmente affidata ad un insieme di sistemi tampone (mitocondri, reticolo endoplasmatico, proteine che legano Ca e processi fosforilativi ATP-dipendenti) che sequestrano il Ca non appena entra nel citoplasma. In condizioni patologiche, quali il Parkinson e lAlzheimer, si osserva un aumento del deposito di Ca nelle neurofibrille e una elevata calcificazione nei gangli basali a testimoniare una alterazione dei sistemi sopracitati (Cross A.J. et al., 1986; Garruto R.M. et al., 1985; Mann D.M.A., 1988). Il Ca ha un ruolo anche nel danno indotto da stress ossidativo poiche questultimo causa un aumento dello stesso Ca intracellulare, inducendo degli eventi a cascata che portano a neurodegenerazione (vedi figura 3.2.3.1).
Figura II.2.3.1. Schema degli effetti del Ca+2 citosolico nella degenerazione neuronale:
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Cromo Il Cr presente in natura con due stati di valenza prevalenti: - Cr(III), la forma pi stabile risulta essenziale nel metabolismo del glucosio, del colesterolo, e dei grassi; - Cr(VI), forte agente ossidante con elevata tossicit soprattutto nei riguardi del sistema nervoso e immunitario (Barceloux D.G., 1999). La tossicit di questa forma sarebbe da imputare a forme intermedie prodotte a livello cellulare come Cr(V), prodotto durante la sua riduzione a Cr(III) per mezzo della glutatione reduttasi (Stearns D.M. et al., 1995; Shi X., Datal N.S., 1990). inoltre noto che il cromo pentavalente contribuisce alla formazione dei radicali ossido nitrico e ossidrile (Bagchi D. et al., 2002).
Rame Il Cu un elemento spesso associato ad enzimi e proteine, essenziali per il funzionamento neuronale come il sito catalitico della citocromo c ossidasi (cox) e nella Cu-Zn-SOD, enzimi implicati nella protezione dal danno ossidativo. Una carenza nellorganismo di Cu pu determinare linattivazione della cox e della funzione mitocondriale con un conseguente incremento della produzione di ROS (Rotilio G. et al., 2000). La presenza del rame a livello del cervello dovuta al legame con la proteina ceruloplasmina, se il legame con il rame non avviene la proteina degradata, come si osserva in alcune malattie neurodegenerative. Tuttavia tale osservazione si pone in contrasto con quanto avviene nel liquido cerebrospinale dei pazienti affetti da Parkinson dove la sua presenza aumentata, mentre rimane invariata a livello neuronale (Loeffler D.A. et al., 1996). Un eccesso di Cu sarebbe anche associato ad una interazione non fisiologica sia con la alfa-sinucleina nella formazione dei corpi di Lewy nel Parkinson, sia con lomocisteina e la proteina beta-amiloide determinando la produzione di perossido di idrogeno a livello del cervello e quindi essere coinvolto in danni di tipo ossidativo (White A.R. et al., 2001; Bremner I., 1998).
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CAPITOLO III
III. 1 INTRODUZIONE
Le nuove tecnologie, basate sullacquisizione e gestione di migliaia di informazioni in un unico esperimento, attraverso lanalisi simultanea di numerose vie e meccanismi molecolari senza precise ipotesi di partenza, seguono un approccio metodologicamente antitetico a quello sperimentale classico, basato sulla verifica di una o poche ipotesi specifiche formulate preliminarmente. Ci comporta una nuova forma mentis in ambito sperimentale con: una rivoluzione metodologica nella sperimentazione caratterizzata dallidentificazione di eventi associati con una patologia umana non pi solo a livello di organo o sistema, ma piuttosto a livello di macro/micro-molecole differentemente alterate nelle diverse fasi delle singole condizioni morbose; una maggiore affidabilit dei dati, una rapidit dei test e una riduzione dei costi dovuta ad una minore applicazione di protocolli sperimentali in vivo a favore di una sperimentazione pi peculiare e mirata in vitro (Hartung M.T., 2005); la possibile conciliazione dei problemi etici sollevati da pi parti nelluso di sperimentazione su animali. La finalit della tossicogenomica combinare transcrittomica, proteomica e metabonomica con le informazioni ottenute dagli studi
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tossicologici convenzionali, al fine di stabilire il rapporto di causa-effetto tra geni e stress ambientali nellinduzione delleffetto tossico. Il principale elemento di perplessit su tale approccio, cosiddetto omico, che, se da un lato esso offre la possibilit di raccogliere in un solo esperimento un enorme mole di informazioni, dallaltro queste non sono inevitabilmente associate ad un arricchimento in termini di conoscenza. L espressione genica successiva allesposizione ad uno o pi sostanze esogene pu essere infatti la conseguenza dellattivazione di meccanismi tossicologici associati allesposizione stessa o pu riflettere semplicemente una fisiologica risposta cellulare di adattamento, sicch linformazione che origina dalle tecnologie omiche potenzialmente fuorviante. Attualmente da un punto di vista metodologico, le filosofie sperimentali applicate alle nuove tecniche di tossicologia sono due: Lanalisi dei profili attraverso luso di correlazioni statistiche tra geni la cui espressione aumenta o si riduce nella condizione in studio, indipendentemente dalla effettiva conoscenza delle funzioni geniche e dei meccanismi alla base delle differenze osservate; questa teoria trova il suo fondamento in profonde conoscenze di tipo statistico-matematico applicate alla bioinformatica (Feldman A.L. et al., 2004). Lanalisi funzionale limita lanalisi a geni la cui funzione nota cercando di interpretare i meccanismi fisiopatologici alla base delle differenze osservate, con il fine di identificare e chiarire i meccanismi molecolari dazione ad esempio degli xenobiotici, caratterizzarne parallelamente le tracce molecolari specifiche, utilizzabili per lo sviluppo di nuovi indicatori biologici (Waters M.D. et al., 2003).
III. 2 I miRNA
I microRNAs (miRNAs) costituiscono un gruppo di piccoli RNA non codificanti, identificati in vari organismi eucarioti, la cui funzione non ancora del tutto conosciuta. Le ricerche hanno evidenziato a loro carico diverse funzioni biologiche, tra cui regolazione nella
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differenziazione cellulare, nello sviluppo animale, nella proliferazione, nellapoptosi, possibile coinvolgimento nella tumorogenesi e in alcune malattie umane (Di Leva G. et al., 2006), tra cui le patologia neurodegenerative (Lukiw W.J., 2007; Dostie J. et al., 2003) attraverso un meccanismo di repressione della regolazione genica. Questi piccoli RNA, la cui lunghezza varia dai 18 ai 22 nucleotidi, possiedono alcuni un proprio locus di codificazione, altri invece sono contenuti allinterno di regioni introniche di altre sequenze codificanti, spesso nello stesso senso; questo suggerisce che probabilmente vengano trascritti in concomitanza del loro gene ospite. Derivano da trascritti di maggiori dimensioni i pri-miRNAs dotati di una struttura a forcina, tale conformazione essenziale per il riconoscimento e la processazione, nel nucleo, da parte di una ribonucleasi (RNAsi III, Drosha) che provvede a tagliare i pri-miRNA in frammenti di 70-100 nucleotidi (pre-miRNA) con una sequenza che li conforma ancora in una struttura secondaria a forcina non perfettamente complementare. Il taglio da premiRNA a miRNA avviene nel citoplasma ad opera della RNAsi Dicer (Hutvagner G. et al., 2001). Generalmente i miRNA vengono integrati con ribonucleoproteine in un complesso chiamato miRNP (Mourelatos Z. et al., 2002), e interagiscono con lmRNA target attraverso la complementarit delle basi. Il loro meccanismo di azione nel silenziamento genico si realizzerebbe secondo due tipi di modalit: la degradazione dellmRNA bersaglio il blocco della traduzione dello stesso. La scelta di uno o dellaltro processo determinato dalla complementariet di sequenza tra una porzione del mRNA e miRNA; nel caso ci sia un perfetto appaiamento, avviene il taglio dellmRNA mediato dal complesso attraverso il patway del RNA interference (Bartel D.P., 2004). Se lappaiamento risultante, invece, non perfettamente complementare, il miRNA si lega ad una regione non tradotta al 3 (3UTR) dellmRNA bloccandone la traduzione (Lai E.C., 2002).
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Figura III.2.1. Schema della biosintesi dei miRNA e del loro processo di silenziamento genico (da Kosik K.S., 2006).
Vista la loro natura regolatrice, i miRNA si trovano altamente conservati allinterno di molte specie, e in alcuni casi arrivano a costituire l1% del genoma, mostrandosi come il componente regolatore pi rappresentativo (Lagos-Quintana M. et al., 2001; Lagos-Quintana M. et al., 2002). A dimostrazione della loro importanza e quindi della loro conservazione filogenetica, diversi miRNA organo specifici espressi nel topo, sono stati ritrovati nello stesso comparto tissutale nelluomo; nello specifico i miRNA (miR-7, -9, -124a, -124b, -125a, -125b, -128, -132, 135, -137, -139, -153, -149, -183, -190, -219) espressi nel cervello di topo, eccetto per miR-183, hanno il loro parallelo in cellule umane. Studi sulla loro espressione organo specifica, hanno evidenziato unelevato
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numero di miRNA isolati nel cervello rispetto a quelli isolati da altri organi, a dimostrazione del fatto che questi potrebbero essere coinvolti nella regolazione genica sia nella fase di sviluppo del sistema nervoso che nella differenziazione neuronale (Sempere L.F et al., 2004). . Ci correlato anche con una differente lunghezza e distribuzione delle porzioni 3 UTR dei mRNA target per i geni coinvolti nel sistema nervoso, infatti quelli legati a questo tessuto hanno porzioni di circa 1.300 nucleotidi, mentre quelli di tessuti non nervosi ne possiedono circa 700 (Sood P. et al., 2006). Inoltre il cervello un organo complesso costituito da una pluralit cellulare, di cui le cellule neuronali e gliali rappresentano la componente maggiore, non quindi da escludere la possibilit di una espressione differenziale di miRNA diversi a seconda del tipo di cellula. Attualmente noto che il gene LIN-28 espresso negli stadi precoci dello sviluppo neuronale, dellipoderma e intestinale viene inibito nella sua espressione con il procedere del differenziamento delle cellule neuronali (Sempere L.F et al., 2004). Diversi studi stanno ponendo attenzione, quindi, al . possibile ruolo regolativo dei miRNA nelle malattie neurodegenrative; ad esempio, la Atrofia Muscolare Spinale determinata dalla perdita di funzione per mutazione o delezione a carico del gene per la proteina Survival Motor Neuron (SMN), la quale fa parte di un complesso proteico coinvolto nellassemblaggio e ricostituzione delle strutture ribonucleoproteiche a cui sono associate dei miRNA a formare dei miRNPs. Da tali complessi estratti da diverse linee cellulari di tipo neuronale sono stati isolati numerosi miRNA di cui alcuni (miR-182a, miR-182b, miR-188, and miR-207), altamente conservati in organismi filogenicamente diversi, indicando limportanza del loro ruolo regolativo, che insieme ad altri di pi recente scoperta (miR-29c, miR-187, and miR217) sono compresi in due distinte subfamiglie con ruolo nella regolazione genica. In particolare miR-175, sarebbe coinvolto in due malattie di carattere neurologico: la Sindrome di Waisman e il Ritardo mentale legato al cromosoma X (MRX3) (Dostie J. et al., 2003). Un ulteriore supporto alla conferma del ruolo dei miRNA arriva da uno studio effettuato in vitro su cellule Purkinje, le quali esprimono una serie di miRNA specifici del tessuto neuronale. In questo contesto stato
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rilevato che una deficienza funzionale del sistema endonucleasico Dicer determina un rapido decremento di miRNA specifici per la regolazione postmitotica della sopravvivenza dei neuroni. Tuttavia limpatto non immediato sulla funzione cellulare, ma leffetto neurodegenerativo sarebbe un evento a lungo termine, tale processo di degenerazione cellulare viene confermato anche in vivo dove si determina atassia sul topo a partire dalla tredicesima settimana di sperimentazione. Ci troverebbe giustificazione del lento progredire riscontrato in alcune malattie come il Parkinson e lAlzheimer. possibile che una regolazione negativa dovuta allassenza di miRNA comporti un accumulo di proteine seguita da una risposta cellulare di tipo cronico che ne determina la morte (Schaefer A. et al., 2007). La perdita di funzione di Dicer influirebbe anche sulla riduzione dei miRNA coinvolti nella regolazione di alcune malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Huntington, latrofia dentatorubropallidoluysiana e alcune atassie spinocerebellari, la cui eziologia sarebbe legata alla anomala ripetizione del trinucleotide CAG nelle regioni codificanti dei rispettivi geni (Gatchel J.R., Zoghbi H.Y., 2005). La presenza di tale dominio per la poliglutammina (polyQ) determina unelevata neurotossicit causata da un anomalo ripiegamento strutturale delle proteine codificate e un loro accumulo intracellulare con unalterazione o una perdita della funzione cellulare (Bilen J. et al., 2006). Esiste anche una relazione nellespressione differenziale dei miRNA in rapporto allet. Infatti W.J. Lukiw, in un suo lavoro realizzato su campioni di ippocampo provenienti da feti, individui adulti sani e malati di Alzheimer, ha evidenziato un pattern di espressione dei miRNA testat,i diversificato nelle tre classi di campioni, in specifico i miR-9,-125,-128 sono stati rilevati in abbondanza solo nei campioni dei soggetti malati. A questo si aggiunge che la malattia di Alzheimer caratterizzata da un deficit di proteina sinaptica; infatti il mRNA per la sinapsina I significativamente ridotto nella sua espressione e possiede ben 14 potenziali siti di legame nella porzione 3 UTR, mentre il mRNA della sinapsina II un target specifico del miR-125b (Rogaev E.I., 2005; Lukiw W.J. et al., 1996; Lukiw W.J., 2007).
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CAPITOLO IV
Met del genoma delluomo deputata allo sviluppo del sistema nervoso centrale (snc). Questo sviluppo non gi compiuto alla nascita ma prosegue anche nei primi mesi di vita. In particolare, la corteccia preforontale, area deputata alle capacit cognitive, prosegue il suo sviluppo fino alla prima et adulta. In generale lo sviluppo del sistema nervoso centrale non determinato solo geneticamente, ma fondamentale linterazione con lambiente perch questo avvenga nel miglior modo possibile. Una scoperta fondamentale degli ultimi anni ha messo in crisi il vecchio dogma secondo il quale nel SNC non nascano nuove cellule. stato dimostrato per esempio che nellippocampo, deputato alle funzioni della memoria a lungo termine, si ha uno sviluppo neuronale anche nellet adulta e questo sviluppo dipende in maniera preponderante dallapprendimento e quindi dalle nuove esperienze che viviamo. Le evidenze sperimentali che spiegano lo sviluppo cognitivo emergono tutte da ricerche recenti e in generale adottano un approccio riduzionista. Questo si reso necessario data lenorme complessit del snc delluomo. Per parlare di sviluppo cognitivo necessario approfondire anche le maggiori teorie di riferimento al riguardo. Ma prima di passare a considerare le teorie sullo sviluppo cognitivo, necessario precisare la differenza che esiste tra i concetti di maturazione e di sviluppo. La maturazione fa riferimento a tutti i cambiamenti fisici, ivi compresi i cambiamenti a livello del SNC, che hanno la loro base nel patrimonio genetico.
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Lo sviluppo invece ha la sua base nellinterazione tra la maturazione e lapprendimento che invece veicolato dalle esperienze ambientali. In effetti, le teorie sullo sviluppo cognitivo dei bambini si muovono su questi due estremi, ovvero, alcune focalizzano la loro attenzione prevalentemente sui processi maturativi e quindi di natura genetica, mentre altre focalizzano la loro attenzione sui processi di sviluppo dove diventa preponderante linterazione con lambiente.
La peculiarit sta nel sostenere che la velocit con cui si passa da uno stadio allaltro, anche se risulta influenzata dalle esperienze ambientali, strettamente controllata dai processi maturativi che sono determinati biologicamente. Questo vuol dire che gli apprendimenti da soli non sono sufficienti perch il bambino passi da uno stadio al successivo. Affinch questo avvenga, necessario che le strutture cognitive siano pronte dal punto di vista della maturazione biologica. Prima di definire i quattro stadi di sviluppo dobbiamo descrivere i meccanismi di funzionamento
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delle strutture cognitive. Essi sono lassimilazione e accomodamento (Sempio O.L., 1998). Processo di assimilazione e accomodamento regolati dallequilibrazione
Lassimilazione si caratterizza come lincorporazione di nuove esperienze alle idee e agli schemi comportamentali o cognitivi gi acquisiti. Praticamente il bambino utilizza un oggetto per compiere unattivit che gi fa parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono gi noti. Lesempio pi immediato il comportamento tipico dei bambini di pochi mesi di portare gli oggetti alla bocca. Lafferrare e il portare alla bocca sono comportamenti che il bambino ha gi acquisito e che ripete ad ogni nuova esperienza/oggetto che gli si presenta davanti. Laccomodamento, invece, implica il cambiamento degli schemi comportamentali o cognitivi gi acquisiti per poter utilizzare oggetti o decodificare eventi che fino a quel momento erano ignoti. Se ci rifacciamo allesempio precedente, il bambino che si trova a gestire un oggetto pi grande del solito, sar costretto a sviluppare uno schema comportamentale che prevede luso di entrambe le mani. Entrambi questi processi sono regolati da un processo di equilibrazione, che sostanzialmente mantiene lomeostasi nellinterazione con il mondo esterno (Oliverio Ferraris A., et al., 1999).
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IV.1.2 Le fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget (La psicologia genetica) Passiamo ora ad analizzare le 4 fasi dello sviluppo cognitivo cos come le ha definite Jean Piaget.
IV.1.3 Fase senso-motoria La fase senso-motoria si sviluppa dalla nascita e arriva fino ai 2 anni circa. Il bambino, per comprendere ci che lo circonda, utilizza i sensi e le abilit motorie, affidandosi inizialmente ai soli riflessi e pi avanti a combinazioni di capacit senso-motorie. Questa fase suddivisa in sei sottostadi come riportato nella tabella IV.1.3.1.
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Caratteristiche principali
Si tratta essenzialmente di attivit riflesse o automatiche, non apprese ma innate, risulta ancora assente il possesso della nozione di oggetto e di causalit. Un esempio tipico la suzione al semplice sfiorare le labbra del bambino. Si tratta di azioni orientate verso il corpo, esse vengono ripetute nelleventualit in cui il bambino provochi qualcosa di interessante. Inizia a svilupparsi il riconoscimento delloggetto ma manca la sua ricerca nel momento in cui esso scompare. E esemplificativo di questo stadio la suzione alla vista del poppatoio. In questo caso le azioni sono orientate verso lambiente, inizia la permanenza delloggetto. Un esempio rappresentato dai movimenti per muovere oggetti che pendono sulla testa. Il bimbo ritrova in questo periodo oggetti parzialmente nascosti. Questo sottostadio caratterizzato da azioni ripetute ma orientate verso una meta. Vi permanenza delloggetto. Ordina i comportamenti in una successione temporale e lega la causalit alle attivit. Esempi tipici sono la capacit di muovere o manipolare oggetti semplici per provocare un effetto, ritrovare oggetti nascosti, per esempio sotto un cuscino. Lelemento pi importante in questo sottostadio linizio della sperimentazione per prove ed errori nellesplorazione delle caratteristiche di un oggetto. La permanenza delloggetto ormai consolidata, capace di ritrovarlo solo se sottoposto a spostamenti visibili, i rapporti di causalit si rafforzano. Per esempio, se non in grado di raggiungere un oggetto chiede aiuto alladulto, oppure tira la coperta sulla quale si trova loggetto che cerca. evidente la soluzione di semplici problemi attraverso la rappresentazione mentale (anticipazione rappresentativa), per esempio usa dei rialzi tipo una sedia, per poter raggiungere un oggetto fuori dalla sua portata.
3. Reazioni circolari secondarie (4-8 mesi) 4. Coordinazione delle reazioni circolari secondarie (8-12 mesi)
IV.1.4 Fase preoperatoria Questa fase, che va dai due ai sette anni, si caratterizza per legocentrismo, per cui tutto sar riferito a se stesso, il bambino crede che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi pensieri, in effetti uno dei compiti pi importanti di questa fase il decentramento, ovvero cominciare a non considerare se stessi come lunico punto di riferimento.
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Inizia una rudimentale capacit di classificazione che intorno ai 4 anni raggiunger la forma pi semplice, per esempio il bimbo raggruppa tutti gli oggetti rotondi. Non in grado per di sviluppare il principio di Inclusione, per cui non in grado di capire che alcune classi sono contenute in altre pi grandi. Il ragionamento in questa fase non n deduttivo n induttivo ma transduttivo, ovvero, se due fatti accadono contemporaneamente, allora luno diventa causa dellaltro. Questa la base del pensiero superstizioso nelladulto.
IV.1.5 Fase delle operazioni concrete Si sviluppa dai 7 agli 11 anni. In questo periodo si sviluppa il principio della conservazione, che progredir per tutta la fase delle operazioni concrete. Il bambino, inizialmente, comprende la conservazione della forma e del peso, mentre acquister la conservazione dei volumi alla fine di questa fase. Tipicamente, un bambino che gioca con della creta sa che facendone delle palline la quantit rester invariata e quindi, riunendo le palline, otterr la stessa quantit di partenza applicando il principio della reversibilit. Diversamente, il principio della conservazione dei liquidi arriva pi tardi. Allinizio di questa fase il bambino non in grado di capire, per esempio, che il volume di liquido contenuto in un contenitore alto e stretto lo stesso se il liquido viene travasato in un contenitore basso e largo. Questo tipo di conservazione si ottiene intorno ai dodici anni. Unaltra acquisizione tipica di questo periodo la conservazione dei numeri, il bambino apprende che aggiungere significa rendere pi grande e sottrarre vuol dire rimpicciolire. di questo periodo lacquisizione della logica induttiva, ovvero il bambino partir da esperienze concrete per sviluppare principi generali ed acquisir solo nella fase successiva la logica deduttiva.
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IV.1.6 Fase delle operazioni formali Questa fase va dagli 11 ai 14 anni. Come anticipato precedentemente, di questo periodo lacquisizione della logica deduttiva, anche se il preadolescente non ancora in grado di sviluppare un pensiero rigorosamente scientifico. Pu quindi dedurre cosa accadrebbe se delle ipotesi fossero vere. Per esempio, se i suoi pari insultano un bambino grasso, potrebbe capire come si sentirebbe se, per ipotesi, anche lui fosse grasso. Diventa in grado di capire la relativit dei giudizi e dei punti di vista e sviluppa operazioni sui simboli, come nella geometria e nella matematica. Molto famoso lesperimento del pendolo ideato da Piaget. Al soggetto viene presentato un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Deve scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di oscillazione, slancio impresso al peso, che ha la possibilit di variare a suo piacere) determinano la frequenza delle oscillazioni. Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera logica e ordinata, il soggetto arriver ben presto a capire che la frequenza del pendolo dipende dalla lunghezza della sua cordicella. Poich la ricerca sistematica di soluzioni tipica di questo periodo, il preadolescente anche in grado di capire non solo come le cose sono effettivamente, ma come potrebbero essere in una situazione ideale e questo sarebbe alla base della tendenza degli adolescenti a criticare la famiglia dorigine, i sistemi religiosi, sociali e politici (Canestrari R., Godino A., 1997; Del Miglio C.M., 1997).
Ci troviamo qui sempre nellambito della dialettica, tra maturazione ed apprendimento, come accade con Piaget ma, a differenza di questultimo, Vygotskij pone laccento pi sui processi di apprendimento che su quelli di maturazione tipici dello sviluppo per stadi concepito da Piaget. Il fulcro dei processi di apprendimento la mediazione data dagli strumenti artificiali, come i segni linguistici che vengono usati nel linguaggio o i numeri che vengono usati nellattivit di quantificazione, tra pensiero e significato. In questo modo Vygotskij sottolinea limportanza del paradigma storico-culturale nella comprensione dello sviluppo delle funzioni psicologiche superiori (Sempio O.L., 1998). La concezione storico-culturale dello sviluppo delle funzioni psicologiche superiori data dalla comprensione di due aspetti fondamentali: acquisizione degli strumenti artificiali dello sviluppo, come la lingua scritta e parlata, il calcolo, il disegno, la musica ecc. ridefinizione della struttura stessa, dopo lacquisizione di questi strumenti, con lo sviluppo di capacit cognitive come: attenzione volontaria, memoria logica, pensiero concettuale ecc. Questa comprensione per non avviene scomponendo gli elementi fondamentali delle funzioni psicologiche. Come diceva Vygotskij, usando lesempio dellacqua, idrogeno ed ossigeno da soli non hanno le stesse propriet dellacqua, allo stesso modo, per esempio, il pensiero ed i simboli verbali da soli non bastano a spiegare il pensiero verbale dotato di significato. In effetti senza significato i simboli matematici o linguistici sarebbero senza senso ed il significato ad avere valore psicologico, mentre i simboli sono pura astrazione. Lavorando su questi principi Vygotskij, insieme a Lurida, marc i confini tra sviluppo filo genetico, sviluppo storico culturale e sviluppo ontogenetico.
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La Filogenesi o filogenetica o filogenia, dal greco (classe, specie) e (nascita, creazione, origine), lo studio dellevoluzione della vita. uno strumento fondamentale della sistematica che si occupa di ricostruire le relazioni di parentela evolutiva, di gruppi tassonomici di organismi a qualunque livello. La filogenesi studia origine ed evoluzione di un insieme di organismi, solitamente di una specie. Un compito essenziale della sistematica di determinare le relazioni ancestrali fra specie note (vive ed estinte). (Tratto da Wikipedia) Lo Sviluppo Storico-Culturale (vedi il paragrafo successivo) LOntogenesi (letteralmente: genesi, cio sviluppo, dellente) linsieme dei processi mediante i quali si compie levoluzione biologica del singolo essere vivente, evoluzione che quindi presenta caratteristiche peculiari che differenziano ciascun essere vivente dallaltro. Essa si contrappone alla filogenesi, ovvero allevoluzione propria della specie a cui appartiene il singolo vivente. In alcuni casi, lontogenesi riproduce, soprattutto nel periodo pre-natale, perinatale e nelle prime fasi della crescita, la filogenesi, come accade, per alcuni versi, nello sviluppo dellessere umano. (Tratto da Wikipedia)
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IV.2.2 Lo sviluppo storico-culturale Le brillanti ricerche di Khler sulla psicologia delle scimmie antropoidi e le pubblicazioni sulle ricerche etnoantropologiche, aiutarono Vygotskij e Lurija a chiarire meglio la psicologia storicoculturale. Khler studiando le scimmie antropoidi approd al concetto di insight. Linsight un concetto sviluppato dalla psicologia della Gestalt, scuola a cui Khler appartiene, nellambito della soluzione dei problemi (probelm solving). Esso indica una ridefinizione del sistema che permette di risolvere un problema. Le scimmie antropoidi che Khler studiava, pur essendo capaci di insight, non erano in grado di ristrutturare le loro capacit cognitive conservando quanto appreso grazie allinsight. Le scimmie erano poste di fronte al problema di raggiungere una banana al di l della loro portata utilizzando oggetti che si trovavano nel loro campo visivo, in questo caso dei bastoni. Pur essendo in grado di risolvere il compito grazie allinsight e quindi alluso dei bastoni, le scimmie, per quanto evolute fossero, non erano in grado di appropriarsi delloggetto usato e di trasformarlo in uno strumento artificiale, come invece avviene nelluomo primitivo. L uomo primitivo dopo aver utilizzato un sasso aguzzo per uccidere la preda, si appropria di questo strumento, lo migliora e lo inserisce nei fondamenti della sua cultura. Quindi lattivit degli animali nellinterazione con la natura aumenta di complessit grazie alluso di oggetti, ma lattivit non viene modificata dalluso delloggetto stesso come invece accaduto con gli uomini primitivi e come accade oggi negli uomini, per esempio con luso di estensioni di memoria come gli hard disk (Oliverio Ferraris A., et al., 1999). IV.2.3 Il rapporto tra apprendimento e sviluppo mentale. La Zona di Sviluppo Prossimale Nello studio dellapprendimento, Vygotskij non scinde lapprendimento dallo sviluppo psichico ma li fonde allo sesso modo in cui il pensiero nel suo sviluppo si fonde con i simboli linguistici per dare il linguaggio. cos che elabora il concetto di Zona di Sviluppo
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Prossimale. Per far questo egli rivaluta il concetto di imitazione, sostenendo che chi imita gi possiede le stesse capacit intellettive di chi sta imitando. In sostanza, come dice Vygotskij, si tratta di capire che chi in grado di risolvere problemi complessi per esempio di aritmetica, anche grazie ad un aiuto, gi in possesso dei principi di matematica superiore, altrimenti nessun suggerimento porter ad alcuna soluzione. La pedagogia, cos, non pu non considerare lo sviluppo attuale del bambino in relazione allo sviluppo potenziale per poter costruire programmi didattici che portino alla crescita cognitiva. Se si fermasse solo allo stadio dello sviluppo attuale, linsegnamento sarebbe sterile e non porterebbe alcun giovamento al bambino, bloccandolo in processi di pensiero vecchi. Qui Vygotskij crea un metodo operativo che deriva direttamente dalle sue teorie e pone laccento in concreto sull interazione tra apprendimento sviluppo, cognitivo e contesto ambientale (Del Miglio C.M., 1997).
Groppo, Scaratti e Oranghi propongono tre punti chiave sui quali si muove il pensiero di Bruner:
Questi tre temi saranno costante oggetto di studio per Bruner e verranno rielaborati alla luce delle nuove conoscenze acquisite. IV.3.2 Gli studi sulla percezione durante la nascita della psicologia Cognitiva. Durante il perdurare della prospettiva comportamentista, la psicologia aveva radicalmente centrato il focus dei suoi studi sul paradigma stimolorisposta. Gli psicologi della Gestalt, che prima e durante la seconda guerra mondiale dallEuropa si trasferirono in America, posero le basi per uno dei pi chiari esempi di cambio di paradigma a livello scientifico che ebbe la sua massima espressione in psicologia. Non a caso gli studi che iniziarono a minare il paradigma comportamentista furono quelli sulla percezione. Ci si rendeva conto che lapproccio stimolo-risposta tralasciava troppe domande e dava risposte insufficienti per capire appieno il comportamento delle persone. Ci che Pavlov e i suoi seguaci avevano dedotto dal mondo animale non era che una parte dei meccanismi dazione della nostra mente che, nello sviluppo
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del pensiero simbolico, si discosta ampiamente da quella di qualsiasi specie vivente. Bruner si former allUniversit di Harvard, sotto la direzione del Professor Boring, in un ambiente fortemente orientato alla psicologia comportamentista che cercava di capire come si arrivasse alla rappresentazione interna del mondo partendo dai nostri organi di senso e sposando il concetto di un mondo interno come rispecchiamento del mondo esterno, posizione che cambier radicalmente negli anni a venire. Come abbiamo detto, gli studi che misero in crisi il paradigma stimolo-risposta furono quelli sulla percezione, in particolare gli studi sulla stima delle grandezze che il movimento del New Look portava avanti intorno alla met del Novecento. Bruner insieme a Goodman progett nuovi esperimenti in cui si tenevano chiaramente in considerazione variabili come valori, atteggiamenti, aspettative e bisogni delle persone. I risultati dimostrarono che queste variabili non erano secondarie nella percezione, iniziava cos il lavoro di superamento del paradigma comportamentista, che port alla riscoperta della mente come elemento centrale tra lo stimolo percepito e la risposta comportamentale. Bruner e Goodman per confermare le loro teorie, chiesero ai loro soggetti, che erano studenti di dieci anni, di dare un giudizio sulla grandezza di alcune monete in corso allepoca negli Stati Uniti appena venivano loro mostrate. Lo strumento utilizzato era un fascio di luce con il quale riprodurre la grandezza delle monete. I ragazzi erano per met benestanti e per met di ceto povero. I risultati dimostrarono che i ragazzi di ceto povero sopravvalutavano la grandezza delle monete e che in generale, lerrore per tutti era tanto pi grande quanto pi valore aveva la moneta. In questo esperimento sembra chiaro che variabili come valori, bisogni, atteggiamento e aspettative non siano trascurabili nel fenomeno della percezione (Oliverio Ferraris A., et al., 1999). IV.3.3 Lo studio sul pensiero e la formazione di categorie. Superata la prima met del Novecento, Bruner inizia a lavorare sulla cognizione, in particolare, su come la mente forma categorie e le strategie che segue per farlo.
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I primi studi al riguardo furono quelli di Clark Hull nel 1920, e di Smoke nel 1932. Il primo user per i suoi esperimenti degli ideogrammi cinesi ovvero degli stimoli molto lontani dalla vita quotidiana di qualsiasi statunitense in quel periodo; il secondo cercher di ovviare al problema usando una serie di figure geometriche aventi particolari relazioni spaziali. Saranno per Bruner, Goodnow e Austin nel 1956 a riprendere questo filone di ricerca creando una situazione sperimentale pi chiaramente leggibile ai soggetti che affrontavano il test. Lesperimento si basava sulluso di ottantuno carte, tutte diverse, ottenute variando quattro attributi , il colore, la forma, il numero di forme e la cornice. Ognuno di questi attributi si presentava in tre modalit in modo da ottenere, appunto, ottantuno carte. In realt se si considerava un singolo attributo per volta, le carte potevano essere raggruppate. Lo scopo del test era inferire la categoria pensata dallo sperimentatore in base ad un esempio positivo, fornito dallo sperimentatore stesso, a cui seguivano i tentativi dei soggetti che ottenevano semplicemente una risposta positiva o negativa alla presentazione della carta da loro scelta. Le strategie che Bruner e i suoi collaboratori riuscirono a mettere in evidenza furono quattro: Messa a fuoco conservativa: la strategia ottimale dal punto di vista economico (ovvero il numero di scelte da effettuare) e di certezza (individuazione della categoria sottostante). Consiste nel variare un solo attributo per volta e, se la risposta dello sperimentatore positiva, se ne deduce che lattributo variato ininfluente per definire la categoria, in caso di risposta negativa, ovviamente, il contrario. Strategia ad esame successivo: si formula una ipotesi iniziale e la si valuta. poco complessa ma diseconomica, anche se in generale rispecchia un modo comune di comportarsi nella vita quotidiana. Strategia ad esame simultaneo: un processo deduttivo molto impegnativo e consiste nel valutare pi ipotesi contemporaneamente. Messa a fuoco variabile: si utilizza il caso positivo come base e si variano pi attributi per volta. Potenzialmente si pu individuare la categoria sottostante con meno scelte, ma solo in caso fortunato.
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Questo esperimento consent a Bruner e ai suoi collaboratori di confutare le teorie comportamentiste, per le quali i concetti/categorie sono realt intrinseche delluomo e statiche, acquisite attraverso processi di relazione o per associazione e non attraverso processi di inferenza e strategie dinamiche, dettate anche dal contesto (Del Miglio C.M., 1997). IV.3.4 Lo sviluppo cognitivo (1966), Piaget e Vygotskij sintesi ed evoluzione. Bruner sar ampiamente influenzato sia da Piaget che da Vygotskij, pur ritenendo i due studiosi in forte antitesi, luno concentrato sullo sviluppo stadiale quasi automatico e laltro focalizzato sullo sviluppo quasi assistito che si concretizza nella Zona di sviluppo prossimale. Bruner condens questo confronto interno e i suoi studi ne Lo sviluppo cognitivo, che pubblic nel 1966. In questo libro si pu vedere la sintesi degli studi dei suoi predecessori e lo sviluppo di un nuovo approccio in cui entrambe le prospettive coesistono. Il tema cardine del libro la descrizione del sistema di rappresentazione del mondo ideato da Bruner, in cui confluiscono sia il sistema stadiale sia quello socioculturale. In effetti, se il sistema si evolve in una direzione fortemente socioculturale, Bruner lo forza, come dir lui stesso, in un sistema in cui le modalit di rappresentazione del mondo evolvono in una sequenza cronologicamente determinata. In questo sforzo sintetizzer linterazione tra gli aspetti interni dello sviluppo (genetici) e gli aspetti esterni (sociali).
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In un altro libro pubblicato nello stesso anno, Verso una teoria dellistruzione, Bruner chiarir meglio i concetti dei tre sistemi di rappresentazione. IV.3.5 I tre sistemi di rappresentazione del mondo Cronologicamente la rappresentazione attiva il primo sistema di rappresentazione del mondo a svilupparsi. In esso importante lazione conoscitiva sugli oggetti, che si sviluppa tramite la loro manipolazione o il portarli alla bocca. Ci troviamo nello stadio sensomotorio di Piaget
Il secondo sistema a svilupparsi la rappresentazione iconica. Attraverso limmagine il bambino inizier ad estrarre informazioni, per esempio i primi sistemi di classificazione come il colore, la forma ecc..oppure imparer a fare/imitare. Il terzo sistema, infine, la rappresentazione simbolica. Essa appare grazie allinteriorizzazione dei sistemi simbolici, come le lettere nel linguaggio, i numeri nella matematica o le note nella musica. Questo il sistema di rappresentazione pi importante secondo Bruner, perch la cultura amplifica e potenzia le nostre capacit cognitive e mi piace ripetere anche qui lesempio di ci che riusciamo a fare con le estensioni di memoria forniteci dai computer.
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In realt i tre sistemi dopo la loro comparsa coesistono per cui, il modello gerarchico/cronologico in et adulta evolve in un sistema circolare (Canestrari R., Godino A., 1997).
IV. 4 LAPPROCCIO RIDUZIONISTA E LE PRIME EVIDENZE SPERIMENTALI SUI PROCESSI NEURONALI CHE COINVOLGONO LA MEMORIA
(LAplysia Californica ed il Nobel per le neuroscienze a E. R. Kandel)
IV.4.1 Introduzione In un capitolo dedicato allo sviluppo cognitivo e allinterazione tra geni ed ambiente, non poteva mancare un richiamo agli studi di Kandel. Premio Nobel per la medicina nel 2000, si pone a cavallo dei due millenni, riceve il premio per gli studi compiuti nello scorso millennio e spalanca le porte alle neuroscienze come terreno di studi privilegiato per il prossimo, tanto da affermare che la biologia della mente rappresenter per il ventunesimo secolo ci che la biologia del gene ha rappresentato nel secolo scorso. In particolare sar la biologia della coscienza ad essere la punta di diamante di tutta la ricerca scientifica. Ma se la gnomica ha affermato inesorabilmente che il nostro patrimonio genetico identico per il 99.9%, la plasticit neuronale ha riaffermato limportanza delle esperienze vissute per fare di noi persone diverse luna dallaltra. Il nuovo muro da abbattere lo stesso muro che la scienza ha dovuto sgretolare quando afferm che il cuore non la sede delle emozioni, ma un muscolo che pompa sangue. Allo stesso modo la ricerca scientifica ci mostrer che la mente non si basa su costrutti inconoscibili ma il risultato delle fini connessioni di mille miliardi circa di neuroni, e se i neuroni sono circa mille miliardi, il numero delle loro connessioni quasi inimmaginabile. Quasi.
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IV.4.2 La memoria secondo E. R. Kandel (Lapproccio riduzionista) Quando inizi i suoi lunghi studi sperimentali sulla memoria verso la fine degli anni 50, Kandel cerc di capire se i neuroni dellippocampo, che sembravano coinvolti nei processi di memoria, fossero sostanzialmente diversi da altri neuroni del nostro sistema nervoso centrale (snc). I risultati non portarono grandi scoperte ma evidenziarono una realt importantissima: lelettro-fisiologia dei neuroni dellippocampo, era pressoch simile a quella degli altri neuroni. Quali erano allora le propriet di quella parte del snc deputata alla memoria? Kandel si rese subito conto che studiare le connessioni neuronali dellippocampo delluomo era impresa pressoch impossibile, quindi spos lapproccio riduzionista, gi usato in biologia per altri scopi, nonostante la diffidenza di gran parte del mondo accademico di allora. Pensare di equiparare i processi di memoria delluomo a quelli di un gasteropode sollevava molte critiche. Ma Kandel era convinto che i meccanismi molecolari dellapprendimento non avessero subito grossi mutamenti con levoluzione. Fu cos che inizi i suoi studi sull Aplysia, una lumaca di mare gigante, per i vantaggi dati dalle caratteristiche del suo sistema nervoso, la meno trascurabile delle quali che si compone soltanto di ventimila cellule nervose, raggruppate in dieci gangli principali, di notevole spessore e quindi ideali negli studi di elettrofisiologia. Il comportamento che prese in esame fu il riflesso di retrazione della branchia, comportamento che poteva subire modifiche grazie a tre forme di apprendimento: abituazione, sensibilizzazione e condizionamento classico. Abituazione: nellabituazione c un attenuarsi della risposta comportamentale in seguito alla presentazione di stimoli neutri. Un esempio classico di abituazione la sensazione che proviamo quando indossiamo i nostri vestiti dopo aver fatto una doccia. Inizialmente i recettori sensoriali vengono tutti attivati, per con il passare dei minuti, questa attivazione cesser perch il snc registra che questo tipo di stimolo sostanzialmente neutro.
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Sensibilizzazione: nella sensibilizzazione invece accade lopposto, c una intensificazione della risposta comportamentale in seguito alla presentazione di stimoli nocivi. In questo caso, dopo la presentazione di stimoli nocivi, si ha sensibilizzazione anche in risposta a stimoli neutri che, se permangono senza stimoli nocivi, porteranno nuovamente al fenomeno dellabituazione. Condizionamento classico: fu scoperto dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Lavorando per i suoi studi con i cani egli not che essi cominciavano a salivare quando entrava nella loro stanza, ovvero, associavano il cibo, che lo stimolo incondizionato perch i cani salivano sempre alla presenza di cibo, allo stimolo condizionato, ovvero Pavlov stesso, la cui presenza normalmente non dovrebbe produrre salivazione. Per confermare la sua deduzione Pavlov fece un esperimento usando come stimolo condizionato il suono di un campanello che precedeva la presentazione del cibo. Come si aspettava i cani iniziarono a salivare anche quando sentivano il suono del campanello. Kandel inizialmente lavor sulla sensibilizzazione in Aplysia notando che, somministrando una scossa dolorosa alla coda dellanimale, si otteneva come risposta il comportamento di retrazione della branchia, anche in stimoli successivi di natura neutra. Quindi laplysia ricordava lo stimolo nocivo e questo ricordo si protraeva nel tempo. Se lo stimolo nocivo si presentava pi volte la durata del ricordo aumentava. Quello che per Kandel non riusciva a capire era come si potessero verificare processi di apprendimento in circuiti neuronali che sostanzialmente non variavano granch da unanimale allaltro e che presentavano interconnessioni molto precise. IV.4.3 Memoria a breve termine e memoria a lungo termine in Aplysia, i meccanismi biochimici. Per affrontare questo studio Kandel ebbe lidea di verificare lipotesi che Santiago Ramn y Cajal aveva proposto gi nel 1894, ovvero che la memoria dipende dallo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche.
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Quello che emerse da questi nuovi studi fu la consapevolezza che effettivamente i processi di memoria dipendano dalla modifica delle connessioni sinaptiche. I geni quindi sono responsabili dellesistenza delle connessioni, ma la loro efficacia dipende dallesperienza. Il passo successivo negli studi di Kandel fu la dimostrazione di come avvengono i processi biochimici che portano allo sviluppo della memoria a breve termine e del consolidamento delle tracce mestiche in quella a lungo termine. Per cominciare Kandel e i suoi collaboratori cercarono di capire se fossero coinvolti nei sistemi di memoria, meccanismi di sintesi proteica. Bloccando la sintesi proteica ci si accorse che la risposta a breve termine compariva comunque. Poich fu dimostrato che la risposta a breve termine compariva anche in caso di iniezione di cAMP nella cellula presinaptica, e poich la sua principale funzione consiste nellattivazione di protein-chinasi per regolare il passaggio transmembrana di calcio (e ridurre quello di potassio) attraverso i canali ionici, se ne dedusse che la memoria a breve termine dipendeva dalla regolazione della quantit di neurotrasmettitore rilasciato dalla cellula presinaptica. Quindi, dopo una serie di esperimenti che Kandel port avanti con numerosi collaboratori, dedusse che per attivare la memoria a lungo termine fosse necessaria la sintesi di nuove proteine mentre per quella a breve termine era sufficiente la regolazione della quantit di neurotrasmettitore rilasciato dalla cellula presinaptica. Riassumendo e senza entrare nei dettagli, nella sensibilizzazione, uno stimolo nocivo provoca il rilascio di serotonina, questa a sua volta con una serie di passaggi attiva cAMP, se gli stimoli nocivi aumentano, aumenta anche la presenza di cAMP e questo rende disponibile nella cellula le protein-chinasi PKA e MAPK. Queste a loro volta, traslocano nel nucleo e attivano la trascrizione genica a partire dal fattore CREB-1. Kandel ha dimostrato che se un singolo neurone sensoriale in aplysia forma circa 1200 sinapsi, in seguito a sensibilizzazione a lungo termine queste arrivano ad essere circa 2600. Sorprendentemente per, la sensibilizzazione a lungo termine non produce un aumento di sinapsi generalizzato a tutta la cellula, bens laumento di sinapsi si ha solo a livello della sinapsi interessata dagli
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stimoli nocivi. Questo avviene perch lo stimolo da cui parte il processo a breve termine serve nellimmediato a rendere pi efficace la sinapsi, grazie allaumento di neurotrasmettitore ma, in caso di stimolazione continuata, la serotonina rilasciata marca specificamente la sinapsi interessata. In questo modo le proteine prodotte dallattivazione genica grazie a CREB-1 vengono selettivamente impiegate nella sinapsi in questione (Kandel E.R., et al., 1994; Kandel E.R., 2007; Pally R., 2003).
relazioni interne ed esterne allazienda sanitaria, estesa ai servizi territoriali, ai professionisti, al volontariato affinch il paziente prosegua e mantenga nel tempo il proprio processo di recupero in un iter terapeutico armonico e modulato sulle sue esigenze non solo funzionali ma anche psicosociali. sempre pi chiaro il nesso causale tra patologia dei bambini/adolescenti e lesposizione (acqua, aria, cibo) a diverse classi di xenobiotici, composti chimici o fisici dellambiente, dalla vita embrionale e fetale alladolescenza. Questo porta ad una maggiore frequenza di disturbi neurologici e cognitivi (es. il caso del piombo e del mercurio o dei composti organici volatili) (Schwartz BS, et al. 2000; Needleman HL, et al., 1990; Canfield RL, et al., 2003). Questo un tema emerso allattenzione solo negli ultimi anni in Italia, a differenza degli USA dove riceve molte pi attenzioni, soprattutto sul piano della ricerca che della sorveglianza epidemiologica. Infatti non esistono dati Italiani raccolti su base di popolazione relativi alle esposizioni ambientali nel bambino. Le informazioni a disposizione sono estremamente episodiche e assolutamente insufficienti a fornire un quadro della situazione. I bambini sono pi vulnerabili allinquinamento rispetto agli adulti, questo perch il sistema nervoso in questa et si sviluppa molto pi rapidamente come anche tutto lo sviluppo cognitivo. Un corpo crescente di evidenze scientifiche associazia lesposizione umana a inquinanti organici persistenti (POPs) con varie ripercussioni sulla salute, inclusi disturbi neuroevolutivi e interferenze sul sistema endocrino. In uno studio recente (Lee et al., 2007) lo scopo stato quello di comparare la prevalenza dei distrurbi dellapprendimento (LD) e i disturbi da deficit dellattenzione (ADD) tra i bambini con diverse concentrazioni sieriche di neurotossici ambientali in un campione di popolazione USA. Lo studio di tipo trasversale su 2246 bambini di 415 anni su cui sono stati dosati il piombo ed il cadmio, e su 278 bambini di 12-15 anni sono stati dosati i POPs. Questo un primo studio che dimostra la correlazione positiva tra le concentrazioni sieriche dei POPs e i distrurbi dellapprendimento nei bambini di 12-15 anni. Come ben
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gi sappiamo molte sostanze di origine industriale hanno effetti clinici neurotossici negli adulti, mentre gli effetti nocivi sul cervello del feto e del bambino sono invece praticamente sconosciuti (Lee D.H., et al., 2007). Siamo forse davanti alla presenza di diversi effetti tossici dosedipendenti, una silenziosa pandemia di neurotossicit le cui dimensioni sono ancora sconosciute (Grandjean P. e Landrigan P.J., 2006) e che certamente richiedono da parte della comunit scientifica un grande sforzo nel cercare di studiare e quindi prevedere la gravid e gli effetti soprattutto a lungo termine, con particolare riferimento allesposizione di contaminanti chimici e fisici durante tutto lo sviluppo dellindividuo che pu portare allo sviluppo di malattie cronico degenerative colpendo i pi svariati comparti biologici delluomo, compresi tutti i disturbi nella sfera del cognitivo.
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CAPITOLO V
CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
Linfluenza dei vari fattori ambientali quasi sempre vista e calcolata in termini di mutagenesi ma da un punto di vista quasi esclusivamente carcinogenico, mentre molti studi (De Magistris R. et al., 2006; Nannipieri P. et al., 1997; Naccarati A. at al., 2003; Vodicka P. at al., 2004) evidenziano linfluenza dei fattori ambientali quali induttori di alterazioni metaboliche riconducibili a molte condizioni patologiche come nel caso dellesposizione a campi elettromagnetici che pu influenzare la secrezione della melatonina, la quale ha effetti su molti processi fisiologici tra quali linvecchiamento, la modulazione del sistema immunitario, linibizione della crescita tumorale e di particolare interesse lo sviluppo di disturbi neurocomportamentali e di alcune malattie neurodegenerative quali Alzheimer, Parkinson ecc. Da tempo si discute su quale sia limpatto dellinquinamento ambientale, fisico e chimico sulla genesi e quindi sullincidenza e prevalenza delle malattie neurodegenerative. Gli studi sullinquinamento ambientale hanno sempre trattato con una speciale attenzione i vari ecosistemi (acquatico il mare, terrestre campi agricoli ecc.), focalizzando lattenzione sul notevole dispendio di energia e sui problemi sia di carattere economico che concettuali finalizzati ai soli processi di risanamento delle aree dinteresse, considerando anche, che linquinamento nei paesi pi industrializzati ha acquistato carattere cronico (Bazzanti M. et al., 1997). Inoltre largomento assume un particolare significato quando ha ridondanza mondiale a causa di incidenti come nel caso di Minamata verificatosi appunto nel golfo di Minamata, in Giappone nei primi anni 50, dove molti pescatori e le loro
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CONCLUSIONI
famiglie, che si nutrivano principalmente dei prodotti della loro pesca, vennero colpiti da una grave malattia che danneggiava il sistema nervoso (Inskip & Piotrowski, 1985). Le indagini portarono allidentificazione di unelevata concentrazione di metilmercurio nei prodotti ittici pescati nella baia, e la sorgente dellinquinamento venne identificata negli scarichi di una fabbrica limitrofa. Ci a supporto del fatto che nelle indagini ambientali oltre allaspetto biologico-tossicologico-sanitario anche laspetto pi propriamente chimico-analitico di rilevante importanza. Per lo svolgimento di tali indagini occorre disporre di metodi analitici affidabili, sensibili e selettivi in grado di determinare anche a livelli di tracce le diverse forme in cui si presentano i vari inquinanti nei vari comparti ambientali (Caricchia A.M. et al., 1997; Morabito R. et al., 1998). Ci fondamentale ai fini della comprensione del destino ambientale degli inquinanti chimici (come ad esempio metalli pesanti, mercurio ecc.) e per la stima dei rischi potenziali, cos da poter individuare possibili aree a rischio e quindi espressioni silenti di possibili malattie. La corretta individuazione dei parametri chimici effettivamente correlabili agli indicatori biologici di fondamentale importanza per una significativa utilizzazione allo scopo di definire la qualit della vita. Alla luce di questo prendono un aspetto diverso i vari studi nellambito dei programmi di ricerca (Sturchio E. et al., 2004 e 2005), ovvero tutti quei lavori sperimentali atti a comprendere in specifico il bioaccumulo dei diversi inquinanti in alcuni gruppi animali e vegetali di interesse anche umano, dove il bioaccumulo viene quindi posto in relazione alle concentrazioni di questi composti chimici nei diversi ecosistemi per evidenziare le eventuali differenze di distribuzione delle diverse forme chimiche (es. mercurio e metilmercurio) e alle diverse abitudini alimentari e di vita degli organismi viventi sia essi facenti parte della fauna o della flora (Bellicioni S. et al., 1998; De Simone C. et al.2000; Morabito R. et al., 1999; Rossi G. et al., 1999). La possibilit di ottenere oltre al dato analitico anche indicazioni di tipo tossicologico senza dubbio di notevole interesse applicativo. Tale
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CONCLUSIONI
possibilit deriva dal fatto che la determinazioni analitica sfrutta proprio il meccanismo alla base della tossicit dei composti in esame. Tali obiettivi permettono di affrontare i problemi riguardanti linquinamento ambientale non solamente con lausilio dei dati relativi alle sole indagini chimico-analitiche ma in un contesto pi ampio attraverso valutazioni pi complete, sino a giungere perfino allidentificazione di indici di rischio aventi un significato pi complesso, anche e soprattutto da un pinto di vista biologico e in termini di salute umana. Il presente libro vuole essere un possibile nuovo punto di vista delle cause/effetto dellinquinamento ambientale, un nuovo spunto per possibili correlazioni tra inquinamento ambientale, stili di vita e sviluppo di malattie. Molte malattie neurodegenerative hanno espressioni fenotipiche a noi ben note ma che hanno di ben poco noto per quanto riguarda la genomica e soprattutto i meccanismi di azione e in particolare come le alterazioni di questi processi metabolici nella complessit dei sistemi biologici vengano influenzati da fattori genetici ereditari e non, e quindi come la loro espressione/regolazione (De Fonzo V. et al.2006) possa determinare o comunque essere elemento comune nelle malattie neurodegenerative aprendo cos un mondo nel comparto della ricerca scientifica nel campo dellinvisibilmente piccolo come la nuova frontiera dei microRNA (miRNA). In conclusione i risultati di questa panoramica delle problematiche trattate confermano ed evidenziano lesigenza di integrare pi tipi di metodologie, al fine di ottenere una migliore rappresentazione delle diverse situazioni di inquinamento ambientale da parte di classe di contaminanti differenti in relazione anche al tipo di patologia, distrurbo o indagine sul rischio di malattia per luomo, soprattutto in relazione allinsorgere e sviluppo delle malattie croniche e degenerative, con particolare intresse a quelle neurodegenerative che sono quelle che pi affligono il genere umano in quanto legate al crescente aumento, se pur positivo, dellaspettativa di vita. Nella letteratura medica degli ultimi anni, diversi autori auspicano maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla profilassi, quale unica
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CONCLUSIONI
via praticabile nel contrastare le malattie degenerative. sempre meglio prevenire linsorgere di una malattia. Un ambiente pi pulito, migliori abitudini alimentari, uno stile di vita salutare e la diagnosi tempestiva delle malattie comuni riducono i costi sanitari e conducono a una migliore qualit della vita, cio ad una minore incidenza delle malattie. Per testare e controllare i vari composti chimici sono necessari approcci precauzionali sempre pi nuovi che siano anche in grado di riconoscere in maniera inequivocabile la vulnerabilit cerebrale durante tutte le fasi dello sviluppo (Grandjean P. e Landrigan P.J., 2006).
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Prima di effettuare liniezione e 24 ore dopo ogni iniezione si consiglia di somministrare un analgesico antipiretico per attenuare i sintomi simil-influenzali associati alla somministrazione di Rebif. Al momento non noto per quanto tempo i pazienti devono essere trattati. La sicurezza e lefficacia di Rebif non sono state dimostrate oltre 4 anni di trattamento. Si raccomanda di monitorare i pazienti almeno ogni 2 anni nei primi 4 anni di trattamento con Rebif, e la decisione di proseguire con una terapia a lungo termine sar presa dal medico in base alla situazione di ogni singolo paziente. 4.3 Controindicazioni Inizio del trattamento in gravidanza (vedere paragrafo 4.6). Pazienti con una storia di ipersensibilit allInterferone beta naturale o ricombinante, o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Pazienti attualmente affetti da depressione grave e/o ideazioni suicide (vedere paragrafi 4.4 e 4.8) 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni dimpiego I pazienti devono essere informati sulle pi comuni reazioni avverse associate alla somministrazione di interferone beta, inclusi i sintomi della sindrome simil-influenzale (vedere paragrafo 4.8). Questi sintomi sono pi evidenti allinizio della terapia e diminuiscono in frequenza e gravit con il proseguire del trattamento. Rebif deve essere somministrato con cautela ai pazienti con disturbi depressivi pregressi o in corso ed in particolare a quelli con precedenti ideazioni suicide (vedere paragrafo 4.3). noto che depressione e ideazioni suicide sono presenti con maggior frequenza nella popolazione dei malati di sclerosi multipla ed in associazione con luso dellinterferone. I pazienti in trattamento con Rebif devono essere avvisati di riferire immediatamente al loro medico leventuale comparsa di sintomi depressivi o ideazioni suicide. I pazienti affetti da depressione devono essere tenuti sotto stretto controllo medico durante la terapia con Rebif e trattati in modo appropriato. La sospensione della terapia con Rebif deve essere presa in considerazione (vedere anche paragrafi 4.3 e 4.8). Rebif deve essere somministrato con cautela ai pazienti con una storia di epilessia, a quelli in trattamento con farmaci anti-epilettici ed in particolare se la loro epilessia non adeguatamente controllata dagli anti-epilettici (vedere paragrafi 4.5 e 4.8). I pazienti con malattia cardiaca, quale angina, scompenso cardiaco congestizio o aritmie, devono essere tenuti sotto stretto controllo per osservare eventuali peggioramenti delle loro condizioni cliniche durante linizio della terapia con Interferone beta-1a. I sintomi della sindrome simil-influenzale associati alla terapia con Interferone beta-1a possono essere fonte di stress nei pazienti con problemi cardiaci. Sono stati descritti casi di necrosi sul sito di iniezione (NSI) in pazienti in terapia con Rebif (vedere paragrafo 4.8). Per ridurre al minimo il rischio di necrosi sul sito di iniezione i pazienti devono essere informati: di usare tecniche di iniezione asettiche di variare il sito di iniezione ad ogni dose. Le procedure per lauto-somministrazione devono essere periodicamente riesaminate soprattutto se si sono verificate reazioni nel sito di iniezione. Se il paziente presenta un qualsiasi tipo di lesione cutanea, accompagnata da edema o essudazione dal sito di iniezione, il paziente deve essere avvisato di consultare il proprio medico prima di continuare le iniezioni di Rebif. Se i pazienti presentano lesioni multiple, Rebif deve essere interrotto fino alla completa cicatrizzazione delle lesioni. I pazienti con lesioni singole possono continuare la terapia se la necrosi non troppo estesa. In studi clinici con Rebif aumenti asintomatici dei livelli delle transaminasi epatiche (in particolare alanina-aminotransferasi (ALT)) sono stati frequenti e una percentuale pari al 1208
3% dei pazienti ha sviluppato incrementi delle transaminasi epatiche alti pi di 5 volte il limite superiore della norma. In assenza di sintomi clinici, i livelli sierici di ALT devono essere monitorati prima dellinizio della terapia e a 1, 3 e 6 mesi dallinizio della terapia, e in seguito, controllati periodicamente. Una riduzione della dose di Rebif deve essere presa in considerazione nel caso i livelli di ALT siano alti pi di 5 volte il limite superiore della norma e la dose deve essere gradualmente riaumentata quando i livelli enzimatici si normalizzano. Rebif deve essere somministrato con cautela nei pazienti con anamnesi di patologie epatiche significative o evidenza clinica di patologia epatica in forma attiva o abuso di alcool o incremento dei livelli di ALT (>2,5 volte i limiti superiori della norma). Il trattamento con Rebif deve essere interrotto in caso di comparsa di ittero o altri sintomi clinici di disfunzione epatica (vedere paragrafo 4.8). Rebif, come altri interferoni beta, pu causare danni epatici gravi (vedere paragrafo 4.8), tra cui linsufficienza epatica acuta. Non noto il meccanismo dazione dei rari casi di disfunzione epatica sintomatica. Non sono stati identificati specifici fattori di rischio. Allimpiego di interferoni sono associate alterazioni degli esami di laboratorio. Lincidenza globale di queste alterazioni leggermente pi alta con Rebif 44 microgrammi che con Rebif 22 microgrammi. Pertanto, oltre ai test di laboratorio normalmente richiesti per monitorare i pazienti con la sclerosi multipla, si raccomanda di eseguire il monitoraggio degli enzimi epatici, e la conta leucocitaria con formula e la conta delle piastrine ad intervalli regolari (1,3 e 6 mesi) dopo linizio della terapia con Rebif e in seguito periodicamente anche in assenza di sintomi clinici. Questi controlli dovrebbero essere pi frequenti quando si inizia la terapia con Rebif 44 microgrammi. I pazienti in trattamento con Rebif, possono occasionalmente sviluppare alterazioni alla tiroide o peggioramento di alterazioni preesistenti. Un test di funzionalit tiroidea deve essere effettuato al basale e, se alterato, ripetuto ogni 6-12 mesi dallinizio del trattamento. Se i valori sono normali al basale, non necessario un esame di controllo che deve invece essere effettuato qualora si manifesti una sintomatologia clinica di disfunzione tiroidea (vedere anche paragrafo 4.8). Cautela e stretta sorveglianza devono essere adottate nella somministrazione dellInterferone beta-1a a pazienti con grave insufficienza renale ed epatica e a pazienti con grave mielosoppressione. Possono svilupparsi anticorpi neutralizzanti anti-Interferone beta-1a. Lesatta incidenza di tali anticorpi non ancora definita. I dati clinici suggeriscono che tra i 24 e 48 mesi di trattamento con Rebif 44 microgrammi, circa il 13 14% dei pazienti sviluppa anticorpi sierici persistenti contro lInterferone beta-1a. E stato dimostrato che la presenza di anticorpi attenua la risposta farmacodinamica allInterferone beta-1a (Beta-2 microglobulina e neopterina). Sebbene limportanza clinica della comparsa degli anticorpi non sia stata completamente chiarita, lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti si associa ad una riduzione dellefficacia su parametri clinici e di risonanza magnetica. Qualora un paziente dimostri una scarsa risposta alla terapia con Rebif ed abbia sviluppato anticorpi neutralizzanti, il medico rivaluter il rapporto beneficio/rischio per proseguire o meno il trattamento con Rebif. Luso di vari metodi per la determinazione degli anticorpi sierici e le diverse definizioni di positivit degli anticorpi limitano la possibilit di confrontare lantigenicit tra prodotti differenti. Solo scarsi dati di sicurezza ed efficacia sono disponibili nei pazienti, non in grado di deambulare, affetti da sclerosi multipla. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme dinterazione Non sono stati effettuati studi di interazione con Rebif (Interferone beta-1a) nelluomo. noto che gli interferoni riducono lattivit degli enzimi dipendenti dal citocromo epatico P450 nelluomo e negli animali. Occorre prestare attenzione quando si somministra Rebif in associazione ad altri farmaci con stretto indice terapeutico e in larga misura dipendenti per la loro eliminazione dal sistema epatico del citocromo P450, quali antiepilettici ed alcune classi 209
di antidepressivi. Non stata studiata in maniera sistematica linterazione di Rebif con corticosteroidi o ACTH. Studi clinici indicano che i pazienti con sclerosi multipla possono essere trattati con Rebif e corticosteroidi o ACTH durante le riacutizzazioni. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Sulluso di Rebif in gravidanza, sono disponibili informazioni limitate. I dati disponibili indicano che si potrebbe verificare un aumento del rischio di aborto spontaneo. Linizio del trattamento in gravidanza controindicato (vedere paragrafo 4.3). Donne in et fertile Le donne in et fertile devono adottare opportune misure contraccettive. Le pazienti in trattamento con Rebif che iniziano una gravidanza o che hanno desiderio di avere figli devono essere informate sui rischi potenziali e sulla possibilit di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 5.3). Nelle pazienti che, prima dellinizio del trattamento, presentano un elevato tasso di ricadute, deve essere valutata, in caso di gravidanza, la decisione di interrompere il trattamento con Rebif, rischiando una grave ricaduta o di proseguire il trattamento con Rebif, aumentando il rischio di aborto spontaneo. Allattamento Non noto se Rebif venga escreto nel latte materno. Tenuto conto del potenziale rischio di gravi effetti collaterali nei lattanti, necessario decidere se interrompere lallattamento o la terapia con Rebif. 4.7 Effetti sulla capacit di guidare veicoli e sulluso di macchinari Sebbene riportati con frequenza ridotta, gli eventi avversi a livello del sistema nervoso centrale associati alluso dellinterferone beta, possono alterare la capacit di guidare veicoli o di usare macchinari da parte del paziente (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati a) Descrizione generale La pi alta incidenza di reazioni avverse associate al trattamento con Rebif correlata alla sindrome simil-influenzale. I sintomi simil-influenzali tendono ad essere maggiori allinizio del trattamento e a diminuire di frequenza con il proseguimento del trattamento. Durante i primi 6 mesi di trattamento con Rebif il 70% circa dei pazienti potrebbe manifestare i sintomi della sindrome simil-influenzale caratteristica dellinterferone. In molti pazienti si osservano anche reazioni nel sito di iniezione, quali lievi infiammazioni o eritema. Sono frequenti aumenti asintomatici dei parametri di funzionalit epatica e riduzioni della conta leucocitaria. La maggior parte delle reazioni avverse osservate durante il trattamento con linterferone beta1a sono lievi e reversibili, e rispondono bene a riduzioni del dosaggio. Nel caso di effetti indesiderati gravi o persistenti, a discrezione del medico, la dose di Rebif pu essere temporaneamente ridotta o sospesa. b) Frequenza delle reazioni avverse Le reazioni avverse riportate di seguito sono classificate in base alla loro frequenza: Molto comuni Comuni Non comuni Rare Molto rare 1/10 1/100 <1/10 1/1.000 <1/100 1/10.000 <1/1.000 < 1/10.000
Allinterno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravit. 210
Reazioni avverse rilevate nel corso di studi clinici: i dati sono stati estrapolati dai diversi studi clinici nella sclerosi multipla (placebo = 824 pazienti; Rebif 22 microgrammi tre volte alla settimana = 398 pazienti; Rebif 44 microgrammi tre volte alla settimana = 727 pazienti) e mostrano la frequenza delle reazioni avverse osservate a 6 mesi (in eccesso rispetto al gruppo trattato con placebo). Le reazioni avverse sono elencate di seguito in base alla loro frequenza e al sistema di classificazione organi medDRA
Classificazione per sistemi e Molto comuni organi (1/10) Infezioni e infestazioni Comuni ( 1/100, <1/10) Non comuni ( 1/1,000, <1/100) Ascesso al sito di iniezione Neutropenia, linfopenia, leucopenia, trombocitopenia, anemia Disfunzione tiroidea che si manifesta pi frequentemente come ipotiroidismo o ipertiroidismo Depressione, insonnia Cefalea
Patologie endocrine
Diarrea, vomito, nausea Prurito, rash, rash eritematoso, rash maculo-papulare Mialgia, artralgia
Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo Patologie sistemiche e Infiammazione al sito condizioni relative alla sede di iniezione, reazione di somministrazione al sito di iniezione, sindrome similinfluenzale Esami diagnostici Aumento asintomatico delle transaminasi
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Reazioni avverse rilevate durante la fase post-marketing (frequenza sconosciuta) Infezioni e infestazioni: infezioni al sito di iniezione, inclusa la comparsa di cellulite Disturbi del sistema immunitario: reazioni anafilattiche Disturbi psichiatrici: tentativo di suicidio Patologie del sistema nervoso: epilessia Patologie vascolari: eventi tromboembolici Patologie epatobiliari: epatiti con o senza ittero Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo: angioedema, orticaria, eritema multiforme, reazioni cutanee simil-eritema multiforme, alopecia c) Informazioni su gravi reazioni avverse rare e/o frequenti Rebif, come altri interferoni beta, pu causare danni epatici gravi. Non noto il meccanismo dazione dei rari casi di disfunzione epatica sintomatica. La maggior parte dei casi di danno epatico grave si manifesta durante i primi sei mesi di trattamento. Non sono stati identificati specifici fattori di rischio. Il trattamento con Rebif deve essere interrotto in caso di comparsa di ittero o di altri sintomi clinici di disfunzione epatica (vedere paragrafo 4.4) d) Reazioni avverse associabili alla classe farmacologica La somministrazione di interferoni stata associata alla comparsa di anoressia, vertigini, ansia, aritmie, vasodilatazione, palpitazioni, menorragia e metrorragia. Unaumentata produzione di autoanticorpi pu svilupparsi durante il trattamento con interferone beta. 4.9 Sovradosaggio In caso di sovradosaggio i pazienti devono essere ricoverati in ospedale in osservazione e deve essere adottata una opportuna terapia di supporto. 5. PROPRIET FARMACOLOGICHE 5.1 Propriet farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: citochine, codice ATC: L03 AB. Gli interferoni (IFNs) sono un gruppo di glicoproteine endogene dotate di propriet immunomodulatorie, antivirali e antiproliferative. Rebif (Interferone beta-1a) possiede la stessa sequenza aminoacidica dellinterferone beta naturale umano. Viene prodotto in cellule di mammifero (cellule ovariche di criceto cinese) ed quindi glicosilato come la proteina naturale. Lesatto meccanismo di azione del Rebif nella sclerosi multipla ancora oggetto di studio. La sicurezza e lefficacia di Rebif sono state valutate in pazienti con sclerosi multipla di tipo recidivante-remittente a dosaggi compresi fra 11 e 44 microgrammi (3-12 milioni UI), somministrati per via sottocutanea 3 volte a settimana. Ai dosaggi autorizzati, stato dimostrato che Rebif 44 microgrammi riduce lincidenza (circa il 30% in 2 anni) e la gravit delle esacerbazioni nei pazienti con almeno 2 ricadute nei 2 anni precedenti e con un punteggio EDSS tra 0-5,0 allingresso nello studio. La percentuale dei pazienti con progressione della disabilit, definita come incremento di almeno un punto della scala EDSS confermato dopo tre mesi, stata ridotta dal 39% (placebo) al 27% (Rebif 44 microgrammi). Nel corso di 4 anni, la riduzione del livello di esacerbazioni si ridotto in media del 22% in pazienti trattati con Rebif 22 microgrammi e del 29% nei pazienti trattati con Rebif 44 microgrammi rispetto ad un gruppo di pazienti trattati con placebo per 2 anni e successivamente con Rebif 22 o 44 microgrammi per 2 anni. In uno studio della durata di 3 anni in pazienti con sclerosi multipla secondaria progressiva (EDSS 3-6,5) con evidenza di progressione clinica nei due anni precedenti e che non hanno manifestato ricadute nelle 8 settimane precedenti, Rebif non ha mostrato effetti significativi sulla progressione della disabilit, ma ha ridotto la frequenza di esacerbazioni di circa il 30%. Se la popolazione dei pazienti viene divisa in 2 sottogruppi (quelli con e quelli senza esacerbazioni nei 2 anni precedenti allarruolamento nello studio) nel gruppo di pazienti 212
senza esacerbazioni non si osserva alcun effetto sulla disabilit mentre nel gruppo di pazienti con esacerbazioni, la percentuale di quelli che hanno mostrato una progressione della disabilit alla fine dello studio risultata ridotta dal 70% (placebo) al 57% (Rebif 22 microgrammi e Rebif 44 microgrammi). Questi risultati, ottenuti in un sottogruppo di pazienti in unanalisi a posteriori, devono essere interpretati con cautela. Rebif non stato ancora studiato in pazienti con sclerosi multipla primaria progressiva, quindi non deve essere utilizzato in questo gruppo di pazienti. 5.2 Propriet farmacocinetiche Nei volontari sani, dopo somministrazione endovena, lInterferone beta-1a presenta un declino multi-esponenziale rapido, con livelli sierici proporzionali alla dose somministrata. Lemivita iniziale dellordine di minuti e quella terminale di molte ore, per la possibile presenza di un comparto profondo. Quando somministrato per via sottocutanea o intramuscolare, i livelli sierici di interferone beta rimangono bassi, ma sono ancora misurabili fino a 12 - 24 ore dopo la somministrazione. Ai fini dellesposizione dellorganismo allinterferone beta le vie di somministrazione sottocutanea e intramuscolare di Rebif sono equivalenti. Dopo una singola dose di 60 microgrammi, la massima concentrazione plasmatica, misurata con saggio immunologico, compresa tra 6 e 10 UI/ml, raggiunta in un tempo medio di circa 3 ore dopo la somministrazione. Dopo la somministrazione sottocutanea di dosi uguali ripetute ogni 48 ore per 4 volte, si osserva un modesto fenomeno di accumulo (circa 2,5 x AUC). Indipendentemente dalla via di somministrazione, evidenti modificazioni della farmacodinamica sono associate alla somministrazione di Rebif. Dopo una dose singola, lattivit intracellulare e sierica della 2-5A sintetasi e le concentrazioni sieriche di beta2-microglobulina e neopterina aumentano entro 24 ore, e iniziano a diminuire entro i 2 giorni successivi. Le somministrazioni intramuscolare e sottocutanea producono risposte del tutto sovrapponibili. Dopo somministrazioni sottocutanee ripetute, ogni 48 ore per 4 volte, queste risposte biologiche rimangono elevate, senza alcun segno di sviluppo di fenomeni di tolleranza. LInterferone beta-1a viene prevalentemente metabolizzato ed escreto dal fegato e dai reni. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati non-clinici non rilevano rischi particolari per luomo sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicit a dosi ripetute e genotossicit. Non sono stati effettuati studi di cancerogenesi con Rebif. stato condotto uno studio di tossicit embrio-fetale nelle scimmie che ha mostrato lassenza di effetti sulla riproduzione. Sulla base di osservazioni con altri interferoni alfa e beta non si pu escludere un aumentato rischio di aborto. Non sono attualmente disponibili informazioni sugli effetti dellInterferone beta-1a sulla fertilit maschile. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Mannitolo Polossamero 188 L-metionina Alcool benzilico Sodio acetato Acido acetico Sodio idrossido Acqua per preparazioni iniettabili 6.2 Incompatibilit Non pertinente. 6.3 Periodo di validit 18 mesi. 213
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare in frigorifero (2C - 8C). Non congelare. Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dalla luce. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Rebif 44 microgrammi (Interferone beta-1a) disponibile in confezioni da 1, 3 o 12 dosi individuali (0,5 ml) in siringa di vetro di tipo I da 1 ml con ago in acciaio inossidabile. possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione La soluzione iniettabile in siringa pre-riempita pronta per luso. Il prodotto pu anche essere somministrato con un autoiniettore compatibile. Il prodotto non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformit ai requisiti di legge locali. Solo per monosomministrazione. Usare unicamente una soluzione da limpida ad opalescente che non contenga particelle e segni visibili di deterioramento. 7. TITOLARE DELLAUTORIZZAZIONE ALLIMMISSIONE IN COMMERCIO SERONO EUROPE LIMITED 56, Marsh Wall Londra E14 9TP Gran Bretagna 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALLIMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/98/063/004 EU/1/98/063/005 EU/1/98/063/006 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELLAUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 4 Maggio 1998 Data dellultimo rinnovo: 4 Giugno 2003 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Agosto 2007
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Paolo Ferrazza, laurea specialistica in biologia con indirizzo Biochimico-Fisiologico, Specialista in Biologia Molecolare. Ha dedicato molti anni in laboratorio alla ricerca di base in genetica molecolare umana e successivamente sulla tossicit e mutagenesi ambientale. Da molti anni si dedica alle ricerche cliniche sul sistema nervoso centrale, sta costituendo un gruppo di lavoro che si occupi di avviare delle ricerche con lintento di mettere in relazione quanto pi possibile i fattori ambientali e sociali con le malattie neurodegenerative. Attualmente responsabile delle ricerche cliniche nella direzione medica di una societ multinazionale, Advisor Scientifico della CRO Opera Srl, consulente di ricerca dellIstituto Neurologico Mediterraneo NEUROMED. Paola Soldati, laurea specialistica in Biologia specializzata in Chimica e Tecnologia delle Sostanze Organiche Naturali. Ha dedicato molti anni alla ricerca di base nel campo della tossicologia ambientale, successivamente ha lavorato sia in laboratorio nellambito del controllo qualit per poi dedicarsi allattivit di ricerca clinica orientata alle malattie neurodegenerative. Andrea Fausto Lijoi, laurea specialistica in Psicologia Clinica e di Comunit, ha lavorato per dieci anni nei servizi sociali di sostegno ai disabili Psichiatrici, da molti anni si occupa di ricerca in campo Neuropsicologica. Attualmente lavora presso la Contract Research Organization Opera Srl come advisor della Neuropsicologica. Elena Sturchio, laurea specialistica in Biologia specializzata in Patologia Clinica, ha lavorato molti anni allattivit di ricerca in Biologia Molecolare applicata alla Tossicit Ambientale. Attualmente ricercatrice presso lIstituto Superiore di Prevenzione e Sicurezza Lavoro (ISPESL) e si occupa di sviluppo di biomarcatori di geno tossicit e di studi sul rapporto causa-effetto tra geni e stress ambientali. Membro della Commissione Interministeriale di Valutazione per le Biotecnologie. Esperto ISPELS della Commissione Interministeriale di Valutazione sugli organismi geneticamente modificati. Barbara Ficociello, laurea specialistica in Biologia specializzata in Microbiologia e Virologia, ha svolto attivit di ricerca nellambito della patologia clinica . Attualmente svolge attivit di ricerca presso lIstituto Superiore di prevenzione e Sicurezza Lavoro ( ISPESL) nel campo della Tossicologia e Mutagenesi Ambientale. Andrea Paolillo. Medico neurologo, dottore di ricerca in Neuroscienze, ha svolto per alcuni anni attivit di ricerca in Neurologia e in Neuroradiologia, autore di numerose pubblicazioni sulle malattie neurodegenerative, attualmente responsabile dellarea neurologica di unimportante societ farmaceutica multinazionale.
Autori: PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO PAOLA SOLDATI BARBARA FICOCIELLO ANDREA FAUSTO LIJOI ANDREA PAOLILLO